GENA SHOWALTER
Demon's Destiny
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: The Darkest Craving HQN Books © 2013 Gena Showalter Traduzione di Anna Polo Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Bluenocturne gennaio 2014 Questo volume è stato stampato nel dicembre 2013 presso la Rotolito Lombarda - Milano BLUENOCTURNE ISSN 2035 - 486X Periodico mensile n. 95 del 17/01/2014 Direttore responsabile: Stefano Blaco Registrazione Tribunale di Milano n. 118 del 16/03/2009 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Trentacoste, 7 - 20134 Milano Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano
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New York, oggi Josephina Aisling abbassò lo sguardo sull'uomo disteso sul letto nella stanza del motel. Era un guerriero immortale, di una bellezza che nessun mortale avrebbe mai potuto uguagliare. Ciocche castane, nere e dorate erano sparse sul cuscino e invitavano l'occhio a indugiare un minuto, due... Anzi, perché non per sempre? Si chiamava Kane, aveva ciglia lunghe, naso forte e mento ostinato. Superava il metro e novanta e possedeva il tipo di muscolatura possente che si poteva acquisire solo sui campi di battaglia. Indossava pantaloni sporchi e macchiati, ma lei sapeva che un grande tatuaggio a forma di farfalla gli ricopriva il fianco destro: l'inchiostro nero era spesso e un po' frastagliato, le punte delle ali si allungavano al di sopra della stoffa e ogni tanto erano scosse da lievi fremiti, come se l'insetto stesse lottando per sollevarsi dalla pelle, o per affondare più in profondità. Entrambe le cose erano possibili: il tatuaggio era un marchio di malvagità assoluta, il segno visibile del demone custodito nel corpo di Kane. Demoni... Un brivido la scosse. Dominatori dell'inferno, bugiardi, ladri, assassini. Tenebre senza un solo sprazzo di luce. Attiravano e tentavano, rovinavano, torturavano e distruggevano. Kane, però, non era il suo demone. Come tutti quelli della sua razza, i potenti Fae, Josephina aveva passato gran parte della vita a studiare Kane e i suoi amici, i Signori degli Inferi. In effetti, su ordine del re le spie dei Fae avevano seguito per secoli i guerrieri, osservandoli e tornando con lunghi rapporti che poi gli scribi avevano tra5
scritto. Ne erano nati libri pieni di storie e immagini, che le madri compravano e leggevano ai figli. E loro, una volta cresciuti, facevano la stessa cosa: il bisogno di sapere come continuava la storia era troppo forte perché potesse essere ignorato. I Signori degli Inferi erano diventati i protagonisti assoluti della migliore e peggiore soap opera di Séduire, il reame dei Fae. Josephina divorava ogni particolare, soprattutto quelli sul supersexy Paris e sul solitario Torin; Kane, la bellissima tragedia ambulante, si piazzava al terzo posto. Probabilmente conosceva la storia della sua vita meglio della propria. Il guerriero aveva vissuto per millenni e aveva avuto solo quattro relazioni serie, oltre a una miriade di insignificanti avventure di una notte. Aveva combattuto innumerevoli battaglie sanguinose con i suoi nemici, i Cacciatori, ed era stato catturato e torturato tre volte. Ogni volta lei aspettava trepidante di sapere se era riuscito a fuggire. La loro storia era cominciata quando Kane e i suoi amici avevano rubato e aperto il vaso di Pandora, scatenando i demoni custoditi al suo interno. I Greci allora al potere avevano deciso di punirli trasformando i loro corpi nei ricettacoli della malvagità che avevano liberato. Kane era diventato così il custode del demone del Disastro. Gli altri ospitavano Promiscuità, Malattia, Sfiducia, Violenza, Morte, Dolore, Ira, Dubbio, Menzogna, Segreti e Sconfitta. Ogni creatura portava con sé una terribile maledizione. Promiscuità doveva fare sesso ogni giorno con una donna diversa, altrimenti rischiava di indebolirsi e morire. Malattia non poteva toccare una creatura vivente senza scatenare un'epidemia. Disastro causava catastrofi dovunque andasse Kane, un fatto che aveva spezzato il