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Jessica Procaccio
ANTICO EGITTO La via della saggezza
Jessica Procaccio
Quando ci sentiamo senza direzione, il segreto è tornare a stupirci delle piccole cose come facevano gli Egizi: così ritroviamo le nostre radici
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Pensiamo spesso all’Egitto dei faraoni solo come alla terra delle piramidi. Ma da questa civiltà millenaria abbiamo molto altro da imparare. La saggezza degli Egizi ci insegna a riscoprire il senso magico della vita, a celebrare ogni momento come un rito sacro, affidandoci alle forze dell’istinto presenti in tutti noi.
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ANTICO EGITTO. La via della saggezza Testi di Jessica Procaccio Laureata in Archeologia e Storia antica all’Università degli Studi di Torino, è specializzata in Egittologia. Foto: 123rf, Adobe Stock, Shutterstock © 2022 Edizioni Riza S.p.A. via Luigi Anelli, 1 - 20122 Milano - www.riza.it Tutti i diritti riservati. Questo libro è protetto da copyright ©. Nessuna parte di esso può essere riprodotta, contenuta in un sistema di recupero o trasmessa in ogni forma e con ogni mezzo elettronico, meccanico, di fotocopia, incisione o altrimenti senza il permesso scritto dell’editore.
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Sommario Introduzione L’insegnamento degli antichi egizi............................................................7 Capitolo 1 CENNI STORICI: dalle origini al declino dei faraoni......................................15 Capitolo 2 STATO E SOCIETÀ EGIZIA............................................................................31 Capitolo 3 RELIGIONE EGIZIA: miti e credenze magiche..............................................43 Capitolo 4 PSICOLOGIA AI TEMPI DEI FARAONI............................................................67 Capitolo 5 CURARSI NELL’ANTICO EGITTO: medicina e rimedi naturali........................91 Capitolo 6 ALIMENTAZIONE EGIZIA: i cibi della longevità...........................................111 Capitolo 7 COSMESI E CURA DEL CORPO nell’antico Egitto.......................................123 Conclusioni I simboli sono la nostra salvezza..............................................................136 Note bibliografiche................................................................................142
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capitolo 4
PSICOLOGIA AI TEMPI DEI FARAONI “Quando si parla dell’Egitto faraonico non si deve mai dire ‘sempre’, ed evitare sempre di dire ‘mai’, perché la scienza faraonica è quella della Vita, mobile, adattabile, fondata sulla conoscenza della morte che fa la vita” (r. a. schwaller de lubicz)24
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Capitolo 4
La “mente” rituale degli egizi Che cosa ci possono insegnare gli egizi? Che senso ha ripercorrere la storia, gli usi, i costumi di una civiltà sepolta da millenni? Questo: recuperare il lato magico dell’esistenza, imparare a vivere non solo secondo logica e razionalità, ma anche in una dimensione sacra, dove tutto assume un senso più profondo, anche le azioni quotidiane, come vestirsi, lavarsi, truccarsi, cucinare. Oggi noi siamo i discendenti dell’Illuminismo, l’orizzonte culturale che, nella seconda metà del Settecento, ha permesso all’uomo di liberarsi dalle false credenze, dai pregiudizi e dalle superstizioni con cui aveva interpretato fino ad allora la realtà. Nacque un mondo fatto di idee e di metodi coi quali l’uomo ha cercato di capire e dominare ogni cosa esistente. Se da una parte bisogna essere grati all’enorme contributo offerto da questa rivoluzione del sapere – ci ha fatto compiere passi da gigante in tutti i campi della conoscenza e ha reso possibili le scoperte scientifiche e tecnologiche che ci hanno semplificato la vita, oltre a renderla più duratura – dall’altra lo stesso fenomeno ha portato a una progressiva e costante “desacralizzazione del mondo”: l’abbandono della dimensione sacra e mitica che in passato regolava la vita degli uomini. Perché questo tema è fondamentale in un libro sull’antico Egitto? Per spiegarlo, dobbiamo ripartire dal significato della parola religione, dal latino religio, che ha a che fare con “qualcosa che unisce, lega insieme”. Ma che cosa unisce? La religione tiene stretti nel suo abbraccio gli uomini con il tutto, tra di loro, con gli animali, 68
