MAGGIE SHAYNE
Il sangue della strega
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Blood Of The Sorceress Mira Books © 2013 Margaret Benson Traduzione di Gigliola Foglia Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Bluenocturne luglio 2013 Questo volume è stato stampato nel giugno 2013 da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd) BLUENOCTURNE ISSN 2035 - 486X Periodico mensile n. 88 del 26/07/2013 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 118 del 16/03/2009 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Trentacoste, 7 - 20134 Milano Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano
Prologo 2 febbraio, Imbolc Lilia non era un angelo. Lilia era una strega. Anche se al momento era sospesa tra i mondi a vegliare sul suo amato, in attesa del tempo giusto per manifestarsi come una donna dai capelli biondo platino e dagli occhi azzurri e di salvargli la vita, era pur sempre una strega. Lo era da tremilacinquecento anni. Lo sarebbe stata finchÊ la sua anima fosse esistita. Osservò rapita il suo bellissimo Demetrius materializzarsi di colpo, pienamente formato, pienamente adulto, completamente nudo. Il Portale, l'apertura tra le dimensioni attraverso la quale era evaso dalla sua prigione negli Inferi, si trovava in una caverna dietro una cascata. Lui arrivò nel mondo fisico in un divampare di luce, e si accovacciò sulle pietre vicino a quella cascata. Era bellissimo. Lilia si protese per toccarlo. Ma non poteva. Non ancora. Era uguale a come lo ricordava. Il suo corpo era stato ricostituito esattamente com'era quando l'anima gli era stata strappata dal corpo appena prima della morte, in una perversione innaturale dell'ordine delle cose. Quando fosse tornata sulla terra per riunirsi a lui, Lilia non avrebbe riavuto lo stesso corpo. Il suo si era sfracellato sul terreno roccioso quando era precipitata dalla rupe, prima che la sua anima 5
volasse libera. Lei si sarebbe manifestata in una nuova forma, quando il tempo fosse giunto. L'aveva scorta in una visione, ed era così diversa dal suo antico corpo da sconvolgerla. Oh, ma guardalo. Demetrius si stava alzando, guardandosi attorno e battendo le palpebre, confuso. Era passato così tanto tempo! Il cuore le si torse nel petto, con un misto di gioia per essere arrivata così avanti, così vicina al successo, e di dolore perché lui era ancora fuori portata. Non lo vedeva da quella sanguinosa alba del 1501 avanti Cristo a Babilonia, quando lui aveva assassinato il re per difendere la donna che amava, schiava nell'harem. Quella donna era lei, Lilia. Quando gli alloggi che divideva con le due sorelle erano stati perquisiti e le guardie avevano trovato gli strumenti con cui praticavano la magia benché fosse assolutamente proibito, loro tre erano state condannate a essere sacrificate a Marduk, il dio principale del pantheon babilonese. Demetrius a quel tempo era il braccio destro del re. Lilia non avrebbe mai dovuto innamorarsi di lui. Il prezzo era stato terribilmente alto. Ma l'aveva amato. Lo amava ancora. Anche il Sommo Sacerdote Sindar era innamorato – del re, aveva sempre sospettato Lilia – e quindi la sua collera era stata ancora più aspra. Aveva usato la propria magia, magia nera, per spogliare Demetrius dell'anima e condannarlo a un'esistenza informe e priva di percezioni negli Inferi... subito dopo aver fatto gettare Lilia e le sue sorelle da un dirupo, sulle insanguinate rocce sottostanti. Ma non aveva tenuto conto del potere delle tre Figlie di Ishtar, che si erano rifiutate di attraversare il Velo finché non avevano tolto dalle mani del perverso sacerdote l'anima rubata a Demetrius, dividendola tra loro per tenerla al sicuro. Indira e Magdalena si erano reincarnate una vita dopo l'altra finché non era giunta l'occasione di raddrizzare quell'antico torto, mentre Lilia era rimasta nel limbo, ti6