cuore di Josephina e le aveva fatto provare un profondo senso di affinità. Tutta la sua vita, infatti, era un disastro. «Non mi toccare» mugolò Kane con voce roca e aspra. Le gambe possenti scalciarono via le lenzuola spiegazzate. «Giù le mani. Basta, ho detto!» Poverino, tormentato da un altro incubo. «Nessuno ti sta toccando» sussurrò Josephina. «Sei al sicuro.» Vedendo che si calmava, sospirò sollevata. Quando l'aveva incontrato era incatenato a una pedana nell'inferno, il torace aperto, le costole esposte, i polsi e le caviglie appesi solo ai tendini sfilacciati. Sembrava un pezzo di carne in una macelleria. 6
Vorrei un chilo di fesa e mezzo di spalla macinata. Che linguaggio volgare. Sei disgustosa. Nel corso degli anni aveva passato così tanto tempo da sola che conversare con se stessa era diventata la sua unica fonte di divertimento e purtroppo la sua unica compagnia. Avrei ordinato un chilo e otto etti di lombo di maiale. Nonostante le sue condizioni pietose, averlo trovato era la cosa migliore che le fosse mai accaduta. Grazie a Kane poteva ottenere la libertà... o magari l'accettazione. La Principessa Synda, sua sorellastra e donna più straordinaria mai nata nel reame dei Fae, non apparteneva ai Signori degli Inferi, ma custodiva ugualmente un demone, quello dell'Irresponsabilità. Pareva che ci fossero più demoni che guerrieri e quelli in più erano stati dati ai reclusi nel Tartaro, una prigione sotterranea per immortali. Il primo marito di Synda era uno di loro e quando era morto il demone aveva trovato il modo di trasferirsi dentro di lei. Quando il Re dei Fae era venuto a saperlo aveva cercato di trovare una soluzione al dramma della figlia, ma fino a quel momento la ricerca non aveva dato risultati. Potrei portare Kane davanti all'Alta Corte dei Fae, lasciare che risponda a ogni domanda e forse allora mio padre potrebbe vedermi, vedermi davvero per la prima volta in vita mia. Le sue spalle si incurvarono. No. Non tornerò mai più là. Josephina sarebbe sempre stata la vittima reale, destinata a ricevere le punizioni riservate a Synda l'Adorata. E Synda meritava sempre una punizione. La settimana prima, in un accesso di rabbia, la principessa aveva dato alle fiamme le scuderie reali, con tutti gli animali dentro, e Josephina si era ritrovata nel Portale Senza Fine che conduceva all'inferno. Là un giorno equivaleva a mille anni e mille anni erano come un giorno; per un tempo che le era parso infinito era precipitata in un abisso oscuro. Aveva urlato, ma nessuno l'aveva sentita. Aveva implorato pietà, ma nessuno si era curato di lei. Aveva pianto, ma non era riuscita a trovare un appiglio. Poi un'altra ragazza era finita nel centro dell'inferno. Si trattava di una Fenice, una razza di guerrieri che discendeva dai Greci, dotata della capacità di risorgere dalle proprie ceneri più e più volte, fino a quando non arrivava la morte definitiva. Kane ricominciò ad agitarsi e a gemere. «Non permetterò che ti accada niente» lo rassicurò. 7
Lui tornò a calmarsi. Se solo la Fenice fosse stata così accomodante con lei... Quando l'aveva vista, nel suo sguardo si era accesa una scintilla di odio che andava ben al di là di quello in genere presente tra i figli dei Titani – come Josephina – e i discendenti dei Greci. Eppure non l'aveva uccisa, anzi... le aveva permesso di seguirla per la caverna e di cercare l'uscita, senza dover usare la poca energia rimasta. Come Josephina, anche lei voleva solo andarsene di là. Avevano superato muri macchiati di rosso e inalato il fetido odore dello zolfo. Intorno a loro gemiti e grugniti creavano una sinfonia terribile, a cui i loro sensi sofferenti non erano pronti. Poi si erano imbattute nel guerriero mutilato. Nonostante le sue condizioni pietose Josephina lo aveva riconosciuto subito e si era fermata. Un senso di reverenza l'aveva invasa: davanti a lei – proprio a lei! – c'era uno dei famosi Signori degli Inferi. Non sapeva come aiutarlo, dal momento che non era quasi in grado di aiutare se stessa, ma aveva deciso di