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P.C. CAST - GENA SHOWALTER

Presenze


Titoli originali delle edizioni in lingua inglese: AFTER MOONRISE HQN Books © 2012 Harlequin Books S.A. Possessed © 2012 P.C. Cast Haunted © 2012 Gena Showalter Traduzione di Roberta Marasco Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Bluenocturne agosto 2013 Questo volume è stato stampato nel luglio 2013 da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd) BLUENOCTURNE ISSN 2035 - 486X Periodico mensile n. 89 del 16/08/2013 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 118 del 16/03/2009 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Trentacoste, 7 - 20134 Milano Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano


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Omicidio al chiar di luna


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Romanzo

Omicidio al chiar di luna


Prologo La donna era distesa su una fredda tavola di metallo, nuda, i polsi ammanettati sopra la testa, le gambe divaricate bloccate dai ceppi. L'aria gelida che odorava di sangue e disinfettante aveva trasformato la pelle in uno strato di ghiaccio su muscoli troppo deboli perfino per tremare. La determinazione a fuggire l'aveva abbandonata dopo il centesimo tentativo, ma le lacrime che aveva versato un'eternità prima erano ancora cristallizzate sulle sue guance. Era arrivato, pensò. L'ultimo giorno della sua vita. Purtroppo, non ci sarebbe stato nessun cambio di rotta. La nave era già salpata e la tempesta era iniziata. Non lo aveva chiesto e di certo non lo aveva desiderato, ma le era toccato. Ora non poteva fare altro che combattere. E lo avrebbe fatto. Avrebbe lottato con ogni briciola della forza rimasta. Un lamento soffocato risuonò da qualche parte dietro di lei. Era legata troppo stretta per voltarsi a guardare, ma sapeva che il suo rimpiazzo si era appena svegliato e si era reso conto di essere chiuso in una gabbia per cani, dalla quale poteva vedere solo un tavolo anatomico e la vergogna di un'altra donna. Lo sapeva, perchÊ un tempo era stata rinchiusa anche lei in quella gabbia. Era stata costretta a guardare, mentre lo psicopatico che l'aveva stordita e ficcata dentro l'auto finiva l'altra donna 129


che si trovava sulla lastra di metallo. La donna prima di lei, ora morta, uccisa in modo orribile. «Fai un favore a te stessa e stai zitta» disse alla ragazza. Non era il momento per le gentilezze. «È meglio restare in silenzio, piuttosto che dargli quello che vuole. E lui vuole che tu pianga. Vuole che tu gridi e supplichi e gli dica quanto fa male.» Il piagnucolio aumentò di volume. «Oppure continua e fai di lui l'assassino più felice del mondo» aggiunse con un ringhio. Il tonfo dei passi negli scarponi all'improvviso riempì la stanza. Il battito cardiaco della donna si impennò a una velocità folle, troppo rapido. Passò un secondo, due, prima che i cardini dell'unica porta della stanza gemessero. La nausea le ribollì nello stomaco. Lui era lì. Sarebbe successo davvero? «Buongiorno, mie adorate.» Quel tono compiaciuto, sotto strati di allegria e intenzioni perverse. «Come ci sentiamo oggi?» Sì. Sarebbe successo. Dalla gabbia si levò un grido, mentre lei rispondeva: «Mi sento in vena di fare uno scambio di ruoli. Che ne dici? Io al posto tuo e tu sdraiato qui, con un quoziente di intelligenza minimo, un pene minuscolo e... correggimi se sbaglio, grossi problemi con mamma.» Un sibilo strisciò nella sua direzione. «Non nominare mai più mia madre, hai capito?» La rabbia aveva preso il posto della soddisfazione. I coltelli e gli altri strumenti cozzarono l'uno contro l'altro con un suono metallico, mentre lui cercava quello che desiderava. «Se con "non nominare mai più" intendi dire "non smettere più di parlarne", allora sì, ho sentito. Quindi, perché non fai finta che io sia il tuo analista e che questa sia una seduta gratuita?» 130


