BN13_PREDATORI DELLA NOTTE

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Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Embrace the Twilight MIRA Books © 2003 Margaret Benson Traduzione di Gigliola Foglia Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2010 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Bluenocturne aprile 2010 Questo volume è stato impresso nel marzo 2010 da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd) BLUENOCTURNE ISSN 2035 - 486X Periodico quindicinale n. 13 del 13/4/2010 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 118 del 16/3/2009 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano


1 Il gadjo lasciò cadere tre pezzi d'argento nel palmo della donna. Era una bellissima mano, notò Will mentre lei la chiudeva a pugno. Bruna e affusolata, ma forte, non fragile come tendevano a essere le mani snelle. Portava anelli a ogni dito, e bracciali d'oro e d'argento ai polsi che tintinnavano ogni volta che lei si muoveva. «Grazie» disse la zingara al cliente dalla pelle pallida. «Quando le predizioni si avverano, dillo ai tuoi amici. E assicurati che chiedano di Sarafina quando verranno.» L'uomo arretrò annuendo, ringraziandola profusamente, ma senza mai voltarle le spalle mentre usciva. Non appena i suoi piedi toccarono terra fuori dal carrozzone, si segnò e corse via. I gadjè potevano anche negarlo, pensò Sarafina, ma erano in tutto e per tutto superstiziosi come i gitani. A Will sembrava strano poter udire ciò che le passava per la mente come quello che diceva ad alta voce. Era come se, per sfuggire al dolore, si fosse ritirato dentro la mente di lei anziché dentro la propria. Poi il suo sorriso lo distolse da quella bizzarra idea. Il viso scuro, arcigno ed esotico di Sarafina si trasformò d'incanto in pura, radiosa bellezza. E Will l'amò. Ogni 5


cosa di lei, dalla liscia pelle olivastra alla cascata di capelli corvini che le scendevano sulla schiena in ricci selvaggi. Amò le sue labbra piene e mature; i suoi occhi, lucide gemme d'onice incastonate sotto folte sopracciglia che la maggior parte delle donne avrebbero depilato riducendole a niente. Sarafina infilò le monete nel pesante borsellino con i lacci che pendeva da una delle coloratissime fusciacche che portava in vita. «Già dieci questa settimana» mormorò, sporgendosi sul tavolo per lasciar cadere un fazzoletto di seta nera sopra la sfera di cristallo che teneva corte al centro. Il tavolo era una cassa di legno capovolta, coperta da altri foulard di seta, come la sedia. La seggiola all'altro capo del tavolo, quella per i clienti, era anch'essa una cassa, ma non rivestita: lei non era disposta a far sedere uno di quelli sulle sue sete. Andre. Adesso stava pensando ad Andre. Will avvertì una fitta amara nel rendersene conto, nel sentire il piccolo tuffo al cuore che lei provava pensando a quell'uomo, ma rimase con lei ugualmente, come un'ombra celata dentro la sua. Sarafina lasciò il carrozzone, i forti piedi nudi che affondavano nella fredda terra bruna mentre attraversava il campo. Will adorava starle alle calcagna quando usciva, perché l'accampamento era uno spettacolo affascinante: cerchi concentrici di carrozzoni dipinti e di tende, e bizzarre combinazioni delle due cose. Campanelle e prismi di cristallo erano appesi alla maggior parte di essi. Al centro c'era un fuoco comune, anche se molti altri più piccoli ardevano qua e là, e intorno a esso la gente si incontrava. Spesso c'erano musica, danze. Le donne nelle loro gonne a colori vivaci, con gli innumerevoli foulard che le seguivano come code di comete quan6


