AMANDA STEVENS
The Restorer
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: The Restorer Mira Books © 2011 Marilyn Medlock Amann Traduzione di Barbara Piccioli Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione HM giugno 2012 Seconda edizione Bluenocturne marzo 2013 Questo volume è stato stampato nel febbraio 2013 da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd) BLUENOCTURNE ISSN 2035 - 486X Periodico mensile n. 82 del 29/03/2013 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 118 del 16/03/2009 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano
1 Avevo nove anni quando vidi il mio primo fantasma. Mio padre e io stavamo rastrellando le foglie nel cimitero dove lavorava come custode da anni. L'autunno era cominciato da poco, non faceva ancora abbastanza freddo per indossare un maglione, ma quel pomeriggio l'aria era frizzante mentre il sole calava all'orizzonte. Una brezza leggera portava con sé l'odore del fumo di legna e degli aghi di pino, e quando il vento aumentò di intensità, uno stormo di uccelli neri si levò in volo dalla cima degli alberi per solcare come una nube tempestosa il cielo di un azzurro pallido. Mi schermai gli occhi con la mano per osservarli e quando alla fine abbassai lo sguardo, lo vidi in lontananza. Era in piedi sotto i rami curvi di una quercia del sud, e la baluginante luce verde-oro del muschio spagnolo proiettava un alone quasi soprannaturale nello spazio intorno a lui. Era in ombra, tuttavia, così che per un istante mi chiesi se non fosse solo un miraggio. Con lo sbiadire della luce, i suoi contorni si fecero più definiti, fino al punto che potei distinguere i tratti del viso. Era vecchio, perfino più di mio padre, con capelli bianchi che gli sfioravano il collo della giacca e occhi che sembravano ardere di una fiamma interiore. Chino sul rastrello con cui stava ripulendo le lapidi, mio padre sibilò fra i denti: «Non guardarlo». Mi voltai verso di lui, sorpresa. «Lo vedi anche tu?» 5
«Certo che lo vedo. Ora rimettiti a lavorare.» «Ma chi è...» «Ti ho detto di non guardarlo!» L'asprezza del suo tono mi colpì. Potevo contare sulle dita di una mano le volte che aveva alzato la voce con me. Che lo facesse ora, senza alcuna provocazione da parte mia, mi fece salire all'istante le lacrime agli occhi. La sola cosa che non ho mai potuto sopportare è la disapprovazione di mio padre. «Amelia.» C'era una nota di rammarico nel suo tono e qualcosa nei suoi occhi azzurri che in seguito sarei arrivata a identificare come compassione. «Scusa se ho parlato in modo brusco, ma è importante che tu faccia come ti dico. Non devi guardarlo» aggiunse addolcendo la voce. «Non devi guardare nessuno di loro.» «È un...» «Sì.» Qualcosa di gelido mi percorse la schiena e tutto quello che potei fare fu tenere gli occhi fissi a terra. «Papi» bisbigliai. Lo avevo sempre chiamato così. Non so perché avessi adottato un appellativo tanto infantile, ma gli si adattava. Mi era sempre sembrato molto anziano, anche se non aveva ancora toccato i cinquanta. Fin da quando potevo ricordare, il suo viso era sempre stato segnato e avvizzito, come il fango pieno di crepe di un letto asciutto di fiume, e anni passati curvo sulle tombe gli avevano ingobbito le spalle. E nondimeno, a dispetto della postura, c'era una dignità infinita nel suo atteggiamento e un'infinita dolcezza nei suoi occhi e nel sorriso. A nove anni, lo amavo con tutta me stessa. Lui e la mamma erano tutto il mio mondo. O lo erano stati, fino a quel momento. Colsi un mutamento nella sua espressione, poi lo vidi chiudere gli occhi in un gesto rassegnato. Posò a terra i 6
