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1 L'uomo si muoveva come un'ombra sotto i tetti che sporgevano sulle le stradine strette e tortuose. Detestava essere costretto a camminare tra loro. Alcuni gli passavano talmente vicino che gli sarebbe bastato alzare una mano per toccarli. Sentiva il calore emanato dai loro corpi, vedeva il loro fiato trasformarsi in vapore nell'aria fredda della notte. Avvertiva il sangue che pulsava sotto la loro pelle e udiva il battito rapido e robusto dei loro cuori. Si sentiva come un lupo famelico in mezzo a conigli timorosi. Grazie alla sua forza sovrumana, ucciderne uno qualunque non gli sarebbe costato il minimo sforzo. Era spaventoso pensare che se lo avessero provocato ne sarebbe stato capace. Oscure immagini di un lontano passato gli offuscarono la vista per un attimo: l'aria impregnata di polvere e dell'odore di sangue e sudore. Uomini caduti come foglie morte sul terriccio umido e marrone. Scalpitio di cavalli scossi che fuggivano in ogni direzione. Solo un uomo, in veritĂ un ragazzo, respirava ancora. L'umile scudiero con un'armatura trop9
po grossa sedeva in groppa a un magnifico destriero ricoperto di fuliggine. Il cavallo batteva a terra la zampa anteriore sinistra e ansimava, impaziente di tornare a combattere. In risposta arrivò solo il silenzio della morte che li circondava. Il giovane Roland guardò lo spadone ricoperto di sangue, le lacrime scarlatte che gocciolavano lentamente dalla punta. Quando la rossa foschia della sua furia iniziò a dissiparsi, lasciò cadere l'arma. Con lo stomaco sottosopra si tolse l'elmo dal capo, poi il cappuccio di maglia di ferro, e li scaraventò a terra. Atterrito, contemplò la carneficina, troppo disgustato persino per apprezzare il fatto che quei volti senza vita fossero nascosti dagli elmi, le ferite coperte dalle armature. Il giovane non sentiva euforia per quello che aveva fatto e non la sentì nemmeno in un secondo tempo, quando fu creato cavaliere da re Luigi VII in persona per il suo eroismo e il suo valore. Era affranto, e disgustato da se stesso. Perché uccidere gli era piaciuto. Roland si scosse. Non era il momento dei ricordi o dei rimpianti. Rammentò a se stesso che a dispetto di quella similitudine con i conigli, alcuni esseri umani erano pericolosi. Lo sapeva per esperienza personale. E se i rapporti che aveva ricevuto dagli Stati Uniti corrispondevano al vero, uno di quegli esseri umani, il più infido di tutti, poteva trovarsi a pochi metri da lui. Era stata quella possibilità a spingerlo in paese quella sera, nonostante l'isolamento che si era autoimposto. 10
Il suo piano era semplice: sarebbe scivolato senza farsi notare tra le stradine medievali di L'Ombre e poi nell'osteria chiamata Le Requin. Si sarebbe messo in ascolto, gli occhi ben aperti. Avrebbe sondato le loro menti e avrebbe trovato l'intruso, se davvero si trovava lì. E a quel punto si sarebbe occupato di lui. Il vento della notte aumentò, portando con sé l'odore delle rose appena sbocciate e di quelle appassite, dell'erba falciata da poco e del fumo e dei liquori dietro la porta a cui si stava avvicinando. Si fermò davanti all'uscio aperto, l'odore si era fatto più acuto. Un gruppo di turisti ubriachi gli passò accanto, barcollando. Roland si ritrasse e nascose il viso, ma la precauzione si rivelò inutile: il gruppo non lo degnò di uno sguardo. Roland raddrizzò le spalle. Come la maggior parte di coloro che appartenevano alla sua specie non aveva paura degli esseri umani. Più che altro aveva paura per loro, nel caso in cui fosse stato coinvolto suo malgrado in uno scontro. Ciononostante, era più sensato evitare ogni contatto. Se gli esseri umani avessero scoperto che l'esistenza dei vampiri era più che una semplice leggenda o parte del folclore popolare, il danno sarebbe stato irreversibile. Non avrebbero più avuto pace. La cosa migliore era non farsi notare e restare per sempre un mito agli occhi di quei ficcanaso. Quando la porta si aprì di nuovo, Roland l'afferrò e scivolò velocemente all'interno. Si portò su un lato 11