do piroettavano. Gli uomini con i loro calzoni aderenti, e giacche rosse e oro. I musici con i loro violini e tamburelli e flauti. Erano un popolo bellissimo, vibrante. Will non sapeva dove fossero, e non era sicuro nemmeno di quando fossero. Non che importasse, dal momento che erano creazioni della sua immaginazione, troppo vivide e dettagliate per essere vere. Molti salutarono Sarafina mentre passava, camminando con la testa alta e i fianchi ondeggianti, orgogliosa di chi era. I più giovani si inchinavano con rispetto, mentre gli adulti la guardavano come una loro pari. Era una dotata veggente – proprio come la sua assai meno preziosa sorella – e usava quel dono per portare ricchezza alla tribù, cosa che le fruttava l'onore e il rispetto del gruppo. Will era preoccupato per lei. Ultimamente non si era sentita bene, e i suoi doni profetici rifiutavano di dirle perché. Il fuoco al centro del campo balzava e danzava, le fiamme creavano una pozza di luce dorata nel cuore dell'oceano di pece della notte, e il fumo di legna diffondeva un buon odore, caldo e aromatico e familiare. Molte persone si erano raccolte attorno al fuoco quella sera, e ascoltavano gli anziani raccontare storie di avventure e i misfatti di quando erano giovincelli, che strappavano di volta in volta esclamazioni e risate. Sarafina amava quella gente. Erano la sua famiglia, e la famiglia era tutto ciò che aveva importanza per lei. E loro ricambiavano il suo affetto. Tutti tranne sua sorella. Katerina era del suo stesso sangue, eppure l'aveva odiata da quando lei aveva tratto il suo primo respiro. A Sarafina piaceva fingere che il sentimento fosse reciproco, ma non lo era: l'odio di sua sorella la divorava come un cancro. Il vurdón di Katerina stava sul lato opposto del campo 7


rispetto a quello di Sarafina, come sempre succedeva quando la tribù piantava il campo. Quando lei si avvicinò, allontanandosi dalla luce del fuoco, una forma scura emerse dal carro, si voltò e corse via nelle tenebre. Un uomo, pensò Will, ma se n'era andato senza darle più di una breve occhiata. Sarafina salì i gradini e scostò il tendaggio che faceva da porta, facendo suonare le campanelle attaccate alla stoffa. Sua sorella alzò lo sguardo su di lei con un sorriso colmo di aspettativa che si mutò in una smorfia nell'istante in cui vide chi era. Erano così diverse, pensò Will. I neri capelli di Katerina erano lunghi e lisci; gli occhi, piccoli, ravvicinati e tondi, sembravano freddi ciottoli. Occhi da squalo. «Pensavi che il tuo amante fosse tornato, Katerina?» chiese Sarafina con un che di tagliente nella voce. «Spiacente di deluderti.» «Non hai fatto altro che deludermi dal giorno in cui nostra madre morì dandoti alla luce, sorellina. Perché cominciare a scusarsene adesso?» Le parole punsero. Will poté sentire il dolore di Sarafina con la stessa intensità con cui lo sentiva lei. Ma il suo cuore si era indurito e incallito nel corso degli anni, grazie ai costanti attacchi della sorella, e non soffriva più come un tempo. Sorridendo, Fina fece saltellare nel palmo la borsa con il denaro, in modo che le monete tintinnassero. «Dieci gadjè sono venuti a trovarmi questa settimana. Dieci, Katerina. Il doppio di quelli che hanno cercato te per farsi predire il futuro.» Sua sorella fece spallucce. «Il tuo carro è più vicino del mio alla strada.» 8


«Chiedono di me per nome» ribatté Sarafina. «Vengono da me perché sono la più esperta veggente in questo campo, e perché la voce sulle mie capacità si è diffusa per tutta la città. Ne avrò ancor di più a segnarmi il palmo con l'argento, la settimana prossima. E predico che tu ne avrai ancor meno.» «Bah! Entro la prossima settimana, quando nessuna delle tue false predizioni si sarà avverata, capiranno che il tuo unico talento sta nell'imbroglio e cominceranno a cercare me.» Katerina scrollò il capo. «Sappiamo entrambe la verità. Non solo sono io l'indovina più dotata, io sono la legittima Shuvani di questa tribù, Sarafina.» Will trasalì intimamente, sapendo che ben poco poteva far infuriare di più Sarafina. Nessuno poteva mettere in discussione il suo dono, o il fatto che era una delle due donne sagge della tribù e passarla liscia. La maggior parte delle tribù ne aveva una sola, e senza alcun dubbio anche la loro non sarebbe stata diversa, se Sarafina fosse stata la primogenita. «Grazie alle tue false predizioni, i bianchi probabilmente marchieranno tutti i gitani come bugiardi e imbroglioni» proseguì Katerina. «E noi saremo costretti a partire, a causa tua, un'altra volta.» «Le mie predizioni non sono bugie! Io sono una veggente molto migliore di te, e lo sai.» «Non sei poi così in gamba, a quanto pare. Altrimenti conosceresti l'identità dell'uomo che ha appena lasciato il mio vurdón.» Quelle parole lasciarono Sarafina senza fiato. Guardò in giro per il carro coperto di tendaggi di sua sorella, mentre Will le bisbigliava di stare calma, di resistere alla provocazione della sorella, pur sapendo che lei non poteva sentir9


