Bn97 abisso di tenebra

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GENA SHOWALTER

Abisso di tenebra


Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Last Kiss Goodnight Pocket Books A Division of Simon & Schuster, Inc. © 2013 Gena Showalter Traduzione di Elena Rossi Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Bluenocturne marzo 2014 Questo volume è stato stampato nel febbraio 2014 presso la Rotolito Lombarda - Milano BLUENOCTURNE ISSN 2035 - 486X Periodico mensile n. 97 del 14/03/2014 Direttore responsabile: Stefano Blaco Registrazione Tribunale di Milano n. 118 del 16/03/2009 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Trentacoste, 7 - 20134 Milano Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano


Prologo

La quattordicenne Viktorija Lukas correva tra i tendoni del circo, con la gola e i polmoni in fiamme. Anche se erano passate le due del mattino, molti degli artisti erano ancora alzati e parlavano, bevevano e ridevano intorno ai fuochi, per festeggiare l'ultima notte in una città prosperosa. Più Vika si avvicinava alla sua destinazione più l'odore degli animali permeava ogni suo respiro. Era un odore che aveva imparato ad amare. Un odore di cui suo padre voleva privarla per sempre. Voleva vendere i suoi piccoli... a pezzi. Righty, il gorilla che aveva un debole per i furti di braccialetti e collane. Angie, il cavallo troppo timido per guardare chiunque negli occhi, se non Vika stessa. Gabbie, il cammello impettito. Gus, la zebra che amava nascondersi dietro oggetti troppo piccoli perché potessero coprirla. Dobi, la tigre sovraeccitata che lei coglieva a fare pipì nei posti meno appropriati. Barney, il lama ladro di cibo e ovviamente obeso. Sammie, lo struzzo affetto da sindrome maniacale, che cominciava a perdere le piume. Mini, l'elefante ultrasensibile che piangeva appena Vika alzava la voce. Zoey, l'orso zucchero-dipendente. E poi One Day, il valoroso leone che lei amava più di tutti gli altri. «Queste creature spelacchiate ci costano troppo» aveva brontolato suo padre quel mattino. Per lui, era una buona ragione per ucciderle, ma Vika aveva pianto e implorato, disposta a tutto pur di salvarle, così la litania era continuata. 5


«Occupano troppo spazio. Sono vecchie, deboli, e non fanno più alcuna impressione al pubblico. Suscitano soltanto pietà e disgusto.» Non gli importava che ognuno di quegli animali fosse bellissimo per lei, pur con tutti i difetti. Non gli importava che fossero i suoi unici amici, la sua unica consolazione dopo la morte della madre e la perdita dei compagni di giochi, due anni prima. Come proprietario del Cirque des Monstres, Jecis Lukas pensava al profitto e basta. E il profitto chiedeva che facesse posto a un nuovo serraglio, che avrebbe ospitato persone. Creature di altri mondi, per essere esatti, maschi e femmine di diversi pianeti, le cui famiglie erano venute sulla Terra quasi un secolo prima, in cerca di sicurezza e di pace. Purtroppo non avevano trovato né l'una né l'altra, perché era scoppiata una guerra mondiale che aveva rischiato di distruggere il pianeta. E anche se alla fine era stata raggiunta una tregua, che aveva consentito agli extraterrestri di vivere accanto agli umani, le innumerevoli razze erano considerate ancora una bizzarria. Alcuni avevano colori strani, altri forme abnormi, o possedevano poteri mai visti. Gli umani avrebbero pagato per osservarli e deriderli, specialmente in un luogo squallido e sperduto come quello. «Tutto funziona se il prezzo è giusto» diceva sempre Jecis. Che cos'era successo all'uomo che la portava in spalla e le faceva il solletico ai piedi?, si chiedeva Vika. Ma sapeva già la risposta: l'avidità l'aveva ucciso. E sarebbero morti anche i piccoli, se non fosse riuscita a liberarli. Quando raggiunse le gabbie, il polso era accelerato, un sottile strato di sudore le copriva la pelle e i brividi le scendevano lungo la spina dorsale, riverberandosi negli arti. Felici di vederla, gli animali eruppero in un canto. «Shh. Tranquilli, miei cari.» Stava per aprire la gabbia di One Day, quando le cadde il mazzo di chiavi. Lo cercò a tentoni nella terra battuta, scura come il metallo. Con la scarsa luce che c'era non riusciva a vederlo, ma poi... eccolo! Grazie al cielo! Si rialzò e inserì la chiave. Click. «Vika!» La voce di suo padre tuonò in lontananza. Oh, no! Aveva notato la sua assenza. One Day ruggì in tono di protesta, dando il via agli altri animali. In 6