«Basta!» No, non bastava ancora. «Dimmi, mammina cara non ti ha allattato al seno? Oppure lo ha fatto un po' troppo a lungo?» Un silenzio pesante avanzò lento nella piccola stanza. Rigira il coltello nella piaga... lui lo farà presto. «Avanti, di me puoi fidarti. Non spiffererò niente, metterò solo i tuoi segreti più oscuri e profondi sul mio blog. Be', magari anche su Twitter. Ah, e Facebook, naturalmente. Magari potrei farne un video per YouTube. A parte questo, le mie labbra sono sigillate.» Il metallo sbatté con maggior forza. Finalmente aveva trovato quello che voleva: una lama seghettata da venti centimetri. La sollevò, in modo che l'argento brillasse nella luce abbacinante sospesa sopra di loro e si voltò a guardarla, un mezzo ghigno e un mezzo cipiglio che gli sollevavano gli angoli delle labbra. «Tesoro» disse alla ragazza nella gabbia, fingendo di ignorare lei. Non poteva nascondere il fatto che digrignava i denti. «Stai bene attenta a quello che succederà adesso, perché se non farai quello che voglio, presto toccherà anche a te.» Le grida divennero gemiti soffocati e la gabbia si agitò, mentre la donna cercava di intrufolarsi fra le sbarre. Non gli darò mai più quella soddisfazione. «Oh, cielo, no» esclamò, facendosi beffe di lui. «Lo psycho killer ha un coltello. Qualcuno metta la musica da film horror e le mie urla terrorizzate.» L'uomo la guardò socchiudendo gli occhi. Agitò la lama avanti e indietro, avanti e indietro. «Non hai ancora capito quale bestia stai provocando.» «Ehi, certo che l'ho capito. È minuscola, come il resto di te, per questo sogghigno.» Lui fece scattare la mascella. Non era un brutto uomo; anzi, in realtà era piuttosto bello, con ricci dorati, occhi 131


del colore del miele più dolce e lineamenti innocenti e privi di malizia di un bambino. Una maschera davvero crudele. La prima volta che si era risvegliata in quella gabbia aveva pensato che lui fosse lì per salvarla. Un'idea che aveva scartato quasi subito, quando l'aveva trascinata fuori e le aveva tagliato i vestiti, ridendo con un'allegria agghiacciante. «Posso renderlo indolore... o terribilmente doloroso. Stai attenta» scattò. «Ho ferito i tuoi sentimenti?» chiese lei. «Cattiva prigioniera. Cattiva, cattiva, cattiva.» A passi lenti e misurati, lui si avvicinò. «Credi di essere coraggiosa? Bene, vediamo un po' come posso farti cambiare idea, che ne dici? So che non puoi vederla, ma la ragazza nella gabbia è... rullo di tamburi... la tua unica vera amica. Ti ricordi di lei, vero? Certo che sì. È quella carina.» La prima scintilla di calore le divampò nel petto, mentre torceva il collo per cercare di sbirciare nella gabbia. Ma ancora una volta, legata stretta com'era, non riuscì a contorcersi abbastanza. Vide solo le foto alla parete. Le foto scattate alle altre donne torturate. L'indomani, la sua immagine sarebbe stata fra quelle. «Menti, cerchi di farmi soffrire perché sei un miserabile verme con il cuore marcio e non hai altro modo per arrivare a me.» L'odio gli si accese negli occhi, dove creò cupi e profondi abissi di malvagità. «Tu credi? Be', perché non lo chiedi a lei e non scopri da sola se ho detto la verità?» La donna strinse i pugni. Non mentiva. O forse sì? Un bugiardo non avrebbe avuto quell'aria tanto soddisfatta. Oppure sì? «Di' qualcosa» ordinò alla ragazza. Silenzio. La risata compiaciuta dell'uomo risuonò fra loro. «Le mie più profonde scuse, ma non dirà un bel niente. Ha 132


una boccaccia, la tua amica, lo sai. Temo di essere stato costretto a tagliarle la lingua.» Un'altra scintilla di calore, questa volta percorsa da violente venature di rabbia. E cresceva... cresceva... La sua amica aveva davvero una boccaccia, e quell'uomo era abbastanza spregevole da catturarla, e abbastanza crudele da impedirle di parlare per sempre. Qualunque cosa, pur di accrescere il tormento che aveva scatenato. Come aveva osato rapire la sua amica?! Come aveva osato obbligare una ragazza così adorabile a sopportare gli orrori che aveva inflitto a lei! «Schifoso, disgustoso... argh!» rantolò, strattonando le manette. Non c'era una descrizione abbastanza terribile. «Ti distruggerò. Non potrai mai più farle del male. Aspetta e vedrai... ti... distruggerò...» Non piangere. Non dargli questa soddisfazione. Ma faticava a prendere fiato, a formulare le parole. Con la mano libera, lui le accarezzò la fronte con un gesto delicato, quasi dolce. «Hai sempre pensato di essere più forte di quello che sei. È il tuo difetto peggiore. Mi divertirò a strappartelo via.» Lei cercò di morderlo. Lui rise. «Non vedo l'ora di mostrare al mio ultimo giocattolo le foto di noi due insieme. Credi che sarà gelosa?» La rabbia divampò nel resto del corpo, bruciò, la riempì di vesciche, fece evaporare ogni traccia di lacrime. «Puoi uccidermi, ma io resterò qui, te lo giuro.» Quella era la sua voce, più forte di prima, grondante determinazione. Lui inarcò un sopracciglio e finse di essere spaventato. «Oh, mamma, che paura. E come pensi di riuscirci, dimmi?» «Troverò un modo. C'è sempre un modo e il bene sconfigge sempre il male.» «Quanta sicurezza» la sbeffeggiò lui e schioccò la lingua. «Ho sentito dire che uno spirito forte può vincere 133


