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I NUMERI CHE SPIEGANO LA CRISI DEGLI STUDENTI
I NUMERI CHE SPIEGANO LA CRISI DEGLI STUDENTI I dati sull’abbandonano scolastico (e sulla qualità della preparazione) ci dicono che la scuola italiana va drammaticamente peggiorando. Ma si deve e si può cambiare
Rocco Cafarelli
Dirigente scolastico
C’è una costante nel comportamento della politica, dei media e dell’opinione pubblica del nostro Paese: ad ogni nuova pubblicazione dei dati sulla disastrosa situazione dell’abbandono scolastico tutti si allarmano e sembrano stracciarsi le vesti, non ultimo il Presidente del Consiglio nel discorso di insediamento del suo secondo mandato a Palazzo Chigi. Verrebbe da pensare, quindi, che si agirà di conseguenza a tutti i livelli e responsabilità, trattandosi di una importante emergenza nazionale. Invece dopo qualche giorno si mettono in soffitta i buoni propositi, le promesse e tutto, purtroppo, torna come prima. Eppure si tratta di una vera, grave, emergenza. Cerchiamo di capire perché.
I FATTI
Confrontando i numerosi dati pubblicati nell’ultimo anno da diversi istituti e agenzie – MIUR, INVALSI, ISTAT, Corte dei Conti, CGIA (Associazione Artigiani e Piccole Imprese) di Mestre, Save the Children, la rivista Tuttoscuola e OXFAM (Confederazione di organizzazioni non profit) – scopriamo che in Italia negli ultimi vent’anni sono
stati esclusi dalla scuola tre milioni e mezzo di studenti su undici! È come se fosse scomparsa un’intera città come Roma. Seicentomila sono gli studenti tra i 18 e i 24 anni che non terminano gli studi. Secondo il Rapporto SDGS (Sustainable Development Goals) dell’ISTAT 2019, nonostante la fuga dalla scuola sia in calo in tutta Europa, l’Italia risulta invece al terzo posto tra i 19 paesi dell’area dell’euro per abbandono scolastico: la quota di studenti che hanno abbandonato la scuola prima del diploma è salita al 14,5%, quattro punti in più della soglia limite del 10% posta come traguardo in ambito europeo. L’uscita precoce dal sistema di istruzione e formazione, sottolinea l’ISTAT, è aumentata negli ultimi due anni. Fan
no peggio di noi solo Romania e Malta. Persino il Portogallo e la Bulgaria stanno contrastando più efficacemente dell’Italia la dispersione scolastica. Ma non ci fermiamo qui. Secondo le rilevazioni annuali somministrate dall’INVALSI (Istituto di valutazione del Ministero dell’Istruzione) del 2019, le competenze alfabetiche, numeriche e per la lingua inglese risultano inadeguate per una percentuale significativa di studenti. I ragazzi del terzo anno delle Scuole Superiori che non raggiungono la sufficienza sono il 34,3% nelle competenze alfabetiche e il 40,1% nella matematica. Sempre dalla rilevazione sui livelli di apprendimento effettuata sugli studenti dell’ultimo anno un mese prima degli esami di Stato, risulta che ben il 7,1% non è ancora in grado di capire un libretto delle istruzioni di modesta difficoltà, non sa applicare semplici nozioni matematiche ai compiti della vita quotidiana, ha una conoscenza assai modesta della lingua inglese. Questo vuol dire che al 14,5% di studenti che abbandonano la scuola prima del diploma bisogna aggiungere quest’ultimo 7,1%, portando il livello di dispersi complessivo, tra espliciti ed impliciti, al 21,6%. La scuola cioè perde lungo il suo percorso più di un ragazzo su
cinque! C’è poi da aggiungere il fatto che tutti gli studenti ammessi agli esami finali vengono generalmente promossi. Quindi saranno sì diplomati ma con competenze al di sotto della soglia considerata di accettabilità, che non gli permetteranno cioè di superare un test di accesso all’Università, né di accedere ai settori qualificati del mondo del lavoro, e neppure di esercitare una cittadinanza attiva. Solo il 27,9% dei giovani tra i 30-34 anni è laureato o ha un altro titolo terziario, un livello molto inferiore alla media europea e superiore solo a quello della Romania. Proseguendo nell’analisi dei dati, la CGIA ci dice che tra gli studenti che si diplomano e quelli che si iscrivono all’Università, uno su due non ce la fa. Complessivamente su 100 iscritti alle superiori solo 18 si laureano! Ma poi un quarto dei laureati va a lavorare all’estero. Solo nel 2018 sono stati 62.000 i cosiddetti “cervelli in fuga”: un impoverimento culturale enorme per il nostro Paese. Il 38% dei diplomati e laureati che resta in Italia non trova un lavoro corrispondente al livello degli studi svolti.