rando i loro fili come se fossero marionette, risvegliando i loro ricordi, costringendole a tenere fede al voto di riparare al crudele torto subito dal suo amato. L'appena rinato Demetrius si sollevò dal terreno gelido come ghiaccio e piano piano si alzò in piedi. Lilia vide scintillare alla luce della luna l'amuleto che indossava. Mentre stava lì ritto, altri due strumenti magici si materializzarono dal nulla e caddero tintinnando rumorosamente sul terreno roccioso. A quel suono lui sobbalzò, poi si avvicinò, raccogliendo il calice d'argento, rigirandolo lentamente ed esaminando le pietre semipreziose incastonate nell'orlo. Poi prese il pugnale, osservandolo con pari attenzione. Lilia si domandò cosa provasse. Riconosceva quegli strumenti? Aveva idea del potere che gli avrebbero dato? Avevano contenuto parti della sua anima per un certo tempo, e dunque lui doveva avvertire un legame con essi... Indira aveva restituito a Demetrius il primo pezzo della sua anima insieme all'amuleto all'interno del quale era custodito, e così l'aveva liberato. Aveva aperto il Portale, permettendogli di evadere dalla sua prigione negli Inferi. Ma lui allora non aveva alcuna forma, e scarsa capacità di ragionare. Ora Magdalena aveva ripristinato un altro frammento, che le sorelle avevano nascosto dentro un calice e un pugnale, e i due strumenti, usati insieme, avevano permesso a Demetrius di materializzarsi fisicamente in quella grotta, vicino al Portale, nel freddo di una notte di febbraio. Era intirizzito e scosso, Lilia ne era sicura. Ma non del tutto confuso. Probabilmente era al corrente dell'esistenza del mondo in cui si era materializzato. Dopotutto si trovava lì, fluttuante come uno spettro, dallo scorso Samhain. Ormai conosceva il linguaggio, i modi di dire, gli usi. Ma non aveva saputo come oltrepassare il Velo. Malgrado i poteri che aveva portato con sé, aveva bisogno di cibo, riparo, vestiario. Per il momento, del resto, non sapeva nemmeno di averli, quei poteri. 7
Demetrius si guardò attorno, e mentre la neve cominciava a cadere, tutto l'essere di Lilia bramò di andare da lui. Di aiutarlo. Ma non poteva. Non ancora. Non avrebbe potuto farlo finché lui non avesse usato gli strumenti magici che gli erano stati concessi per richiamarla dal luogo che non era un luogo, dal tempo che non era un tempo. Prima doveva portarla nell'esistenza fisica, e poi avrebbe dovuto renderla umana, pienamente mortale. Era l'unico che potesse farlo. E quando si fosse reso conto di ciò che lei gli chiedeva, avrebbe potuto desiderare che lei sparisse di nuovo. Perché Lilia doveva convincerlo a rinunciare ai suoi poteri, alla sua apparente immortalità, e ad accettare da lei l'ultimo frammento dell'anima di cui era stato privato, così che potessero vivere insieme la vita che era stata loro negata tanti secoli prima. E non le era neppure concesso di dirgli che se avesse rifiutato sarebbero morti entrambi. Prima di ogni altra cosa, tuttavia, a Demetrius doveva essere permesso di vivere, di scoprire i propri poteri, di fare esperienza in quella nuova dimensione, così che sapesse a cosa stava rinunciando. Doveva desiderare di essere di nuovo umano... e volerlo abbastanza da preferirlo ai poteri soprannaturali che sarebbero svaniti comunque, anche se lui non lo sapeva. Non sarebbe stato uno scambio semplice. Ma in un modo o nell'altro quella maledizione doveva finire, e in un modo o nell'altro sarebbe finita. Freddo. Aveva tanto freddo. Non si era aspettato di provare quelle sensazioni, era stato così tanto tempo senza forma che l'idea stessa di percepire qualcosa gli era estranea. Da qualche parte in fondo alla sua mente Demetrius sapeva di essere stato umano, un tempo. Ma non lo ricordava. Era solo un vago frammento di consapevolezza che galleggiava nel suo subconscio e con il quale lui non avvertiva alcun legame. 8
Guardò la caverna alle proprie spalle, sapendo d'istinto che da quella parte si trovava il Portale, oltre esso gli Inferi che erano stati la sua prigione dacché aveva memoria. Non ricordava nel dettaglio quel luogo. Non come avrebbe ricordato quella notte, le sensazioni che gli percorrevano il corpo, le migliaia di informazioni che gli stuzzicavano i sensi, i sapori nell'aria, i profumi della foresta, i suoni di un infinito coro di uccelli... Tutto questo l'avrebbe ricordato vividamente. Di ciò che era accaduto prima rammentava solo un infinito, vasto, denso vuoto. Non c'era niente da ricordare tranne il nulla stesso. Niente sensazioni. Niente luce. nessun suono. Aveva provato rabbia, e odio, e il desiderio di liberarsi senza neppure sapere che cosa significasse la libertà. Era un vago concetto a cui aveva pensato semplicemente come il contrario del presente. Aveva