contro ogni cosa, anche la morte, ma tesoro, come ho cercato e cercato e ri-cercato di dirti, tu non sei molto forte.» «Staremo a vedere.» Una cosa era sicura: c'era davvero una vita dopo la morte. Alcune persone passavano in un posto migliore. Altre in un posto peggiore. Ma lei non sarebbe andata da nessuna parte finché la sua amica non fosse stata al sicuro. «Bene, spero che tu abbia ragione. Pensa che bello: se resti qui, sulla terra, staremo di nuovo insieme.» Sollevò la lama, sogghignò, e affondò il metallo in profondità.

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1 Oklahoma City, Oklahoma SIG Sauer: ottocento dollari. Confezione di munizioni: trenta dollari. Sparare in faccia a un vicino che ha rovistato nella tua spazzatura, dopo che lo avevi avvisato che se ci avesse provato di nuovo ci sarebbero state delle conseguenze: senza prezzo. Lo farò, giurò il detective Levi Reid, mentre lucidava l'arma in questione. La mia roba è soltanto mia. Anche la mia spazzatura! Si era trasferito nel complesso di appartamenti di King's Landing tre settimane prima e ancora non sapeva bene perché. O come fosse potuto succedere. D'accordo, quello lo sapeva. Non gli piaceva e non avrebbe mai ammesso la verità con qualcuno a parte se stesso, ma ogni giorno aveva una specie di blackout. Quando finiva, gli mancava un pezzo della sua vita, cinque minuti o cinque ore. O, nel caso di quell'appartamento, sette giorni. In tutta onestà, ecco quello che sapeva degli eventi che lo avevano portato lì: aveva seguito un tizio dall'aria sospetta fino all'entrata sul retro dell'edificio. Fine. Dopodiché si era risvegliato in quella stanza, circondato da tutte le sue cose. Non aveva idea di quando avesse fatto gli sca135


toloni, ceduto a un estraneo l'appartamento in cui aveva vissuto per sei anni o affittato quel buco spazioso ma fatiscente con due stanze da letto, che di certo non si addiceva al re che dava il nome al condominio. I colleghi non erano venuti a cercarlo perchÊ in quel periodo era in congedo forzato. Non aveva una fidanzata e aveva già cancellato tutti gli appuntamenti "obbligatori" con lo psichiatra. Quindi aveva deciso di non muoversi, nel caso fosse arrivato qualche altro blackout e si fosse ritrovato in un posto ancora peggiore. All'inizio, quella totale mancanza di controllo lo aveva mandato in bestia. I buchi alle pareti ne erano la testimonianza. Poi era sprofondato in una (virile) depressione. Virile: niente pianti e niente lagne, si limitava a fissare stoico – forse anche sexy – il buio. Ora meditava. Avrebbe dovuto farsi coraggio e trasferirsi in un appartamento migliore, ma una parte di lui aveva finito per farsi piacere quel posto, nonostante tutto. La nuova abitazione, che si trovava poco lontano dal centro di Oklahoma City, gli offriva una vista privilegiata e personale sui senzatetto sparsi per la strada, le prostitute a caccia di clienti e gli spacciatori che facevano affari nei vicoli giorno e notte. Si era recato in quella zona migliaia di volte per lavoro e gli aveva sempre messo i brividi (anche questi virili, naturalmente). D'accordo, d'accordo. L'edificio non era tanto male. Qualcuno lo aveva ristrutturato, rendendolo abitabile. Neanche i vicini erano poi tanto male. Avevano le loro manie, ma chi non le aveva? Il tizio del 211 si aggirava furtivo sbirciando oltre ogni angolo, come se un serial killer avesse il suo numero e quel numero fosse stato estratto alla lotteria della vita. Ogni volta che Levi sentiva un rumore sospetto e decideva di controllare i corridoi, il tizio gli si incollava al fianco, piangendo e supplicandolo di aiutarlo, ma si rifiutava di ri136