rastrelli e mi posò una mano sulla spalla. «Facciamo una pausa» disse. Ci sedemmo per terra, dando le spalle al fantasma, a contemplare il crepuscolo strisciare verso di noi dalla direzione del Lowcountry. Benché la luce morente fosse ancora tiepida sul mio viso, non riuscivo a smettere di tremare. «Chi è?» sussurrai alla fine, incapace di tollerare ancora il silenzio. «Non lo so.» «Perché non vuoi guardarlo, allora?» Mi venne da pensare che avevo più paura di quello che papà mi avrebbe risposto che dello stesso spettro. «Lui non deve sapere che puoi vederlo.» «Perché no?» Quando non rispose, raccolsi un rametto e lo usai per trapassare una foglia morta, che cominciai a far roteare tra le dita come una girandola. «Perché no, papi?» «Perché quello che i morti desiderano più di ogni altra cosa è fare di nuovo parte del nostro mondo. Sono come parassiti, che ci succhiano le energie, si nutrono del nostro calore. Se capiscono che puoi vederli, ti si attaccano come un cancro. Non riuscirai più a liberartene. E la tua vita smetterà di appartenerti.» Non so se compresi del tutto le sue parole, ma la prospettiva di venire posseduta per sempre mi terrorizzò. «Non tutti riescono a vederli» continuò lui. «Per quelli fra noi che ne hanno la facoltà, esistono certe precauzioni da adottare per proteggere noi stessi e chi ci sta vicino. La prima e più importante è questa: mai ammettere la loro presenza. Non guardarli, non rivolgere loro la parola, non permettere che intuiscano la tua paura. Neppure quando ti toccano.» Un brivido mi attraversò. «Toccarti...?» «A volte lo fanno.» «E te ne accorgi?» 7
Lui respirò a fondo. «Sì. Te ne accorgi.» Gettai via il bastoncino e mi tirai le ginocchia al petto, allacciandole con le braccia. Non so perché, ma perfino così piccola, riuscii a mantenermi esteriormente calma, sebbene fossi come intorpidita dal terrore. «La seconda cosa da ricordare» riprese mio padre, «è non allontanarsi mai troppo dal terreno consacrato.» «Cosa vuol dire consacrato?» «Il settore vecchio di questo cimitero è terreno consacrato. E ci sono altri posti dove si è al sicuro. Posti nella natura. Dopo un po', sarà l'istinto a farteli riconoscere. Saprai dove e quando cercarli.» Mi sforzai di assimilare quelle sconcertanti informazioni, ma in realtà mi era impossibile afferrare il concetto di terreno consacrato, anche se avevo sempre saputo che la parte vecchia del camposanto era in qualche modo speciale. Annidato contro il fianco della collina e protetto dai rami protesi delle querce meridionali, Rosehill era bello e ombroso, il luogo più sereno che conoscessi. Per anni era rimasto chiuso al pubblico e a volte, quando mi avventuravo da sola – e spesso sentendomi sola – attraverso i letti di felci lussureggianti e le lunghe cortine di muschio argenteo, fingevo che gli angeli sgretolati fossero ninfe dei boschi e fate e io la loro signora, regina del mio reame di tombe. La voce di mio padre mi riportò al mondo reale. «Regola numero tre» disse. «Stai alla larga da chi è accompagnato dai fantasmi. Se ti individuano, allontanati, perché sono una minaccia terribile e non ci si può fidare di loro.» «Ci sono altre regole?» domandai, soltanto perché non sapevo che altro dire. «Sì, ma ne parleremo in seguito. Si sta facendo tardi. Faremmo meglio a tornare a casa, prima che tua madre cominci a preoccuparsi.» 8