conosciuto prigionia e impotenza, e bramato il contrario. Il tempo non aveva significato. L'emozione era inesistente. Per lui, a quell'epoca, il contatto non era neppure stato un concetto. Alla fine aveva scoperto di poter sbirciare, attraverso il Portale, il mondo che non poteva raggiungere. Poteva vedere attraverso gli occhi di alcune delle creature che vagavano nel mondo fisico, e a quel punto aveva cominciato a capire ciò che voleva. Libertà da quel mondo, accesso all'altro. Soltanto allora aveva affinato la concentrazione abbastanza da cominciare a progettare la fuga e a desiderare vendetta su qualsiasi forza senza nome l'avesse imprigionato in quel vuoto. Quando la sua essenza era stata liberata, era stata l'ira a guidarlo, e allora aveva scoperto il potere di influenzare le menti degli esseri umani. Aveva fatto cose che perfino in quel momento, appena nato in quel corpo, gli sembravano malvagie. La condizione dell'essere umano doveva avere una specie di intrinseca, preimpostata moralità, pensò, e le azioni che aveva commesso andavano contro di essa. Tuttavia all'epoca lui non era umano. Era... altro. Una creatura 9
controllata dal desiderio della libertà a ogni costo, e da una furia così antica che non ne ricordava più neppure la causa. Rabbrividì, stringendosi le braccia attorno al torace nudo, la lama caduta dal cielo ancora stretta in un pugno, il calice d'argento nell'altra mano, e cominciò a camminare lungo la discesa in cerca di calore. Quella era la prima cosa. Calore. Aveva così tanto freddo. Portò con sé gli strumenti perché erano arrivati lì insieme a lui. Gli appartenevano. E insieme all'amuleto erano i suoi unici beni terreni. Però era libero, pensò, mentre i piedi gli si intorpidivano a poco a poco. Era libero. Aveva un corpo. Poteva provare i piaceri che aveva visto sperimentare ad altri umani. Il calore era uno di quei piaceri, ma mentre camminava pensò anche agli altri. Al cibo, e a come emettevano suoni deliziati quando lo mangiavano. Alle risate. La loro capacità di ridere l'aveva affascinato ogni volta che l'aveva udito, perfino a distanza, ed era ansioso di capire che cosa suscitasse il riso e che cosa gli facesse provare. E il contatto. Il tocco di un altro essere umano, abbracciarsi, baciarsi. Il sesso. Il piacere carnale gli sembrava il fine ultimo dell'essere umani, e non vedeva l'ora di sperimentarne le delizie. Sarebbe stato bello. Meraviglioso. Non vedeva l'ora di cominciare. Trovò un viale che portava a una casa con delle luci accese, all'interno della quale percepì delle persone. Persone a cui aveva fatto torto di recente. No, non poteva fermarsi lì. Sapeva di dover andare oltre. Fu una lunga camminata, nudo come un verme, al freddo. Venti minuti dopo, finalmente arrivò a una casa vuota. Al suo interno non c'erano luci accese e non scorse alcun movimento. Ma c'era qualcosa d'altro, una palpabile sensazione che al momento fosse deserta. La porta non era chiusa a chiave, un colpo di fortuna per lui. Ancora meglio, dentro era caldo. Sarebbe stato al riparo dal freddo, pensò entrando. I piedi nudi gli affondarono nel tappeto che sapeva gli avrebbe dato una sensazione piace10
vole una volta che avessero recuperato la sensibilità. Salì direttamente al secondo piano, dove comò e armadi contenevano indumenti, e scelse tra di essi, chiedendosi se i jeans e le magliette fossero della misura del suo corpo, e rendendosi conto di non avere idea di quale aspetto avesse. Così andò nel bagno adiacente, e si trovò faccia a faccia con la propria immagine. Era alto, pensò. Aveva visto altri uomini, conosceva la loro taglia. Era anche robusto e solido. Torace e ventre erano increspati di muscoli. Aveva braccia massicce, possenti, grosse mani, cosce robuste. Studiò i propri lineamenti con un senso di meraviglia. Questo sono io, pensò. Questo è il mio corpo. La mia faccia... Si passò la mano sulla guancia ispida. Il viso era bruno, con un'ombra di baffi, e abbronzato dal sole, e lui si chiese come fosse possibile se il suo corpo era nuovo, appena creato. Poi alzò lo sguardo per incontrare i suoi stessi occhi nello specchio, e ne contemplò sbalordito l'intensità, la profondità. Erano di un marrone scurissimo, e rivelavano turbamento e sofferenza. Un dolore che riconosceva ma non ricordava. Guardare