spondere a qualunque domanda o di dare informazioni. Alla ragazza del 123 piaceva girare in punta di piedi per i corridoi a ogni ora del giorno e della notte, e fermarsi a guardare ogni porta che incontrava come se avesse la vista a raggi X. Quando Levi le passava accanto, lei si voltava di scatto verso di lui e gli diceva qualcosa di raggelante tipo: «Sento la mancanza del mio piccolo. Vuoi essere il mio piccolo?». O la sua preferita: «Che cosa farai quando sarai morto? Morto, morto, morto, sei così morto». Il tizio del 409 era il Setacciatore di Cassonetti. E la settimana prima, una rossa da capogiro e la sua graziosa coinquilina bionda si erano trasferite lì. Probabilmente erano strampalate come gli altri, ma Levi aveva intenzione di chiedere alla rossa di uscire insieme. Non era un appassionato di appuntamenti, ma un po' di sesso gli piaceva eccome. In quel momento era seduto al tavolo della cucina, la SIG a pezzi, mescolati agli strumenti per la pulizia. Ingrassò le guide, rimise il carrello, lo tolse e pulì le guide di nuovo con gesti automatici. Lo aveva fatto migliaia di volte e aveva scoperto che lo tranquillizzava. Tranquillo, ecco come ci si aspettava che fosse. A quanto pareva, se mentre eri in servizio ti aggrediva un presunto serial killer che amava conservare i pezzi dei cadaveri nel congelatore, ti dicevano che avevi "problemi comportamentali" e che dovevi prenderti del tempo per "pensare e riposare". Ma quello di cui aveva davvero bisogno era una distrazione. Quindi, okay, non avrebbe più pensato di chiedere alla Rossa di uscire. L'avrebbe fatto e basta. Magari aveva un debole per i detective della Omicidi dall'aria rude, che erano possessivi nei confronti delle proprie cose ma cercavano di imparare a condividerle. In realtà, a Levi non interessavano le avventure di una notte e desiderava davvero un legame serio. E qualunque 137


cosa pensassero gli altri, sapeva sorridere. Un forte colpo alla porta gli fece alzare la testa di scatto. Probabilmente era un altro vicino che gli chiedeva di nasconderlo dagli sbirri o che gli diceva che la fine era vicina. «Smammate. Non c'è nessuno.» Un altro colpo, questa volta più forte, più insistente. «Non mordo» disse una voce femminile. «Almeno non troppo spesso.» Gli piacque quella voce. Morbida e dolce, ma determinata. Però una persona intelligente non si offriva di mordicchiare gli estranei. Con gesti rapidi, rimise insieme la pistola e la infilò nella cintura dei pantaloncini da corsa, sulla schiena. Il peso li tirava giù, cosa che non era mai un bene, soprattutto quando si è a petto nudo. L'ospite non invitata probabilmente avrebbe dato una sbirciatina ai suoi gioielli, ma una volta che avesse finito con lei, avrebbe avuto preoccupazioni peggiori. Quella tizia doveva imparare le conseguenze di quel genere di comportamento. Ma... a quel punto guardò nello spioncino e vide la coinquilina della rossa, la bionda graziosa. Il bisogno di insegnarle l'educazione cedette il posto al desiderio di sbarazzarsi di lei. L'ultima volta che l'aveva vista gli aveva fatto provare un'ondata di vergogna e senso di colpa. Non aveva idea del perché. E non gli importava. Ma non voleva avere a che fare con lei. Nell'istante in cui aprì la porta, tuttavia, l'urgenza cedette il posto alla preoccupazione. Lei era incorniciata dalla luce tremolante sopra di lei, si rosicchiava le unghie e spostava il peso nervosamente da un piede all'altro. Le guance e le mani erano tempestate di puntini rossi. Sangue? Levi si accigliò e aprì di più la porta. «Tutto bene, signora?» Gli occhi azzurri come l'oceano si misero a fuoco su di 138


