Vinci i disagi della vita di tutti i giorni | Capitolo 3

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La causa della nostra sofferenza non è mai nel passato o fuori di noi. Stiamo male soprattutto perché non vediamo il mondo per quello che è, ma come vorremmo che fosse. Anche la risposta è sempre in noi, se sappiamo dare ascolto al nostro corpo, che non mente mai, e se lasciamo agire le forze interiori che ci guidano alla felicità.

Edizioni Riza - Via Luigi Anelli, 1 - 20122 Milano - www.riza.it

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VINCI I DISAGI DELLA VITA DI TUTTI I GIORNI

“Non sono soddisfatto di me”, “Penso che la mia vita non abbia senso”, “Perché le mie amicizie non durano mai?”, “Non amo più mio marito, ma non riesco a lasciarlo”... Questi sono solo alcuni dei tanti problemi presi in esame; per ognuno suggeriamo la strada che conduce al benessere. La soluzione consiste sempre nell’imparare a soffermare lo sguardo solo sul presente e su se stessi.

AN D REA N ERVETTI

VINCI I DISAGI DELLA VITA DI TUTTI I GIORNI I CONSIGLI PIÙ EFFICACI PER RISOLVERE I PROBLEMI PSICOLOGICI QUOTIDIANI: COME ELIMINARE ANSIA E PANICO, FARE PACE CON SE STESSI, SUPERARE I CONFLITTI E LE SOFFERENZE D’AMORE, TROVARE ARMONIA E BENESSERE NEI RAPPORTI CON GLI ALTRI

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Questo libro risponde ai tanti quesiti e dubbi sui disagi più comuni, rivolti nel corso degli anni al sito Riza.it. Le domande poste agli psicologi riguardano vari aspetti: l’autostima, gli attacchi d’ansia, le difficoltà nei rapporti con gli altri, ma soprattutto le sofferenze d’amore.

ANDREA NERVETTI

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SOMMARIO • Introduzione La risposta è sempre dentro di noi ........................... 7

• Capitolo 1 Come sentirsi in armonia con se stessi? ................. 11 • Poca autostima............................................. 16 • Vite senza senso?.......................................... 35 • Non mi accetto.............................................. 43

• Capitolo 2 I dolori d’amore e i problemi nella coppia ............... 61

• • • •

L’abbandono................................................. 66 Paura di amare............................................. 80 Sesso ed erotismo......................................... 90 Relazioni difficili............................................ 99

• Capitolo 3 Come vivere bene con gli altri .............................. 127 • Io e la famiglia............................................ 132 • Io e gli amici............................................... 145 • Io e il lavoro............................................... 156

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☛ Sto male, la colpa è solo mia

Se mi guardo indietro, mi sembra di essere sempre stato io l’artefice delle mie scelte, nessuno ha deciso per me! Quindi, se sto male, con chi dovrei prendermela, se non con me stesso? Di conseguenza, la mia vita è una perenne lotta…con me! Non riesco a concentrarmi su nulla, dovrei ben sapere cosa mi piace davvero, ma non ci riesco. A volte vedo persone con problemi più gravi dei miei, sorridere e trasmettere tanta gioia di vivere; a me manca forse quest'ultima? Mio papà è scomparso a 30 anni, vittima della depressione e anche mia madre non è certo una persona solare. Valerio

Non condannarti a soffrire sempre Se stiamo male, stiamo male: farsene una colpa e prendersela con se stessi serve solo a rendere il malessere più resistente. Allo stesso modo non è di alcuna utilità dirsi: voglio essere ottimista e sprizzare gioia di vivere come quella persona o quell’altra, che hanno problemi “ben più gravi dei miei”. Serve osservare e percepire nel modo più consapevole possibile il proprio stato d'animo, quale che sia. Se non lo si fa, qualunque percorso di guarigione si rivela inefficace: puoi anda20