nei propri occhi per la prima volta fu un'esperienza sconvolgente. Era come se un totale sconosciuto lo stesse fissando... Di più, era come se stesse cercando qualcosa dentro di lui. Alla fine distolse lo sguardo dal proprio riflesso e si rese conto che lì vicino c'era un box doccia. Sapeva cos'era e come usarla, e non si preoccupò minimamente della possibilità che i padroni di casa tornassero prima che lui avesse finito. Aveva bisogno di scaldarsi. Infilando la mano nel vano doccia, regolò il getto d'acqua finché fu caldo quanto poteva sopportare, poi entrò e lasciò che il calore filtrasse nel suo nuovo corpo infreddolito. Era bello. Non piacevole quanto gli era sembrato vedendo altri sotto il getto, con la testa rovesciata indietro, gli occhi chiusi per il piacere. Ma era meglio che congelare, e lo stava riscaldando rapidamente. Restò lì finché l'acqua 11
cominciò a raffreddarsi, poi si asciugò e tornò in camera da letto per vestirsi con gli abiti di un altro uomo: jeans pesanti, una T-shirt con una camicia di flanella sopra, calzettoni di lana e un paio di scarpe da corsa che gli andavano quasi perfette. La fortuna lo assisteva. O il fato. Forse l'Universo pensava che lui avesse bisogno di una tregua, dopo ciò che aveva passato. Una volta vestito, scese in cucina, essendo il cibo la sua successiva priorità, e finì per divorare gli avanzi che trovò nel frigorifero. Mezzo pollo arrosto, una ciotola di budino al cioccolato, parte di una testa di lattuga che stava annerendo sui margini tagliati. Provò una cosa dopo l'altra, ma non provò il piacere che si aspettava dal cibo. Perché la gente faceva tante scene? A parte la consistenza, ogni cosa aveva quasi lo stesso sapore delle altre. Che delusione. Dopo il cibo, frugò ancora un po' per la casa, prendendo il denaro che trovò nella scatola dei biscotti – in tutto 85 dollari – e un biglietto dell'autobus che era fissato con una puntina a una lavagnetta di sughero in cucina. Era marcato Port Authority, New York, NY. Quando il suo amato trovò la casa vuota, Lilia ne fu deliziata e sollevata. Quando prese il denaro e trovò il biglietto dell'autobus, ne fu inorridita. Non solo aveva rubato, ma... stava andando a New York? No! Doveva rimanere a Milbury, nel nord dello Stato, vicino alle sue sorelle, affinché loro potessero aiutarlo, tenerlo al sicuro finché lei non fosse riuscita ad assumere una forma fisica. Poi lui uscì di nuovo, a piedi ma caldo, con addosso gli indumenti rubati e una giacca che aveva aggiunto alla raccolta. Poco dopo un'auto di passaggio rallentò per offrirgli uno strappo fino alla stazione degli autobus. «Perché?» gridò Lilia all'Universo. «Perché stai lasciando che questo accada?» Ma come al solito, l'Universo rimase muto. 12
1 Marzo... Essere umani era davvero uno strazio. «Ehi, vuoi guardare questa?» L'uomo di mezza età diede un colpetto a Demetrius con la punta di una scarpa da tennis malconcia. Lui grugnì un avvertimento, come avrebbe fatto un animale, e si raggomitolò sotto la coperta che aveva strappato da una carrozzina vuota mentre la madre non stava guardando. Non era molto grande, e il dolce odore che aveva emanato da principio stava già svanendo sotto aromi meno gradevoli. «Andiamo, D-Man, piantala di essere sempre così maledettamente di malumore e guarda.» Borbottando sottovoce, lui alzò la testa. «Mi chiamo Demetrius.» Odiava quando Gus lo chiamava con quei nomignoli da fumetto, tutti che contenevano la sua iniziale. D-Man. D-dog, oppure soltanto D. E sì, era di malumore. Il pungente vento di marzo lo faceva tremare di freddo. Aveva i crampi allo stomaco per la fame, mal di testa, gli lacrimavano gli occhi, e il corpo era indolenzito a furia di dormire sul cemento e sulle panchine dei parchi. Quell'esperienza non si stava rivelando quello che aveva sperato. Gus sogghignò, e i denti macchiati dal tabacco lampeggiarono nel suo viso barbuto, indurito. «Laggiù» disse. Demetrius guardò dove indicava il vecchio, che era di13