lui e lo sguardo della donna divenne come un laser che gli affettava la carne. Infine lei smise di tormentarsi le dita e di muoversi e sul suo viso non affiorò nessun sentimento di colpa o vergogna. «Signora? Mi hai appena chiamata signora?» «Sì, signora. Sta bene?» «Accidenti, che mazzata!» ribatté lei, ignorando la domanda per la seconda volta. «Quanti anni credi che abbia?» Una domanda rischiosa, che avrebbe fatto meglio a ignorare. Levi indicò le mani macchiate con un cenno del mento, mentre tendeva le dita verso la pistola. «Ricominciamo. Sei ferita?» Scrutò il corridoio. Deserto. Niente ombre, segni o rumori sospetti. «Qualcuno ti segue? Ti infastidisce?» «Perché dovreb...» La donna abbassò lo sguardo, ridacchiò e agitò le dita verso di lui. «È vernice. Sono una pittrice.» Vernice. Nessun pericolo mortale, quindi. La preoccupazione svanì e Levi tornò a essere scontroso. «Allora che cosa ci fai qui?» D'accordo, probabilmente avrebbe dovuto fingere di essere gentile. Ora lei avrebbe detto alla sua amica che era un idiota e quando le avesse chiesto di uscire, la rossa gli avrebbe risposto che piuttosto sarebbe andata con uno strofinaccio. «Come dicevo» continuò lei senza scomporsi, «la mia incredibile arte non contiene...» Un brivido di repulsione la scosse. «Lo sai.» Che cosa? Sangue? Probabile. Molte persone avevano un'avversione per quella roba, ma lui non si era mai fatto scrupoli simili. «Lo sai?» la scimmiottò. «Sì. L'elisir della vita.» Mi prende in giro. «E l'elisir della vita sarebbe?» Levi iniziava a provare quello che sospettava fosse divertimento, per la prima volta da quando era stato sospeso. Quella 139


ragazza era abbastanza coraggiosa da bussare alla porta di un estraneo e chiedergli di aprire, ma non riusciva a dire una certa parola di sei lettere! Che carina! Lei si passò la lingua sui denti e sussurrò. «Va bene. Posso farcela. S-A-N-G-U-E.» Un altro brivido la scosse. Sarebbe stato terribilmente villano se le avesse riso in faccia? Quella ragazza aveva davvero sillabato la parola, pur di non pronunciarla. Levi ammorbidì il proprio atteggiamento e lasciò ricadere il braccio lungo il fianco. «Così sei un'artista, eh?» «Un'artista formidabile.» «Formidabile non saprei» disse lui, «ma sicuramente modesta.» Era più che graziosa, notò. Bassa, con tutte le curve al posto giusto, un viso da bambola, grandi occhi azzurri, il nasino a patata e le labbra a forma di cuore. Era davvero adorabile. «A proposito» aggiunse Levi. «Essere chiamati "signore" può essere un buon motivo per avere un attacco di nervi. Signora invece va benissimo. Lo dico a chiunque possegga...» Lo sguardo gli scese automaticamente lungo il corpo della ragazza, ma si bloccò sul seno, che tendeva il tessuto della parte superiore del pigiama. Riuscì a strappare gli occhi da lì, ma si strozzò con le parole. «... estrogeni.» Quella ragazza aveva una carrozzeria da urlo. «Valido argomento» commentò lei, gettandosi i capelli chiari dietro le spalle, «ma ti assicuro che sono una donna dalla testa ai piedi.» L'ho notato. Credimi. Invece di dirlo a voce alta, e rischiare di ritrovarsi i testicoli in gola, fece un unico cenno affermativo. «Non si discute.» A lei sfuggì un respiro di sollievo. «Grazie per non avermi risposto che avrei fatto meglio a verificare.» «Non c'è nessun bisogno di verificare.» Stai... flirtando? «Ma dimmi tu se Mister Forzuto non è un tenerone?» «Sissignora, lo sono.» 140