e diede un'occhiata in giro. Tavolini rotondi e bassi erano distribuiti in ordine sparso. Seduti o in piedi, gli avventori vi si raggruppavano attorno e parlavano del più e del meno. Il fumo gli aleggiava all'altezza del viso e gli faceva lacrimare gli occhi e bruciare le narici. Le voci erano un ronzio, spesso punteggiato da spruzzi di liquore e dal tintinnare del ghiaccio nei bicchieri. In quel momento la risata di una donna sovrastò tutto il resto. Bassa, roca e del tutto priva di ritegno, fluttuò attraverso il fumo che lo circondava e gli carezzò i timpani. Il suo sguardo si spostò verso la sorgente di quel suono, ma tutto quello che riuscì a vedere fu una calca di uomini che si contendevano un posto vicino al bancone. Roland immaginava che al centro di quella confusione ci fosse lei. Farsi largo tra la folla di ammiratori era fuori discussione. Non intendeva attirare l'attenzione e tanto meno desiderava riallacciare quella relazione fuori del tempo. Sottoporsi di nuovo a quella lenta tortura. Ignorò il moto di rabbia che avvertì all'idea che qualcuno di quegli umani fosse abbastanza vicino da toccarla. Non desiderava assistere ai maldestri palpeggiamenti di qualche mortale ubriaco. Non credeva di poter arrivare a spezzare il collo di qualche idiota per un'offesa simile, ma non c'era motivo di mettere alla prova il suo temperamento. Avrebbe potuto scoprire tutto quello che voleva restando in ascolto, e fu proprio quello che fece, sintonizzando la propria mente e il proprio udito, do12
mandandosi con quale nome lei si facesse chiamare in quel periodo. Infatti, sebbene fosse alla ricerca di una conferma, non aveva dubbi circa l'identità della proprietaria di quella seducente risata. Nessun dubbio. «Un altro ballo, Rhiannon!» «Oui, chéri. Cosa ne diresti di un po' di rock and roll?» Seguì un coro di suppliche e un attimo dopo una figura flessuosa e scura emerse dalla folla. Scosse la testa senza sorridere come faceva una volta. Si muoveva con una tale grazia che sembrava fluttuare sul ripiano di legno anziché camminarvi sopra. L'orlo della gonna di velluto nero, un po' svasata, ondeggiava a un centimetro da terra e accentuava quell'impressione. Roland non aveva idea di come facesse a muovere le gambe visto il modo in cui la gonna vi aderiva a partire da metà della tibia in su. Per quello che l'indumento nascondeva, avrebbe anche potuto presentarsi nuda davanti alle bocche spalancate degli ammiratori. Il velluto sembrava essersi fuso con le sue forme, seguiva le curve dei fianchi, le serrava la vita, stringeva il seno piccolo e proteso verso l'alto come mani possessive. A eccezione di qualche bracciale, le braccia lunghe e sottili erano spoglie. Portava degli anelli alle dita che terminavano con unghie lunghissime e affilate come pugnali, laccate di un rosso sangue. Mentre lei si muoveva attraverso la stanza, apparentemente inconsapevole della sua presenza, lo 13
sguardo di Roland continuò a salire. Il collo di quel vestito ridicolo consisteva soltanto di due strisce di velluto che si univano in una sorta di capestro intorno alla gola e lasciavano la schiena scoperta. Tra i due lembi di stoffa, riluceva con eterea morbidezza una pallida porzione di pelle. Nulla sfuggiva al suo sguardo acuto: né il delicato rigonfiamento del seno, né la linea sottile della clavicola alla base della gola. Al collo portava un ciondolo di onice a forma di mezza luna che le aderiva al petto, la punta più bassa sfiorava la parte superiore del seno. Il collo da cigno, grazioso e allungato, di color crema e dalla consistenza serica, era in parte coperto dai capelli che scendevano lisci e completamente neri come il tessuto del vestito, eppure lucenti, e in realtà più simili a raso che a velluto. Li aveva raccolti su un lato così che le coprivano la parte destra del collo e buona parte del vestito. La cascata lucente scendeva fino a metà della coscia. All'orecchio sinistro pendeva un grappolo di diamanti e onici così lungo che le sfiorava la spalla. A causa della folta criniera non avrebbe saputo dire se all'altro orecchio ne pendesse uno simile. La donna si fermò e si piegò verso l'uomo seduto sullo sgabello del pianoforte per sussurrargli qualcosa in un orecchio, la mano affusolata appoggiata alla sua spalla. Roland si irrigidì, mentre l'animale nascosto dentro di lui tornava ad agitarsi per la prima volta dopo decenni, ma riuscì a tenerlo a bada. Il pianista annuì e fece un accordo. La donna si voltò verso il 14