ventato in qualche modo il suo unico compagno. Al di là della strada, un'insegna digitale eretta di recente stava lampeggiando per la prima volta il suo messaggio. Erano stati a guardare mentre la squadra di operai la installava, chiedendosi quale inutile prodotto avrebbe reclamizzato. Ora il messaggio rotante diceva La Lotteria dello Stato di New York ha raggiunto i 12,5 milioni di dollari! «E tutto quello che serve è un dollaro e un sogno» commentò Gus scrollando la testa, con un sorriso beato sulla faccia. «Non abbiamo un dollaro tra tutti e due.» Demetrius si tirò la copertina sulla faccia per proteggersela dal freddo, gli occhi che sbirciavano fuori da sopra la calda flanella. «Potresti vendere i tuoi gingilli, scambiarli con qualche bigliettone» replicò Gus protendendosi verso uno dei sacchetti di plastica per fare la spesa che Demetrius teneva legati alla cintura. Prima che il vecchio barbone potesse batter ciglio, Demetrius gli serrò una grossa mano attorno al polso. «Non toccare le mie cose.» «D'accordo, d'accordo!» Gus ritrasse la mano, massaggiandosi il polso. «Accidenti, D, mica volevo rubarlo. Perché devi essere sempre così suscettibile, riguardo a quei tuoi tesori, poi?» Aspettò una risposta che non avrebbe ricevuto, prima di proseguire. «Voglio dire, capisco per il coltello. Un uomo ha bisogno di un'arma, qua fuori. E penso di capire anche per la collana. Più o meno. Voglio dire, è un po' da donna, ma è abbastanza carina.» Demetrius alzò la testa e gli scoccò un'occhiataccia; Gus tuttavia proseguì imperterrito. «Ma quella dannata coppa. Che diavolo ci fa un giovanotto come te con un boccale bizzarro come quello? Potremmo darlo in pegno. Probabilmente ne ricaveremmo abbastanza per pagarci una notte in un posto carino. Un pasto decente. Un intero cambio d'abiti, per dirla tutta.» «Sono miei. Sono tutto quello che ho. E significano 14
qualcosa... anche se ancora non so cosa.» «Già, già, conosco la storia. Non sei del tutto umano. Sei venuto da un altro mondo, ti sei procurato un corpo con l'aiuto di tre streghe.» «Due» corresse Demetrius. Anche se avrebbero dovuto essere tre. La massa di inutile conoscenza che gli turbinava nel cervello e che sempre più affiorava in superficie in frammenti sconnessi e in massima parte insignificanti, gli aveva detto che avrebbero dovuto essere tre. Ma lui era sicuro che erano state solo due. Una l'aveva liberato dalla tenebra dov'era stato intrappolato per... sempre. Doveva essere stato per sempre, perché non ricordava ci fosse stato un prima. E tuttavia aveva la vaga consapevolezza di essere stato umano, un tempo. Ma le streghe, le tre streghe... La prima aveva aperto il Portale, permettendogli di vedere nel mondo degli umani, dove aveva osservato e poi assorbito ogni cosa che aveva visto. La seconda l'aveva in qualche modo aiutato a materializzarsi in un corpo. E quel corpo era arrivato con il pugnale, il calice e l'amuleto. Quegli oggetti significavano qualcosa. Immaginava che la terza strega dovesse aiutarlo a capire come farsi strada in quel mondo dove il denaro era re e uno doveva averne montagne per esistere. Quel mondo dove lui non aveva la minima idea di come ottenere un po' di quel denaro per se stesso. Quello doveva essere il compito della terza strega. Solo che lei non era ancora arrivata ad aiutarlo. Quasi due mesi di infelicità l'avevano spinto a domandarsi se sarebbe mai venuta. Sette settimane vissute per strada con gli altri senzatetto, molti dei quali affetti da problemi mentali, l'avevano spinto a chiedersi se anche una minima parte di quella che credeva la sua storia fosse reale. O se lui fosse malato di mente come Alice, che credeva di essere stata inseminata da un alieno e di dover avere il suo bambino ormai da un giorno all'altro. Gus diceva che 15
aspettava da anni di partorire, ma che questo sembrava non scuotere la sua illusione. Forse anche la storia che lui aveva alle spalle era così. Il sintomo di una malattia, una storia che non era reale. «Non vedo perché, se hai abbastanza fantasia da pensare di venire da un'altra dimensione, tu non possa usarla per qualcosa di positivo.» «Per esempio?» «Come sognare, D. Sognare non fa male, sai.» Gus posò una mano sulla spalla di Demetrius. «Provaci, eh? Cos'altro abbiamo da fare, dopotutto?» «Sognare?» Suonò irritato, perché lo era. Anche se lui stesso dubitava della propria salute mentale, lo faceva arrabbiare che Gus non credesse al suo racconto. Forse più di quanto avrebbe dovuto. «Sogna un po' con me, Demetrius.» Usava il suo nome completo per ammansirlo, pensò Demetrius. Vecchio furbacchione d'un