Bn92 l'angelo della tentazione

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Ogni sfumatura del desiderio.

Solo Wade, con il calore ardente della passione, poteva sciogliere il gelo che le albergava nell’animo. E conquistare non solo il suo corpo, ma anche il suo cuore. Un romanzo dove sentimenti ed erotismo si uniscono in un gioco irresistibile.

Charlotte Featherstone, Amanda Mcintyre e Kristi Astor: tre grandi autrici della narrativa erotica firmano un’antologia che stregherà i vostri sensi. Una magica tentazione, che vi terrà sveglie tutta la notte.

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GENA SHOWALTER

L'angelo della tentazione


Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Beauty Awakened HQN Books © 2013 Gena Showalter Traduzione di Francesca Barbanera Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Bluenocturne settembre 2013 Questo volume è stato stampato nell'agosto 2013 da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd) BLUENOCTURNE ISSN 2035 - 486X Periodico mensile n. 92 del 27/09/2013 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 118 del 16/03/2009 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Trentacoste, 7 - 20134 Milano Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano


Prologo Il piccolo Koldo, sette anni compiuti da poco, se ne stava seduto in un angolo della camera da letto, fermo e zitto. Sua madre si stava spazzolando i capelli, una splendida cascata di riccioli scuri inframmezzati da piccole ciocche del colore dell'oro puro. La vide sporgersi verso lo specchio ovale della toletta per osservare meglio il proprio volto sorridente e cosparso di delicate efelidi, canticchiando sottovoce ma con un certo entusiasmo. Koldo non riusciva a smettere di guardarla, incantato. Cornelia era una delle creature più belle che fossero mai state create. Lo dicevano tutti. I suoi straordinari occhi viola erano incorniciati da lunghe ciglia castane e dorate come i capelli. Le labbra a forma di cuore risaltavano sulla pelle candida e luminosa come il sole. Koldo, con i suoi capelli neri come l'inchiostro, gli occhi scuri come carbone e la pelle bronzea, non le assomigliava neanche un po'. L'unica cosa che avevano in comune erano le ali, e forse era proprio per questo che lui era orgoglioso di quelle piume bianche e scintillanti, adagiate su un soffice strato di lanugine color ambra. Le ali erano l'unica caratteristica che nobilitava il suo aspetto. All'improvviso sua madre smise di canticchiare. Koldo trattenne il fiato. «Mi stai fissando» lo aggredì lei, mentre il sorriso di poco prima svaniva dal suo volto senza lasciare traccia. Koldo abbassò lo sguardo come sua madre gli diceva sempre di fare. «Scusami, mamma» bisbigliò. «Quante volte ti devo dire di non chiamarmi così?» gridò lei, 5


sbattendo la spazzola sul piano di marmo. «Sei troppo stupido per ricordarlo?» «No» mormorò lui. Oltre che per la bellezza, tutti lodavano Cornelia per la dolcezza e la bontà d'animo che, in effetti, mostrava in ogni occasione. Era sempre prodiga di complimenti e gentile con chiunque le rivolgesse la parola; chiunque tranne Koldo. Lui doveva fare i conti con una Cornelia completamente diversa, che lo accusava di avere sbagliato qualunque cosa facesse o dicesse. Eppure continuava ad amarla con tutto il cuore e l'unica cosa che desiderava era renderla felice. «Che creatura orribile» borbottò lei alzandosi. Un intenso profumo di gelsomino e caprifoglio si diffuse tutto intorno a lei. La stoffa viola della tunica ondeggiò morbidamente intorno alle sue caviglie e il movimento fece scintillare le pietre preziose cucite sull'orlo. «Proprio come tuo padre.» Koldo non aveva mai visto suo padre, ma ne aveva sentito parlare molte volte, sempre con gli stessi aggettivi. Malvagio. Disgustoso. Repellente. «Ho invitato qualche amico» lo informò Cornelia, scuotendo la testa per gettarsi i capelli dietro le spalle. «Tu dovrai rimanere qui, chiaro?» «Sì.» Eh sì, era tutto fin troppo chiaro. Sua madre non voleva che gli amici lo vedessero perché il suo aspetto orribile l'avrebbe messa in imbarazzo, e se fosse successo sarebbe andata su tutte le furie e l'avrebbe fatto soffrire. Cornelia lo studiò a lungo in silenzio e alla fine ruggì: «Avrei dovuto annegarti nella vasca da bagno quando eri ancora troppo piccolo per difenderti». Detto questo, uscì dalla stanza a grandi passi, sbattendosi la porta alle spalle. Quel rifiuto lo ferì nel profondo, chissà perché. In fondo, sua madre gli aveva detto cose molto peggiori migliaia di volte in passato. Amami, mamma. Ti prego. Forse... forse lei non ci riusciva. Non ancora. Una scintilla di speranza si accese nel petto del piccolo Koldo, che alzò la testa 6


con fierezza. Forse non aveva lottato abbastanza per dimostrarle che era degno del suo amore. Forse facendo qualcosa di speciale per lei sarebbe riuscito a convincerla che non era come suo padre. Forse, se avesse rimesso in ordine la sua camera e le avesse fatto trovare un bel mazzo di fiori freschi... Se le avesse cantato una canzone per farla addormentare... Ma sì! Lei l'avrebbe baciato e abbracciato per ringraziarlo, proprio come faceva con i bambini dei domestici. Entusiasta dell'idea, Koldo piegò con cura le coperte che utilizzava come giaciglio e balzò in piedi. Cominciò a girare per la stanza come una scheggia, raccogliendo gli abiti e i sandali sparsi qua e là, poi risistemò i cuscini adagiati sul tappeto, dove Cornelia era solita sdraiarsi per riposare e leggere. Evitò di guardare la parete delle armi, dove erano appesi pugnali, fruste e spade, e si diresse verso la toletta per allineare con cura gli oggetti personali della madre: la spazzola, le boccette di profumo, le creme idratanti e il liquido dall'odore pungente che Cornelia beveva sempre. Fatto questo, lucidò le collane, i bracciali e gli anelli nel portagioie. Alla fine ogni cosa all'interno della stanza brillava come se fosse stata nuova. Koldo sorrise, soddisfatto del risultato. Cornelia avrebbe apprezzato i suoi sforzi, ne era certo. Per completare l'opera mancavano solo i fiori. Cornelia gli aveva ordinato di restare nella stanza e, se lui le avesse promesso di ubbidire, non sarebbe uscito. Ma in effetti non le aveva promesso niente: le aveva solo detto di aver compreso la sua volontà. Inoltre, l'avrebbe fatto per lei, solo per lei, e non l'avrebbe visto nessuno. Avrebbe fatto in modo di non essere notato. Si avvicinò al terrazzo e aprì la portafinestra. L'aria fresca della sera lo avvolse come un'onda. Il palazzo era situato in un remoto regno dei Cieli inferiori, circondato da migliaia di stelle scintillanti che si affacciavano su un'immensa distesa di velluto nero. La luna brillava alta nel cielo come una scaglia di luce incurvata all'insù. Sembrava quasi che gli sorridesse. Incoraggiato da quell'immagine, Koldo uscì sul balcone e raggiunse il bordo esterno. Dato che non c'era ringhiera, spostò i 7