pochi secondi le loro grida, prima gioiose, si fecero concitate. «Per favooore, state tranquilli» sussurrò lei. Naturalmente il baccano continuò. A nessuna delle creature piaceva Jecis. Lo temevano e lo disprezzavano, e a ragione. Li trattava male, gridava sempre e li pungolava con la verga elettrica. Una volta Vika aveva protestato contro quegli abusi. Era stato un errore che non aveva più ripetuto. I cardini cigolarono, mentre lei apriva la porta della gabbia e incontrava gli occhi scuri e febbricitanti del suo miglior amico. La criniera dorata era aggrovigliata, con grumi di sporco e rametti. Nonostante Vika gli portasse una parte dei suoi pasti, era così magro che si potevano contare le costole. Aveva una piaga alla zampa sinistra, che suppurava ancora nonostante l'impiastro che gli aveva applicato ogni mattina, pomeriggio e sera nelle ultime settimane. «Il giorno che ti avevo annunciato è finalmente arrivato» disse in un inglese perfetto. Come immigrata dalla Nuova Lituania, aveva dovuto eliminare l'accento per adeguarsi alla nuova identità comprata da suo padre per salvarla dalla deportazione. Jecis era stato il suo tutore e aveva adottato un sistema di premi e punizioni che aveva ottenuto l'effetto voluto. One Day miagolò e sporse il muso per darle un colpetto alla mano. «Vai, baby. Vai.» Un altro colpetto. «Vai, ora. Jecis vuole farti del male, ma io non lo permetterò.» One Day si accovacciò a terra, invece di correre verso la libertà, si sfregò contro la sua gamba, facendole perdere l'equilibrio e perdere una seconda volta le chiavi. Vika sapeva che voleva essere accarezzato. Gli piaceva essere pulito e strigliato; i suoi versi di approvazione erano così ricchi e profondi da scivolare su di lei come una colata di miele. Le lacrime in agguato le offuscavano la vista. «Scappa, adesso. Ti prego.» Quante volte aveva promesso la libertà al suo prezioso leone? Un 7


giorno fuggiremo insieme. Un giorno diventerò grande, tu sarai forte e ci proteggeremo a vicenda. Sì, un giorno, one day. Aveva pronunciato tante volte quelle parole che erano diventate il suo nome. Meritava la possibilità di correre, giocare e fare qualsiasi altra cosa desiderasse. «Vai.» «Vika!» La voce del padre era più vicina... così vicina che in sottofondo si sentiva il rumore degli stivali. Vika sospinse One Day verso la linea di alberi in lontananza. Non sarebbe riuscita a liberare gli altri, si rese conto con un'ondata di rimpianto, ma avrebbe salvato il suo prezioso leone. «Vai, ho detto!» Lui continuò a sfregarsi contro la sua gamba. Un grido ansimante risuonò a pochi passi. «L'hai fatto davvero!» tuonò suo padre. «Mi hai tradito! Dopo tutto quello che ho fatto per te.» Vika sentiva il cuore rimbombare alle orecchie mentre lo individuava nel buio. Era alto, con petto e spalle ampi, il che non era necessariamente un male, se non quando un carattere più focoso del centro della Terra non prendeva il sopravvento. La paura che aveva cercato di ignorare l'assalì all'improvviso; sentiva i piedi pesanti come macigni e non riusciva a muoversi. Disobbediva raramente al padre. Le punizioni erano troppo severe. «Io... io...» Jecis balzò su di lei, le afferrò il braccio in una morsa dolorosa e le diede uno scrollone. «Ti ho comprato i vestiti migliori, il cibo migliore, ti ho regalato i tesori più grandi e tu osi sfidarmi?» One Day ruggì con una collera a lungo repressa e avanzò lentamente intorno a loro, ma non attaccò. Non poteva. Jecis usava Vika come scudo, tenendola sempre davanti a sé. Gli altri animali battevano contro le sbarre delle loro gabbie. «Atsiprašau» riuscì a dire Vika con voce strozzata. Jecis la fissò con gli occhi color violetto, che avevano uguali, pieni di crudeltà. «Ti ho detto di parlare in inglese. O usi la lingua di tua madre sperando che qualcuno si accorga che sei straniera e cerchi di portarti via da me?» «Io... mi spiace» tradusse tremando. 8


