Titoli originali delle edizioni in lingua inglese: TWO BY TWILIGHT MIRA Books © 2005 MIRA Books Twilight Vows © 1998 Margaret Benson Run from Twilight © 2003 Margaret Benson Traduzione di Gigliola Foglia Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2010 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Bluenocturne giugno 2010 Questo volume è stato impresso nel maggio 2010 da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd) BLUENOCTURNE ISSN 2035 - 486X Periodico quindicinale n. 17 dell'11/6/2010 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 118 del 16/3/2009 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano
PARTE PRIMA
1 Campagna irlandese, 1808 Camminavo lungo il sentiero quella sera, come facevo spesso, stanco morto dopo aver lavorato nei campi di mio padre, cosparso di uno strato sottile di buon terriccio irlandese attaccato alla mia pelle dal sudore. Mi dolevano i muscoli, ma era un genere di dolore appagante, che deriva dal godere della propria forza e vigoria. Ultimamente non mi era capitato cosĂŹ spesso. Ero stato colto da accessi di debolezza; a volte mi girava la testa finchĂŠ non svenivo, gelido come un cadavere. Ma quel giorno non era stato affatto cosĂŹ, mi ero sentito bene, sicuro che qualsiasi cosa mi avesse colpito se ne fosse andata. E per provarlo avevo lavorato come un mulo nei campi di mio papĂ . Per tutto il giorno avevo incalzato i miei fratelli e cugini, sfidandoli a tenere il passo con me, ridendo quando non ci riuscivano. E avevo continuato a brandire la mia zappa a lungo dopo che gli altri erano andati a riposare. CosĂŹ stavo camminando da solo. L'autunno aleggiava nell'aria, col raccolto in terra e una grossa luna gialla sospesa nel cielo. Le foglie mi scricchiolavano sotto i piedi e levavano verso di me i 7
loro aromi mentre camminavo per il campo di zucche, ammirando la varietà grigioazzurra grossa come la pentola dello stufato di mamma, e quelle gialloarancio appese ai tralci morenti. Avremmo dovuto raccoglierle l'indomani. Nonna diceva che ci sarebbe stata una gelata assassina prima del prossimo sabato. Una gelata assassina. Un piccolo brivido mi serpeggiò su per la nuca mentre per qualche ragione le parole riecheggiavano nella mia mente. Sciocchezze, naturalmente. Avevo trascorso troppe notti, da ragazzino, accoccolato su una stuoia intrecciata davanti al focolare ad ascoltare nonna che mi raccontava le sue storie. In quell'epoca dell'anno, i suoi racconti tendevano al pauroso, con spettri e demoni malefici quali soggetti preferiti. Supposi che qualcuno di quei racconti fosse rimasto nella mia memoria. Benché ormai fossi un uomo adulto di ventitré anni, mi venivano ancora i brividi al ricordo delle sue storie. Il modo in cui la voce della nonna sapeva cambiare nel raccontarle, il modo in cui i suoi occhi azzurro ghiaccio si socchiudevano come se stesse condividendo un qualche oscuro segreto mentre la luce del fuoco creava ombre guizzanti sul suo caro viso segnato dal tempo. Era una notte proprio come questa qui, ragazzo. Quando tutto sembrava pacifico e a posto. Ma qualsiasi stolto dovrebbe sapere che bisogna evitare di camminare da soli dopo il buio durante il periodo del raccolto. Poiché il velo tra il mondo dei vivi e quello dei morti si assottiglia... e si divide... e... «Zitta, nonna» bisbigliai. Ma una brezza gelida mi accarezzò il collo e mi fece venire la pelle d'oca. Mi 8