piedi in avanti fino a far sporgere le dita nel vuoto, spiegò le ali e si lasciò travolgere dall'ondata di gioia che quel gesto suscitava invariabilmente in lui. Adorava volare, levarsi in alto e scendere in picchiata, volteggiando tra le nuvole per rincorrere gli uccelli. Cornelia non sapeva della sua passione per il volo. «Non devi usare le ali. Mai» gli aveva intimato il giorno in cui gli erano spuntate le appendici piumate. Koldo aveva deciso di ubbidirle e così aveva fatto finché, un giorno in cui Cornelia gli aveva gridato tutto il suo disprezzo, si era arrampicato sul tetto per allontanarsi dalla madre. Annebbiato dal dolore, si era distratto ed era caduto giù, giù, sempre più giù. Quando ormai stava per schiantarsi al suolo, aveva aperto le ali per la prima volta ed era riuscito a rallentare la caduta. Si era trascinato via di lì con un braccio e una gamba spezzati, le costole rotte, un polmone perforato e una caviglia fratturata. Con il tempo era guarito e, appena possibile, si era lanciato nel vuoto di proposito. La sensazione del vento sulla pelle e tra i capelli era come una droga e non ne aveva mai abbastanza. Anche quella sera si tuffò a testa in giù nel vuoto. L'aria lo colpì con violenza, soffocando il grido di gioia che gli si era formato in gola. Quella sensazione di libertà... Il brivido del rischio... L'ondata di energia e di calore... Non si sarebbe mai stancato di volare. Un attimo prima dell'impatto con il suolo si raddrizzò in modo che le ali sfruttassero la corrente per planare. Atterrò dolcemente e si mise in cammino. Un passo, due passi, tre passi e... aveva già percorso più di un miglio nella foresta, non tanto per la propria velocità, quanto perché aveva una capacità che sua madre e gli altri Inviati che conosceva non possedevano: era in grado di spostarsi da un luogo all'altro con la sola forza del pensiero. Aveva scoperto quel potere pochi mesi prima. All'inizio riusciva a percorrere meno di un metro, poi due e poi, giorno dopo giorno, sempre di più. Tutto ciò che doveva fare era placare le emozioni e concentrarsi. Finalmente raggiunse la distesa di fiori di campo che aveva scovato l'ultima volta che aveva infranto le regole ed era uscito dal palazzo. Raccolse i più belli e scelse solo quelli con i petali co8


lor lavanda che gli ricordavano gli occhi della madre. Li avvicinò al naso e inspirò profondamente. Un gustoso aroma di cocco gli riempì le narici e riportò il sorriso sulle sue labbra. Se Cornelia gli avesse domandato dove aveva preso il bouquet, be'... le avrebbe detto la verità. Si era sempre rifiutato di mentire, anche quando una bugia avrebbe potuto salvarlo da una punizione. Quella scelta non dipendeva solo dal fatto che, diversamente da lui, gli Inviati percepivano un sapore acre in bocca ogni volta che qualcuno mentiva, ma anche dalla consapevolezza che le bugie erano la lingua dei demoni, creature terribilmente malvagie, quasi quanto suo padre. Cornelia avrebbe apprezzato la sua sincerità, ne era certo. Stringendo tra le mani i gambi verdi e umidi, Koldo spiccò il volo e raggiunse l'atmosfera in un batter d'occhio, spingendosi sempre più in alto, mentre le piume frusciavano nel vento e i muscoli della schiena si distendevano piacevolmente. Le ali si alzavano e si abbassavano, scivolando sull'aria fresca. Quando atterrò sul balcone del palazzo, il cuore gli batteva all'impazzata. Si affacciò alla finestra per scrutare l'interno, ma non c'era traccia di sua madre. Entrò nella stanza, tirando un sospiro di sollievo. Tolse i fiori secchi dal vaso preferito di Cornelia, cambiò l'acqua e sistemò il bouquet appena colto, poi tornò al suo posto, nell'angolo, piegò le gambe e si mise ad aspettare. Passarono diverse ore. E ancora altre ore. Quando finalmente sentì cigolare i cardini della porta, non riusciva quasi a tenere gli occhi aperti per la stanchezza e il bruciore, ma era comunque riuscito a non addormentarsi mai e l'arrivo della madre risvegliò completamente la sua attenzione. Piccoli passi leggeri. Una pausa. «Cos'hai combinato?» boccheggiò sua madre, incredula, mentre girava su se stessa per esaminare ogni centimetro della sua camera da letto. «L'ho resa più bella per te.» Amami. Ti prego. Cornelia fece un respiro profondo e indignato, poi raggiunse Koldo a grandi passi e lo fissò con uno sguardo di odio puro. 9