«Oh, non ancora, ma ti dispiacerà davvero.» La lasciò andare... poi la colpì con il dorso della mano. Vika crollò al suolo. Il sangue le riempiva la bocca con il suo sapore di rame e il dolore le esplose nel cervello. One Day balzò addosso a suo padre ma, malato com'era, era lento e Jecis lo schivò facilmente, poi afferrò Vika e la trascinò in piedi. Il leone si acquattò, pronto a lanciare un altro attacco, evidentemente ansioso di squarciare il nemico. «Ti amo più della mia stessa vita, Vika, ma l'amore non ti salverà dalla mia collera.» Quando mai?, avrebbe voluto gridare lei. Saggiamente, rimase in silenzio. Un altro ruggito lacerò l'aria. «Credi di minacciarmi, leone? Vuoi farmi del male?» Jecis estrasse una pistola dalla cintura dei pantaloni e tese il braccio. «All'uomo che ti ha mantenuto per tutti questi anni?» «No!» gridò Vika, cercando di fargli abbassare il braccio, invano. «Ti prego, non farlo. Ti prego» ripeté, sfiorando l'isteria. «Prima avrei avuto pietà e l'avrei fatto senza farli soffrire. Ora...» «No!» One Day spiccò un balzo. Jecis premette il grilletto. Boom! Nonostante il rimbombo della detonazione e le scintille bianche che le offuscavano la vista, Vika udì il lamento agonizzante di One Day mentre crollava al suolo. I grandi occhi scuri, ora pieni di dolore e rimpianto, cercarono i suoi. Diede un sussulto ed emise un guaito di agonia. «Noo!» gridò con tutte le sue forze Vika. «Mi occuperò di te tra un momento» disse suo padre, spingendola da parte. «Prima...» Lei si precipitò ad accarezzare il corpo tremante del leone. Oh, mio caro. Oh, no. Lo shock e l'orrore le prosciugarono le forze quando alzò lo sguardo e vide Jecis voltarsi, mirare. Boom. Voltarsi. Boom. Voltarsi. Boom. Uno dopo l'altro, i suoi splendidi animali vennero freddati e le loro 9


grida cessarono bruscamente. Le tremava il mento e le lacrime che le riempivano gli occhi scesero finalmente lungo le guance, bruciando sulla ferita lasciata dall'anello del padre. Voleva distogliere lo sguardo dai suoi amici. Non poteva sopportare di vederli soffrire, ma rifiutò di concedersi il lusso di ritirarsi mentalmente. Quegli esseri preziosi avevano avuto una vita terribile lì al circo e lei non poteva lasciarli morire da soli. Quando l'ultimo di loro fu immobile e muto, e soltanto One Day si aggrappava ancora alla vita, Jecis la trascinò in piedi e le sbatté in mano la pistola. «È rimasto un proiettile» disse, afferrandole il polso per assicurarsi che non puntasse l'arma contro di lui. «Lo finirai tu.» La bile le risalì fino in gola. «No. Per favore, no.» «Fallo» le ringhiò in faccia, naso contro naso. «Fallo o sarà peggio per te.» «Io... non mi importa. Non lo farò. Non posso.» Lui socchiuse gli occhi. «Fallo, altrimenti lo scuoierò mentre è ancora vivo» disse, spruzzandole il viso di saliva. Il tuo leone sta soffrendo. È per il suo bene. Era vero, si chiese, o stava cercando di consolarsi? In ogni modo... Tremando, tese il braccio con la pistola che le pesava nel palmo. Anche se Jecis la teneva ancora stretta, non le offriva alcun aiuto. Il sangue colava dalla bocca di One Day. Vika posò il dito sul grilletto, mentre la vista le si annebbiava. Il suo amico esalò un lungo respiro, come se sapesse quello che aveva in mente. Come se aspettasse l'inevitabile fine. «Mi dispiace tanto» gracchiò. «Perdonami.» Boom. Il leone rimase immobile e muto come tutti gli altri. Scossa dai singhiozzi, Vika lasciò ricadere il braccio lungo il fianco. «Brava ragazza.» Jecis reclamò la pistola e la infilò nel retro dei pantaloni. Arrotolò le maniche della camicia e fece scrocchiare le nocche. «Ora, cuore mio, tocca a te. È chiaro che non hai imparato a rispettarmi come si deve. Ma imparerai, te lo prometto, e non avremo mai più un problema simile.» 10


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Cantico dei cantici, Salomone. Cantico di Salomone, 1:1 Sei anni dopo Michael Black si appoggiò allo schienale della poltrona, unendo la punta delle dita davanti alla bocca, e studiò i tre agenti che aveva reclutato per l'operazione Dumpster Dive. Erano tutti extraterrestri che erano stati allevati sulla Terra, tutti avevano perso la famiglia biologica dopo la nascita e, grazie a lui, tutti erano stati adottati da una famiglia umana, a condizione che potesse vederli ogni volta che desiderava. Aveva cominciato ad addestrarli all'età di cinque anni, anche se all'inizio si era trattato di piccole cose. Poi, piano piano, le esercitazioni di tiro al bersaglio si erano trasformate in caccia a esseri viventi. Il campeggio era diventato una prova di sopravvivenza nella giungla, in solitudine, senza alcun tipo di armi. Le strategie per vincere i videogame si erano evolute in quelle per salvare un compagno da qualsiasi situazione disastrosa Michael avesse ideato. Ora i ragazzi erano cresciuti – il meglio del meglio – e stavano per affrontare la più grande minaccia della loro vita. «Dobbiamo restare seduti qui in silenzio?» chiese John No Last Name. Aveva rifiutato di prendere il nome dei genitori adottivi, e quando Michael si era reso conto del motivo e l'aveva portato via 11