Un quadro che fa sì che nel nostro Paese il 26% dei ragazzi e delle ragazze tra i 15 e i 29 anni, 2 milioni e quattrocentomila, non studi e non lavori, che raggiunge addirittura il 37% tra i 25 e i 29 anni. Sono i cosiddetti NEET, rispetto a una media dei Paesi dell’area OCSE del 13%: esattamente il doppio! A fronte di tale emergenza, l’Italia è da un ventennio uno dei Paesi con i più bassi investimenti nell’istruzione in rapporto al PIL. Secondo il rapporto ASVIS (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile) 2018, l’Italia investe appena il 4% del PIL in educazione rispetto alla media europea del 5% e, in termini di quota sulla spesa pubblica, l’Italia è passata dal 9,1% del 2008 al 7,9% del 2015, a fronte di valori del 9,6% di Germania e Francia e del 9,3% della Spagna: un risultato che ci pone dietro alla gran parte dei Paesi Ue. Sono tutti dati allarmanti sull’alto numero di giovani che continuano ad abbandonare prematuramente la scuola, anche quella dell’obbligo, concorrendo così ad aumentare la disoc
ABBANDONI: PIÙ MASCHI E PIU’ AL SUD Dati ISTAT 2018
21
NORD 12,7
CENTRO SUD 10,1
NORD 8,6
CENTRO 16,5
SUD 12,2
NORD 18,8
10,7
CENTRO SUD
TENGONO DI PIÙ LE SCUOLE STATALI
Analizzando nel dettaglio i dati pubblicati dal Ministero dell’Istruzione, notiamo che nella Scuola Secondaria di I grado (Scuola Media), trattandosi di studenti di età inferiore, il dato della dispersione scende allo 0,8. Più elevato nelle isole e nel sud Italia, tra i maschi rispetto alle femmine; più elevato tra gli studenti che sono in ritardo nel loro percorso scolastico (4,85%) e tra gli alunni stranieri che non sono nati in Italia (4%). Dai dati del MIUR emerge che nell’istruzione superiore, invece, nell’anno scolastico 2016/17 hanno abbandonato la scuola più di 35.000 studenti, che nel successivo anno 2017/18 sono addirittura raddoppiati fino a 64.000! Con una marcata differenziazione di genere: 4,6% tra gli studenti e 3% tra le studentesse, e un abbandono complessivo al primo anno delle superiori del 6,2%. Anche qui le percentuali si impennano nelle isole e nel sud e tra gli studenti stranieri non nati in Italia. Sempre nella Scuola Secondaria di II grado il tasso di abbandono complessivo è più elevato nelle scuole paritarie, con una percentuale del 7%, doppio rispetto a quello registrato nelle scuole statali, pari al 3,7%. Dal punto di vista della regolarità del percorso scolastico gli alunni maggiormente interessati dal fenomeno della dispersione sono quelli in ritardo scolastico, per i quali l’abbandono complessivo è pari al 13,7% contro l’1% degli alunni in regola. Il tasso di abbandono per indirizzo scolastico va dall’1% del Liceo classico e scientifico fino al 9% degli Istituti Professionali.
cupazione giovanile, il rischio povertà e l’esclusione sociale. Una persona che non ha un livello minimo di istruzione, infatti, è destinata a un lavoro dequalificato, spesso precario e con un livello retributivo basso. Un problema, quello degli studenti descolarizzati, che il nostro Paese sta sottovalutando, visto che nei prossimi anni, anche a seguito della denatalità in atto, il mondo del lavoro rischia di non poter contare su persone sufficientemente preparate. Eppure, continua l’analisi della CGIA, studiare conviene: “la disoccupazione tra chi ha solo la licenza media è quasi doppia rispetto a chi è arrivato al diploma e quasi il quadruplo di chi è laureato; l’istruzione incide sulla salute, riducendo i costi per la sanità; comporta meno criminalità e meno costi per la sicurezza. Prevenire la dispersione scolastica avrebbe costi molto più bassi di quelli che derivano dalla necessità di gestirne le conseguenze sociali”.
COME INTERVENIRE
Fin qui l’analisi impietosa dei dati sull’abbandono scolastico precoce e sulle conseguenze disastrose per il futuro
dei nostri studenti e del nostro Paese. Le cause che determinano l’abbandono scolastico sono molteplici, principalmente culturali, sociali, economiche: i ragazzi che provengono da ambienti a basso reddito, socialmente svantaggiati e da famiglie con uno scarso livello di istruzione hanno maggiori probabilità di non terminare il percorso di studi. Un fenomeno quindi complesso e pluridimensionale. Occorre pertanto adottare una visione organica complessiva, prendere consapevolezza dell’entità del fenomeno e delle sue conseguenze multisettoriali e multilivello. È necessaria una vera assunzione di responsabilità individuali e collettive: dagli insegnanti ai dirigenti scolastici, dalle famiglie agli Enti territoriali, dal Ministero dell’istruzione al Governo, dalle fondazioni ai corpi intermedi, dalle imprese al Terzo settore, alle parrocchie. Bisogna quindi impegnarsi per un nuovo “patto formativo” tra tutti gli attori interessati, perché l’educazione è un compito dell’intera società, non delegabile ad una singola agenzia. La scuola non può essere lasciata sola. Bisogna che finalmente la politica – Governo, Parlamento, amministrazione scolastica nazionale e decentrata – pro
grammi strategie e interventi significativi di lunga durata. Conoscendo la scuola dal suo interno sono convinto che è l’intero sistema scolastico italiano a dover essere riformato nella sua architettura, perché non più in grado di rispondere alle sfide del XXI secolo.