«Come ti sei permesso? La mia stanza mi piaceva così com'era.» Un senso di delusione schiacciante si abbatté sul petto di Koldo. Aveva fallito ancora una volta. «Mi dispiace.» «Dove hai preso quell'ambrosia?» gli chiese lei, lanciando un'occhiata alla portafinestra che dava sulla terrazza. «Ti sei spostato in volo, non è così?» Seguì un breve momento di silenzio prima che Koldo rispondesse: «Sì». In un primo momento Cornelia non ebbe alcuna reazione, poi raddrizzò le spalle in un gesto deciso. «Credi di potermi disubbidire senza subire nessuna conseguenza?» «No, volevo solo...» «Bugiardo!» gridò lei, colpendolo talmente forte sulla guancia che l'impatto lo scaraventò contro il muro. «Sei tale e quale a tuo padre, fai solo quello che vuoi, quando vuoi, fregandotene di cosa provano o pensano gli altri. Non ho intenzione di tollerare questo comportamento un minuto di più.» «Mi dispiace» ripeté Koldo, tremante. «Oh, credimi, ora ti darò una buona ragione per dispiacerti.» Cornelia lo afferrò per un braccio e lo costrinse ad alzarsi. Lui non provò a ribellarsi e lasciò che la madre lo lanciasse sul letto, a pancia in giù, e gli legasse mani e piedi alle sponde. Vuole frustarmi di nuovo, pensò, impedendosi di implorare pietà a una madre che non l'avrebbe mai mostrata. Sì, avrebbe sofferto, ma sarebbe guarito. Lo sapeva con certezza. Aveva già subito migliaia di punizioni come quella, ma si era sempre ripreso, almeno dal punto di vista fisico. Tuttavia, le ferite del suo cuore non si sarebbero rimarginate per anni. Sua madre si avvicinò alla parete delle armi e prese una lama, ignorando la frusta che era solita utilizzare per punirlo. Voleva forse ucciderlo? Koldo cominciò ad agitarsi e contorcersi, ma non era forte abbastanza per liberarsi. «Mi dispiace, davvero. Scusami! Non pulirò mai più la tua stanza, te lo giuro. Non uscirò mai più.» «Credi che sia solo questo il problema? Stupido! Il punto è che non posso permettere che tu te ne vada in giro come ti pare e piace. Nelle tue vene scorre l'ignobile sangue di tuo padre.» 10


La rabbia che infiammava i suoi occhi si propagò al resto del viso, conferendole un'espressione folle, quasi bestiale. «Limitando le tue capacità di spostamento, farò un favore al mondo intero.» No. No! «Non farlo mamma, ti prego!» Non poteva perdere le ali, no, proprio non poteva. Piuttosto preferiva morire. «Ti prego.» «Quante volte ti ho detto di non chiamarmi in quel modo? È disgustoso!» ruggì lei. Koldo fu percorso da un'ondata di panico così violenta che nelle sue vene si formarono piccoli cristalli di ghiaccio. «Non lo farò mai più, te lo giuro, ma ti prego, fermati... Ti prego!» «Devo farlo.» «Se vuoi, puoi prenderti le gambe. Tagliami le gambe!» «Così dipenderai da me per il resto dei tuoi giorni. Non ci penso proprio.» Un ghigno malvagio si insinuò sulle sue labbra. «Avrei dovuto farlo tanto tempo fa» disse. In un attimo, alzò la mano e colpì. Koldo gridò a squarciagola, con tutto il fiato che aveva in corpo finché non restò completamente privo di voce e di energie. Fu allora che vide le sue meravigliose ali cadere per terra, le piume candide impregnate del suo sangue. Non poté far altro che chiudere gli occhi e pregare di morire. «Stai calmo ora. Sst. È tutto finito» sussurrò Cornelia, quasi con dolcezza. «Hai perso ciò che in fondo non meritavi di avere.» Doveva essere stato solo un brutto sogno. Sua madre non era una persona così crudele. Nessuno poteva esserlo davvero. Sentì due labbra morbide e calde posarsi per un attimo sulla sua guancia bagnata di lacrime mentre il profumo di gelsomino e caprifoglio copriva le ultime reminiscenze di cocco. «Ti odierò sempre, Koldo» gli sussurrò lei all'orecchio. «Non puoi fare niente per cambiare ciò che provo.» No, non era un brutto sogno. Era la realtà. La sua nuova realtà. Sua madre era molto più crudele di quanto avesse mai immaginato. «Non voglio cambiare ciò che provi» rispose lui con voce tremante. Ormai, non più. Cornelia scoppiò a ridere. «È rabbia quella che sento nella tua 11


voce? Bene, bene. Sei più simile a tuo padre di quanto credessi. Forse è giunto il momento che voi due vi incontriate.» Seguì un breve istante di silenzio, poi aggiunse: «Sì, è deciso. Domani mattina ti porterò da tuo padre, tra la sua gente, così capirai quanto sono stata buona con te. Ammesso che tu riesca a sopravvivere».

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1 In un mondo di oscurità, anche il più fioco bagliore è un faro. Oggi Koldo si muoveva a grandi passi nel reparto di terapia intensiva dell'ospedale. Sia lui sia il guerriero suo compagno erano nascosti alla vista degli umani e protetti dal contatto fisico. Dottori, infermieri, visitatori e pazienti passavano attraverso i due guerrieri senza immaginare neanche lontanamente che, accanto al loro mondo, esisteva una dimensione parallela invisibile, un universo fatto di spirito che aveva generato quello materiale degli uomini. Un universo di spirito che era l'unica vera natura di tutto il Creato. Un giorno tutti quegli umani l'avrebbero scoperto in prima persona. I loro corpi sarebbero morti, ma gli spiriti sarebbero saliti – o discesi – nell'aldilà e allora avrebbero cominciato a capire che il mondo materiale era solo una condizione passeggera, mentre quello spirituale era eterno. Eterno. Proprio come la rabbia che provava Koldo in quel momento. Detestava trovarsi in mezzo agli umani a perdere tempo con l'ennesima missione insulsa e, soprattutto, non sopportava Axel, il suo compagno. Ma Zacharel, il suo nuovo comandante, faceva di tutto per tenerlo occupato e fornirgli più distrazioni possibile perché sospettava che Koldo fosse tentato di infrangere una delle leggi celesti. In effetti, non si sbagliava. 13


Dopo tutto ciò che aveva dovuto sopportare nell'accampamento di suo padre e aver trascorso secoli interi alla ricerca di sua madre, Koldo l'aveva finalmente trovata e l'aveva rinchiusa dentro una gabbia in una delle sue tante case. Dunque sì, Koldo era molto tentato di infrangere la legge, ma non avrebbe mai causato danni irreparabili a quella donna. Anzi, non si sarebbe degnato nemmeno di romperle un'unghia. Per il momento, voleva solo dimostrarle quanto fosse orribile restare intrappolati dalle circostanze, come lei gli aveva insegnato tanti anni prima e come continuava a fare nel presente. Più avanti, chissà... Ancora non sapeva cosa avrebbe fatto. Da molto tempo, ormai, aveva smesso di pensare al futuro. A causa della sua avversione per Cornelia, Koldo era finito nell'Esercito della Disgrazia, un'armata composta dai guerrieri più valorosi dei Cieli che, tuttavia, meritava pienamente il nome che le era stato affibbiato: i suoi membri erano il peggio del peggio, angeli Inviati che rischiavano la dannazione eterna. Per ragioni diverse, i venti soldati che componevano l'Esercito della Disgrazia avevano infranto le leggi celesti. Avrebbero dovuto amare e invece odiavano. Avrebbero dovuto aiutare gli altri e invece li facevano soffrire. Avrebbero dovuto costruire e invece distruggevano. Tre mesi prima, ai membri dell'Esercito era stato concesso un anno di tempo per correggere i loro comportamenti malvagi, pena l'annullamento dei poteri di cui erano dotati e la condanna a trascorrere l'eternità all'inferno. Koldo avrebbe fatto quanto era in suo potere per evitare un simile epilogo, perfino se avesse significato rinunciare alla vendetta. Non poteva accettare di perdere l'unica casa che avesse mai avuto. Axel lo afferrò per un braccio e lo costrinse a fermarsi. «Ehi, bello! Hai visto che accessori ha quella ragazza?» Ed ecco la prima ragione per cui Koldo non riusciva a lavorare con Axel. «Lo sai che sei davvero disgustoso?» replicò, liberando il braccio con uno strattone. Non gli piaceva per niente il contatto fisico. «Oh sì, lo so» confermò Axel con un sorrisetto irriverente, e 14