drappello di gente, un avambraccio appoggiato al pianoforte. La prima nota, intonata con voce ricca e priva di imperfezioni, fece ammutolire i presenti. La sua voce – così profonda e delicata che se avesse preso forma non avrebbe potuto essere che miele – riempì la stanza, avvolgendo tutto e tutti. L'espressione del suo viso accompagnava le parole del testo, ravvivandole di nuovi significati. Cantò come se il cuore le si spezzasse a ogni nota, e tuttavia la sua voce non oscillò mai, né perse forza o intensità. Teneva quei mortali nel palmo della mano e quel controllo doveva procurarle un immenso piacere, rifletté Roland. Lo spettacolo che quella donna stava dando di sé era assurdo e lui avrebbe dovuto voltarsi e andarsene. Ma mentre continuava a cantare di cuori infranti e di una solitudine insopportabile, guardò verso di lui. Incontrò i suoi occhi e impedì loro di guardare altrove. Suo malgrado, Roland rimase ad ascoltare la pura bellezza della sua voce. E sebbene non avesse nessuna intenzione di farlo, si perse nei dettagli del suo viso. Un ovale perfetto, con una struttura ossea tanto squisita che sembrava l'opera di uno scultore geniale. Un mento piccolo e appuntito e una mandibola ben delineata. Il delicato incavo sotto le guance e gli zigomi alti e ampi. Gli occhi a mandorla, la cui forma esotica era accentuata dalla polvere orientale che ne tracciava il profilo; le ciglia erano scure, impenetrabili, come le iridi che incorniciavano. 15
Non poté evitare di soffermarsi sulle labbra carnose e perennemente sporgenti che pronunciavano ogni parola della canzone. Erano di un rosso scuro e profondo, come vino. Per quanti anni le aveva desiderate? Si scosse. Si trattava di un frutto proibito. Roland cercò di nuovo i suoi occhi. Erano ancora concentrati su di lui, come se le parole che stava cantando fossero un dono esclusivo per le sue orecchie. Roland si accorse poco alla volta della crescente curiosità degli avventori. Alcune teste si voltarono dalla sua parte per vedere chi avesse catturato l'attenzione della sfuggente Rhiannon. Era vittima del suo fascino proprio come quegli svenevoli esseri umani, e di conseguenza aveva dimenticato il rischio crescente di essere scoperto. Che si comportasse da avventata, se ci teneva tanto. Lui non avrebbe rischiato la vita per metterla in guardia. Con ogni probabilità, se si fosse trattenuto oltre, qualcosa sarebbe andato storto. La presenza di quella donna non mancava mai di risvegliare l'animale che aveva dentro di lui e riportare a galla i suoi istinti più primitivi. Non c'erano dubbi che lo facesse apposta. Ma se avesse immaginato cosa c'era sotto, avrebbe cambiato idea. Strinse la maniglia della porta, lo sguardo ancora posato su di lei, e la tirò verso di sé con uno strattone. Si costrinse a uscire nel freddo tonificante di quella notte d'autunno proprio sulla nota finale, ossessivamente bassa e tenuta così a lungo che sarebbe 16
dovuto risultare ovvio a tutti che non era una donna come le altre. Tuttavia, un attimo dopo, Roland non udì levarsi nessun interrogativo, ma solo uno scrosciante applauso. Lo schiaffo che le era appena stato assestato bruciava. La rabbia le montò rapidamente, ma non abbastanza da impedirle di sentire il dolore che la accompagnava. E così Roland osava ignorarla e poi piantarla in asso. Non aveva degnato di uno sguardo il vestito che aveva scelto apposta per stuzzicarlo. Riusciva a fingere di non sentire l'emozione con cui aveva cantato o di non avere notato la canzone che aveva scelto. Bene, in questo caso avrebbe dovuto far ricorso a misure più drastiche per attirare la sua attenzione. Si