GENA SHOWALTER
Demon's Touch
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: The Darkest Touch HQN Books © 2014 Gena Showalter Traduzione di Anna Polo Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Bluenocturne luglio 2015 Questo volume è stato stampato nel giugno 2015 da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd) BLUENOCTURNE ISSN 2035 - 486X Periodico mensile n. 113 del 17/07/2015 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 118 del 16/03/2009 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Trentacoste, 7 - 20134 Milano Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano
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«Non morire. Non azzardarti a morire.» Torin frugò frenetico in uno zaino pieno zeppo di indumenti, armi e medicinali. Lo aveva preparato alcuni giorni prima, riempiendolo con qualsiasi cosa gli era venuta in mente. Non c'era un paradenti. Pazienza, avrebbe dovuto farne a meno. Corse verso la figura immobile e si mise a cavalcioni su di lei. La sua vita preziosa scivolava via a ogni secondo che passava. Il massaggio cardiaco era la sua ultima speranza; erano chiusi in una segreta e nella loro cella non c'era nessun altro, dunque toccava a lui eseguirlo. A lui, che di rado si avvicinava così tanto a un'altra persona. Appoggiò le mani coperte dai guanti sul petto delicato di Mari, ma invece di procedere come avrebbe dovuto si ritrovò ad assaporare quella rara e straordinaria connessione con il sesso opposto. Così soffice, così deliziosa. Cosa diavolo sto facendo? Contrasse la mascella e cominciò a spingere. Crack. Troppo forte. Le aveva appena rotto lo sterno e probabilmente diverse costole. Il senso di colpa gli trafisse il cuore e avrebbe provato dolore se l'organo non fosse già stato spezzato in maniera irreparabile. Premette con maggiore delicatezza sul petto di Mari. Bene, così. Aumentò piano piano la velocità, chiedendosi cosa l'avrebbe aiutata e cosa avrebbe arrecato ulteriori danni. «Forza, Mari.» Era umana, ma forte. Fragile, ma resistente. «Resta con me. Puoi farcela, lo so.» 5
La testa ciondolò di lato, gli occhi vitrei e sbarrati. «No! No!» Controllò il polso e attese trepidante, ma non sentì nemmeno un debole battito. Riportò le mani sul petto di lei per ricominciare, lo sguardo puntato sulle labbra insanguinate. La mente la implorava di dischiuderle, di lasciarsi sfuggire un colpo di tosse. Un segno di malattia, certo, ma era meglio essere malati che morti. «Mari, ti prego» proruppe con voce rotta dalla disperazione. Non posso essere io a uccidere una creatura così dolce. Torin spinse più forte e sentì un altro schianto. Maledizione. Non era un tipo piagnucoloso, eppure sentiva le lacrime bruciargli gli occhi. Era giunto a considerare quella ragazza un'amica; non ne aveva molti, nonostante vivesse da secoli, ma proteggeva sempre le persone care. Fino a quel momento: se non fosse stato per lui, Mari non si sarebbe mai ammalata. Le sentì di nuovo il polso: niente battito. Si rimise all'opera imprecando tra i denti. Cinque minuti, dieci, venti. Lui era il solo che, in quel momento, poteva frapporsi tra lei e la morte; avrebbe fatto tutto il necessario per tenerla in vita. Forza, Mari. Devi farcela. Passò un'altra eternità senza alcun cambiamento e Torin fu costretto ad ammettere che i suoi sforzi erano vani. Mari se n'era andata. Era morta, e non c'era niente che potesse fare per riportarla in vita. Balzò in piedi con un ruggito e prese a misurare la cella a grandi passi, come un animale in gabbia. Le braccia tremavano, la schiena e le cosce gli facevano male, ma il dolore fisico era nulla in confronto alla sofferenza mentale. Era tutta colpa sua. Sapeva quello che sarebbe successo se l'avesse toccata, eppure l'aveva fatto lo stesso. Mostro! Con un altro ruggito Torin prese a pugni il muro, godendosi il dolore implacabile mentre la pelle si lacerava e le ossa si rompevano. Colpì ancora e ancora, incrinando la 6