«Lei può vederli?» «No. E non devi dirle che tu invece ci riesci.» «Perché no?» «Lei non crede negli spettri. Penserebbe che ti immagini le cose. O che racconti bugie.» «Non mentirei mai alla mamma!» «Lo so. Ma questo dev'essere il nostro segreto. Quando sarai più grande, capirai. Per il momento, fai il possibile per rispettare le regole e andrà tutto bene. Credi di farcela?» «Sì, papi.» Ma perfino mentre promettevo, tutto quello che riuscii a fare fu evitare di voltarmi a guardare. Il vento si fece più sostenuto e il freddo che sentivo dentro si intensificò. In qualche modo, evitai di girarmi, ma sapevo che lo spettro si era fatto più vicino. Lo sapeva anche mio padre. Percepii la sua tensione mentre sussurrava: «Ora basta parlare. Solo, ricorda quello che ti ho detto». «Va bene, papi.» Sentii il respiro lieve e gelido del fantasma sulla nuca e iniziai a tremare. Non potevo trattenermi. «Freddo?» fece mio padre, nel suo normale tono di voce. «Be', si sta avvicinando quel periodo dell'anno. L'estate non può durare per sempre.» Non risposi. Non ce la facevo. Le mani dello spettro erano sui miei capelli. Sollevò le ciocche bionde, ancora tiepide, e vi passò le dita. Papà si alzò, trascinandomi con sé. L'essere si allontanò un momento, poi tornò a fluttuarmi vicino. «Meglio che andiamo a casa. Stasera tua madre prepara i gamberetti.» Raccolse i rastrelli e se li mise in spalla. «Con il mais macinato?» chiesi, la voce poco più di un bisbiglio. «Credo di sì. Vieni, tagliamo per il vecchio cimitero. Voglio mostrarti il lavoro che ho fatto in alcune tombe. So quanto ami gli angeli.» 9
Mi prese per mano, stringendola per rassicurarmi mentre attraversavamo il camposanto, lo spettro alle calcagna. Quando raggiungemmo il vecchio settore, mio padre aveva già estratto di tasca la chiave. La infilò nella serratura e il massiccio cancello di ferro girò silenzioso sui cardini bene oliati. Entrammo in quella sorta di ombroso santuario e di colpo la paura passò. Incoraggiata, finsi di inciampare e quando mi chinai ad allacciarmi le scarpe, ne approfittai per lanciare un'occhiata in direzione del cancello. Il fantasma indugiava appena fuori di esso. Era evidentemente impossibilitato a entrare e io non potei trattenere un sorrisetto compiaciuto. Quando mi raddrizzai, mio padre mi guardò con durezza. «Regola numero quattro» disse. «Mai, mai sfidare il destino.» Quel ricordo infantile svanì quando arrivò la cameriera con la prima portata – zuppa di pomodori verdi che, mi era stato detto, era una specialità della casa – come la torta di noci di pecan che contavo di ordinare per dessert. Sei mesi prima, mi ero trasferita da Columbia a Charleston, che ormai era diventata casa mia, ma fino a quel giorno non ero entrata in nessuno degli eleganti ristoranti che si allineavano sul lungofiume. Il mio budget di norma non prevedeva cene costose, ma quella era una serata speciale. Mentre la cameriera apriva la bottiglia di champagne, ne intercettai l'occhiata incuriosita, ma non permisi alla cosa di infastidirmi. Il fatto di essere sola non era un motivo valido per rinunciare a festeggiare. Poco prima, avevo fatto una tranquilla passeggiata lungo la Battery, fermandomi sulla punta estrema della penisola per godermi il tramonto. Alle mie spalle, la città era inondata di luce cremisi; davanti a me, il cielo scre10
ziato mutava di continuo, in un caleidoscopio di rosa, lavanda e oro. Un tramonto della Carolina non mancava mai di commuovermi, ma con l'avvicinarsi della sera tutto era diventato grigio. Dal mare saliva una nebbiolina leggera che aleggiava sulle chiome degli alberi come un baldacchino d'argento. Mentre la osservavo dal mio tavolo vicino alla finestra, sentii l'euforia svanire. Quella del crepuscolo è un'ora pericolosa per le persone come me. Un tempo di mezzo, proprio come lo sono la costa e il limitare di una foresta. I celti avevano un nome per quei paesaggi – caol áit. Luoghi sottili dove la barriera fra il nostro mondo e l'altro non è che