dalla famiglia il ragazzo non aveva voluto saperne nemmeno di chiamarsi Black. «Certo che no. Non stiamo forse parlando, adesso?» John gli mostrò il dito medio. Era un Rakan e sembrava che fosse stato cesellato da un lingotto d'oro, dai riccioli alla pelle lucente. Michael era sicuro che non ci fosse un uomo più bello. Corbin Blue ridacchiò e John mostrò il medio anche a lui. Blue era un Arcadiano, una razza conosciuta per il colore pallido della pelle, i capelli bianchi e gli occhi color lavanda; era uno dei guerrieri più valorosi che Michael avesse mai incontrato, alto più di un metro e novanta, con la massa muscolare di un esemplare creato dall'ingegneria genetica, e tenuto a dieta di steroidi e ormoni della crescita. Dei tre maschi, Blue era l'unico ad avere un'immagine pubblica. La sua copertura di giocatore di football professionista gli permetteva di entrare nelle feste giuste, frequentate dalle persone giuste, dove l'alcol scorreva a fiumi, insieme ai segreti. Oltre a quello, gli piaceva pestare altri uomini per denaro. Accanto a lui sedeva Solomon Judah. Michael non era sicuro delle sue origini. Tutto quello che sapeva era che non aveva mai incontrato nessuno come lui e che tutti quelli che lo vedevano ne avevano paura. Incluso lui stesso. Solo era caldo come il fuoco o freddo come il ghiaccio, senza vie di mezzo. Se ne stava per conto suo ed emergeva dalla sua batcaverna rustica e isolata, come la chiamava Blue, soltanto per una missione. Solo era costretto a essere un solitario. Era ben più alto più di Corbin e John, con una massa muscolare ancora più impressionante ma, mentre gli altri due erano esemplari di bellezza urbana, lui era un incubo di bruttezza. No, era un'affermazione esagerata. In realtà sembrava una creatura venuta dagli inferi soltanto quando il suo carattere prendeva il sopravvento. In quel momento era quello che l'assistente di Michael definiva con timore reverenziale: un elegante selvaggio. Solo aveva i capelli scuri tagliati in modo irregolare da lui stesso e la pelle color bronzo. Gli occhi erano azzurri, con ciglia lunghe, il naso forte e aristocratico, con una leggera gobba al centro, a causa di 12


una delle innumerevoli fratture. Quando si infuriava, la sua pelle assumeva una tonalità porpora che incuteva paura, ed era l'ultimo colore che vedevano i suoi nemici prima di una morte orribile. I denti si allungavano in qualcosa che era più mostruoso delle zanne. Gli zigomi raddoppiavano di volume e le orecchie crescevano appuntite. Artigli metallici gli spuntavano dalle unghie. Quando si era manifestato l'ultimo dei cambiamenti fisici, nessuno era più in grado di calmarlo. Lui avrebbe scatenato la sua furia fino a esaurire tutte le energie, dopo aver annientato qualsiasi cosa si trovasse sulla sua strada. Non era sempre stato così. Un tempo i genitori adottivi avevano ottenuto grandi successi nel domare il suo lato selvaggio. In effetti quei due avevano tolto diversi anni di vita a Michael, terrorizzandolo quando si avvicinavano al ragazzo, non per cercare di sottometterlo ma per prenderlo tra le braccia e tenerlo stretto. E Solo li lasciava fare! Alla morte di Mary Elizabeth e di Jacob, era stato inconsolabile e nessuno era più riuscito a tenerlo a freno. Doveva aver sentito su di sé lo sguardo di Michael perché alzò il capo e lo fissò negli occhi. Divisero qualche istante di comunicazione silenziosa. Michael: Come va, figliolo? Solo: Se non ti decidi a cominciare, ti strappo il cuore e lo mangio per colazione. Naturalmente era una semplice supposizione da parte di Michael, ma a un tratto fu certo che quel giorno Solo era freddo come il ghiaccio. «Abbiamo raccolto diverse informazioni» disse, entrando nel vivo della questione. Si raddrizzò sulla poltrona e premette qualche tasto sul computer. «Uh, mi spiace interromperti, capo, ma questa non è una grande notizia» intervenne Blue. «Le uniche volte che ci convochi tutti insieme è quando hai ricevuto un rapporto segreto. Veniamo al dunque, se non ti dispiace.» «Che cosa t'importa se prende tempo?» chiese John. «La stagione del football è finita, quindi non hai altro da fare.» «Parla per te. Ho un matrimonio da organizzare.» 13