pietra e sollevando nugoli di polvere tutt'intorno a lui. Se soltanto si fosse fermato a domandarsi come mai una ragazza come Mari fosse così affamata di compagnia da acconsentire a stare con lui, lei sarebbe stata ancora viva. Torin premette la fronte contro il muro malconcio. Sono il custode del demone della Malattia. Quando accetterò il fatto che sono destinato a restare da solo, senza mai assaporare quello che desidero di più? «Mari, cara» risuonò lieve una voce femminile. Per quanto intrisa di panico e dolore, era deliziosa. «Il legame si è spezzato. Perché?» Il sangue nelle vene di Torin prese a ribollire, come se si fosse tramutato in benzina e vi avessero gettato un fiammifero acceso. Il battito del cuore si fece più veloce e il bisogno di abbattere le sbarre della cella lo consumò; avrebbe fatto qualsiasi cosa, pur di cancellare la distanza tra sé e la persona che aveva appena parlato. Una reazione estrema, lo sapeva. Così come sapeva che quella consapevolezza quasi spasmodica che provava per quella persona era insolita per lui. Era anche incontrollabile e inarrestabile: tutto il suo mondo girava intorno a quella donna. Non era la prima volta che succedeva. Ogni volta che parlava – e ciò che diceva non aveva importanza – il suo tono roco prometteva un piacere assoluto, come se non desiderasse altro che baciarlo, leccarlo e succhiarlo. Gli istinti maschili che negava da anni gridavano. Vieni, piccola falena. Avvicinati alla mia fiamma, o sarò io a venire da te... Torin si avvicinò alle sbarre e, come tante altre volte, desiderò che le ombre tra le celle svanissero. Inutile: la sua figura restava un mistero. Quella morbosa ossessione si intensificò; per cinque minuti passati a baciarsi, leccarsi e succhiarsi avrebbe rischiato volentieri di scatenare un'epidemia mondiale. Mi odio. Qualcuno avrebbe dovuto fustigarlo. «Mari» chiamò la sua ossessione. «Ti prego.» 7
Il demone si agitò nella testa di Torin nel disperato desiderio di fuggire. Da lei? Un'altra reazione insolita. In genere Malattia adorava trovarsi vicino a una potenziale vittima. Come aveva riso di Mari... Odio anche lui. «In questo momento Mari non può parlare» disse Torin. In realtà non parlerà più. Ammetterlo era come versare sale sulle ferite. «Cosa le hai fatto?» lo assalì lei, scuotendo le sbarre della cella. Niente. Tutto. «Dimmelo!» gridò la donna. «Le ho stretto la mano.» Le parole esplosero taglienti e amare, senza che potesse controllarle. «Ecco tutto.» In realtà aveva fatto molto di più. Non aveva lesinato tempo e sforzi per affascinarla, nutrirla, parlare e ridere con lei. Alla fine Mari si era sentita a suo agio e lui si era sfilato un guanto e aveva intrecciato le dita alle sue. Di proposito. Non succederà niente di male, gli aveva assicurato lei. O forse era stato il suo sguardo a dirglielo. I particolari si perdevano nella nebbia della sua brama di contatto. Vedrai. Torin le aveva creduto perché lo desiderava più dell'aria da respirare. L'aveva tenuta stretta come un uomo assetato che scopre l'ultimo bicchiere d'acqua in un mondo che si sta riducendo in cenere. La forza della sua reazione fisica lo aveva fatto quasi cadere in ginocchio, mentre un'ondata di sensazioni lo travolgeva. Morbidezza femminile in contrasto con la sua durezza virile, un profumo di fiori che gli solleticava le narici, i capelli lucenti che gli sfioravano il polso, il calore che si fondeva con il suo, i loro respiri che si intrecciavano. Ho sentito una connessione istantanea, una beatitudine immediata e sono quasi venuto nei jeans. E tutto per una stretta di mano. Mari era morta per questo. Con lui non aveva importanza se il contatto era accidentale o intenzionale, o se la vittima era umana o animale, giovane o 8