infilai le mani nelle tasche, incurvai le spalle e accelerai il passo. Qualcosa si mosse lungo il ciglio della strada e la testa mi scattò verso destra. «Solo il vento» dissi e poi cominciai a fischiettare. Qualsiasi stolto dovrebbe sapere che... Tu sei uno stolto, Donovan O'Roark? Mi riscossi e camminai ancora più veloce. C'erano degli occhi su di me... qualcuno che mi osservava dalla pungente notte nera. O forse qualcosa. Un lupo o anche solo un gufo. Mi dissi che non era niente, che non avevo ragione alcuna di temere, ma il respiro cominciò a farsi difficoltoso e il cuore a battermi troppo in fretta. Poi venne la vertigine. Il terreno si increspò e sprofondò davanti a me, benché sapessi che in realtà non si era mosso affatto. Barcollai di lato e sarei caduto nelle erbacce lungo il bordo del sentiero, se non fossi riuscito ad appoggiare la mano contro un albero vicino; il palmo aperto sul tronco caldo e morbido, la testa che mi ciondolava in avanti, mi sforzai di riprendere fiato, di mantenermi cosciente. L'albero parlò. «Ahimè, ragazzo, pensavo di aspettare... ma vedo che dev'essere fatto stanotte.» Alzai la testa di scatto, poi ritirai la mano, non da un albero, ma da un uomo. Tuttavia... non proprio un uomo. I suoi occhi scuri turbinavano del nero senza fine della notte stessa, e i suoi capelli erano neri come fuliggine, con riflessi blu dove li illuminava la luce della luna; le sue labbra, rosso ciliegia e piene. Fu il pallore della sua pelle a turbarmi. Non somiglia9
va a quella di un malato o di un morto, ma era chiara, bella, come se lui fosse una raffinata opera d'arte scolpita nel pallido marmo. Come se fosse parte della luce lunare stessa. Feci un passo indietro e le foglie scricchiolarono sotto i miei piedi, la brezza prese a stuzzicarmi i capelli. Il vento si fece tutt'a un tratto più violento... quasi sapesse che qualcosa di tremendo stava per avere luogo in quella notte d'autunno... ... il velo tra il mondo dei vivi e quello dei morti si assottiglia... si divide... Arretrai più in fretta. La creatura si limitò a scrollare il capo. «Non provare a scappare. Non ti gioverà a niente.» «Chi sei?» riuscii a chiedere. «Che cosa vuoi da me?» Il suo sorriso fu triste, amaro. «Molte cose, Donovan. Molte cose. Ma per adesso... soltanto una.» Si protese verso di me, tuttavia non vidi le sue mani muoversi. Semplicemente un momento erano lì davanti a lui, muovendosi espressive mentre parlava, e l'istante dopo stringevano il davanti della mia camicia tessuta in casa. Lottai contro di lui, ma mi attirò a sé con facilità, vincendo ogni mia resistenza. Non sono un uomo piccolo, né ero debole, nonostante la recente malattia. Ero di tutta la testa più alto di mio papà, e di una metà rispetto a ogni altro uomo del nostro villaggio. Avevo le spalle ampie e ben sviluppate da una vita di duro lavoro. Non avevo mai incontrato un uomo che non fossi certo di riuscire a battere, se si fosse presentata la necessità. Eppure quello lì, quella cosa, mi trascinò verso di 10
sé come se fossi un bimbetto. Più vicino, inesorabilmente più vicino, anche se mi dibattevo come un forsennato per la mia libertà. Si chinò su di me. La paura mi attanagliò il cuore, tanto che quasi smise di battere. Il dolore mi attraversò il petto scendendo lungo il braccio sinistro, e non riuscii più a inspirare aria nei polmoni. Poi sentii la sua bocca sul mio collo... le labbra che si schiudevano, e il dolore sconvolgente quando i suoi denti affondarono nella pelle della gola, trafiggendomi. Dolore che svanì quasi altrettanto in fretta di com'era comparso. E quando svanì, svanì ogni altra cosa attorno a me, dal melodioso canto dei grilli all'odore delle foglie marcescenti. Non sentii più la gelida aria autunnale. Ci furono solo tre cose di cui rimasi consapevole, tre cose che riempivano tutti i miei sensi. Buio. Silenzio. E la sensazione della sua bocca sulla mia gola, che prosciugava da me la mia stessa vita. Poi perfino quelle cose scomparvero. «Donovan! Donny, ragazzo, svegliati! Svegliati!» Qualcuno mi scrollò per le spalle. La voce di papà mi risuonò nelle orecchie stridula, piena di panico, di paura. Poi avvertii un sapore nella mia bocca, salato e ricco. Mi asciugai le labbra col dorso della mano, mentre tentavo di aprire gli occhi. Quando mi guardai la mano, vidi il sangue che scintillava alla luce della luna. Che cos'avevo fatto? Che...? Papà mi raccolse tra le sue vecchie braccia che non avrebbero dovuto avere la forza di sollevarmi. E bar11