Gus. «Andiamo, sarà divertente. Pensaci. Che cosa faresti con dodici milioni di dollari?» Demetrius inarcò le sopracciglia, trovando l'idea molto più allettante di quanto si fosse aspettato. A malincuore abbassò la coperta, mettendosela attorno alle spalle, e guardò il suo unico amico in quel mondo. «Suppongo che sognare non faccia male.» Chiuse gli occhi e ci pensò su. Che cos'avrebbe voluto, se avesse potuto avere tutto quello che desiderava? Qual era esattamente lo scopo di passarne così tante per manifestarsi in un corpo umano, dopotutto? Quali desideri l'avevano spinto a farlo? Quali desideri aveva adesso? Lo seppe all'istante, e spalancò gli occhi. «Ti ricordi quel programma TV che abbiamo guardato l'altra sera nella vetrina del negozio di elettronica?» Gus inclinò la testa, pensandoci, mentre Demetrius si augurava che ricordasse. Erano insieme fuori dal negozio di apparecchiature, a guardare i televisori in vetrina, che 16
erano sempre accesi quando il negozio era aperto. Era uno dei pochi modi che avevano trovato per alleviare la monotonia delle loro esistenze, e il proprietario di solito li lasciava stazionare per una mezzora prima di uscire a cacciarli via, strillando in un inglese frammentario condito di coreano. Un sorriso allargò la faccia di Gus, disegnandogli una ragnatela di piccole rughe gli angoli degli occhi, e Demetrius capì che aveva ricordato. «Quello sulla Villa del Playboy?» domandò, sogghignando. «Improbabile dimenticarsela, vero?» «È quello che farei, se avessi dodici milioni di dollari. Vorrei avere un posto come quello. Recintato, privato. Una schiera di domestici per provvedere a ogni mia necessità. Piscine riscaldate con cascate e fontane. Vasti giardini profumati con alberi e fiori d'ogni specie. I più soffici letti immaginabili. Qualsiasi cosa io voglia mangiare ogni volta che lo desidero. Bellissime donne che prendono il sole quasi senza vestiti, pronte a soddisfare ogni mio desiderio. E un costante flusso di contante senza dover lavorare.» Qualcosa gli punzecchiò il fianco mentre parlava, e lui abbassò la testa di scatto, tirando via la coperta per vedere che cosa gli strisciasse addosso. Il pugnale dorato sembrava... luminoso. Un bagliore di luce dorata della forma esatta del coltello con il suo fodero luccicava attraverso il sacchetto di plastica che li conteneva. «D-Man! Che diavolo?» Gus indietreggiò come un gambero lungo la pavimentazione del vicolo, gli occhi spalancati, e si concentrò sul sacchetto luminoso. Demetrius si trascinò in piedi, voltando la schiena al marciapiede, cercando istintivamente di celare alla vista degli estranei il sacchetto che portava alla vita. Si spostò in fretta in fondo al vicolo che era per la maggior parte del tempo la loro casa, oltre Gus, e oltre i cassonetti traboccanti di spazzatura, finché fu abbastanza nascosto per poter esaminare da vicino il fenomeno. Gus lo seguì ma ten17
ne le distanze, gli occhi sbarrati e inchiodati sul sacchetto per alimenti illuminato. Demetrius tolse il pugnale dalla plastica in cui era avvolto e sfilò la lama a doppio taglio dal fodero ingemmato. Era luminescente. Nessun dubbio. «Avevi ragione, D! Non posso crederci... ma avevi ragione. I tuoi gingilli... sono una specie di magia.» Demetrius scoccò un'occhiata a Gus da sopra la spalla. «Ma perché adesso?» «Perché! Non vedi? Stavi sognando. Immaginando. Visualizzando. Non è quello che fanno quelle tue streghe quando vogliono lanciare incantesimi? Visualizzare?» Demetrius fissò la lama luminosa, in silenzio. Gradualmente la luce cominciò a impallidire, e infine svanì. «Fallo di nuovo, capo. Visualizza quel cavolo di vita da sogno di cui stavi parlando prima. E fa' in modo che ci sia dentro anch'io, accidenti!» «Ma...» «Aspetta, aspetta, aspetta, lascia che ti aiuti ad avviarlo.» Gus aveva scordato il timore dell'arma apparentemente incantata e si avvicinò, spalla a spalla con Demetrius, che pensò che un tempo Gus doveva esser stato un uomo notevole. Erano quasi della stessa altezza, e nel viso di Gus c'erano tracce di quella che doveva essere stata una struttura ossea pressoché regale. Di tanto in tanto, quando Demetrius lo guardava, vedeva qualcun altro negli occhi del vecchio. Qualcuno di vagamente familiare. «Immaginalo con me, adesso» stava dicendo Gus. «Visualizzalo con chiarezza nella tua mente. Villone del Playboy. Grande casa bellissima. E il buon vecchio Gus a capo della sicurezza, il braccio destro di D-dog. Indossa bei vestiti, scarpe lucide, una giacca elegante. Un figurino da catalogo. Gus decide chi entra e chi deve starsene fuori dalle palle.» Si batté il petto con un pugno. «Ti proteggerò da chi vorrebbe approfittarsi di un tipo come te. Di sparare sono capace, sai? Una volta ero un soldato.» 18