vecchia, maschio o femmina, buona o cattiva. Qualsiasi creatura vivente si ammalava dopo averlo toccato, perfino gli immortali come lui. L'unica differenza era che loro sopravvivevano, diventavano portatori di qualsiasi malattia avessero contratto da lui e contagiavano altri. Come umana, Mari non aveva mai avuto la minima possibilità di farcela. «Dimmi la verità» ordinò la sua ossessione. «Voglio sapere ogni particolare.» Torin non conosceva il suo nome e non sapeva se era umana o immortale. Sapeva solo che Mari aveva fatto un patto col diavolo per salvarla. Le due donne erano rimaste prigioniere là per secoli – dovunque si trovasse quel posto – senza aver commesso alcun crimine che lui potesse avvertire. Crono, il padrone della prigione, non aveva bisogno di un motivo per rovinare la vita di una persona. E certo aveva contribuito a rovinare quella di Torin. Gli doveva un favore; lui aveva sorvolato sulla reputazione ambigua di Crono e chiesto una donna che non si ammalasse toccandolo. Crono non si era preoccupato di cercare una candidata adatta e gli aveva semplicemente fornito una delle sue prigioniere: la dolce, innocente Mari. «Crono ha fatto un patto con la ragazza» cominciò. «Lo so.» La sua ossessione sbuffava e soffiava come un lupo cattivo. «Mari era costretta a comparire in camera tua un'ora al giorno per quasi un mese, tutto nella speranza di convincerti a toccarla.» «Sì» gracchiò lui. In cambio Crono le aveva promesso di liberare la sua più cara amica, ossia la donna che lo stava tempestando di domande. Non c'era da sorprendersi che Mari gli avesse mentito. Alla fine, però, l'aveva pagata. Non appena si era reso conto che Mari stava male Torin avrebbe voluto precipitarsi in ospedale, ma quella stupida maledizione sembrava bloccarla nella prigione con catene invisibili e, alla fine, si era rassegnato a riportarla indietro. In realtà, si era limitato a seguirla mentre si spostava da un po9
sto all'altro in un battito di ciglia, e l'aveva curata meglio che poteva. Non era bastato, però. Non sarebbe mai bastato. «Non mi interessano i motivi, solo il risultato» disse la donna. «Cosa sta facendo adesso Mari?» Si sta decomponendo. Non posso dirlo. Non posso proprio. Torin si tolse i guanti in silenzio e usando le mani come vanghe gettò manciate di terra al di sopra della spalla. Non era la prima tomba improvvisata che scavava, ma in quel momento giurò che sarebbe stata l'ultima. Basta con le amicizie estemporanee, basta con le speranze e i sogni impossibili. Era finita. «Mi stai ignorando? Hai la minima idea dell'essere che stai provocando?» chiese la donna. Torin non si fermò. Avrebbe sepolto Mari, trovato il modo di fuggire da quel buco infernale e ripreso il compito che aveva abbandonato quando aveva scelto di seguire la ragazza. Doveva ritrovare e liberare Cameo e Viola, due amiche scomparse varie settimane prima che comprendevano il suo bisogno di tenere gli altri a distanza. «Sono Keeleycael, la Regina Rossa e sarò ben felice di estrarre i tuoi organi interni dalla bocca usando un appendiabiti.» Malattia rimase immobile e silenzioso. Anche quella era una novità. La Regina Rossa. Il titolo gli suonava familiare. Forse l'aveva visto in un libro per bambini, ma c'era dell'altro. Lo aveva sentito... dove? Un'immagine si formò nella sua mente: un bar fatiscente nei cieli. Ma certo! Quando lavorava per Zeus, il Re dei Greci, aveva rintracciato molti fuggiaschi in quel locale. Il nome della Regina Rossa veniva citato in un sussurro tremante da uomini e donne spaventati, insieme agli attributi pazza e crudele. Gli era sempre piaciuto affrontare i predatori più forti e malvagi e una reazione così viscerale l'aveva incuriosito, ma quando aveva chiesto chi era e cosa poteva fare tutti si erano zittiti. 10