aggiunse: «Però credo che qualcuno – e non farò il tuo nome, ragazzo mio – dovrebbe smetterla di pensare con le parti basse. Non mi riferivo al davanzale». Koldo si passò la lingua sui denti, poi chiese: «E a cosa ti riferivi allora?». «Ehi, sveglia! Ai suoi demoni. Guarda.» Koldo spostò lo sguardo verso la stanza alla sua destra, ma proprio in quel momento la porta venne chiusa e lui non riuscì a vedere niente. «Troppo tardi.» «È troppo tardi solo quando sei morto. Andiamo, devi assolutamente vederli.» Axel gli passò davanti e sparì attraverso la porta. Koldo sentì le mani stringersi a pugno e dovette resistere all'impulso di dare un cazzotto al muro. Avevano una missione da compiere e le distrazioni servivano solo a trattenerli più a lungo del necessario in quel luogo pieno di demoni che se la ridevano di fronte alle sofferenze degli umani e che sussurravano parole orribili a chiunque avesse orecchie per ascoltarli. «Non ce la farai. Non c'è più speranza» dicevano. E gli umani poi... Non erano altro che marionette i cui fili venivano manovrati da perfide mani con gli artigli. Quelli che non erano abbastanza forti per resistere diventavano vittime della guerra tra il Bene e il Male, o nella vita terrena o dopo la morte. Non avevano scampo. Le cose funzionavano così. Tutti i Cieli erano governati dall'Altissimo. Egli, in realtà, consisteva di tre persone: il Misericordioso, l'Eletto e l'Onnipotente. Era il re dei re e la Sua parola era legge. Egli aveva nominato diversi subalterni in tutti i Cieli. Germanus o, come lo chiamavano molti compagni di Koldo, il Dio – un mero appellativo formale privo di altri significati – era uno dei Suoi subalterni. Un sovrano che doveva rendere conto delle sue azioni al Sommo Re. Germanus era a capo dei Sette Eletti – Zacharel, Lysander, Andrian, Gabek, Shalilah, Luanne e Svana – e ognuno dei Sette comandava a sua volta un esercito di Inviati. Zacharel, per esempio, guidava l'Esercito della Disgrazia. Gli Inviati assomigliavano in tutto e per tutto agli angeli, ma non erano esattamente la stessa cosa, per lo meno non nel senso che gli umani attribuivano alla parola angelo. Sì, anche gli Inviati 15


avevano le ali e sì, combattevano contro il male e aiutavano gli umani, ma in realtà erano i figli adottivi dell'Altissimo e la loro esistenza era vincolata alla Sua. Egli era la fonte del loro potere e l'essenza intrinseca della loro natura. Proprio come gli umani, anche gli Inviati dovevano convivere con i desideri della carne: lussuria, avidità, invidia, rabbia, orgoglio, odio, disperazione. Gli angeli, invece, erano i servi e i messaggeri dell'Altissimo e non provavano nessuno di quei sentimenti. Concentrati sulla missione. Koldo raddrizzò la schiena. Zacharel aveva incaricato lui e Axel di uccidere un demone ben preciso che si trovava in quell'ospedale. Il demone aveva commesso l'errore di tormentare un paziente che percepiva il mondo spirituale e che aveva richiesto l'aiuto dell'Altissimo. L'Altissimo era la personificazione dell'amore, sempre disposto ad aiutare chiunque avesse bisogno di Lui. A volte affidava l'incarico agli angeli, a volte agli Inviati e a volte a entrambi, a seconda delle abilità richieste dalle circostanze. In quel caso erano stati scelti Koldo e Axel. Si trovavano nelle vicinanze e stavano andando a una sessione di addestramento, quando la voce di Zacharel aveva sussurrato i nuovi ordini nelle loro menti. All'improvviso dal centro della porta spuntò la testa di Axel che esclamò: «Ehi, bello! Ti stai perdendo un vero spettacolo!». «La persona in quella stanza non è il nostro...» Axel gli fece un sorrisetto e scomparve di nuovo oltre la porta senza lasciarlo finire. «... obiettivo» concluse Koldo, rivolgendosi alla porta chiusa, mentre sentiva la rabbia montargli dentro. Cerca di controllarti. Avrebbe potuto proseguire da solo senza problemi e sconfiggere il demone indicatogli da Zacharel, ma secondo gli ordini ricevuti non poteva fare niente senza il suo compagno di missione. Così strinse i denti e attraversò la porta di ferro senza alcuna difficoltà. Una volta entrato nella stanza, si fermò e si guardò intorno. Era un ambiente molto piccolo e sul letto era distesa, immobile, una ragazza bionda con svariati macchinari collegati al 16