Non era il tipo da flirtare di solito, eppure sì, stava flirtando eccome, e lei ricambiava. Levi aveva intenzione di invitare fuori la rossa, non voleva avere niente a che fare con la bionda e con il senso di colpa e la vergogna che suscitava in lui. In quel momento però, con il campo sgombro dalle emozioni, cambiò idea. Voleva quella ragazza. Il che, espresso in linguaggio femminile, significava che voleva conoscerla meglio. In termini maschili, la voleva nel suo letto, subito. Era giovane, probabilmente sui venticinque, con una cascata di capelli biondi mossi, le sopracciglia e le ciglia bionde, i lineamenti delicati da bambola e la pelle chiara di chi frigge al sole piuttosto che crogiolarvisi. E aveva qualcosa di... Familiare. Si rese conto che la conosceva. In qualche modo, la conosceva. Finalmente una spiegazione delle emozioni che aveva provato quando lei si era trasferita lì, anche se non aveva idea di quando o dove si fossero incontrati. «Mi stai fissando» disse lei, mordendosi il labbro inferiore. Un tic nervoso, senza dubbio. Gli venne il dubbio che quella ragazza avesse i nervi... a pezzi. L'istinto protettivo che di solito provava solo sul lavoro entrò in azione. Ed eccoli lì, il senso di colpa e la vergogna erano tornati. Perché? Perché si sentiva così con lei? Qualunque fosse la risposta, la rossa era tornata in gara. Levi non usciva con donne che avevano i nervi a pezzi. Mai. Lui proteggeva, vendicava, ma non aggiustava. Come avrebbe potuto? Non riusciva a tenere in carreggiata neanche la sua, di vita. E poi, non era il tipo. «Davvero. Che c'è?» chiese lei. «Mi domandavo solo se ci siamo già conosciuti.» Men141


tre lo chiedeva, sentì che le braccia si facevano pesanti, i muscoli tesi, come se i ricordi fossero stati immagazzinati lì e lui ora rivivesse il tempo con lei. Questo però... avrebbe significato averla stretta fra le braccia. E non era una cosa di cui si sarebbe dimenticato. Lei arricciò il naso in modo incantevole. «È un modo per provarci? Perché lo sembra.» «In realtà è una domanda...» Non posso uscire con lei, non posso uscire con lei, non posso proprio uscire con lei, anche se la sua franchezza mi piace. «E gradirei una risposta.» «Oh.» Era delusione quella che si avvertiva nella sua voce? «Be', l'unica risposta che posso darti è no. Mi ricorderei di una persona con il tuo... atteggiamento.» Lo squadrò da capo a piedi ed ebbe di nuovo un brivido, come se stessero ancora parlando di S-A-N-G-U-E. «E per tua informazione, non sono affatto modesta riguardo al mio lavoro, perché non è necessario. Sono un'artista straordinaria. Stupefacente!» La fiducia che nutriva in se stessa era ancora più eccitante della franchezza, e lei ne aveva da vendere. Non poteva essere la ragazza esaurita che si era immaginato. Giusto? E poi il senso di colpa e la vergogna non erano poi tanto male. Giusto? «Non ho mai detto che tu non sia stupefacente. E che cosa ci sarebbe che non va nel mio atteggiamento?» «Fa schifo, ma sono sicura che te lo dicono in continuazione.» Sollevò di nuovo la mano, l'unghia in bocca, i denti che mordicchiavano. «Sento profumo... di caffè» aggiunse, con un tremore improvviso nella voce, «e sì, ne berrei volentieri un po'. Grazie.» Lo aggirò al volo ed entrò come una folata di vento, accompagnata da una zaffata di cannella e trementina. Mentre la guardava, momentaneamente senza parole, lei marciò in cucina. 142


Alla fine il cervello riprese a funzionare e si rimise in marcia. Chi credeva di essere quella tizia? La sua casa era il suo nido e gli estranei non erano ammessi. Neanche quelli sexy. A essere sinceri, quella ragazza era la prima persona a parte lui che metteva piede nell'appartamento. La sua compagna lo evitava e la sua famiglia era... Non ne aveva idea. A diciotto anni se n'era andato di casa e non si era più guardato indietro. I genitori erano morti quando lui aveva sei anni e nessuno dei parenti lo aveva voluto, così era passato da una famiglia affidataria all'altra fino ai tredici anni, quando una casalinga depressa e il marito che abusava emotivamente di lei lo avevano adottato. Bei tempi. Quindi sì, che gli dessero pure del paranoico, del dispotico e del villano, ma quello che era suo era suo, e lui non condivideva mai. Ma stai imparando a farlo, ricordi? Non più! L'avrebbe cacciata fuori a calci, dopo avergliele cantate per aver osato entrare, e le avrebbe fatto il favore di non spararle in quel bel faccino. Poi avrebbero deciso se uscire a cena insieme, o magari andare al cinema. Avrebbe avuto quella bionda o nessun'altra, decise. Quando le lanciò un'occhiata, però, si accorse di essere inchiodato a terra. I gesti della ragazza erano rigidi, impacciati, mentre prendeva quello di cui aveva bisogno. Una tazza, lo zucchero, un cucchiaino. Dopo aver condotto interrogatori per anni, Levi sapeva quando qualcuno voleva dire qualcosa ma non trovava il coraggio di farlo. La sua nuova vicina aveva un disperato bisogno di confessare un segreto, le serviva solo una spintarella. Prendi il controllo della situazione. «Ehi, signorina. Devi chiarirti le idee su qualcosa.» «Signorina non è brutto come signora. Comunque mi 143