Forse la donna era la temibile regina di cui parlavano, o forse no; ormai non aveva importanza. Torin non intendeva combattere con lei. «Keeleycael» ripeté. «Un nome impegnativo. «E se ti chiamassi Keeley?» «È un onore riservato agli amici. Fallo a tuo rischio e pericolo.» «Grazie. Lo farò.» «Puoi chiamarmi Vostra Maestà» sbuffò lei. «Io ti chiamerò La mia prossima vittima.» «Preferisco Torin, Figo o Grandioso.» Nomignoli che potevano aiutare a sorridere nel dolore. Forse sarebbe meglio Proctalgia Fugax. In fondo sono specializzato in dolori del genere, sono una vera spina nel culo. «Perché Mari non parla più, Torin?» chiese Keeley, come se stessero discutendo del menu della cena prevista per l'indomani (topo in casseruola). Sapeva che la sua amica era morta, vero? Farglielo ammettere era una sorta di punizione. «Prima di rispondermi, sappi che preferisco risparmiare il nemico che mi dice la verità, piuttosto che l'amico che mi racconta bugie.» Non male come motto. Menti e muori era il suo. In effetti, nella sua situazione anche lui avrebbe voluto delle risposte. E se fosse stata lei la responsabile della morte di uno dei suoi amici, avrebbe mosso cielo e terra per fare giustizia. Intrappolati com'erano in quelle celle create per i più forti tra gli immortali, però, non c'era niente che lei potesse fare se non ribollire di rabbia e impotenza. L'emozione sarebbe cresciuta a dismisura, diventando sempre più oscura, fino a condurla alla pazzia. Era un destino crudele. E anche una scusa. Era ora di ammettere la verità. «Mari è... morta.» Silenzio. Un silenzio opprimente accompagnato dall'oscurità, come se fossero caduti in una vasca di deprivazione sensoriale. Torin prese a parlare, nel disperato tentativo di attenuare il 11
dolore crescente. «Visto che sei al corrente del patto di Crono con Mari, saprai anche che sono uno dei Signori degli Inferi, i guerrieri che hanno rubato e perso il vaso di Pandora, liberando i demoni racchiusi al suo interno. Come punizione siamo stati maledetti e costretti a custodirne uno nel nostro corpo. Io ho avuto in sorte Malattia; basta un contatto con la pelle per ammalarsi. Non c'è rimedio. L'ho toccata... ci siamo toccati e lei è morta» concluse con voce spenta. Ancora silenzio. Torin chiuse la bocca per non rivelare che gli altri guerrieri custodivano demoni come Violenza, Morte e Dolore, che migliaia di innocenti erano morti per mano loro e altrettanti avevano sofferto per le loro infami azioni. Nonostante tutto, però, i suoi amici non erano spregevoli come Malattia: loro sceglievano le vittime, Torin no. Sono proprio un bel premio. Chi mai l'avrebbe voluto? Immortale maschio e single cerca qualcuno da amare – e uccidere. Non poteva neanche consolarsi con il ricordo di amanti passate. Quando viveva nei cieli era tutto preso dai suoi doveri di guerriero e le donne non gli interessavano... fino a quando il corpo faceva valere le sue esigenze. Ogni volta che sceglieva un'amante, però, l'istinto di dominare e sottomettere lo travolgeva e la sua involontaria brutalità faceva sì che quelle fuggissero piangendo ancor prima di spogliarsi. Il che significava che non si toglievano mai i vestiti. Forse avrebbe potuto convincerle a continuare, ma a quel punto il disgusto per se stesso era troppo grande. Eccelleva sul campo di battaglia, ma nel sesso era un disastro. Davvero umiliante. Ormai era disposto a scambiare il poco che era rimasto della sua integrità per un contatto pelle contro pelle con qualsiasi cosa. Provava un desiderio disperato di sperimentare ciò che un tempo aveva disdegnato, incapace com'era di combattere i suoi nemici con gli sporchi trucchi che un tempo amava... anzi, che amava ancora. «Torin...» cominciò Keeley. Nonostante la tensione, la sua 12