corpo. Accanto a lei sedeva un'altra ragazza, con i capelli rossi, che stava chiacchierando allegramente. La rossa non aveva la minima idea che, dietro le sue spalle, c'erano due demoni che fingevano di non percepire la presenza degli Inviati. «Due colleghi in ufficio si sono messi a discutere su chi di loro riuscisse a correre più veloce e così sono partite le scommesse» stava dicendo. La sua voce aveva un timbro vellutato e morbido, come se spuntasse dalle nebbie dei sogni, e si depositò delicatamente sulla pelle di Koldo facendogli venire in mente il miele caldo. Quella sensazione piacevole, tuttavia, fu accompagnata da una curiosa tensione e lui sentì i muscoli irrigidirsi come quando si accingeva a lanciarsi in battaglia. Voleva forse combattere contro un'umana tanto fragile e delicata? Perché? Chi era quella donna? «Giuro, sembrava di essere al mercato.» Le sfuggì una risata frizzante che a Koldo sembrò meravigliosa, pura, libera da ogni inibizione... Qualcosa che lui non aveva mai provato. «Hanno deciso di organizzare una gara nel parcheggio durante la pausa pranzo e chi perdeva avrebbe dovuto mangiare il contenuto della vaschetta di plastica nel frigo dell'area break. Ormai è lì da più di un mese ed è ammuffita. Ho sentito le grida di esultanza mentre uscivo dal parcheggio, ma non sono riuscita a vedere chi avesse vinto.» Tutto a un tratto nella sua voce filtrò una strana malinconia, ma perché? «Tu avresti puntato su Blaine, ne sono certa. Non è molto più alto di te, sarà un metro e settantacinque, e poi ha due occhi azzurri che sono uno splendore. Certo, l'aspetto fisico non ha niente a che fare con la velocità, ma ti conosco e so che avresti voluto che vincesse. Hai sempre avuto un debole per gli occhi azzurri.» Dalla sua posizione, Koldo poteva vederla solo dalla vita in su, ma a giudicare dalla delicatezza della struttura ossea doveva essere esile e minuta. I tratti del volto erano regolari, la pelle candida come alabastro e gli occhi grigi come una tempesta d'inverno. I lunghi capelli ramati erano raccolti in un coda di cavallo molto alta che le ricadeva morbidamente sulle spalle fino ai gomiti. 17


Nonostante l'aria affaticata, quegli occhi cupi erano ravvivati da una scintilla luminosa. Una scintilla che molto presto sarebbe stata spenta dai demoni. Koldo si costrinse a concentrarsi sulle due creature che si erano piazzate ai fianchi della ragazza, una a destra e una a sinistra, e che le avevano appoggiato una mano sulle spalle con atteggiamento possessivo. Erano alti e forti quanto Koldo e i loro occhi privi di pupille erano scuri come un abisso senza fondo. Sinistro aveva un solo corno che gli spuntava proprio in mezzo alla fronte ed era completamente ricoperto di squame rosse. Destro, invece, aveva due grosse corna ai lati del cranio e un manto peloso scuro e arruffato. Esistevano molti tipi di demoni, di ogni aspetto e dimensione, a partire dal primo della loro stirpe, l'angelo caduto Lucifero, fino ai vari vhia, angst, násilí, slecht, grzech, pica, envexa e, purtroppo, molti altri ancora. Tutti desideravano annientare il genere umano, perfino un individuo alla volta se necessario. Anche tra i demoni esistevano delle gerarchie. Per esempio, Destro era un angst di alto rango e il suo pane quotidiano era la paura; Sinistro, invece, era un grzech e il suo campo era la malattia. I demoni adoravano avvicinarsi agli umani e, tramite sussurri e insidie di ogni tipo, infettarli con una tossina che faceva salire alle stelle i livelli dell'ansia – nel caso degli angst – o debilitava il sistema immunitario – nel caso dei grzech. In questo modo potevano nutrirsi del panico e del malessere provocati, indebolendo sempre di più la vittima e rendendola un bersaglio facile da eliminare. Quella ragazza doveva sembrare un autentico banchetto ai loro occhi. Chissà quanto era grave la sua condizione? Sinistro non riuscì più a fingere di non vedere Axel e gli lanciò un'occhiata torva mentre il guerriero alato gli saltellava intorno, schiaffeggiandolo ripetutamente e canticchiando con l'accento del sud che gli piaceva imitare: «Uno schiaffo qua, uno schiaffo là, che cosa ci vuoi far?». Koldo detestava i demoni con tutto se stesso. Qualunque fos18


se la loro specie o il rango cui appartenevano, erano tutti ladri, tormentatori e assassini, proprio come la gente di suo padre. Ovunque passassero, si lasciavano dietro una scia di caos e distruzione. Quei due non avrebbero certo lasciato andare la ragazza, a meno che qualcuno non li avesse costretti a farlo, ma anche in quel caso lei avrebbe potuto attirarne altri. Spostò gli occhi verso l'altra donna, distesa sul letto, mentre sentiva una sensazione di bruciore crescergli nel petto. Inaspettatamente il suo sguardo trapassò la coperta sgualcita, il leggero camice da ospedale e perfino la pelle e i muscoli. Ciò che vide lo lasciò senza fiato. In quel momento, la ragazza bionda era trasparente come vetro ai suoi occhi. Ecco perché riuscì a vedere l'orribile demone che si era annidato dentro di lei. Anche quello era un grzech, ma molto diverso da quello che tormentava l'altra donna. Aveva dei lunghi tentacoli che si snodavano intorno alla mente della vittima e arrivavano fino al cuore, prosciugando le sue energie vitali. Spesso l'Altissimo concedeva agli Inviati che si trovavano in situazioni difficili dei poteri soprannaturali particolari, come per esempio quella capacità di guardare dentro un corpo che molti chiamavano vista a raggi X. Prima di allora, Koldo non aveva mai vissuto un'esperienza simile. Perché era accaduto proprio lì, in quel momento? E perché solo con quella ragazza e non con l'altra? Un attimo dopo i dubbi e le domande furono messi a tacere da un torrente di informazioni che si riversò nel cervello di Koldo senza alcun preavviso; in un batter d'occhio, scoprì tutto quello che era accaduto a quella donna fino a quel giorno. Le due ragazze erano gemelle, nate dopo sole ventisei settimane di gestazione, ed entrambe avevano dovuto lottare per sopravvivere alle malformazioni cardiache con cui erano venute al mondo. Avevano subito numerosi interventi e si erano trovate in punto di morte decine di volte. Ogni crisi vanificava tutti i progressi fatti fino a quel momento. Ecco perché, con il passare del tempo, i loro genitori avevano preso l'abitudine di dire loro: «Dovete restare sempre calme, altrimenti vi verrà un altro attacco di cuore». Era una raccomandazione innocente, per il loro bene, o alme19