chiamo Harper» gli disse lei da sopra la spalla. Harper. Non le si addiceva. Levi coprì la distanza che li separava e controllò il soggiorno, per essere sicuro che fosse in ordine. A parte la camicia e i pantaloni drappeggiati sul bracciolo del divano, grazie al cielo aveva sistemato un po'. Quanto ai mobili, il cuoio scuro della poltrona e del divanetto a due posti era graffiato ma di ottima qualità; il tavolino era lucido come la pistola e il tappeto era liso solo dove gli piaceva passeggiare. Le assi del pavimento scricchiolavano a ogni passo, ma dopotutto gli scricchiolii del legno che si assestava e i cigolio dei cardini che cedevano, insieme al brusio che si sentiva attraverso le pareti ultrasottili era la colonna sonora di routine. «Ascolta...» disse. «D'accordo, ho aspettato fin troppo che ti decidessi a farlo da solo» lo interruppe la ragazza. «Come ti chiami?» «Levi. Ora, perché sei qui?» Afferrò il bancone per impedirsi di prenderla per le spalle e scuoterla. Scuoterla era sbagliato. Molto, molto sbagliato. O almeno era quello che ripeteva sempre il suo capitano. Mentre stringeva la sua tazza e sorseggiava il suo caffè, Harper si voltò a guardarlo. Invece di vuotare il sacco, tuttavia, fece una smorfia e sussultò. «Che cos'è questo schifo? Davvero! Sa di olio per motori.» Gli piaceva il caffè forte, e allora? «Forse lo è.» «Oh, in questo caso non è male.» Lei bevve un altro sorso e sospirò come se fosse soddisfatta. «Decisamente un olio per motori di prima qualità.» Distolse lo sguardo da lui. «Sai, il tuo appartamento è molto più grande del mio e ha molta più luce. Con chi sei dovuto andare a letto per ottenerlo?» È strampalata come tutti gli altri. «Chi ti dice che io sia andato fino in fondo?» A quanto pare lo sono anch'io. Una risata le gorgogliò in gola e il caffè rischiò di andar144


le di traverso. «Caro mio, sai che cosa hai appena dato a intendere?» «Sì. Per questo l'ho detto.» Le aveva lasciato dominare la conversazione abbastanza a lungo. Ora doveva andare oltre, prima che lei se ne uscisse con un'altra di quelle risate. Magnifiche. Si spostò lungo il bancone e le si avvicinò, la fragranza di cannella che sembrava ispessire l'aria fra loro, l'odore della trementina che svaniva. Reclamò la propria tazza, la appoggiò e invase lo spazio personale di Harper, obbligandola a indietreggiare fino a urtare i mobiletti. Lei lo guardò, gli occhi color dell'oceano tormentati... e che davano il tormento. In quel momento gli ricordò una fata con un'ala spezzata. Spezzata. I muscoli... si tesero di nuovo... Levi sapeva per esperienza che tutti hanno qualche segreto. Era evidente che Harper non faceva eccezione. Ricordò il giorno in cui si era trasferita. Teneva gli occhi bassi, le lunghe ciglia chiare che non riuscivano a nascondere le ombre sottostanti. Aveva le guance scavate, che da allora si erano riempite, e irrigidiva la schiena ogni volta che qualcuno le si avvicinava. Cavoli, aveva notato un sacco di cose, considerato che non si era permesso di guardarla. «Hai cinque secondi per iniziare a parlare» disse, più bruscamente di quanto intendesse. Non c'era motivo per spezzarle anche l'altra ala, ma accidenti, il suo istinto di proteggere i più deboli stava prendendo il sopravvento e ogni fibra di lui si ribellava al pensiero che qualcuno le avesse fatto del male. «Perché. Sei. Qui?» Lei deglutì e il tremito aumentò. «Una ragazza non può conoscere un uomo prima di chiedergli un favore?» «No.» Menare il can per l'aia non aveva mai funzionato con lui. «Sei in qualche guaio?» Il rossore le scurì le guance, ma il resto del viso sbian145