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PSICOLOGIA AI TEMPI DEI FARAONI
con le piante: questo era il mondo in cui abitavano gli antichi egizi. L’uomo moderno ha bisogno di recuperare il suo rapporto con il divino, perché se perde questa dimensione sacra, smarrisce l’incanto della natura, dimentica quel lato eternamente fanciullo che gli consente di guardare qualsiasi cosa come un fenomeno mitico, numinoso. Il suo sguardo non si apre più verso l’orizzonte, non spalanca le porte della coscienza interiore, bensì appare come barricato, coperto da un pesante fardello: il suo occhio è rivolto solamente all’esterno, alla superficie delle cose. Questa mentalità ha portato via con sé il lato magico presente nel vivere quotidiano, ogni situazione o evento ha smesso di entusiasmarci, è sprofondato nell’oblio, facendoci credere che l’intero universo sia tutto qui, una landa desolata abitata da soli “oggetti” limitati e finiti nel tempo. Non siamo fatti unicamente di ragione e intelletto, in noi è presente anche una componente sacra, antica e silenziosa, che manteniamo in vita grazie alle emozioni e ai sentimenti che talvolta tentiamo di nascondere, facendoci solo del male. L’essere umano è un’unità psicosomatica, in cui mente e corpo si fondono l’una con l’altro, in cui ragione e sacro dialogano tra di loro. Del resto, tutte le medicine dell’antichità erano psicosomatiche; prima ancora dei greci e dei romani, gli egizi già sapevano che la sofferenza psichica era connessa a disturbi di origine fisica e viceversa. Ma osservare il mondo con lo sguardo che avevano gli egizi non ha a che fare con fantasie arcaizzanti, non si tratta di buttare al vento le scoperte della scienza, anzi: significa ridimensionare il nostro modo di viverle, tornare a stupirci per le piccole cose e scoprire così chi siamo veramente. Se l’uomo antico difettava di grandi conoscenze microscopiche, l’uomo contemporaneo non conosce più questa vi69
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capitolo 5
Curarsi nell’antico Egitto: medicina e rimedi naturali “La sua bocca è bloccata; le sopracciglia sono spostate; il suo viso è come quando si piange. Questo significa: egli non apre più la bocca per parlare; le sopracciglia non sono al loro posto, ma una è tirata verso l’alto e l’altra verso il basso, come quando uno ammicca; il suo viso piange” (papiro smith)33
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Capitolo 5
L’antica medicina egizia: l’unione tra scienza e sacro Tra le più antiche del mondo, la medicina egizia fu la più rinomata e studiata, tanto che si credeva fosse la “maestra” da cui ebbero origine tutte le altre. Ancora oggi, a distanza di millenni, ci lascia stupiti la modernità e il rigore con cui gli egizi parlavano delle malattie oppure eseguivano una diagnosi o un’operazione chirurgica, ben attestati grazie ai papiri che ci hanno tramandato, che dimostrano come i medici egizi fossero all’avanguardia. I sovrani stranieri si recavano in Egitto per ricevere consultazioni e farsi guarire dagli specialisti egizi, talvolta li pagavano per inserirli nella propria équipe medica. Una vera celebrazione di questi medici fu indetta dagli uomini più saggi della cultura classica, in primis Omero: “l’egizia: la terra datrice di biade là produce moltissimi farmaci, molto buoni, e misti coi quali molti mortali; e ognuno vi è medico, esperto al di sopra di tutti gli uomini” (Odissea, IV, 219-232). Anche il padre della medicina, il greco Ippocrate, e poi il romano Galeno ne erano grandi estimatori, dato che con certezza andarono in Egitto per formarsi e apprendere le tecniche mediche lì sviluppate. Erodoto, prima dei due celebri scienziati, ebbe la fortuna di esplorare l’Egitto dei faraoni sul finire della sua storia, prima delle dominazioni straniere, e apprendere i segreti di questa prodigiosa civiltà. Secondo lo storico greco (Storie, II, 83): “l’arte della medicina in Egitto è ripartita come segue: ogni medico cura una malattia soltanto non di più. Tutti i luoghi sono pieni di medici, poiché vi sono medici degli occhi, quelli della testa, dei 92
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Curarsi nell’antico Egitto: medicina e rimedi naturali