no così sembrava a loro. Tuttavia, che gli umani lo sapessero o no, le parole erano una delle forze più potenti che avevano a disposizione. L'Altissimo aveva creato il mondo con il potere della Sua parola e gli umani, fatti a Sua immagine e somiglianza, potevano modificare il corso della loro esistenza con le parole, utilizzando le labbra come il timone di un'imbarcazione o le redini di un cavallo. Le parole avevano il potere di creare e il potere di distruggere. Dopo anni di sofferenze, la ragazza bionda aveva finito per credere che ogni minimo accenno di emozione le avrebbe provocato l'ennesimo doloroso attacco di cuore e, con quella convinzione, in lei si era accesa la scintilla della paura. E la paura aveva a sua volta aperto la porta a un tragico destino, dal momento che, secondo le leggi celesti, più si temeva una cosa, più era probabile che si verificasse. Nel caso di quella donna, il terrore si era tramutato in realtà sotto forma di grzech. La sua paura aveva attirato l'attenzione del demone e l'aveva resa un bersaglio. Per prima cosa, il demone aveva soffiato la sua tossina nell'orecchio dell'umana, sussurrando frasi catastrofiche. Il tuo cuore potrebbe fermarsi in qualsiasi momento. E il dolore, poi... Oh, una sofferenza insopportabile. Non puoi sopravvivere a un simile orrore anche stavolta. Vedrai, i dottori non riusciranno più a rianimarti. I demoni sapevano che gli occhi e le orecchie degli umani erano vie di accesso per raggiungere la loro mente. Così, quando quella ragazza aveva incominciato a recepire i terribili suggerimenti del demone, lasciando che prendessero il sopravvento sui suoi pensieri, la paura era aumentata in maniera esponenziale ed era diventata una verità velenosa che aveva fatto crollare le sue difese. A quel punto il demone si era insediato dentro di lei, costruendosi una roccaforte inattaccabile, e aveva cominciato a consumarla dall'interno. La ragazza aveva avuto un altro attacco cardiaco e a quel punto il suo cuore era troppo debilitato perché le conoscenze mediche degli umani potessero guarirla. Forse l'Altissimo voleva che Koldo la aiutasse anche se quel 20


giorno non era lei la sua missione? Era per questo che gli stava rivelando tutte quelle informazioni? Tutto a un tratto, la sorella della malata sospirò e si appoggiò allo schienale della sedia, attirando l'attenzione di Koldo. Quando lui la guardò, vide il suo corpo in carne e ossa e non lo spirito; evidentemente il dono dell'Altissimo era limitato all'altra donna. Tuttavia, non ebbe il tempo di chiedersi perché. Venne investito da una folata di cannella e vaniglia, subito seguita dal nauseante tanfo di zolfo, un odore dal quale la ragazza non si sarebbe potuta liberare finché quei demoni le restavano accanto. «È tardi, devo andare» disse la rossa, massaggiandosi il collo come se avesse i muscoli indolenziti. «La prossima volta ti dico chi ha vinto la gara, La La.» Chissà se si rendeva conto che il male la opprimeva e la perseguitava in ogni momento? Avrebbe mai scoperto che era stata infettata dal veleno demoniaco, proprio come sua sorella? Sapeva che, se non avesse lottato, avrebbe fatto la stessa fine della gemella, consumata dai demoni che si annidavano dentro di lei? Koldo poteva uccidere i due esseri che le stavano accanto in un batter d'occhio, ma poi altre creature malvagie avrebbero percepito che la ragazza era una preda facile e l'avrebbero aggredita. Ed essendo all'oscuro delle circostanze, lei si sarebbe arresa di nuovo. Se voleva raggiungere risultati a lungo termine, Koldo doveva insegnarle a combattere contro la tossina. Per farlo, tuttavia, aveva bisogno di tempo e di collaborazione. Tempo che forse lei non aveva e collaborazione che forse non gli avrebbe mai dato. Eppure... Magari era proprio lei la persona che l'Altissimo voleva aiutare e il vero incarico di Koldo era salvarla dal destino della sorella. In ogni caso, la decisione di darle aiuto – o di non darglielo – spettava soltanto a lui. Germanus e Zacharel impartivano ordini, ma l'Altissimo no non lo faceva mai, nemmeno quando era Lui a rivelare una verità. Egli non calpestava mai la libertà di scelta del prossimo. «Vuoi partecipare anche tu, amico?» gli domandò Axel, continuando a schiaffeggiare il demone che ormai aveva iniziato a rin21


ghiare. «Perché ho intenzione di passare alle maniere forti.» «Stai diventando davvero insopportabile» replicò Koldo, furibondo con se stesso perché già sapeva che avrebbe dato la precedenza alla missione assegnatagli da Zacharel. D'altra parte, la sopravvivenza era sempre il primo dei suoi pensieri. Perché provava tutta quella rabbia? Sì, gli piaceva la voce di quella ragazza... e allora? Chi era quella donna per lui? Nessuno. Perché avrebbe dovuto interessargli il suo futuro? «Abbiamo una missione da compiere. Muoviamoci» aggiunse. Appena pronunciate quelle parole, avvertì un lieve senso di colpa, ma lo ricacciò subito indietro. Chiunque fosse la rossa, lasciarla tra le grinfie del male non gli faceva né caldo né freddo. Suo padre avrebbe fatto lo stesso con lui. Sua madre... Be', non aveva idea di cosa avrebbe fatto sua madre. Dopo i tanti secoli trascorsi, sembrava ancora che amasse tutti tranne lui. «Ma dai, boss, dai retta a me: rilassati e spassatela più che puoi è il mio motto!» replicò Axel. «No, tu dai retta a me! Usciamo di qui, subito!» gridò Koldo, sperando di riuscire ad andarsene prima di cambiare idea. «Va bene, va bene» acconsentì di malavoglia l'altro, poi, mentre passava alle spalle dei demoni, sferrò un calcio al polpaccio di uno dei due. Il bestione si voltò di scatto e gli piazzò un potente cazzotto in testa, scaraventandolo contro il muro. Il guerriero attraversò la parete volando e sparì. Pochi secondi dopo rientrò nella stanza, pronto a scagliarsi contro i nemici, ma Koldo lo bloccò e si rivolse ai demoni. «Se vi azzardate a toccarlo ancora, scoprirete quanto sono bravo con la spada di fuoco.» Che fosse meritata o no, la lealtà era fondamentale per Koldo. «Già, vi conviene starlo a sentire» aggiunse Axel con un tono di voce totalmente privo di rabbia o di tensione. Piuttosto, sembrava contento. Koldo gli lanciò un'occhiata e vide che aveva sollevato i pugni di fronte al petto e stava saltellando da un piede all'altro come un pugile. Santo cielo, non poteva avere migliaia di anni. Era impossibile. «Siete voi gli intrusi qui» osservò il demone che aveva trattato 22