cò, diventando del colore del gesso. «Non esattamente, no.» Una voce più dolce, il pericolo nascosto tra i fili di seta della... paura? Sì, era decisamente paura. Non riusciva più a guardarlo negli occhi. Levi parlò in tono più gentile: «Spiega quel "non esattamente"». Di nuovo le unghie che sbattevano contro i denti. «Corre voce che tu sia un detective della polizia di Oklahoma.» «È così.» Non c'era motivo di accennare al congedo forzato. Gli occhi color dell'oceano tornarono su di lui, così adorabili nella loro purezza che il respiro gli si impigliò in gola. «Che tipo di poliziotto sei?» «Un detective, l'hai appena detto.» «Come se facesse qualche differenza. Un distintivo è un distintivo, giusto? Intendo dire, sei uno dei buoni o dei cattivi? Ti preoccupi della giustizia, a qualunque costo, o vuoi solo chiudere un caso?» Levi premette la lingua contro il palato e ricordò a se stesso che era una persona calma e razionale (con una pistola) e che quella ragazza probabilmente non aveva intenzione di insultare lui e i suoi colleghi. «Harper.» Un rapido rimprovero, il nome pronunciato come un'imprecazione. Avrebbe dovuto chiamarla di nuovo "signora", ma dopo quello scambio di battute su come aveva ottenuto l'appartamento, le formalità sembravano superflue. «Sto per arrestarti per ubriachezza molesta, visto che solo una persona ubriaca direbbe una cosa del genere.» Lei sospirò di sollievo. «Uno dei buoni, allora. Altrimenti avresti cercato di convincermi di quanto sei buono, non ti saresti offeso.» «Harper.» La ragazza deglutì. «D'accordo. Ti ho detto che sono una pittrice, giusto?» 146


«Una pittrice formidabile.» Lei sollevò il mento e i segreti che le tormentavano gli occhi per un attimo furono sostituiti da un'espressione offesa. «Be', lo sono» disse, continuando a mangiucchiarsi le unghie. «Comunque, io... Sapevo che sarebbe stata dura, ma cavoli, è peggio di quella volta che ho dovuto dire a Stacy DeMarko che il suo sedere sembrava davvero grasso con quei jeans.» Non è divertente. Levi strinse le dita intorno al polso della ragazza e le tolse la mano dalla bocca. Il contatto la fece sussultare. Sussultò anche lui. Aveva una pelle incredibilmente morbida, di un calore decadente, sembrava il prodotto di una fantasia. Il polso martellava a un ritmo irregolare e ogni colpo lo accarezzava. La lasciò andare e fece un passo indietro. «Ultima possibilità, Harper. Dimmi quello che sei venuta a dire. È l'unico modo per avere quello che ti serve.» Lei si passò una mano sul collo elegante, l'immagine della delicatezza femminile, e sussurrò: «Sto dipingendo qualcosa... una reminiscenza, credo, e il problema è che... non ricordo con precisione, ma è lì, nella mia testa, un'immagine orribile, intendo, e... Insomma, credo di aver assistito a un omicidio».

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P.C. CAST - GENA SHOWALTER

Presenze

Tutti all'agenzia di investigazioni After Moonrise hanno dei poteri soprannaturali, il che è una fortuna se si devono catturare degli assassini, ma un problema quando si tratta di relazioni sentimentali. Lo sanno bene Kent Raef e la sua collega Lana, alle prese con un mondo complicato in cui i fantasmi continuano a vivere e l'amore non muore mai...

AMANDA STEVENS

The Kingdom Amelia Gray, la Signora dei Cimiteri, si trova ad Asher Falls per occuparsi di un vecchio camposanto. Ma ben presto si convince che ci sia un'altra ragione se è stata chiamata lì. Perché avverte con quel luogo una sorta di legame che non riesce a spiegare e a comprendere. Riuscirà a scoprire la verità nascosta dal velo che separa i vivi dai morti?


RHYANNON BYRD

Luce nelle tenebre BenchĂŠ a malincuore, Noah e Willow sono costretti a unire le forze contro le potenze del male che minacciano il mondo. E nonostante il rancore e i segreti che li dividono, ben presto per l'enigmatico Guardiano si rivela impossibile resistere alla passione primordiale che la bellissima strega risveglia in lui. Ma quando infine il nemico gioca le sue carte...

GENA SHOWALTER

L'angelo della tentazione Cupo e spietato, Koldo vive per vendicarsi dell'angelo crudele che gli ha strappato le ali. L'unica creatura capace di sciogliere la gabbia di gelo che imprigiona il suo cuore è Nicola, un'umana fragile ma sensuale che risveglia in lui sentimenti proibiti. Cedere alla tentazione significherebbe la dannazione eterna, o potrebbe rivelarsi la salvezza?

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