Era la verità e Michael era ancora sconvolto dalle nozze imminenti. Seguiva i ragazzi e sapeva che Blue conosceva la fidanzata da non più di qualche settimana. Ma non era quella la cosa sconvolgente. Dopo una relazione finita male, qualche anno prima, Blue aveva accumulato una serie infinita di storie da una notte e via. E adesso pensava a una vita coniugale? E la ragazza credeva davvero di poterlo cambiare? Be', non ci sarebbe riuscita. La fidanzata non sapeva che Blue lavorava in segreto per il governo come killer e non l'avrebbe mai saputo. Alla fine si sarebbe accorta che le mentiva e avrebbe preteso delle risposte che lui non poteva darle. Avrebbe immaginato che avesse un'altra storia – cosa del tutto probabile – e l'avrebbe lasciato. Michael l'aveva visto accadere innumerevoli volte ai suoi uomini, eppure loro continuavano a provarci, sperando di costruire un legame e di creare un'illusione di normalità. Quando avrebbero imparato? Quando la tua vita è tutta un'enorme menzogna, non è previsto un lieto fine. L'aveva imparato di persona. Avrebbe potuto sollevare i ragazzi dall'impiego, ma loro gli avrebbero risposto di andare a farsi fottere. Erano fratelli di fatto, se non di sangue e, sotto sotto, si volevano bene. Inoltre non conoscevano un altro modo di vivere. Michael non aveva permesso che lo imparassero. Un errore da parte sua, ma ormai era troppo tardi per rimediare. Per lo meno John e Solo non avrebbero commesso lo stesso errore del loro amico. I due erano passati attraverso troppo lerciume per farsi tentare dal matrimonio e Michael sapeva che si sentivano lordati fino al midollo. E Solo... Lui era quello che ripuliva tutti i casini che gli altri agenti combinavano, distruggendo le prove che dovevano scomparire, che si trattasse di esseri viventi o meno, colpevoli o innocenti. Michael lo convocava, gli dava un indirizzo e gli diceva quello che era andato storto. Pochi giorni dopo, Solo aveva rimesso tutto in ordine. Quanto a quello che aveva dovuto fare per riuscirci... «Che cos'è che ti brucia, capo?» chiese Blue. Era sempre stato il più perspicace dei tre. «Stai pensando alle mie nozze e ti viene da piangere perché non hai ricevuto l'invito?» 14


«Piangere quando preferirei uccidermi piuttosto che venire?» replicò, ben sapendo che sarebbe stato presente, nascosto nell'ombra. «Non credo proprio.» Riportò lo sguardo su Solo, chiedendosi se lui ci sarebbe andato. Era sprofondato nella sedia, con le spalle curve in un inutile tentativo di apparire più piccolo. Aveva gli occhi socchiusi ancora fissi su di lui, penetranti come spade. «D'accordo, sbrighiamoci» borbottò, cogliendo l'invito. Premette qualche pulsante e uno schermo apparve sulla parete alle sue spalle. Delle immagini si formarono. «Vi presento Gregory Star. Umano. Trentatré anni. Sposato, due figli: un ragazzo di ventuno e una ragazza di diciannove. Entrambi fanno uso di droghe pesanti. Abbiamo registrato la scomparsa di diversi agenti dell'unità di Investigazione e Rimozione degli Alieni alla porta di Mr. Star. Non siamo ancora intervenuti perché non sappiamo se siano vivi o morti.» Altri pulsanti, e i volti degli agenti comparvero uno dopo l'altro sullo schermo. «Quindi non hai idea di quello che Star vuole da questi agenti o di quello che ne fa» affermò brutalmente John. «Corretto.» «Ma siete sicuri che sia lui?» «Sì. L'avevamo messo sotto sorveglianza per altri motivi e abbiamo ascoltato alcune conversazioni telefoniche. Anche se sappiamo che è colpevole, non riusciamo a immaginare altro.» «Io ho parlato con lui a diversi party e devo dire che sono perplesso» dichiarò Blue. «È un ricco uomo d'affari con un gusto per le cose belle. Il gioco è una sua debolezza e le droghe sono un hobby, che è probabilmente il motivo per cui i figli sono dipendenti. È sempre circondato da guardie del corpo e cambia amanti come la biancheria intima, ma sembra abbastanza innocuo.» Solo sbottò: «Già, e tutti sono esattamente quello che sembrano, vero? Perché non pensi prima di parlare? Idiota». Blue, che sedeva al centro, si voltò a guardarlo. «Perché non dici addio alla granita di ciliegie in cui sto per ridurre il tuo cervello?» Era in grado di farlo. Possedeva delle capacità straordinarie, che nessun umano e pochissimi Arcadiani potevano sognarsi. 15