Questo tirò subito fuori Demetrius dalla visione. «Eri un soldato?» «Ssst. Non adesso, D. Abbiamo una visualizzazione da fare. Adesso vedila, dannazione a te. Immaginala. Vedi la piscina? È più blu del blu, acqua cristallina che scintilla alla luce del sole. È caldo, sempre. Come in estate, tutto l'anno.» Demetrius annuì, desiderando esaminare il coltello ma rassegnato ad accontentare Gus, prima. «D'accordo, d'accordo. Vedo la piscina. Ha la forma di un fagiolo. E c'è una cascata su un lato, che sembra naturale, con sassi tutti ammucchiati.» La stava vedendo sul serio... e si godeva la visione che si era formata nella sua mente, anche se non lo avrebbe mai ammesso con Gus. «E su un lato, appena sopra la piscina, c'è una vasca idromassaggio tutta bolle che sembra uno stagno e che trabocca alimentando la cascata.» «Ah, questo è carino. E c'è... un bar da spiaggia, sempre ben fornito. E donne in bikini ovunque guardi. Puoi vederle, D-Man? C'è una rossa con un gran bel balcone laggiù, e una brunetta con un sedere così rotondo che vorresti morderlo.» Demetrius aggrottò la fronte. Riusciva a vedere le bellezze in bikini, d'accordo. Ma gli sembravano tutte uguali. Angeli dai capelli di seta color grano pallido, con penetranti occhi azzurri. No, no, no, non lei. Non lei. Avrebbe rovinato tutto. Che cosa bizzarra da pensare, non so neanche chi è lei. «E le macchine, oh, D, le macchine. Assicurati di vedere un enorme garage lì dentro da qualche parte, e riempilo delle auto più pazzesche. Come quella Jaguar che abbiamo visto l'altro giorno. E una lunga limousine nera, con un autista che sa tutto quello che potremmo mai avere bisogno di sapere.» Automobili, sì, automobili. Un buon mezzo per toglier19
si dalla testa la bionda. Aveva visto abbastanza tipi di automobili sfrecciare davanti al vicolo per sapere che cosa gli piaceva. Voleva uno di quei giganteschi SUV, e la limousine e la Jaguar di cui aveva parlato Gus. E poi qualcuna di quelle macchine sportive che gli facevano accelerare i battiti. Una Mustang. Una 370Z. Una Porsche Carrera. Cercò di vedersi dietro il volante, ma ciascuno di quegli immaginari veicoli aveva quella bionda seduta sul sedile del passeggero. Ogni scorcio di lei gli faceva accelerare il cuore e saltare le terminazioni nervose per la paura. Chi era quella donna? E perché gli incuteva timore? Avvertì un altro formicolio. Stava succedendo dietro di lui, questa volta, sul fianco dove era appeso il calice d'argento nella sua busta di plastica. Aprì in tutta fretta il sacchetto, strappandolo, pur sapendo che poi avrebbe dovuto trovarne un altro. Tirò fuori la coppa e vi guardò dentro, da dove proveniva la luce. Era piena di... qualcosa. Colori turbinanti, e... era un viso quello che stava prendendo forma? Fa' come ti dico, Demetrius. «Chi ha parlato?» Guardò a destra e a sinistra, poi si girò a guardare dietro, ma non c'era nessuno. «Chi ha parlato?» ripeté Gus. Demetrius guardò l'amico, vide la preoccupazione prendere forma nei suoi occhi. «Non hai sentito? Una donna. Ha bisbigliato qualcosa.» Gus fece un passo indietro. «Che cosa diceva?» «Di fare quello che mi dice.» «Allora fallo, ragazzo, c'è della magia all'opera qui! E continua a visualizzare. Non smettere. Assicurati che io ci sia dentro. Non lasciarmi fuori, D.» Demetrius si sforzò di continuare a visualizzare il suo personale covo di piaceri, tentò di continuare a vedere Gus come parte di esso, ma quella dannata bionda dagli occhi azzurri insisteva a sbucare fuori dappertutto. Era nell'enorme soggiorno con il camino largo quanto la parete, e nel20