la testa di Axel come una palla da baseball. La sua voce era tagliente come un vetro rotto. «La ragazza è nostra.» Koldo dovette soffocare l'impulso di avventarsi contro i demoni. Afferrò Axel per il bavero e lo spintonò attraverso la porta, scaraventandolo in corridoio. «Spero di incontrarvi di nuovo, prima o poi» disse ai nemici, poi uscì dalla stanza mentre alle sue spalle si sollevavano raccapriccianti sibili di disprezzo. Axel era fermo in mezzo al corridoio con i folti capelli neri che gli ricadevano sul volto – i cui tratti, a suo dire, erano una fantasia ricorrente per molte donne, forse perché lo erano per lui – e lo stava trafiggendo con il suo sguardo blu elettrico. «Ehi, amico! Mi hai sgualcito la veste!» Prima l'aveva chiamato boss, ora amico... Evidentemente il ragazzo non aveva capito quanto le emozioni di Koldo fossero instabili. Più si allontanava da quella ragazza, più il suo umore si incupiva. «Che importanza ha? Siamo qui per combattere, non per presentare le nuove tendenze della moda celeste.» «Che significa? Secondo me bisogna presentarsi sempre al meglio, in ogni occasione.» In quel momento, un inserviente con un carrello pieno di cibo gli passò accanto, assorbendo completamente la sua attenzione. Axel cominciò a seguirlo con un sorriso estasiato, dimentico di tutto. «Sento odore di pudding!» esclamò. Fantastico. Sono in missione con l'unico guerriero alato che soffre di disturbi dell'attenzione. Le spiritosaggini di Axel finirono quando infine localizzarono il demone che dovevano eliminare. La vittima delle sue torture era un umano, bloccato a letto e probabilmente imbottito di farmaci, a giudicare dal rigagnolo di saliva che gli colava dalla bocca. Alla sua destra ronzava, sospeso in aria, uno slecht intento a sussurrare maledizioni e cattiverie. «V-va' via» farfugliò l'uomo. Dunque poteva vedere il demone, ma non lui e Axel, pensò Koldo. «Lasciami in pace!». Più parlava, più le sue energie aumentavano, ma non erano sufficienti. Non si può uccidere un drago se non si è in grado di uccidere un orso. All'improvviso, con sommo stupore di Koldo, Axel si lanciò al23


l'attacco senza dire una parola, allargando le ali in una frazione di secondo. Il demone ebbe giusto il tempo di alzare lo sguardo e spalancare la bocca prima che il guerriero alato sguainasse due corte lame a filo doppio nascoste in una sacca d'aria e colpisse. Le spade erano un dono dell'Altissimo e ogni Inviato le possedeva. Axel incrociò i polsi in modo da formare una forbice fatale che staccò di netto la testa del demone dal corpo. Il cadavere cadde a terra, si trasformò in cenere e svanì in un battibaleno. Dentro di sé, Koldo si aspettava di dover affrontare una battaglia in piena regola e invece, con quell'intervento fulmineo di Axel... Be', insomma, non era affatto giusto. L'umano rilassò visibilmente i muscoli e lasciò ricadere la testa di lato. «Se n'è andato» disse con un sospiro di sollievo. «Se n'è andato» ripeté, poi chiuse gli occhi e si addormentò. Probabilmente era la prima volta dopo mesi che riusciva a prendere sonno tranquillamente. Axel lanciò le armi macchiate di sangue nero nella sacca d'aria e commentò: «Accidenti, non volevo farlo di nuovo». Di nuovo? «Vuoi dire che hai già ucciso così rapidamente in passato?» «Be', sì... In pratica ho ucciso sempre così. Solo che, per una volta, vorrei riuscire a ferire il nemico per godermi un po' lo scontro prima di sferrare il colpo di grazia. Be', ci vediamo, bello.» Detto questo, Axel spiccò il volo e svanì attraverso il soffitto. Quel tipo era disastroso quanto Koldo. Non c'era da stupirsi che fosse stato assegnato all'esercito di Zacharel. Chissà quanto era vicino a perdere la grazia e a diventare un caduto?, si chiese Koldo. Più o meno rispetto a lui? Vai a casa. Ottimo consiglio e, miracolo dei miracoli, veniva dal suo cervello. Era determinato a seguire quel suggerimento, ma nella sua mente si formò un'immagine che lo costrinse a cambiare idea. La ragazza dai capelli rossi. Voleva vederla di nuovo. Si proiettò in fretta nella camera della ragazza bionda, con i muscoli rigidi per la tensione. La ragazza rossa, però, se n'era andata. 24


La delusione fu la prima emozione che lo investì, subito seguita da un'ondata di avvilimento e di rabbia. Dall'ospedale, Koldo si spostò nella sua casa nascosta tra le scogliere della costa Sudafricana. Proiezione, così si chiamava la capacità di teletrasportarsi. Koldo aveva imparato molto su se stesso e sui propri poteri quando era stato abbandonato nell'accampamento di suo padre, tanti secoli prima. Un uomo farebbe qualunque cosa pur di sopravvivere, ragazzo, e io te lo dimostrerò. Quelle erano state le parole di suo padre quel giorno e, in effetti, Nox aveva mantenuto la promessa. A quel pensiero, rabbia e frustrazione emersero come un fiume in piena e gli strapparono un ruggito feroce. Cominciò a battere i pugni contro il muro, ancora e ancora, finché il sangue non sgorgò dalle nocche e le ossa, così come le pareti di pietra, non si incrinarono. Ogni pugno era la manifestazione di una rabbia che durava da secoli, di un dolore profondo che non era mai svanito, di una ferita infetta che non sarebbe mai guarita. Lui era ciò che era. Aveva provato a fare di più e a essere migliore, ma ogni tentativo era stato un fallimento totale. L'oscurità che aveva dentro era come un fiume in piena che minacciava costantemente di rompere i fragili argini, fatti di ricordi infangati e di emozioni brucianti. Argini che riusciva a ricostruire solo dopo aver dato sfogo ad accessi di rabbia come quello. Continuò a colpire la parete finché ebbe fiato in corpo; era coperto di sudore, aveva i muscoli e la pelle a brandelli e le ossa delle mani scoperte, eppure avrebbe potuto sferrare altri mille pugni. Ma non lo fece. Si costrinse a buttare fuori l'aria con ritmo regolare e visualizzò una cascata di oscurità che si allontanava da lui. Gli argini ripresero corpo. Alla fine, anche il dolore si fece sentire, ma la cosa non lo preoccupò affatto. Il fiume aveva ripreso a scorrere normalmente ed era quella l'unica cosa che contava. Attraversò il salotto con passo felpato e, mentre camminava, si sfilò la veste con uno strattone e la gettò in terra. Il suo corpo nudo fu sferzato dal vento, umido di rugiada, perché la sua casa non 25