«Provaci» rispose Solomon, imperturbato. «A differenza di te, io possiedo qualche cellula di ricambio.» «Ragazzi» li richiamò Michael battendo le mani. «Basta.» Se avessero deciso di azzuffarsi, lui avrebbe avuto due agenti in meno e probabilmente ci avrebbe rimesso un arto nel tentativo di dividerli. I killer erano così infantili... «Lasciali giocare» disse John, con un tono velato di astio. «Hanno bisogno di sfogarsi.» «Be', non succederà. In caso contrario, vi toglierò tutti e tre da questo caso e vi metterò a lavorare con mia figlia Evie.» «Zitti!» gridò John, e gli altri due chiusero immediatamente la bocca. Potevano ignorare Michael, ma si sarebbero gettati nel fuoco per John. «Tutto a posto?» Blue annuì. Solo si passò la lingua sui denti, che erano leggermente più lunghi di pochi secondi prima. Michael sapeva che Solo era stato insultato per tutta la vita. A causa della sua altezza e della sua massa muscolare, alle elementari i bambini l'avevano soprannominato Orco... finché la collera non aveva preso il sopravvento e lui si era parzialmente trasformato nell'altra forma. Allora l'avevano ribattezzato Accozzaglia di Mostri e l'avevano bersagliato con le pietre. Una volta, per difendersi, aveva morsicato, quasi a morte, un bambino. Sua madre era stata chiamata al telefono ed era arrivata appena in tempo per calmarlo prima che continuasse a ferire, ma il danno era già stato fatto. Solo era stato espulso dal sistema scolastico e sarebbe stato rinchiuso a vita se non fosse intervenuto Michael. «Saremo buoni» disse John, pallido in volto. «Evie è fuori discussione.» Era risaputo che avrebbe protetto Evie a costo della vita, purché non dovessero avere a che fare con lei. Era colpa di Michael. Aveva viziato la figlia minore e ora gli pareva che fosse dovere di ogni uomo comportarsi nello stesso modo. «Te lo dirò nel modo più gentile possibile, Michael: Evie ha bisogno di essere rimessa al suo posto» disse Blue con un brivido. 16


«Lo prenderò come consiglio.» Michael si schiarì la gola. «Ora, come stavo dicendo, gli agenti sono spariti mentre erano in servizio.» «Umani? Alieni?» chiese John, che non aveva ancora ripreso il colorito normale. «Entrambi. Maschi e femmine. L'unico tratto in comune è che lavorano tutti per l'IRA.» «Giovani? Di bell'aspetto?» chiese Blue. «Alcuni di loro sì.» «Forse sono stati venduti sul mercato degli schiavi. È il modo migliore per nascondere diverse persone e anche per fare denaro facile, se hai il vizio della droga.» Blue si passò due dita sulla guancia liscia. «Sono stati presi anche dei civili?» «Sì» confermò Michael, impressionato dalla sua prontezza di mente. A lui ci erano voluti due giorni per fare il collegamento. «Ma non crediamo che abbia a che vedere con il traffico di schiavi. Abbiamo uomini all'interno delle maggiori piazze e nei bordelli, ma nessuno ha visto traccia degli agenti o dei civili.» «Che cos'avete in mano?» volle sapere Solo. «Come sapete che le vittime sono state prese dallo stesso uomo?» Altra domanda eccellente. «Mr. Star ha un biglietto da visita. Usa il sangue delle vittime per tracciare l'ideogramma cinese della vendetta nelle loro case.» Blue roteò gli occhi. «Sicuro che sia l'ideogramma della vendetta? Un tipo che conosco si è fatto fare un tatuaggio con quello che pensava fosse l'ideogramma della forza, per poi scoprire che era quello dell'indigestione.» «Un tipo che conosci?» lo canzonò John. «Ehi, ho visto la tua schiena. Quello sei tu, amico.» Blue non si scompose. «Pensavo che la storia fosse più eccitante così.» «Sì, siamo sicuri» riprese Michael. «Riteniamo che lo usi per portarci fuori strada e confondere i suoi moventi. Non ha motivo di vendicarsi delle diciassette persone che sono scomparse. Nessuna di loro ha legami precedenti con lui o con qualcuno degli altri. Esclusi quelli dell'agenzia, naturalmente.» John serrò le labbra. «Fammi indovinare. Vuoi che scopriamo che 17