lo. Non succedeva mai. Il pagliericcio era in disordine, le coperte ammucchiate e di traverso. Sul tavolo nell'angolo – non una cassa come quello di Sarafina, bensì un vero tavolo che era appartenuto alla loro madre – non c'era alcun cristallo, né carte, solo una lampada a olio accesa, due tazzine e una fiasca di vino stappata e rovesciata. La morbida risata di Katerina fece girare di scatto la testa a sua sorella. «Lui è di gran lunga troppo per te, sai. Ma adesso sa che una vera donna lo desidera.» «Stai dicendo che era Andre quello che ho visto sgusciare via di qui mentre mi avvicinavo?» Will pensò che se Katerina aveva cara la vita l'avrebbe negato. Invece lei rispose: «Ma certo che era Andre. È l'uomo più bello, più forte, più ricco del campo. Non posso certo lasciare che lo abbia tu». «Cagna bi lacho!» urlò Fina tuffandosi in avanti con le mani protese verso la faccia della sorella. Le unghie che le squarciarono la guancia. Katerina non badò neppure al dolore. Si scagliò avanti, gli occhi fiammeggianti, agitando le braccia. Le due cozzarono, capitombolarono al suolo e rotolarono in un groviglio di sottane e foulard, mani coperte di anelli e braccia cinte di bracciali. Urtarono il tavolo, che si rovesciò. La lampada si infranse sul pavimento e l'olio si allargò in una pozza di fiamme azzurre. Il panico balzò nel petto di Will mentre le due lottavano, mordendosi e artigliandosi a vicenda. Will cercò di gridare un avvertimento. Concentrò tutto il proprio essere su Sarafina e urlò un'unica parola: Fuoco! Sarafina allontanò da sé la sorella con un potente spintone, guardandosi attorno come se avesse udito qualcosa. Will si rese conto che si era radunata una folla fuori dalla 10


tenda, probabilmente attirata dal trambusto della lotta. Anche loro stavano urlando, e lui non aveva modo di sapere quale voce lei avesse udito. Non importava… non in quel momento. Vide la sua espressione mutare quando si rese conto che l'intero carrozzone era in fiamme. «Guarda che cosa hai fatto!» urlò Katerina. «Bruceremo vive a causa tua!» Sarafina cercò con gli occhi una via d'uscita, ma il fuoco stava lambendo i lati del tendone tutt'attorno a loro. Poi, all'improvviso, qualcuno si tuffò dentro attraverso le fiamme. Una forma avvolta in coperte lasciò cadere il mantello improvvisato. Era Andre, i neri occhi fiammeggianti. «Avvolgetevi nelle coperte» ordinò. «Presto!» Entrambe si affrettarono a obbedire, mentre l'uomo afferrava la brocca d'acqua accanto al letto di Katerina e con essa le innaffiava. Poi recuperò dal pavimento la propria coperta. «Uscite da questa parte» disse. «Dovete correre più in fretta che potete. Un attimo di esitazione e siete morte.» Afferrò Katerina con il braccio sinistro, Sarafina con il destro. Will si fece forza, trattenendo il fiato. «Adesso!» urlò Andre. Sarafina chiuse gli occhi e si tuffò nella muraglia di fuoco. Will avvertì un calore bruciante sulla sua faccia e sui suoi piedi, ma durò solo una frazione di secondo. Un istante di tortura, e poi lei cadde sulla fredda terra. Atterrò duramente. Sbarazzandosi della coperta bagnata, si rizzò a sedere, il fuoco che le divampava alle spalle. Will si afflosciò per il sollievo che lei stesse bene. I membri della tribù la circondavano, guardando lei e la sorella, che le era atterrata vicino, con severa disapprovazione mentre le fiamme illuminavano i loro visi striati di fuliggine. Will capì che la dignità di Sarafina era profon11