allontanò dal pianoforte mormorando in tutta fretta che le era venuto mal di testa e che aveva bisogno di sgattaiolare via senza quegli scocciatori tra i piedi. François, il pianista, fece un cenno con la testa in direzione di una porta sul fondo e Rhiannon la raggiunse, fermandosi quel tanto che bastò ad afferrare per un braccio il cliente più ubriaco del locale. Se lo trascinò dietro e uscì dalla porta. Riuscì a individuare la sagoma di Roland che si allontanava lungo la stradina stretta. Non lo chiamò. Non lo avrebbe implorato di degnarla di un semplice saluto dopo decenni che non si vedevano. Aveva un'idea migliore. Trascinò l'uomo ubriaco ancora per qualche me17
tro, quindi lo fece girare, sostenendo il suo peso quasi esclusivamente stringendogli il bavero della camicia. Gli premette la schiena contro il muro di un edificio e lo studiò per un attimo. Non era poi così male. Capelli rossi e lentiggini, ma un viso piuttosto grazioso, eccetto per quel sorriso ebbro e sbilenco. Gli agganciò il mento con un dito e fissò a lungo i suoi occhi verdi e appannati dall'alcol. Concentrò le sue energie mentali nello sforzo di calmarlo e di ottenere la sua collaborazione incondizionata. Quando Rhiannon abbassò la testa sul suo collo, l'uomo sarebbe stato pronto a darle tutto ciò che possedeva, se solo glielo avesse chiesto. In lui non avvertiva malvagità. In effetti sembrava un tipo perbene, a parte il fatto che aveva alzato un po' troppo il gomito. D'altronde chiunque aveva il diritto di avere un vizietto. E lei stava per assecondare il proprio. Dischiuse la bocca e la posò nel punto in cui la giugulare gli pulsava sotto la pelle. Non intendeva fargli del male. Voleva solo irritare Roland un pochino. La sua vittima volonterosa gemette sommessamente e lasciò ricadere la testa di lato. Lei scoppiò a ridere e rimase quasi senza fiato. Era contenta che almeno uno dei due si stesse divertendo, visto che per lei quell'atto aveva perso interesse molto tempo prima. «Dannazione, Rhianikki, lascialo stare!» La mano di Roland le strinse le spalle e la allontanò con uno strattone dalla gola dell'ubriaco. L'uomo ricadde a terra, quasi privo di sensi, più a causa del18
l'estasi che della perdita di sangue. «Lo avresti potuto uccidere» sussurrò Roland con severità. Rhiannon permise agli angoli della bocca di sollevarsi leggermente verso l'alto. «Sei sempre pronto a pensare il peggio di me, non è così, caro? Inoltre adesso mi chiamo Rhiannon. Rhianikki è troppo...» Agitò una mano in aria. «... egizio.» Gettò una rapida occhiata all'uomo riverso a terra. «È tutto a posto, Paul. Puoi andare adesso.» Lo liberò dal controllo della sua mente e il giovane si rimise in piedi vacillando. La sua espressione colma di stupore si spostò da Rhiannon a Roland per poi tornare su di lei. «Cosa è successo?» «Hai bevuto un po' troppo Chablis, mon cher. Va', adesso. Cammina.» Con la fronte aggrottata, l'uomo si diresse barcollante verso la taverna e Rhiannon si voltò in direzione di Roland. «Visto?» «Cosa ci fai qui?» Lei alzò le mani con i palmi rivolti in alto. «Neanche un ciao? Un come stai? Un sono felice di vedere che sei ancora viva? Niente? Sei diventato davvero maleducato, Roland.» «Cosa ci fai qui?» ripeté con voce impassibile. Lei si strinse nelle spalle. «Se proprio ci tieni a saperlo, ho sentito parlare di un certo agente del DPI, uno piuttosto pericoloso per giunta, che è riuscito a rintracciarti fin qui. Dicono che sia già in paese. Ero preoccupata per te, Roland. Sono venuta per metterti in guardia.» 19