tentare. Di fare tutto il necessario. Non era stata un'impresa da poco. Posò lo sguardo su di lui. «Eri la mia prima e unica occasione di realizzare il mio più grande desiderio» ammise. «Qualcosa che non potevo fare da sola. Appena ti sveglierai ho bisogno che tu mantenga la tua promessa.» E poi... Sospirò piano e si passò le dita sulla fronte. Lui sussultò nel sonno. «No!» ringhiò. «Ti distruggerò. Ti farò a pezzi insieme a tutta la tua famiglia.» Non erano minacce a vuoto. Le avrebbe messe in pratica, probabilmente con il sorriso sulle labbra, per tutto il tempo. Anzi, senza probabilmente: lo avrebbe fatto di sicuro. Tipico dei Signori degli Inferi. «Kane» lo chiamò. Lui si calmò di nuovo. «Credo sia ora che ti svegli. La mia famiglia mi rivuole indietro. Per me sono passati mille anni, per loro soltanto un giorno. Visto che non sono tornata a Séduire, è probabile che i soldati mi stiano cercando.» E quel che era peggio la cercava anche la Fenice, decisa ad asservirla e a vendicare il torto che Josephina le aveva fatto durante la fuga dall'inferno. «Kane.» Gli scosse con gentilezza una spalla. La pelle era di una morbidezza squisita, ma bruciava di febbre, e i muscoli al di sotto erano solidi e possenti. «Ho bisogno che tu apra gli occhi.» 8
Le lunghe ciglia si sollevarono, rivelando iridi appannate di un color oro e smeraldo. Un attimo dopo due forti mani maschili le cinsero il collo e la gettarono sul letto. Il materasso rimbalzò, nonostante lei fosse leggerissima. Josephina non oppose resistenza quando Kane la inchiodò con il suo peso, ma la sua stretta era così forte che non riusciva a respirare. Il profumo di rose che ormai associava a lui l'avvolgeva; era una fragranza insolita per un uomo così virile, una stranezza che non riusciva a capire. «Chi sei?» ringhiò. «Dove siamo?» Sta parlando direttamente con me! «Rispondi.» Lei cercò invano di obbedire e lui allentò la stretta. Oh, così andava meglio. Un respiro profondo. Inspirare. Espirare. «Tanto per cominciare, sono la tua fantastica, meravigliosa liberatrice.» Visto che dalla morte della madre nessuno le faceva più complimenti, aveva deciso di pensarci da sola. «Lasciami andare e ti riferirò i particolari.» «Chi sei?» insistette, stringendola forte. La vista cominciava a oscurarsi e i polmoni bruciavano per la mancanza d'aria, eppure lei non oppose resistenza. «Donna.» La pressione si allentò. «Rispondi. Subito.» «Uomo delle caverne, liberami. Subito» replicò Josephina, inalando con avidità una boccata d'ossigeno. Bada a come parli. Non vorrai farlo scappare, no? Kane si staccò da lei e si accucciò in fondo al letto, continuando a fissarla con intensità mentre si metteva a sedere lentamente. Era rosso in viso e Josephina si chiese se fosse imbarazzato per le sue azioni, o stesse cercando di nascondere la debolezza che lo tormentava ancora. «Hai cinque secondi, donna.» «Altrimenti cosa succederà, guerriero? Mi farai del male?» «Sì.» Il tono era sicuro e determinato. Che stupido. Era il caso di chiedergli un autografo sulla maglietta? Mmh, forse no. «Non ti ricordi di quello che mi hai promesso?» «Io non ti ho promesso niente» replicò. Il tono continuò a essere sicuro, ma l'espressione era confusa. «E invece sì. Ripensa al tuo ultimo giorno all'inferno. Eravamo tu, io e varie migliaia dei tuoi peggiori nemici.» Kane aggrottò la fronte e gli occhi si incupirono per il ricordo, la comprensione... e l'orrore. Scosse la testa come se volesse scacciare i pensieri 9