cos'ha fatto Star di quelle diciassette persone prima di ucciderlo. Be', lascia perdere. Se lo facciamo fuori subito, nessun altro verrà rapito e il problema sarà risolto» disse, allargando le braccia. «Quando una di quelle persone è un senatore, non facciamo fuori l'unico uomo che potrebbe sapere dov'è.» Ma era indubbio che Star sarebbe morto, una volta che avesse parlato. «Quindi agiremo così. John, tu entrerai nella squadra IRA di New Chicago come trasferimento da Manhattan. Hanno perso due agenti in questa catastrofe.» «Ok.» «E nessuno dovrà sapere chi sei veramente o perché sei lì. Né il tuo nuovo capo né il tuo partner, Dallas Gutierrez.» Gli gettò uno smartphone con tutte le informazioni di cui avrebbe avuto bisogno. John lo prese al volo e lo consultò. «E perché vado lì?» «Per ascoltare i pettegolezzi che girano in ufficio e studiare gli agenti. Se qualcuno ha un legame con Star, voglio esserne informato, e voglio che ti faccia degli amici. Vai a letto con chi vuoi. Qualsiasi cosa.» Un cenno di assenso. «Blue, il mondo sta per scoprire che ti sei dato alle droghe pesanti.» Gli occhi del giocatore professionista lampeggiarono pericolosamente. Bene. Aveva capito. Avrebbe dovuto fingere anche con la fidanzata. «Ora che stai andando fuori controllo, darai un party. Inviterai i figli di Star e te li farai amici. Se riesci, sarai il loro nuovo fornitore. E se la ragazza è interessante, dormi con lei. Ma sii prudente. Non vorrei che sparissi anche tu.» Pure lui annuì. Michael si concentrò su Solo, che era ancora sprofondato nella sedia e aveva gli occhi socchiusi. «Tu sarai la nuova guardia del corpo di Blue, il suo tuttofare. Quello su cui conta per le questioni più sporche.» Un lampo di panico, prima che i lineamenti di Solo si distendessero, senza rivelare altro. «Molto bene.» Odiava uscire in pubblico e con Blue, che conduceva una vita sociale molto attiva, sarebbe stato inevitabile. Inoltre diverse foto sa18


rebbero apparse sui giornali e lui avrebbe rivissuto lo scherno e gli insulti. Tuttavia l'avrebbe fatto. Obbediva sempre a Michael. «Bene. Avete quattro giorni per prepararvi. Al quinto mi aspetto che vi siate immedesimati nei vostri ruoli. Potete andare.» I tre scattarono in piedi simultaneamente. Mentre raggiungevano l'uscita, Blue brontolava e John si sfregò il collo. Solo era tranquillo, con le braccia lungo i fianchi e il passo volutamente leggero. I sensori sopra la porta registrarono il movimento e fecero scattare il meccanismo di apertura. Blue varcò per primo la soglia, seguito a breve distanza dai compagni. Whoosh. Un improvviso, violento scoppio di calore investì l'intero ufficio, sollevando Michael dalla poltrona e mandandolo a sbattere contro la parete opposta. Le fiamme gli lambivano la pelle, trafiggendolo come lance mentre scivolava al suolo. Cercò di prendere fiato ma non poteva. Qualcosa gli pesava sul petto. Batté rapidamente le palpebre in uno sforzo di mettere a fuoco la vista e si rese contro che la scrivania era sopra di lui. Che diavolo... Come...? La risposta gli arrivò in un lampo. Qualcuno aveva lanciato una bomba a casa sua, nel suo ufficio. Rise per l'improbabilità di quella situazione, e il sangue gli gorgogliò dalla bocca. Mentre tossiva e lottava per respirare, il dolore divenne più intenso e la vista si offuscò. Dove sono i ragazzi?, si chiese. Sono... feriti? Il buio si stava chiudendo su di lui. Il dolore era feroce, adesso. I ragazzi erano vicini all'esplosione e non sapeva se fossero sopravvissuti... ma erano forti... pieni di vitalità... sicuramente ce l'avevano fatta... Finalmente il buio lo inghiottì e non seppe più nulla. Solo riprese conoscenza per gradi. Il fumo gli riempiva le narici e la gola e tutto il corpo pulsava come se non avesse più un osso intero. Non sapeva bene dove si trovasse oppure che cosa gli fosse successo. «... di questo?» stava dicendo una voce che non riconobbe. Nonostante la nebbia che gli offuscava la vista, riuscì a distinguere due uomini chini su di lui. Uno era alto, magro, intorno ai trent'anni, 19