collando sotto il mio peso, mi portò verso il villaggio, gridando aiuto. Ci vollero solo pochi istanti prima che arrivassero gli altri, i miei vicini, i miei amici: Alicia coi suoi fluenti riccioli ramati e gli occhi da gatta, verdi come la terra d'Irlanda, la ragazza di cui sognavo la notte; mamma e le mie sorelle. Il mio corpo venne sballottato quando uomini del vicinato sollevarono papà del fardello, e mi trasportarono prontamente dentro casa. Mi deposero su un pagliericcio, mentre mamma urlava domande. Ma nessuno poteva risponderle. Nessuno sapeva ciò che mi era capitato là fuori sul sentiero, quella notte. Soltanto io e un'unica altra anima. Un mostro, una creatura d'incubo e dei racconti di Nonna. Nonna. Nonna avrebbe saputo che cos'era successo, che cosa significava. Ascoltai in cerca della sua voce in mezzo alle altre, ma passò un pezzo prima che la udissi. E il suo tono cupo non riuscì affatto a rassicurarmi. «È opera del male» bisbigliò. «Questa è la Vigilia di Ognissanti. Stolto di un ragazzo, fuori a camminare da solo, stanotte tra tutte le notti dell'anno!» Mamma la zittì spazientita, ma vidi come si irrigidì alle parole di nonna. Afferrò una lanterna e scostò gli uomini a gomitate per chinarsi su di me e verificare di persona. Poi ansimò e si ritrasse lievemente, mentre i suoi occhi amorevoli si dilatavano. «Signore di misericordia, c'è sangue sulle sue labbra.» «Già» disse papà. «Ma che cosa vuol dire?» Mia madre non disse niente. Con delicatezza, le sue mani mi scostarono la camicia mentre cercava 12
delle ferite. Mi costrinsi a tenere gli occhi aperti, anche se il sonno... Oppure quella era la morte? ... mi chiamava, mi attirava sempre di più proprio come aveva fatto lo straniero. Non riuscii a lottare molto oltre. Mamma mi guardò, la paura che si faceva più evidente nei suoi occhi, anche se capivo che lei tentava di tenermela nascosta. «Starai benone, ragazzo mio. Provvederò io. Starai...» Mentre parlava, mi scostò i capelli. Erano lunghi. Mi ricadevano ben al di sotto delle spalle, folti e del castano più scuro. Lei sollevò i riccioli pesanti e i suoi occhi mutarono. Come se la luce del suo amore si affievolisse... riducendosi a un fioco bagliore. Lei afferrò un panno, mormorando una preghiera nell'antica lingua mentre mi puliva via il sangue dalla gola con una mano e sollevava più in alto la lampada con l'altra. E poi urlò. «Diavolo! Prole del demonio! Portate i bambini fuori da questa casa, questo è il marchio di Satana!» Sentii i miei occhi spalancarsi mentre il suo viso passava dall'amore all'odio. Alzai una mano verso di lei, ma arretrò. «Mamma, che cos'hai che non va? Sono io, tuo figlio, Donovan...» Lei scosse la testa, gli occhi fissi sul punto della mia gola dove quella creatura aveva banchettato, e continuò a indietreggiare. «Muori, Lucifero» sibilò, a me, suo figlio, il suo primogenito. E io non riuscii a credere che l'avesse detto, non potevo credere all'o13