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re dal migliore degli psicoterapeuti o dal medico più esperto, ma non servirà. In questo senso, gli psicofarmaci sono la strada peggiore: togliendo di mezzo il sintomo, la sofferenza, nascondono senza poterla risolvere anche la causa del disagio, che in questo modo si cronicizza. Se è vero che in pochi casi gravi il loro utilizzo è raccomandabile, certamente non servono, anzi sono dannosi per una persona in crisi esistenziale come Valerio, anche se la crisi dura da anni. L'autosservazione consapevole è il miglior farmaco che lui possa prendere, a patto che abbandoni contemporaneamente l'abitudine di guardare sempre che cosa fanno o cosa sono gli altri o quella ancora peggiore di credere che “siccome mio padre e mia madre hanno sofferto di depressione, allora certamente ne sarò anche io vittima”, come se questo malessere fosse genetico o ereditario. Non è così: vivere in un ambiente triste può sfavorirci oppure no, dipende dal modo con il quale stiamo con noi stessi. Se desideriamo costruirci degli alibi, allora non sarà difficile trovare la causa dei nostri dolori, delle nostre frustrazioni, nelle sofferenze dei nostri genitori, nei traumi infantili, negli shock emotivi che più o meno tutti hanno provato. Se al contrario vogliamo davvero uscire da quell’abito esistenziale “sfortunato” che ci siamo costruiti, occorre cedere, abbandonare le armi, arrendersi, non 21

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cercare le cause, non aspettarsi soluzioni, non avere nulla da dirsi e “diventare un occhio”, che guarda le proprie emozioni. Allora la partita della vita può cambiare davvero e ogni svolta diventa possibile. La lotta con se stessi è destinata a non finire mai, non è possibile che una “parte” di noi vinca su di un’altra, anche perché questa “divisione” in parti è un artificio che viene utilizzato per spiegare il nostro funzionamento psicologico, ma nella realtà non c’è alcuna separazione, siamo “una cosa sola” che funziona (o non funziona) all’unisono. Anzi, è proprio questa lotta che ci “lacera” interiormente e che quindi causa la sofferenza cronica. La cedevolezza procede nella direzione opposta, quella che dobbiamo prendere per superare l’infelicità.

☛ Uso la fantasia per fuggire

le amarezze, ma non serve

Sin da piccola mi sono sempre rifugiata in un mondo tutto mio, creando storie e personaggi con la fantasia, come per fuggire dalla realtà che mi circondava. È una stupidaggine infantile, lo so, ma ci casco anche oggi: quando una cosa bella finisce, sto male, piango e mi rifugio nei sogni... Mi sono

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sempre sentita molto sola (e in effetti da bambina ero invisibile per miei genitori), nelle mie fantasie ero felice… Almeno potrei provare a sfruttare questa mia dote “creativa”, me lo hanno detto in tanti, ma sono bloccata in un atteggiamento arrendevole. Ho capito troppo tardi che questo mio evadere non porta da nessuna parte, anzi nella vita reale mi causa solo dolore. Federica

L’immaginazione è una grande risorsa Il modo con cui funziona il cervello dei bambini è meraviglioso: quando c’è un problema, non cerca la soluzione, ma esplora altre strade, si “distrae” fino a trovare un “luogo” dove stare bene. Da bimba, Federica aveva trovato un modo per superare l’angoscia di essere “invisibile” agli occhi di mamma e papà creando un mondo suo, segreto, dove poter essere felice nonostante tutto. Anche oggi che è ormai adulta, quell’universo fantastico è lì a sua disposizione, ma lei sembra quasi vergognarsene, parla di stupidaggine infantile, non vorrebbe più cascarci dentro, addirittura è convinta che i suoi dolori siano causati proprio da quelle evasioni. Non è così, ma non mi sorprende che lei ne sia certa: è il pensiero comune a suggerirle una simile lettura. Per la mentalità dominante, quello che lei fa assomi23

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glia a una fuga: a che cosa servono in fondo la fantasia e l’immaginazione se non a scappare? Se sei un “creativo” o un artista va bene, altrimenti cosa te ne fai di tutti quei racconti, di quei personaggi inventati, di quelle avventure inesistenti? Si tratta appunto di un rifugio nel quale nascondersi quando la realtà fa male, e come tutti i rifugi assomiglia anche a una gabbia, a una prigione “confortevole” la cui presenza ci impedirebbe di affrontare a viso aperto e a testa alta la realtà e quindi le nostre difficoltà. In apparenza non fa una grinza, eppure quanta aridità, quanta freddezza scorgiamo dietro queste spiegazioni… Federica non lo sa, ma il suo comportamento di quando era piccola è simile al modo di fare degli uomini e delle donne che migliaia di anni fa crearono l’intero corpus dei miti e delle leggende all’origine di ogni civiltà umana.