con capelli e occhi scuri. L'altro era la versione in carne e ossa dell'uomo che aveva visto nelle foto proiettate alla parete. Gregory Star. Era basso di statura, con capelli d'argento, occhi castani e la pelle scurita e segnata dal sole. «Guardalo» disse, piegando le labbra in una smorfia di disgusto. «Vendilo a quel circo a cui abbiamo dato quell'agente dell'IRA. Ce lo pagheranno bene.» «E questo?» I due uomini svanirono dal campo visivo di Solo, ma il sospiro di Star gli arrivò alle orecchie. «Riducilo in cenere. Ustionato com'è, non potrebbe sopravvivere a un trasporto e in questo modo non rimarrà traccia di lui. Peccato, però. Mi piaceva.» «E l'ultimo?» Una pausa. Un mormorio compiaciuto. «Non fare niente. Lo prendo io.»

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GENA SHOWALTER

Abisso di tenebra Altissimo, muscoloso, dotato di oscuri poteri, Solomon Judah è prigioniero di una specie di orrendo circo. Lui sa che la chiave della salvezza è Vika, la bellissima umana che lo accudisce, e gli basta un bacio per rendersi conto che non è solo lussuria ciò che lo attira verso quella bionda eccitante e sensuale. Le loro anime sono gemelle, i loro corpi sono fatti l'uno per l'altro. Ma un nero abisso di tenebra minaccia di separarli per sempre...

LORIBELLE HUNT

Cuore di demone Per combattere contro le forze del Male, Winter ha rinunciato alla propria umanità e si è unita a un demone, trasformandosi in un ibrido. Ma ora la creatura che vive in lei sta per prendere il sopravvento, e l'unico modo per evitarlo è spezzare quel legame e forgiarne un altro con un'anima pura. Winter, però, non si fida di nessuno. Meno che mai di un infido mangiatore d'anime come Marcus Black, per quanto bello e sensuale sia. Anche se lui la reclama come sua...


ANNE STUART writing as KRISTINA DOUGLAS

Raziel Quando Raziel, l'angelo caduto che deve accompagnare Allie alla sua destinazione ultraterrena, si ritrova davanti alle porte dell'inferno, un impulso irresistibile lo spinge a trasgredire gli ordini e a portarla via con sé. Quella donna generosa e sexy ha risvegliato in lui sensazioni che non provava da secoli. E un sentimento potente che gli impone di difenderla. Perché in cuor suo Raziel sa che Allie potrebbe essere l'unica speranza. Per lui... e per tutti gli abitanti di Sheol.

MICHELE HAUF

La strega delle anime A Vika St. Charles basta guardare C.J. per capire che quel ragazzo bellissimo può portare soltanto guai. Ma ripulire la sua anima dai demoni è una sfida a cui una strega bianca come lei non sa resistere. E così, complice il desiderio che vibra tra loro, si lascia attirare nel suo mondo pericoloso e intrigante. Per salvare C.J. dall'oscurità che minaccia di divorarlo, però, qualche bacio non basta: occorre un incantesimo ben più potente, e il tempo a disposizione è pochissimo...

dal 30 maggio


INCONFONDIBILI: le storie più appassionanti, le autrici più prestigiose, le copertine più eleganti.

Segreti del passato da seppellire, intrighi da smascherare e una passione che non può essere sopita… KASEY MICHAELS firma un nuovo romanzo dell’avvincente serie: I Redgrave, un’eredità di scandali.

Ricattare l’uomo sbagliato per Annabelle può significare ritrovarsi alla sua mercé. E se l’uomo in questione è un individuo senza scrupoli come il Duca di Huntford, la situazione può prendere risvolti imprevisti. E peccaminosi. Alcune regole chiedono solo di essere infrante.

Dal 19 marzo

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Ogni sfumatura del desiderio. Scozia, 1715. Una donna in cerca d’amore, un maestro delle arti antiche, una magica attrazione. Ma sarà l’amore, più potente di qualsiasi sortilegio, a cambiare il loro destino. Dopo il successo di Sortilegio d’estate e Desiderio e vendetta, l’atteso ritorno di Saskia Walker, con un romanzo storico sensuale e dall’atmosfera carica di magia.

IL BURLESQUE È LA MIA VITA…

Dietro il sipario del burlesque di New York ragazze sexy, piume, corsetti e paillettes. Che lo spettacolo abbia inizio! Un nuovo romanzo sexy che svela un sacco di dettagli sul dietro le quinte degli spettacoli del burlesque newyorkese, dove la notte si anima di perversioni, intrighi, ricatti e vizi segreti. E tutto può succedere... Scopri anche PIUME BLU, il primo romanzo della trilogia, su www.eHarmony.it

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