Vediamo, allora, alcuni interventi necessari per migliorare il sistema scolastico italiano nel suo insieme: 1. Rendere obbligatoria la Scuola dell’Infanzia portandola a rango di “prima vera scuola” del sistema scolastico nazionale. 2. Completare il processo, rimasto incompiuto con la sola abolizione dell’esame di quinta elementare, di una completa unificazione tra la Scuola Primaria e la Secondaria di I grado (Scuola Media), riducendo il percorso complessivo a sette anni. Questo, oltre a rendere più coerente il percorso scolastico attraverso un curricolo verticale unico, permetterebbe ai nostri studenti di recuperare il ritardo di un anno nel terminare le scuole superiori rispetto ai coetanei europei. 3. Estendere a tutto il Paese un model-
lo di “scuola a tempo pieno” qualificata con la mensa. 4. Istituire nelle Scuole Superiori il biennio unico obbligatorio che permetta agli studenti di scegliere consapevolmente quale indirizzo di studio poi proseguire. 5. Portare l’obbligo scolastico a 18 anni, come già avviene nella maggior parte dei Paesi europei. 6. Non da ultimo: migliorare la qualità professionale degli insegnanti attraverso una seria formazione iniziale che preveda momenti di tirocinio nelle scuole ed un Piano nazionale di aggiornamento obbligatorio e continuo per gli insegnanti in servizio, con impegni e orari definiti. Solo così si potrebbero contrastare le sacche di inerzia e approssimazione professionale che purtroppo ancora convivono nella scuola accanto a molti docenti qualificati, impegnati e motivati.
È esattamente il contrario di quello che, invece, è accaduto negli ultimi vent’anni con interventi di breve durata, palliativi, linee d’azione discontinue con modifiche ad ogni nuovo governo, politiche mirate solo a “mettere bandierine”, a catturare il consenso immediato. Chi opera nel campo dell’istruzione sa che la scuola italiana è esausta per il turbinio di progetti e interventi calati dall’alto, spesso estemporanei o contraddittori. Nello specifico, per riuscire a contrastare l’abbandono scolastico occorre, invece, l’elaborazione di un Piano pluriennale contro la dispersione scolastica, come indica persino la Corte dei Conti nella sua ultima relazione 2019 “La lotta alla dispersione scolastica: risorse e azioni intraprese per contrastare il fenomeno”. Occorre mettere in atto misure di prevenzione e compensazione adeguate alla gravità del problema. Adottare strategie efficaci che consentano di intercettare il disagio e che riescano a rimotivare lo studente attraverso percorsi di istruzione basati sull’esperienza dell’apprendimento e non soltanto sul contenuto, partendo già dalla prima classe della Media, non limitandosi alle Superiori, quando il fenomeno dell’abbandono si rende visibile. Scopriamo infatti dalle rilevazioni INVALSI che il livello di apprendimento di una quota significativa dei ragazzi che terminano la terza Media è al di sotto della soglia di accettabilità. È già dalla Scuola Media, quindi, che bisogna programmare interventi mirati sui ragazzi che hanno accumulato deficit tra la quarta classe della Scuola Primaria, dove iniziano a manifestarsi le lacune, e le tre classi della Media, attraverso azioni di compensazione e di rafforzamento per gli studenti coinvolti, anche con “gruppi di livello di apprendimento”, almeno in italiano, matematica e inglese. Occorre prevedere progetti di rimotivazione all’esperienza scolastica, di ricostruzione dell’interesse, della curiosità, della capacità di concentrazione e della responsabilità, organizzando laboratori innovativi, introducendo meccanismi di “mentoring”, dove gli studenti “più avanti” negli studi possano aiutare i compagni in difficoltà. È oramai accertato, infatti, che ridurre drasticamente la dispersione scolastica portandola al livello fisiologico è possibile. Ci sono Paesi come la Norvegia, il Giappone, la Corea che sono riusciti ad azzerarla per gli studenti quindicenni e ridurla fino al 3-4% per i diciottenni (dati OCSE-PISA). Intervenire oggi è possibile perché, fra l’altro, si stanno per liberare risorse economiche e professionali significative dovute alla diminuzione costante degli studenti, determinata dal forte calo demografico (95.000 unità nell’ultimo anno, un milione nel prossimo decennio). Sta cadendo insomma l’alibi della mancanza di risorse che avrebbe impedito finora di intervenire. Si potrà finalmente investire in modo significativo fornendo un’offerta formativa di qualità a tutti, a condizione che l’istruzione venga assunta come una priorità nazionale attraverso un “Piano strategico pluriennale” di investimenti e interventi coordinati. Vogliamo costruire per i nostri giovani un futuro migliore dando la possibilità a tutti di conseguire un diploma o una qualifica professionale? Far sì che dietro ai titoli di studio conseguiti ci siano conoscenze, competenze e abilità effettive? Almeno questo, noi adulti, glielo dobbiamo!