aveva porte che bloccassero le intemperie né finestre che mettessero a tacere i suoni della natura. Tutte le stanze erano aperte agli elementi esterni e soffitto, pavimento e pareti erano stati ricavati dall'ambiente circostante, utilizzando la pietra scura e scintillante della scogliera. Si fermò dietro il davanzale e se ne stette un po' a guardare la maestosa cascata che precipitava sulla pietra frastagliata sottostante. Dal mare inquieto si sollevavano pesanti volute di vapore che avvolgevano le sue membra nude. Di solito andava in quella casa quando desiderava un po' di pace e di privacy. Grazie alla natura selvaggia e turbolenta di quel luogo, gli sembrava che la sua mente fosse più tranquilla del solito, anche se probabilmente era solo un'impressione. Un'improvvisa folata di vento fece tintinnare le perline che aveva intrecciato alla lunga barba. Un tempo aveva anche una folta chioma di lunghi capelli neri che amava abbellire con tante perline disposte a formare una trama complessa. Ormai, però... Si passò una mano sul cranio liscio. Ora era completamente calvo perché aveva sacrificato l'adorata chioma in nome della vendetta. Ormai assomigliava a suo padre in tutto e per tutto. Prima che potesse bloccare i ricordi, la sua mente lo riportò a una delle tante volte in cui si era ritrovato in fondo a una fossa buia con migliaia di demoni-serpe che gli strisciavano sui piedi scorticati e intorno al collo infiammato e ferito. I demoni-serpe, molto simili ai serpenti, affondavano in continuazione le loro zanne appuntite nella sua pelle, iniettando il veleno direttamente nelle vene, ma lui se ne stava sempre fermo e zitto e si rifiutava di emettere anche un solo lamento. Suo padre gli aveva giurato che gli avrebbe mozzato un dito ogni volta che mostrava segni di debolezza e, una volta terminate le dita, avrebbe continuato con le mani, i piedi, le braccia e le gambe. All'epoca Koldo non aveva ancora raggiunto la maturità – ecco perché le ali non gli erano ricresciute – quindi i suoi arti non si sarebbero mai rigenerati e lui avrebbe sofferto per tutta la vita, avrebbe... Finalmente riuscì a ricacciare quell'orribile ricordo in un angolo 26


della mente, dove era giusto che rimanesse. D'accordo, suo padre l'aveva torturato per undici anni... e allora? Alla fine gli Inviati l'avevano salvato ed era perfino entrato a far parte di un esercito. Non quello attuale, agli ordini di Zacharel, bensì quello guidato dall'ormai defunto Ivar. All'epoca Ivar era uno dei guerrieri migliori, oltre che uno dei Sette Eletti, e servire sotto il suo comando era stato un grande onore. Purtroppo, dopo un accesso d'ira come quello di poco prima, Koldo aveva sfidato e sconfitto Ivar di fronte ai suoi uomini e così aveva sprecato la più grande occasione della propria vita. Ogni volta che ci pensava, veniva preso dal rimorso. Mostrare una simile mancanza di rispetto nei confronti di un uomo tanto ammirevole... Dopo quell'episodio, Koldo era stato cacciato dall'esercito ed era rimasto da solo per qualche tempo. Aveva sfruttato quel periodo per tornare all'accampamento di suo padre e annientare tutto e tutti. Era stato il giorno più bello della sua vita. Sollevò un braccio e afferrò la roccia sopra di lui. Ora faccio parte di un altro esercito, guidato da un uomo che un tempo era conosciuto come l'Angelo di ghiaccio. L'indomani Zacharel gli avrebbe affidato l'ennesimo incarico molto al di sotto delle sue capacità, come sempre. Koldo ne era certo perché, nelle ultime tre settimane, il suo comandante lo aveva mandato in missione ogni giorno, privandolo del tempo necessario per infrangere le leggi celesti e finire sotto giudizio. O almeno, così sperava Zacharel. Koldo, però, poteva mentire, rubare, uccidere. Poteva compiere un'infinità di azioni che erano categoricamente proibite agli Inviati, ma non avrebbe fatto niente di tutto ciò. Per fortuna non rischiava di ritrovarsi Axel tra i piedi. Zacharel preferiva assegnargli ogni volta un compagno diverso, probabilmente per tentare di destabilizzarlo. Purtroppo, la sua strategia stava funzionando. Eppure, in tutto quel marasma c'era una luce splendente: la donna che aveva visto all'ospedale di Wichita in Kansas. La ragazza dai capelli rossi. Il desiderio di rivederla non era svanito. Di certo, non poteva essere esile e minuta come gli era sembra27


ta. Per quel che ne sapeva, poteva anche avere le gambe lunghe e flessuose di una ballerina. Di certo i suoi capelli non avevano il dolce colore delle fragole, bensì una comunissima tonalità di biondo scuro o, tutt'al più, qualche sfumatura rosso ruggine. Sicuramente aveva solo immaginato quella voce pura e cristallina. Doveva essere per forza così. Raddrizzò la schiena, mentre l'idea di rivederla prendeva il sopravvento su tutto il resto. Doveva scoprire se era davvero come la ricordava; quel desiderio tutto a un tratto si era trasformato in un'entità viva e palpitante dentro di lui. Prima, però, doveva ritrovarla.

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L'angelo della tentazione Cupo e spietato, Koldo vive per vendicarsi dell'angelo crudele che gli ha strappato le ali. L'unica creatura capace di sciogliere la gabbia di gelo che imprigiona il suo cuore è Nicola, un'umana fragile ma sensuale che risveglia in lui sentimenti proibiti. Cedere alla tentazione significherebbe la dannazione eterna, o potrebbe rivelarsi la salvezza?


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The Prophet Sono Amelia Gray, la Signora dei Cimiteri, e il fantasma di un poliziotto assassinato non mi dà tregua. So che non troverà pace finché non avrò scoperto il suo assassino. Tutti gli indizi conducono a John Devlin, il detective perseguitato dai fantasmi che dovrei amare solo da lontano. E adesso dovrò scegliere se seguire le regole... oppure il mio cuore.

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