dio nei suoi occhi. «Tu non sei mio figlio, né sei degno di essere lì nel suo povero corpo. Muori, o giuro che ti ucciderò io stessa.» Avevo lottato per resistere. Ma le sue parole, lo sconvolgimento che mi procurarono, erano tutto quel che serviva per annientare la mia tenue presa sulla vita. E sprofondai nelle tenebre, nella morte. Stavolta l'oscurità durò più a lungo, anche se non mi resi conto del passare del tempo. Sentivo solo di essere pulito quando cominciai un'altra volta a risalire in superficie, verso la vita. Il mio corpo, i miei abiti... erano freschi. Profumavano di erica e caprifoglio. E non erano fatti del ruvido, pruriginoso tessuto che portavo tutti i giorni. Mamma mi aveva vestito con un bel completo che lei stessa aveva cucito per me, e che mi permetteva di indossare solo nelle occasioni più importanti. Udii voci, annusai il familiare odore di candele di sego e lampade a olio. E di fiori. Tanti fiori. Qualcuno suonava un violino, strofinando l'archetto sulle corde in un lento gemito. Udii il tintinnio di bicchieri che venivano accostati e sentii aroma di buona birra e cibo. Lentamente, riuscii ad aprire i miei occhi. Non avrei dovuto farlo poiché scoprii di giacere in una bara. Fatta in casa, con ogni probabilità dalla mano stessa di papà. La cassa era stata posata sopra un tavolo alla taverna O'Connor. Le donne vi passavano davanti, a testa bassa, le guance umide di lacrime. Gli uomini stavano fermi, a bere birra da boccali di latta. Sean Ryan era in un angolo col suo violino infilato sotto il mento e suonava a occhi chiusi. 14
Alicia, la ragazza che avevo baciato spesso quando suo padre non la stava tenendo d'occhio, sedeva da sola su una sedia, fissando dritto davanti a sé, ma senza vedere nulla. Padre Murphy stava ritto in piedi, proprio accanto alla bara e mi voltava la schiena, il libro di preghiere aperto in mano; schiarendosi la gola fece sì che tutti guardassero dalla sua parte. «Donovan O'Roark era un brav'uomo, ma il male l'ha abbattuto nel fiore della sua giovinezza...» Misericordia divina, mi stavano facendo il funerale! «No, Padre» gridai con quanto fiato riuscii a racimolare. «Sono vivo... papà, mamma, sono...» A fatica mi sollevai a sedere. Qualcuno strillò, e poi nella stanza calò un silenzio mortale. Padre Murphy mi fronteggiò, bianco come uno spettro, gli occhi spalancati mentre si faceva il segno della croce. Alicia balzò in piedi e urlò: «Uccidetelo! Uccidete quella cosa prima che ci distrugga tutti!». «No!» gridai io. «Io non sono malvagio! Sono io, Donovan O'Roark... nessuno vuole ascoltarmi...?» «Portate fuori le donne e i bambini» urlò Padre Murphy, e per la prima volta pensai che suonava come un possente profeta dei tempi antichi. La sua voce quasi scosse le pareti. O forse era il mio udito che era alterato, poiché, in effetti, a me sembrava che ogni voce fosse più netta, più distinta. E il violino... Non c'era tempo di indugiare su quello, perché il mio migliore amico Sean e alcuni degli altri uomini più giovani cominciarono a spingere le donne fuori dalla taverna. 15
Mamma restò indietro, guardando me, poi mio padre. «Sai che cosa dev'essere fatto.» Lui annuì e allora mia madre corse fuori dalla sala. Io mi puntellai con le mani sui lati della cassa, pronto a saltar fuori, pensando come tutti avrebbero riso una volta che si fossero resi conto di quanto si stessero comportando da stupidi, e... Ma papà mi spinse di nuovo giù. Con violenza. Mai mi aveva trattato in modo così rude. Battei le palpebre sconvolto. Poi mi raggelai – alla lettera sentii il ghiaccio insinuarsi nelle mie vene – quando vidi Padre Murphy prendere un piolo di legno da qualche parte lì vicino, mormorando: «La tua vita è stata onesta, O'Roark. È un bene che fossimo preparati per questo». Mi premette la punta del paletto sul torace, e papà, proprio il mio amatissimo papà, gli porse il mazzuolo. Da fuori potei udire mia madre singhiozzare sottovoce e la ragazza che intendevo un giorno sposare che urlava: «Uccidetelo! Uccidetelo adesso!». Padre Murphy sollevò il mazzuolo. Non so da dove venne la forza o meglio non lo sapevo allora. Suppongo di averla attribuita al panico o al terrore, piuttosto che a qualcosa di soprannaturale. Ma quando spinsi contro le mani che mi trattenevano, le mani di mio padre, avvertii scarsa resistenza. Balzai da quella bara con l'impeto di un'onda e atterrai sui miei piedi al di là dei due uomini: il mio fidato confessore e colui che mi aveva generato. I miei aspiranti carnefici. «Papà, come puoi fare questo? Che cos'ho fatto per meritare...» 16