un velo impalpabile. Distolsi gli occhi dalla finestra e sorseggiai lo champagne, decisa a non permettere all'invadente mondo degli spiriti di rovinare i festeggiamenti. In fondo, non tutti i giorni mi capitava un colpo di fortuna, e senza quasi aver alzato un dito. Il mio lavoro di solito consiste in lunghe ore di fatica manuale in cambio di uno stipendio modesto. Sono una restauratrice di cimiteri. Viaggio per tutto il sud, ripulendo camposanti abbandonati e dimenticati e restaurando lapidi infrante e consunte dal tempo. È un'attività meticolosa, a volte estremamente faticosa, e per restaurare un cimitero molto grande possono volerci anni, così che non esiste nulla di assimilabile a una gratificazione immediata. Ma amo quello che faccio. Noi del sud adoriamo i nostri antenati e mi riempie di soddisfazione permettere a chi vive ora di conoscere e apprezzare di più coloro che ci hanno preceduti. Nel tempo libero, gestisco un blog chiamato Scavare Tombe, nel quale i tafofili – individui che amano i cimiteri – e altre persone con interessi analoghi possono scambiare fotografie, tecniche di restauro e, sì, di tanto in tanto anche storie di fantasmi. Ho creato il blog per hobby, ma nel corso degli ultimi mesi il numero dei suoi 11
frequentatori è letteralmente esploso. È cominciato tutto con il restauro di un vecchio cimitero nella cittadina di Samara, nel nord-est della Georgia. La tomba più recente aveva più di un secolo e alcune delle prime erano anteriori alla Guerra civile. Il camposanto era in uno stato di completo abbandono, dato che la società storica locale era rimasta a corto di fondi negli anni Sessanta. Le tombe, ormai sprofondate nel terreno, erano invase dalle erbacce, le lapidi quasi completamente levigate dall'erosione del tempo e degli agenti atmosferici. Anche i vandali si erano accaniti, così che la mia prima iniziativa fu di raccogliere e smaltire quasi quarant'anni di rifiuti. Da anni si vociferava che il cimitero fosse infestato e alcuni in città si rifiutavano di varcarne il cancello. Non era stato facile trovare e conservare assistenti validi, anche se sapevo con certezza che nel camposanto di Samara non c'erano fantasmi. Avevo finito per sbrigare io stessa gran parte del lavoro, ma una volta terminate le operazioni di pulizia, l'atteggiamento dei locali era drasticamente mutato. Dissero che era come se una nube scura che aleggiava sulla città fosse scomparsa di colpo e alcuni si spinsero fino ad affermare che il restauro aveva avuto una valenza sia fisica sia spirituale. Un reporter e la troupe televisiva di un'emittente di Athens vennero a intervistarmi, e quando il servizio comparve in rete qualcuno notò sullo sfondo un riflesso che aveva una vaga forma umana. Sembrava fluttuare al di sopra del camposanto e salire verso l'alto. Non c'era nulla di paranormale nel fenomeno, un semplice gioco di luce, ma dozzine di siti che si occupavano di manifestazioni paranormali lo pubblicarono e il video su YouTube divenne virale. Era stato allora che gente da ogni parte del mondo aveva cominciato a frequentare Scavare Tombe, dove io ero nota come la Si12
gnora dei Cimiteri. La popolarità del sito era diventata tale che i produttori di una trasmissione sui cacciatori di fantasmi avevano avanzato un'offerta per farsi pubblicità nel mio sito. E quella era la ragione per cui mi trovavo lÏ, a bere champagne e a gustare una terrina ai funghi selvatici nell'elegantissimo ristorante Pavilion on the Bay. Di questi tempi la vita è generosa con me, pensai con una punta di compiacimento, e allora vidi lo spettro. Peggio ancora, lui vide me.
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