l'home theater con il gigantesco schermo per i film. Era distesa con fare invitante sulle lenzuola di raso del suo grande letto a baldacchino. Il coltello nella mano di Demetrius stava diventando caldo e dava come l'impressione di voler saltare via. Anche la coppa stava vibrando, turbinando. Cala il pugnale dentro il calice e pronuncia queste parole. «Vuole che metta il coltello nella coppa» disse Demetrius. «Ebbene? Fallo!» Gus pestò un piede per terra. «Fallo, dannazione a te.» Demetrius ruotò con uno scatto il pugnale così che la punta fosse diretta verso il basso e lo spostò sopra il calice. In effetti, non dovette nemmeno spostarlo, perché fu come se qualcosa stesse attirando la sua mano verso quella grossa coppa scintillante. Cominciò ad abbassare la lama. Sembrava che volesse muoversi lentamente, così lui lasciò che fosse quella... qualsiasi cosa fosse quella... a guidargli la mano. Di' queste parole mentre lo abbassi, gli disse la donna. Come il bastone sta a dio, così il calice sta alla dea. «È un'idiozia. Non ho intenzione di dirlo. Non ha neppure un...» Dillo! «D'accordo. D'accordo. Come il bastone sta a dio...» «Eh?» fece Gus. «Cos'è questa roba, adesso?» «È lei che vuole che lo dica. Come il bastone sta a dio.» «A che scopo?» «Come accidenti faccio a saperlo?» Così il calice sta alla dea. Dillo, Demetrius. «Così il calice sta alla dea.» E insieme essi sono uno. «E insieme essi sono uno.» Non appena lo disse, la coppa attirò il pugnale al proprio interno come una super calamita, e la punta della lama cozzò rumorosamente con21
tro il fondo. Ci fu un gran lampo di luce, e una specie di esplosione di ultrasuoni che lo soffiò all'indietro verso l'ingresso del vicolo. Gli occhi di Gus diventarono enormi mentre camminava all'indietro per raggiungerlo, e poi entrambi rimasero lì a fissare il globo di luce che rapidamente impallidiva. Quando si spense del tutto, lei era lì, la bionda. Era accosciata nel vicolo, completamente nuda, e tutto il suo essere disse a Demetrius di voltarsi e scappare come una lepre. Ma sembrava non fosse in grado di muoversi. Rimase lì, a fissarla. Lentamente lei si alzò e sollevò la testa, fissandolo, e quegli straordinari occhi azzurri lo colpirono come una coppia di fulmini. Demetrius provò terrore puro. Il suo sguardo vagò su e giù per la forma esile e nuda, notando la pelle chiarissima, i piccoli seni eretti. Tutto in lei era minuto. Era come una fata o un angelo. «Non sono un angelo, Demetrius» disse lei, come leggendogli la mente. «Sono una strega.» Lui lasciò cadere la lama e il calice a cui era tanto affezionato, girò sui tacchi e corse fuori dal vicolo come se avesse il diavolo alle calcagna. Perché era proprio quello che lei sembrava. Non vide l'auto che lo investì. Ma sicuro come l'oro che la sentì. In una clinica privata sulle rive del Lago Cayuga, un vecchio prete che era in coma dall'inizio di novembre all'improvviso aprì gli occhi. Un'infermiera lo stava lavando, passandogli su e giù lungo il braccio una spugna calda e bagnata come se avesse il diritto di toccarlo. Le artigliò il polso, e lei lanciò un grido e lasciò cadere la spugna, gli occhi sbarrati che scattavano al viso dell'uomo. «Aiuto!» chiamò. 22
RACHEL VINCENT
Shadow Bound - Legame d'ombra Per guadagnare la libertà, Kori Daniels deve reclutare Ian Holt... o eliminarlo. Ian, invece, se vuole salvare il fratello gemello deve uccidere la sorella di Kori. Così, al termine di una settimana da incubo, i due giovani si ritrovano costretti a prendere la decisione più dura: scegliere tra amore e libertà... o rischiare il tutto per tutto per ottenerli entrambi.
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Il sangue della strega Per tornare umano, Demetrius deve solo accettare l'ultima parte della sua anima, custodita nel cuore di Lilia. Farlo, però, significherebbe perdere l’immortalità e tutti i suoi poteri magici. Per questo tenta di resistere al sentimento che suo malgrado lo lega a quell'affascinante strega bionda. Ma lei non ha ancora giocato tutte le sue carte per convincerlo...
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The Kingdom Amelia Gray, la Signora dei Cimiteri, si trova ad Asher Falls per occuparsi di un vecchio camposanto. Ma ben presto si convince che ci sia un'altra ragione se è stata chiamata lì. Perché avverte con quel luogo una sorta di legame che non riesce a spiegare e a comprendere. Riuscirà a scoprire la verità nascosta dal velo che separa i vivi dai morti?
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