«Lui non è tuo figlio» mi interruppe Padre Murphy. «È il male, lo stesso male che ha portato via tuo figlio. Non dargli retta.» «Ma io sono tuo figlio! Papà, guardami!» Lui si voltò dall'altra parte. «Sta' lontano da me, Satana.» «Papà, sono io, il tuo primogenito...» Lui mi fronteggiò di nuovo, gli occhi iniettati di sangue. Strappando paletto e mazzuolo dalle mani del prete, mio padre mi si avventò contro, e all'improvviso nella mia mente non vi fu dubbio alcuno che intendesse ammazzarmi. Girai su me stesso e scappai. Fuori dalla porta principale, l'unica porta, e proprio nel bel mezzo di quella folla di gente in lutto che si era detta mia amica. La mia famiglia. La mia donna. «Prendetelo!» gridò qualcuno. «Non deve sfuggirci!» E io scappai. Spingendoli da parte con facilità, corsi, più veloce di quanto avessi mai saputo di poter correre. Li udii mentre mi inseguivano. Qualcuno aveva preso dei cani, altri erano montati a cavallo. Vidi il guizzare gialloarancio delle torce avvicinarsi mentre io correvo per salvarmi la vita. E loro continuavano a starmi dietro. Qualcuno mi strattonò dentro i cespugli a lato del sentiero. Sollevai gli occhi e quando vidi la creatura che mi aveva attirato addosso tutto questo, aprii la bocca per maledire la sua stessa esistenza. Lui la coprì con facilità, immobilizzandomi e trascinandomi al coperto nel folto della verzura. Un secondo più tardi la folla inferocita passò sbraitando e maledicendomi, 17
promettendo di distruggermi nei modi più orribili immaginabili. Chiamandomi Satana. La creatura che mi aveva catturato non ebbe più bisogno di tenermi fermo perché non avevo nessuna voglia di muovermi. Mi rilassai sul terreno, chinando la testa mentre le lacrime mi bruciavano gli occhi. Gli inseguitori si erano allontanati. Il mio assassino rimaneva, ma non me ne importava più. «Uccidimi se vuoi. Non ho ragione di desiderare di vivere.» «Hai frainteso tutto, Donovan» mi disse lui e, afferrandomi per le braccia, mi tirò in piedi. Mani forti, che mi stringevano con forza, ma non provai nessun dolore. «Stavi già morendo. La debolezza, la vertigine, gli svenimenti.» Alzai gli occhi di scatto. «Oh, sì, sono stato a osservarti. Saresti morto entro pochi giorni. Ma tu... tu non volevi la morte.» Chinò la testa, la scrollò. «Di rado mi sono imbattuto in un uomo così vivo e innamorato della vita come te, amico mio.» Mi accigliai, scossi la testa. «Allora perché hai cercato di uccidermi?» «Non stavo cercando di ucciderti, Donovan. Ti stavo dando la vita. Non morirai mai, adesso. Non puoi.» «Io... non posso...?» «Ecco, ci sono dei modi, ma... ascoltami. Ti ho prosciugato fino in punto di morte. E poi ti ho nutrito dalle mie stesse vene e ti ho riempito di nuovo. È così che il dono oscuro viene trasmesso.» «Dono oscuro. Non capi...» «L'immortalità.» 18
Rimasi lì, battendo le ciglia e fissando confuso quell'uomo. La sua testa scura si stagliava contro la luna, tra i rami spogli e adunchi degli alberi addormentati. Un gruppo di zucche dietro la sua schiena. Un gufo che cantava la mia morte in lontananza. E penso di aver intuito allora, finalmente, ciò che lui stava per dire. «Il mio nome è Dante e sono un vampiro.» Trasalii, ma lui mi afferrò la mano e la strinse con fermezza. «Il tuo nome è Donovan» mi disse, paziente come se fosse un insegnante che istruiva uno studente tardo. «E da stanotte, sei un vampiro anche tu.»
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