Lui abbassò lo sguardo e scosse con lentezza la testa. «E così, sapendo della presenza di un agente della Division of Paranormal Investigations in paese, hai pensato bene di farti notare il più possibile.» «Riesci a pensare a un modo migliore per stanarlo? Lo sai quanto zelo mettono nella caccia ai vampiri.» «Avresti potuto farti uccidere, Rhiannon.» «Almeno ti saresti finalmente sbarazzato di me.» Roland osservò il suo volto in silenzio per qualche secondo. «La cosa non mi farebbe nessun piacere.» Lo osservò attraverso le ciglia. «Hai un modo molto particolare di dimostrarlo.» Lui le posò una mano sulla spalla. Rhiannon gliene fece scivolare una intorno alla vita e, a fianco a fianco, si incamminarono lungo la strada tortuosa che portava al suo castello. «Devi fare più attenzione» proseguì con tono paterno e... del tutto esasperante. «Non hai idea di cosa siano capaci quelli del DPI. Hanno messo a punto un sedativo in grado di lasciarci del tutto indifesi.» «Lo so. E so anche quel che è successo in Connecticut, quando sono quasi riusciti a prendere Eric e la sua fidanzata Tamara.» Roland inarcò le sopracciglia. «Come fai a sapere queste cose?» «Ti tengo d'occhio, caro.» Gli sorrise. «E per anni ho tenuto d'occhio quello scienziato, St. Claire. Sai, mi ha tenuta prigioniera per un po' nel suo laboratorio.» 20
Lui trasse un profondo respiro, le strinse le spalle e la fece girare perché lo guardasse in faccia. Rhiannon sarebbe potuta scoppiare a ridere per la soddisfazione: finalmente qualche emozione! «Non ne avevo idea! Quando... come...» S'interruppe e scosse la testa. «Ti ha fatto male?» Dentro di lei scoppiò un'improvvisa vampata di calore. «È stato orribile» confessò protraendo un po' le labbra in avanti. «Ma non è durato molto. Per fuggire sono stata costretta a spezzare il collo del suo collega.» Roland scosse la testa e chiuse gli occhi. «Mi avresti dovuto chiamare. Sarei venuto...» «Oh, smettila, Roland. Mi sono liberata così in fretta che non avresti fatto in tempo ad arrivare. Nessun umano può sperare di farla a Rhianikki, principessa del Nilo, figlia del faraone, vampira immortale da tempo immemorabile...» Roland scoppiò a ridere senza volerlo; Rhiannon lo sapeva e godette di quella meravigliosa risata, desiderando solo di vederla comparire più spesso. A volte sul volto di Roland si allungava un'ombra. Un segreto che lo torturava e che non aveva mai confidato a nessuno. Quando la sua risata si esaurì, si voltò e ricominciò a camminare. «Dimmi come fai a sapere dell'agente del DPI qui a L'Ombre.» «Da quando St. Claire è quasi riuscito a farmi fuori, non ho mai perso d'occhio l'organizzazione. Ho delle spie infiltrate che mi tengono aggiornata.» 21
Lui annuì. «In questo caso sei un po' più assennata di quanto ritenessi. Naturalmente saprai che St. Claire è deceduto.» Rhiannon fece un cenno di assenso col capo. «Ma il suo protetto, Curtis Rogers, è ancora vivo.» Roland si arrestò di nuovo. «Non è possibile. Tamara gli ha sparato mentre lui cercava di uccidere Eric.» «Sì, gli ha sparato. E se n'è andata credendolo morto, solo che non lo era. È stato trovato poco dopo ed è sopravvissuto. È proprio lui che è venuto a cercarti in Francia, Roland. Si vuole vendicare.» «Di me?» «Di te, di Eric, di Tamara... temo anche del ragazzino.» Rhiannon lo vide impallidire. Sapeva già del suo attaccamento nei confronti del bambino a cui aveva salvato la vita due anni prima. Questi era uno dei Prescelti, un essere umano con un legame invisibile con i non-morti. Il DPI lo sapeva e aveva cercato di usarlo come esca. Non c'erano dubbi che non avrebbero esitato a rifarlo. Rhiannon era a conoscenza di tutte quelle cose, ma vedere con i propri occhi la reazione di Roland davanti a un eventuale pericolo per il bambino, le fece realizzare l'intensità del suo affetto. Avvertì il moto di inquietudine che lo scosse e gli posò una mano sul braccio per tranquillizzarlo. «Jamey» sussurrò. «Il bastardo lo ha rapito una volta e per poco non l'ha ucciso.» «E così adesso sai perché sono venuta.» 22