che ora gli turbinavano nella mente. «Non parlavi sul serio.» «Sì, invece.» «Come ti chiami?» chiese, frustrato e aggressivo. «È meglio che tu non lo sappia. Così non ci sarà alcun attaccamento emotivo e potrai fare più facilmente quello che ti ho chiesto.» «Non ho mai promesso» sbottò. «E perché mi guardi così?» «Così come?» «Come se fossi... una scatola gigante di cioccolatini.» «Ho sentito parlare di te.» Non aggiunse altro: era la verità, senza tante spiegazioni. «Non ci credo. Se sapessi qualcosa di me, a quest'ora te la saresti già data a gambe per la paura.» Davvero? «So che nel corso delle numerose guerre che avete combattuto, i tuoi amici ti hanno lasciato spesso indietro, per paura dei disastri che potevi combinare. So che ti isoli spesso, terrorizzato da quello che potrebbe succedere, eppure sei riuscito a uccidere migliaia e migliaia di nemici.» Lui si passò la lingua sui denti candidi e perfetti. «Come lo sai?» «Pettegolezzi.» «I pettegolezzi sono spesso infondati» borbottò Kane. Passò lo sguardo sulla piccola camera e tornò a puntarlo su di lei. Josephina sapeva che quella sorta di carezza visiva era un'abitudine acquisita nel corso degli anni: serviva a rendersi conto di ogni particolare – entrate, uscite, armi che potevano essere usate contro di lui, armi che lui poteva usare. Questa volta avrebbe visto solo la carta da parati gialla che si stava staccando dalla pareti, il comodino malconcio con una lampada scheggiata, il condizionatore che funzionava solo a tratti, il tappeto marrone e il cestino della carta straccia pieno di pezzuole insanguinate e di flaconi di medicine ormai vuoti, usati per medicare le sue abrasioni. «Quel giorno all'inferno mi hai detto quello che volevi e poi hai commesso l'errore di pensare che avessi acconsentito alla tua richiesta» cominciò. Sembrava un rifiuto. No... non può rifiutare. Non adesso. «Hai farfugliato il tuo assenso. Io ho fatto la mia parte; ora tocca a te.» «No. Non ho mai chiesto il tuo aiuto.» La sua voce era tagliente come un colpo di frusta. «Non l'ho mai voluto.» «E invece sì! Avevi uno sguardo implorante, non puoi negarlo. Non po10
tevi vederlo, dunque non hai idea di come appariva.» Una pausa prolungata. «È l'argomento più illogico che abbia mai sentito» commentò poi con calma. «No, è il più brillante, ma il tuo patetico cervello non è in grado di comprenderlo.» «Non avevo uno sguardo implorante» tagliò corto Kane in tono definitivo. «Lo avevi» insistette Josephina. «Per tirarti fuori di là ho fatto una cosa terribile.» Purtroppo mandare alla Fenice un biglietto di scuse non avrebbe risolto il problema. In preda alla debolezza e consapevole di aver bisogno di aiuto – Marcisci all'inferno, puttana dei Fae era stato tutto ciò che la sua compagna di viaggio le aveva detto – aveva usato il talento di cui era dotata, una benedizione nelle circostanze giuste, ma anche una maledizione che la imprigionava in un mondo privo di contatti fisici: con un semplice tocco aveva rubato tutta la forza alla Fenice. L'aveva comunque portata su una spalla fuori dall'inferno, la stessa cosa che aveva fatto con Kane, lottando con i demoni per tutto il percorso – un miracolo, considerato che non aveva mai combattuto in vita sua – e alla fine aveva trovato una via d'uscita. «Non ti ho mai chiesto di fare cose terribili.» La voce del guerriero conteneva un cupo avvertimento. «Forse non in modo esplicito; in ogni caso mi sono quasi rotta la schiena per salvarti.» Si mise in ginocchio, facendo ondeggiare il materasso. Kane era così indebolito che finì quasi per terra. «Sembrava che pesassi quattro tonnellate... ma erano tonnellate magnifiche» aggiunse in fretta. Smettila di insultarlo! Lui strinse gli occhi e la squadrò da capo a piedi; non era lo sguardo furtivo con cui aveva scrutato la camera, ma sembrava comunque una carezza. Si era accorto che ora lei aveva la pelle d'oca? «Come ha fatto una ragazza come te a compiere un'impresa simile?» Percepiva forse la sua inferiorità? Josephina sollevò il mento. «Lo scambio di informazioni non faceva parte del nostro accordo.» «Per l'ultima volta, donna: tra noi non c'è nessun accordo.» Un tremito desolato la scosse, oscurando le sensazioni che aveva provato prima. «Se non mantieni la tua promessa, io... io...» «Tu cosa?» 11