denti, della regione addominale e quelli delle malattie che non hanno una precisa localizzazione”. Quest’ultima indicazione appare molto curiosa: chissà se Erodoto con malattie “non visibili” intendesse dire anche i mali che affliggono la mente. Quel che è certo è che i medici egizi concepivano l’essere umano come un’unità psicosomatica, in cui tutto ciò che accade sul piano fisico è unito con quello psichico. Non ci sorprenderà, allora, scoprire come fossero già a conoscenza del fatto che malesseri come lo stress e l’ansia (naturalmente non li chiamavano come noi) possano determinare vari generi di disturbi fisiologici e quindi essere “somatizzati” in modo diverso a seconda del paziente trattato. Ad esempio, il dolore provato per un mal di pancia, che le persone che ne hanno sofferto associano all’aver dovuto ingoiare bocconi amari, può spiegarci come le ferite dell’anima brucino più degli acidi gastrici. In egual modo un’emicrania può scaturire dai nostri tentativi di tenere lontani istinti ed emozioni di cui abbiamo paura o che non tolleriamo. Per gli egizi era lo stesso: non agire secondo il destino che le divinità avevano scelto per loro, significava andare contro Maat, l’equilibrio cosmico, e ciò negava l’accesso all’oltretomba. A insegnarci come la morte può avere in sé il seme della rinascita. La componente sacra aveva quindi grande importanza: quando ci si ammalava spesso erano le divinità a volerlo, così come a loro ci si appellava per tornare in salute. Proprio perché la “scienza” non bastava, i medici erano ugualmente sacerdoti e a volte anche maghi; per questo, insieme alla padronanza di tecniche e procedure scientifiche, utilizzavano tra i rimedi anche formule magiche e curavano con amuleti e statue guaritrici. “Io sono colui che Dio desidera mantenere in vita”, è un’invocazione da pronunciare “quando si applica un medicamento su qualsiasi parte malata di una persona; un rimedio 93
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capitolo 6
ALIMENTAZIONE EGIZIA: i cibi della longevità “… vi trovai fichi e uva e ogni genere di eccellenti verdure; vi erano frutti di sicomoro maturi e non maturi, cocomeri come quelli che si coltivano; vi erano pesci e uccelli, non c’era nulla che non vi si trovasse. Allora mi saziai e ne gettai a terra perché ce n’era troppo sulle mie mani” (il racconto del naufrago)43
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Capitolo 6
Come cucinavano gli egizi? È possibile ricostruire le abitudini alimentari degli antichi egizi a partire dalle numerose citazioni presenti nei testi e dai ritrovamenti archeologici, ma soprattutto grazie alla documentazione figurativa riguardante la produzione (scene di agricoltura, allevamento, vita nei campi) e la lavorazione (scene di panificazione, macellazione, pesca, birrificazione) dei cibi di cui è ricca l’arte funeraria. Rispetto alla civiltà greca e romana, quella faraonica non ci ha tramandato una letteratura gastronomica con manuali di cucina e ricettari (si pensi al De Re Coquinaria di Marco Gavio Apicio), per cui risulta più difficile parlare di tradizione culinaria nell’antico Egitto. Tuttavia, anche gli egizi furono degli eccellenti cuochi! A conferma di ciò, dalle fonti a disposizione, sappiamo come era ammobiliata una cucina, quali erano i metodi di cottura più comuni, quali utensili si usavano, quali erano gli alimenti preferiti e quelli sacri agli dèi, come venivano insaporiti o quali (e quante) parole esistevano per designarli. Entrando in casa di un uomo egizio avremmo trovato una cucina formata da un fornello mobile di terracotta, di forma cilindrica, aperto in alto e con uno sportello in basso per eliminare i residui come la cenere e per ventilare e purificare l’aria dagli odori. Nelle abitazioni più povere c’erano dei semplici blocchi di pietra messi a cerchio. Per cuocere le pietanze si usavano pentole e padelle di terracotta; nella dispensa e a tavola c’erano bacinelle, giare, anfore, brocche, catini, cesti e panieri. 114
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ALIMENTAZIONE EGIZIA: i cibi della longevità
Per quanto riguarda le stoviglie, erano conosciuti i cucchiai, anche se, con molta probabilità, ci si serviva solo con le mani, che venivano spesso lavate durante il pasto (similmente a ciò che accade oggi in Egitto e in molti Paesi africani).