L’origine dei miti è nell’evoluzione dell’uomo Ad esempio, cos’altro sono i miti e gli eroi della Grecia antica se non “personaggi” immaginari, frutto della fantasia umana? Yuval Noah Harari, giovane antropologo dell’Università di Gerusalemme, ha pubblicato di recente un’opera molto interessante, intitolata “Da animali a dèi. Breve storia dell’umanità” (Bompiani, 2014). L’autore sostiene che il punto di partenza dell’eccezionale sviluppo della nostra specie sia proprio la capacità dell’uomo di credere in 24

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ciò che non esiste! Per comprenderlo, si consideri questo esempio: un leone lo posso vedere, oppure percepirne con gli altri sensi la presenza; tutti gli animali sono in grado di farlo. Immaginare invece che un leone sia lo spirito guida della nostra tribù e che rappresenti una forza divina è una capacità esclusivamente umana, nessun’altra specie lo fa. La presenza dello spirito guida non è percepibile con i sensi, ma se ci “affidiamo a lui” allora il nostro gruppo si può allargare oltre i confini del branco familiare, possiamo cooperare assieme per raggiungere determinati scopi, confortati dal fatto di avere una guida misteriosa e invisibile che ci “indica” la via. Ecco come siamo diventati i padroni del pianeta! Gli psicologi analitici chiamano questa caratteristica “capacità di simbolizzazione”, ma poco cambia: l’uomo antico, grazie all’immaginazione e alla fantasia, ha pian piano costruito tutti quei riferimenti collettivi che sono risultati fondamentali nel procedere della civiltà e nella conquista di un mondo che è oggi nelle mani della nostra specie, nel bene e nel male. Altro che perdita di tempo, altro che fuga infantile: l’immaginazione di cui parla Federica è forse la capacità più importante che l’essere umano possieda! Non è evasione, ma un “modo mitologico” di guardare tutto quel che capita. Di fronte ai grandi dilemmi esistenziali (che sono gli stessi da sempre), l’uomo antico si affidava agli dèi, che altro non erano se non 25

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funzioni interiori proiettate, ovvero usava un processo psicologico simile a ciò che faceva Federica da piccola. In questa prospettiva, la furia che sentivano dentro di loro era la collera di Zeus che scagliava folgori o quella di Poseidone che agitava i mari in tempesta. La gelosia vendicativa indicava la presenza di Hera, il desiderio erotico rivelava Afrodite, Apollo presiedeva armonia e ragione, a Dioniso era sacro il vino e quindi l’ebbrezza, l’estasi, la divina follia… La loro presenza dava un senso cosmico alle cose, andava al di là degli accadimenti specifici e quindi anche oltre le sofferenze individuali. Ecco perché quel “rifugio” favolistico era tanto utile a Federica da bambina, la proteggeva da quel senso di solitudine e abbandono che l’assenza dei genitori poteva procurarle. Il benessere che ne traeva allora è alla sua portata ancora oggi, ma in lei si è formata la convinzione, dannosa, che quelle fantasie siano inutili. Ma la fuga dagli dèi è vana, avrebbe detto James Hillman, per il semplice fatto che non puoi scappare da ciò che è dentro di te, da quel che ti abita fin dalla notte dei tempi. Non sono quei racconti, quelle fantasticherie, quei mondi fatati e immaginari ad aver complicato l’esistenza a Federica, ma al contrario il rifiuto della fantasia e dello sguardo mitologico, la sua aderenza al pensiero della superficie, che considera utile solo ciò che riesce a capire razionalmente. Non è un caso se non riesce a tradurre “in pratica”, 26

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