Francesco Forlani
foto di Raffaele Gallo
Nel “mattatoio” di Dresda con lo sguardo di Vonnegut Sulle orme dello scrittore americano che combatté con gli Alleati nella città tedesca. Circa 1.500 tonnellate di bombe esplosive e 1.182 tonnellate di bombe incendiarie, questo il bilancio di quelle due notti di bombardamento, il 13 e 14 febbraio del 1945
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è quella di “Accattone”. Perché la scena finale è stata girata sul Ponte Testaccio, spalle al mattatoio. Tempo fa mi sono infilato nella vecchia struttura del macello e ho seguito con gli occhi il percorso che facevano gli animali appesi ai ganci, probabilmente urlando o tacendo. La riflessione è su come un luogo possa custodire la memoria della sofferenza, conservare le grida o il silenzio. La seconda immagine è la cupola monca del “Mattatoio n.5”, quello del romanzo di Kurt Vonnegut ambientato a Dresda e riguarda anche il labirinto mentale che bisogna risolvere per arrivarci. Per la colonna sonora della versione cinematografica del libro diretta da George Roy Hill, Glenn Gould eseguì musiche di Johann Sebastian Bach. Anche Pasolini, per “Accattone” e il suo mattatoio, scelse le musiche del grande compositore tedesco. La musica è tutto e la musica è in questi luoghi o a un’ora da Dresda: nella vicina e detestata Lipsia giace il corpo del compositore, alla Thomaskirche (Centro di Lipsia), dove ebbe luogo la prima della Passione secondo S. Matteo. Nei tre giorni in cui sono stato là, prima di approdare a Dresda, ho visto ogni volta fiori diversi. Dapprima c’erano dei girasoli ad incorniciare il marmo, poi sono venute le rose. Dresda rimane il sogno segreto mai raggiunto dal compositore, il sogno di una vita che gli desse più agio e fama. Una città la cui architettura suggeriva il tema delle variazioni, la dimensione polifonica della sua poetica. Scrisse Christoph Münch: “Quello che Bach riesce a realizzare a livello musicale, cioè una musica baa prima immagine
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Presente e passato Plastico dell’Ufa Cinema Center di Dresda e, sotto, medaglie risalenti al periodo della Ddr, nel Museo della Città
rocca tedesca ottenuta dalla sintesi di influenze italiane e francesi, trova il suo corrispettivo a livello architettonico nello Zwinger di Dresda di Matthäus Daniel Pöppelmann: il culmine di un’epoca artistica europea”. Arrivato a Dresda, dopo avere lasciato le valigie in albergo, è dalle porte di questa pura meraviglia che sono entrato nella città vecchia o di quello che ne rimaneva.
Nella Frauenkirche
La sala è gremita. Per vedere il documentario sulla storia della Frauenkirche, la Nôtre Dame di Dresda, si pagano due euro. Il Besucherzentrum è ospite del Kulturpalast, icona della Ddr, la cui facciata principale è occupata dal gigantesco dipinto della Der Weg der roten Fahne (La via della bandiera rossa) di Gerhard Bondzin. Nella parte iniziale del documentario si vedono alcune incisioni che raffigurano gli operai al servizio del re che cominciarono a costruire la chiesa. Poi, con passo lento, si arriva al 15 febbraio del 1945. Nel film si vedono poche immagini, le carlinghe dei bombardieri che scaricano la tempesta di fuoco sui tetti di Dresda. Poi, a seguire, le immagini dei relitti che sembrano di navi affondate sulla luna. “Dresda ormai era come la luna, nient’altro che minerali. I sassi scottavano”, scrive Vonnegut. Tra le immagini della distruzione si infila come una scheggia sotto l’elmetto il fotogramma della statua di Martin Lutero, prostrata sul piazzale davanti alla Frauenkirche abbattuta. È talmente potente che quando esco dalla sala la vado immediatamente a vedere ed è un sollievo trovarla così fiera e dritta come la chiesa ricostruita in un moderno mosaico di resti e di invenzione. Anche faccia a terra, rimaneva umana e struggente. Quando poi entro nella
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