A tavola con gli egizi: gli alimenti più comuni e quelli del benessere Pane e cereali, la base della dieta Il pane era l’alimento principe della tavola dell’antico Egitto: veniva preparato con la farina di grano, d’orzo oppure anche di farro, che era ritenuta la più pregiata e nutriente. I chicchi venivano mondati, tagliati e pestati in un apposito mortaio (poi sostituito dalla macina dall’Età Tarda); una volta ottenuta la farina, veniva setacciata prima di essere lavorata. L’impasto veniva fatto a mano con acqua, o altre ricette prevedevano l’aggiunta di burro, olio, uova o latte; con miele, datteri, fichi o uvetta si formava, invece, una pasta dolce che poteva eventualmente essere fritta. Il lievito era sconosciuto e per far crescere la pasta si usava l’avanzo di pasta del giorno precedente. Le pagnotte venivano cotte sulla brace o su lastre in pietra poste sul fuoco o in forni all’aperto. L’importanza di questo alimento è evidente dagli almeno 15 nomi che gli egizi usavano per chiamarlo, un po’ come facciamo noi per distinguere una tipologia di pane dall’altra; 115
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capitolo 7
COSMESI E CURA DEL CORPO nell’antico Egitto “Così è venuto il tempo di preparare il letto. Servitore, ti dico: ‘Metti del bisso46 per il suo corpo, un letto per lei di lino regale. Sta’ attento di usare della biancheria ricamata, cosparsa di essenza profumata’” (poesia d’amore)47
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Capitolo 7
Splendida come una dea Nell’immaginario collettivo le donne egizie rappresentano il fascino senza tempo, la sensualità che sa stregare, la magia dei profumi che avvolge e scompiglia. Le loro toilette erano un “forziere” di unguenti, fragranze, terre colorate, polveri e balsami emollienti creati con ingredienti di origine naturale con cui celebravano ogni giorno la loro femminilità. A quei tempi essere belle non era soltanto una questione estetica, non era una gara per assomigliare al modello di turno: dietro a tanta apparente vanità si celava qualcosa di più profondo, un viaggio nelle stanze segrete del femminile che, nel momento del trucco, della detersione del corpo, di un bagno rigenerante, aveva lo scopo di riconnettersi con l’armonia dell’universo voluto dagli dèi. Un rituale eterno che le donne dei faraoni utilizzavano per prendersi cura del proprio aspetto esteriore quanto di quello interiore: una pausa tutta per sé, una carezza per dare ascolto all’anima, la capacità di ritrovarsi e dialogare con il divino che le abitava. Proprio come fa Madre Natura, che ogni primavera manifesta la sua bellezza pura e spontanea per garantire il ciclo della vita. I suoi fiori al profumo di gioia sanno incantare: richiamano a sé tutti gli esseri viventi come una calamita alla quale è impossibile sfuggire, un polo di attrazione in cui è racchiusa l’energia creativa di Eros, la forza che fa nascere ed esprimere la vera sessualità, che ci fa evolvere e rigenerare, aprendoci al nuovo. Tornando alle antiche egizie, immaginatele sedute davanti a uno specchio, immerse nel silenzio del gesto sacro che è la loro routine di bellezza quotidiana messa in campo per esaltare il piacere di essere donna, intrinsecamente legato all’ar124
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COSMESI E CURA DEL CORPO nell’antico Egitto
te della seduzione che rende loro delle maestre di charme. La cosmesi si trasforma in questo modo in un simbolo di bellezza superiore, in cui ogni donna mentre si prende cura del viso, dei capelli, del corpo “assume” le sembianze di una dea: come le greche avevano Afrodite, le dame egizie guardavano Hathor, maestra di bellezza ed eleganza, oppure Iside, la dea che incarna nella sua grazia i mille volti del femminile nelle sue diverse fasi, dalla fanciullezza all’età matura. Ecco perché le donne di oggi dovrebbero riscoprire gli insegnamenti delle donne di ieri: fare della cura della propria immagine un rito divino sottolinea l’immortalità della bellezza che è intramontabile, non conosce limiti temporali. Come lo sguardo delle egizie che tuttora ci innamora.
Quando “la morte ti fa bella” Non dobbiamo dimenticarci una questione molto importante: gli egizi vivevano la loro vita terrestre in funzione di quella celeste, in cui la loro anima sarebbe diventata eterna. Che cosa c’entra questo con la bellezza? Per raggiungere l’aldilà dopo la morte, l’anima avrebbe dovuto essere in grado di riconoscere il corpo a cui apparteneva. Se questo fosse stato in cattive condizioni e poco curato, sarebbe stata impossibile una ricongiunzione e quindi l’accesso nell’oltretomba. Ecco perché la salma del defunto veniva trattata con speciali oli, profumi e tessuti preziosi, solo così avrebbe potuto rimanere indenne e in ottima forma nel 125
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