Soffrirò per il resto dei miei giorni. «Come posso farti cambiare idea e indurti ad agire nella maniera giusta?» Lui parve chiudersi in se stesso, nascondendo ogni pensiero. «A quale specie appartieni?» Cosa c'entrava in quel momento? D'altra parte la risposta poteva spingerlo all'azione. I Fae infatti non erano una razza benvoluta: gli uomini erano conosciuti per il comportamento disonorevole in battaglia e l'insaziabile bisogno di andare a letto con qualsiasi creatura si muovesse, e le donne per la tendenza ai tradimenti e agli scandali e la capacità di confezionare un guardaroba da urlo. «Sono mezza umana e mezza Fae.» Scostò i capelli, mostrandogli le orecchie appuntite. Lui strinse gli occhi. «I Fae discendono dai Titani e i Titani sono i figli degli angeli caduti e degli umani. Al momento dominano il livello più basso dei cieli.» Le scagliò addosso ogni fatto come se fosse una pallottola. «Grazie per la lezione di storia.» Kane aggrottò la fronte. «Dunque sei...» Un nemico? Un essere malvagio? Scosse la testa senza completare la domanda, poi arricciò il naso, come se avesse sentito un odore... non sgradevole, ma nemmeno piacevole. Inspirò in profondità e parve ancora più torvo. «Non assomigli affatto alla ragazza che mi ha liberato... alle ragazze che mi hanno liberato... No, era una sola.» Scosse di nuovo la testa, come se stesse cercando di ricostruire l'accaduto e dargli un senso. «Il viso e i capelli continuavano a cambiare. Ricordo ogni particolare, eppure ciò che vedo adesso non è quello che ho visto all'inferno. L'odore però...» Era lo stesso. «Possedevo la capacità di cambiare aspetto» spiegò Josephina. Lui inarcò le sopracciglia. «Possedevi. Verbo al passato» notò. Nonostante il suo stato pietoso, aveva colto ciò che intendeva. «Infatti. Ho perso quella capacità.» La forza e i talenti che rubava agli altri si mantenevano per un tempo che poteva andare da un'ora a qualche settimana, senza che lei potesse esercitare alcun controllo sulla durata. Ciò che aveva preso alla Fenice era svanito il giorno prima. «Tu menti. Nessuno possiede una capacità un giorno e la perde quello dopo.» «Io non mento mai... a parte le rare volte in cui lo faccio, ma mai in mo12
do intenzionale. E comunque ora sto dicendo la verità.» Sollevò la mano destra. «Giuro.» Lui strinse le labbra. «Da quanto tempo mi trovo qui?» chiese. «Una settimana.» «Una settimana!» trasecolò. «Sì. Abbiamo passato la maggior parte del tempo a giocare al medico inesperto e al paziente ingrato.» Il suo cipiglio divenne ancora più minaccioso. I libri non gli avevano fatto giustizia. «Una settimana» ripeté. «Non ho fatto errori di calcolo, te lo assicuro. Ho spuntato i secondi nel calendario del mio cuore.» Kane le lanciò un'occhiata di fuoco. «Hai una bella boccaccia, eh?» Lei si illuminò. «Davvero?» Era il primo complimento che riceveva da quando era morta la madre e se lo sarebbe tenuto caro. «Grazie. Dunque pensi che abbia una bocca molto bella, o appena sopra la media?» Lui parve sul punto di rispondere, ma non riuscì a emettere alcun suono. Le palpebre si chiudevano e si aprivano e il corpo imponente ondeggiava. Stava per cadere a terra. In quel caso, lei non sarebbe riuscita a riportarlo sul letto. Protese verso di lui le mani coperte dai guanti, ma Kane indietreggiò e la respinse, deciso a evitare ogni contatto tra di loro. Che tipo sveglio! Poi cadde sul tappeto con un tonfo. Mentre Josephina correva al suo fianco, la porta della stanza si aprì, mentre frammenti di legno venivano scagliati in ogni direzione. Un guerriero alto, bruno e muscoloso si stagliava sulla soglia, il viso in ombra e l'aria minacciosa, forse perché stringeva due pugnali insanguinati. Dietro di lui ce n'era un altro: era biondo e... aveva delle budella appese ai capelli. Gli uomini di suo padre l'avevano trovata.
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GENA SHOWALTER
Demon's Destiny Dopo aver sopportato indicibili torture negli Inferi, Kane non vuole avere niente a che fare con Josephina. PerchÊ quella donna sensuale e dolcissima rischia di risvegliare Disastro, il demone che dorme dentro di lui. E le conseguenze sarebbero terribili. Il loro amore è proibito, il loro destino inevitabile: vivere separati o morire insieme. A meno che...
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