Lui sollevò le sopracciglia con curiosità e Rhiannon proseguì. «Per aiutarti a proteggere il bambino.» «Molto nobile da parte tua, ma non è necessario. Me la posso cavare da solo. Non ti permetterò di correre alcun rischio per me. Sarebbe molto meglio se lasciassi subito la Francia.» «Per la tua pace mentale, intendi dire?» Lo scrutò in viso e quando lo vide abbassare lo sguardo capì di avere fatto centro. «Allora non ti sono così indifferente come mi vuoi far credere?» «Quando mai mi sei stata indifferente, oh dea tra le donne?» Rhiannon fu sul punto di sorridere. «Be', la tua pace mentale non è un problema mio. In effetti provo un certo piacere a spiazzarti, e che ti piaccia o meno, ho intenzione di restare. Se non mi permetterai di aiutarti a sorvegliare il bambino, mi limiterò a cercare questo Rogers e a prosciugargli le vene. Questo dovrebbe risolvere il problema.» «Rhianik... Rhiannon, ti renderai certamente conto che l'omicidio di un agente del DPI non farebbe altro che creare ulteriori problemi.» Fece un respiro poco convinto. «Di solito uccidere non serve a niente.» Lei si strinse nelle spalle senza smettere di rivolgergli sguardi obliqui e velati dalle ciglia. Come si divertiva a stuzzicarlo! «Nessuno saprà mai cosa gli è accaduto: ho intenzione di tritarlo e di darlo in pasto alla mia gatta.» Roland fece una smorfia e scosse la testa. «Ma forse prima lo torturerò. Cosa ne pensi? Ba23
stoncini di bambù sotto le unghie? Di solito funzionano. Potremmo carpire tutti i segreti del DPI e...» «Per l'amor del cielo, donna!» gridò stringendole forte le spalle, ma il suo raccapriccio svanì quando la vide scoppiare in una risata incontenibile. Roland sospirò, scosse la testa e allentò la presa. Prima che potesse ritrarsi, però, lei lo afferrò per gli avambracci. «No, Roland, non lo fare.» Rimase immobile, il volto del tutto inespressivo, mentre lei gli faceva scivolare le mani intorno alla vita e lo attirava a sé. Appoggiò la testa alla sua spalla robusta e a quel punto, accompagnate da un sospiro riluttante, le braccia di Roland si strinsero ad abbracciarla. Rhiannon chiuse gli occhi e si limitò a gustare la sua vicinanza, la sua forza trattenuta, il rapido battito del cuore, il modo in cui il suo fiato le scompigliava i capelli. «Mi sei mancato, Roland» gli sussurrò. Voltò leggermente il viso e gli sfiorò il collo con le labbra. «E io sono mancata a te, anche se detesti ammetterlo.» Avvertì il brivido che era riuscita a strappargli. Roland annuì. «Lo ammetto, mi sei mancata.» «E mi desideri» proseguì lei, sollevando la testa quel tanto che bastava per studiare la sua espressione mentre gli parlava. «Come non hai mai desiderato nessuno... e mai lo farai. Chi sono e quello che faccio non ti va a genio, ma mi vuoi, Roland. Lo sento persino adesso, in questo semplice abbraccio.» «Come al solito non vai molto per il sottile, Rhian24
non.» Riuscì a liberarsi dalla sua presa, si scostò e riprese a camminare senza più toccarla. «Lo vuoi negare?» Sorrise, con l'espressione di chi la sa lunga. «Vorrei camminare alla luce del sole, Rhiannon, eppure se lo facessi per me sarebbe la fine. Quello che desideriamo non è necessariamente ciò che è bene per noi.» Lei aggrottò la fronte e inclinò il capo. «Odio quando parli per metafore, o parabole, o comunque tu voglia chiamare le fesserie che tiri fuori.» Lui scosse la testa. «Questa volta per quanto tempo hai intenzione di restare posata qui, passerotto?» «Cambiare argomento non ti farà stare meglio.» «Era una semplice domanda. Se non ti senti di rispondere...» «Rispondi alle mie domande e io risponderò alle tue. Mi vuoi?» Roland la fulminò con un'occhiata torva. «È sciocco chiedere qualcosa quando si conosce già la risposta.» «Voglio sentirtelo dire.» Si fermò e lo guardò negli occhi. «Dimmi che mi vuoi.» Lo sguardo di Roland indugiò su ogni parte del suo corpo e Rhiannon si sentì bruciare ovunque. Alla fine lui annuì. «Ti voglio, Rhiannon. Ma non farò...» Lei sollevò le mani. «Basta. Non rovinare tutto.» Roland si morse l'interno della guancia e lei sentì che la rabbia stava iniziando a ribollirgli dentro. «E adesso rispondi alla mia domanda, tentatrice. Per quanto tempo ti fermerai?» 25
«Be', sono venuta per aiutarti a proteggere il bambino. Credo che resterò fino a che la minaccia non sarà passata e...» «E?» Mentre la scrutava in viso le sopracciglia si avvicinarono l'una all'altra. Rhiannon cercò di non ridere nel momento in cui gli rispose. «E fino a che non ti avrò dato esattamente quel che vuoi, Roland.»
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