damente ferita, come lo era forse la sua posizione presso la tribù. «È stata tutta colpa sua!» urlò Katerina trascinandosi in piedi. «Mi ha accusato di cercare di rubarle l'uomo e mi ha aggredito. Per gli dèi, tutto ciò che avevo è distrutto!» gridò, agitando un braccio impotente verso le fiamme. I presenti trattennero il fiato, borbottarono, scossero con pietà la testa mentre la tenda di Katerina e ogni suo bene si riducevano in cenere davanti ai loro occhi. «Mente» affermò Sarafina. «È stata lei a cominciare.» Andre si chinò per aiutarla ad alzarsi, fermandosi un momento a scrutarla in viso, per poi attirarla a sé. Le sue braccia la cinsero, tenendola stretta. Will arse di gelosia. «Oh, Sarafina, dimmi che non credi che io potrei essere tentato da un'altra. È te che amo. Te che prenderò in moglie. Nessun'altra.» Sarafina lo fissò, e comprese che sua sorella le aveva mentito. Katerina stava solo cercando di piantare semi di dubbio che crescessero per distruggere l'amore tra lei e Andre, si disse. Qualcuno era sgattaiolato via dal vurdón di Katerina quella sera, ma non era Andre. Will scosse lentamente il capo, bisbigliando nella propria mente, nella sua mente: «Oh, Sarafina, non essere così stupida». Sarafina lanciò alla sorella un'occhiata di trionfo, alla quale Katerina rispose con uno sguardo freddo, ferreo e mortale, che la raggelò. Prima che avesse il tempo di capire il significato di quello sguardo, un urlo terrificante squarciò la notte da qualche parte oltre il campo. Tutti si fecero immobili e muti per un breve istante, come se il grido li avesse mutati tutti in pietra. 12


«No. Per l'amor di Devel, non di nuovo» mormorò qualcuno. Will pensò fosse Gervaise, il capotribù in carica. Non sapeva che cosa intendesse Gervaise e si chiese se l'avrebbe scoperto. Ma prima che potesse apprendere altro, fu strappato a quella fantasticheria dalla sensazione dei polmoni che lentamente si riempivano d'acqua ghiacciata. Una mano lo afferrò per i capelli e gli tirò la testa fuori dalla vasca d'acqua gelida. Will trasse un disperato, bramoso respiro, prima che quella mano gli ficcasse di nuovo la testa dentro la vasca, tenendolo sotto. Aveva i polsi ammanettati dietro la schiena, le caviglie legate. Il corpo gli urlava di dolore, dolore a cui era riuscito a sfuggire solo qualche istante prima. Ma tutto ciò impallidiva al confronto della fame straziante dei suoi polmoni che spasimavano in cerca d'aria. Minuscole esplosioni rosse gli danzavano dietro gli occhi serrati. Stava per svenire, e allora sarebbe affogato. La mano lo tirò di nuovo fuori dall'acqua, e mentre Will succhiava avide, rumorose boccate d'aria, lo sbatté su una sedia dallo schienale a stecche di legno. L'acqua gli colò dai capelli e dalla faccia, inzuppandogli la camicia lacera e sudicia. Un uomo barbuto che portava una cuffia bianca alzò il mento di Will e lo esaminò, poi parlò a una delle guardie, usando uno dei dialetti tribali che Will parlava correntemente, anche se era riuscito a nasconderlo ai suoi aguzzini… per il momento. «È tornato nel suo corpo. Adesso potete riprendere la tortura.» «Perché dovremmo sprecare tempo? Non farà che andar 13