voce gli provocò la solita, avida reazione. «Ti rendi conto di aver ucciso una ragazza innocente, vero?» Lui sedette nel buco che aveva scavato, infilò i guanti e appoggiò la testa alle mani. «Sì.» Lanciò un'occhiata a Mari. Probabilmente conosceva la sua condizione, eppure si era fidata di lui, sicura che l'avrebbe protetta. E guarda com'era finita. «Torin, ti rendi conto che ti punirò per il tuo crimine?» riprese Keeley. «Non puoi farmi soffrire più di quanto soffra adesso» rispose. «Ti sbagli. Ho sentito parlare di te e dei tuoi amici.» E questo cosa c'entrava? «Spiegami cosa intendi e potrei continuare questa conversazione.» Altrimenti avrebbe trovato il modo di uscire da quella cella. «Sarai anche il più grande pericolo al mondo per le malattie che provochi, ma nessuno può rivaleggiare con i miei scatti d'ira.» Interessante, ma non pertinente. «Vuoi punirmi, o diventare la mia amica del cuore?» «Silenzio!» Malattia si ritrasse, da vero vigliacco. «Hai di certo sentito parlare di Atlantide» continuò lei disinvolta. «Quello che probabilmente non sai è che l'isola è stata inghiottita dal mare perché ero arrabbiata con il suo re.» Era la verità, o un'esagerazione? In ogni caso quella rivelazione lo eccitava come la sua voce. Finalmente aveva trovato l'avversario dei suoi sogni. «Sono molto più che arrabbiata con te, guerriero. Avevo una sola amica qui. Lei è... era... la mia famiglia. » Keeley si interruppe per tirare su col naso. «Non era un legame di sangue, ma qualcosa di molto più grande. Un tempo ero una creatura piena d'odio e lei mi ha insegnato ad amare. E ora tu me l'hai portata via.» Il suo dolore lo trafisse. «Torin» ripeté. Lui capì d'istinto che quella era la calma prima di una tremenda tempesta. 13
«Sì, Keeley.» Se gli avesse chiesto il suo cuore – una vita per una vita – gliel'avrebbe dato. La tempesta si scatenò. «Ti ucciderò!» urlò lei scuotendo le sbarre della cella con forza crescente. «Sperimenterai un dolore che non hai mai immaginato. Ti farò quello che ho fatto a molti altri. Ti spellerò con una grattugia e farò un frullato con i tuoi organi. Ti sbatterò il cranio così forte che il cervello uscirà dalle orbite.» «Io... non so come rispondere.» «Non preoccuparti. Tra poco ti mozzerò la lingua e la userò come straccio per i pavimenti, così non dovrai più rispondere a nessuno!» Una pietra scivolò nella sua cella, la prima di una valanga. La rabbia e il dolore le conferivano una forza che secoli di prigionia dovevano averle rubato. Sono distrutto. Aveva derubato quella donna della sua migliore e unica amica, lasciandole solo dolore e disperazione. È la storia della mia vita. Avrebbe voluto che il suo atto successivo lo uccidesse, ma sapeva che, invece, gli avrebbe fatto solo desiderare la morte: ogni ferita danneggiava la sua resistenza al demone, permettendogli di infettarlo, almeno per un po'. Torin non si scostò dal suo proposito: infilò la mano nel petto, ne estrasse il cuore e lo fece rotolare nella cella di Keeley.
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Demon's Touch Torin, posseduto dall'odioso demone della Malattia, sa di essere condannato alla solitudine perché il contatto con la sua pelle causa infermità e morte. Il sesso che tanto brama è destinato a rimanere una mera fantasia... finché non incontra Keeley, la Regina Rossa, una creatura immortale dal fascino conturbante e letale che fin dal primo incontro mette a dura prova il suo autocontrollo. Lei è decisa a sedurlo, ma la battaglia dei sensi che ingaggia con il Signore degli Inferi potrebbe rivelarsi devastante per entrambi. E Torin può fare affidamento solo sulla propria forza di volontà per impedire a Malattia di ucciderla e strappargli così anche l'ultimo brandello di anima.
ANNE STUART writing as KRISTINA DOUGLAS
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