via di nuovo quando il dolore diventa troppo per lui. Come ci riesce? Dove va?» Il primo uomo si strinse nelle spalle, attraversando la grotta verso quello che prima era stato un fuoco acceso. Adesso era un letto di braci rosseggianti. Avevano infilato tra i carboni lunghe verghe di ferro, e fu una di quelle che l'uomo tirò fuori, usando un pezzo di stoffa per non scottarsi. L'estremità arroventata era arancio fluorescente e a Will rammentò l'insegna della birra appesa nel suo bar preferito, vicino a casa. «Ora, Colonnello Stone» disse l'uomo, parlando in inglese con un marcato accento straniero. «Lei mi dirà ciò che desidero sapere.» «Ve l'ho già detto» rispose lui piano, anche se parlare con le labbra gonfie e spaccate e la gola arida faceva un male d'inferno. «Non ci sono spie americane nei vostri campi d'addestramento.» C'erano, in realtà. Erano tredici, e Will sapeva chi erano, quali nomi stavano usando e in quali campi erano infiltrati. Ormai dovevano aver avuto notizia della sua cattura, e in base all'addestramento ricevuto avrebbero saputo cosa fare, dove e quando presentarsi al rendez-vous per essere recuperati. Sarebbero occorse loro altre quarantotto ore per togliersi dai guai, pensò. Valutare lo scorrere del tempo era rischioso, date le circostanze. Doveva tenere duro finché gli uomini non fossero stati al sicuro fuori dal paese. «Se non ci sono spie, come mai gli americani sembrano sempre al corrente dei nostri piani?» Will non scrollò le spalle. Quel movimento gli avrebbe fatto troppo male. «Tecnologia?» L'uomo appoggiò l'estremità color ciliegia della barra di 14


ferro sul torace di Will. Il dolore fu insopportabile, e lui rovesciò la testa all'indietro e digrignò i denti, mentre l'odore della sua stessa carne bruciata lo soffocava. Anche quando la barra venne allontanata, il dolore rimase. Bruciante. Rovente. Chiuse gli occhi, cercò di trovare quel luogo dentro la sua mente dove si era nascosto prima. Quel luogo dove il dolore non riusciva a raggiungerlo. Vide la donna stagliarsi nei lontani recessi del suo subconscio. Sarafina, l'oscura, esotica donna che viveva le proprie storie dentro la sua mente in modo così vivido da strapparlo alla tortura, alla sofferenza. Si era imbattuto in lei per caso, quando l'avevano picchiato fino a farlo quasi svenire. Sospeso sull'orlo dell'oblio, l'aveva vista con l'occhio della mente. Soltanto gli occhi di lei, neri e luminosi. Si era trovato a concentrarsi su quegli occhi, restandone catturato, sprofondando lentamente nelle loro profondità d'acqua nera, nell'oscurità. Si era sentito affondare più in profondità, mentre il dolore svaniva, ed era riemerso dall'altra parte, in un altro luogo e tempo, come un silenzioso, invisibile osservatore della vita della donna. Fin da quella prima volta, aveva scoperto che poteva usare il dolore per ritrovare quel posto. Il trucco era cedere al tormento, non combatterlo ma abbracciarlo. Dopodiché chiudeva gli occhi e cercava quelli di lei. Tutto ciò che doveva fare era trovarli, guardarvi dentro, e sarebbe sprofondato di nuovo nel suo mondo, dove il dolore non poteva raggiungerlo. Lei era pura fantasia, come lo era la sua storia, Will questo lo sapeva. Ma lei era anche la sua salvezza. E di quei tredici americani che sarebbero stati torturati a morte se lui non avesse tenuto segreti i loro nomi. 15


Così chiuse gli occhi quando gli posarono le verghe arroventate sulla pelle. Rilassò la mascella e cercò di non combattere il dolore. Lasciò che la sofferenza lo trasportasse più vicino a Sarafina, sempre più vicino, finché lei si voltò a guardarlo. I suoi occhi si spalancarono mentre lui vi fissava i propri e precipitava di propria volontà nei loro freddi neri abissi, lasciando il proprio corpo molto, molto indietro. Nuotò, e ogni bracciata lo portava più oltre. Si chiese se una di quelle volte i suoi aguzzini gli avrebbero fatto il favore di ucciderlo e basta, così che potesse restare in quel posto. Ma avrebbe continuato a esistere, aprendosi, accogliendolo in sé? Avrebbe continuato a essere il suo personale paradiso immaginario? O sarebbe svanito mentre le sue cellule cerebrali lentamente morivano? A quel punto, non era sicuro che gliene importasse.

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