BS113_L'ULTIMA_CACCIA

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SHARON SALA

L'ULTIMA CACCIA


Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Bad Penny Mira Books © 2008 Sharon Sala Traduzione di Marina Boagno Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2011 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione I Nuovi Bestsellers Special marzo 2011 Questo volume è stato impresso nel febbraio 2011 presso la Rotolito Lombarda - Milano I NUOVI BESTSELLERS SPECIAL ISSN 1124 - 3538 Periodico mensile n. 113S del 5/03/2011 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 369 del 25/06/1994 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano


1 Jimmy Franks sentiva puzzo di ratto. Fu solo quando sollevò le palpebre e vide gli occhietti scuri e lucenti e i baffi che vibravano vicino al suo naso che si rese conto di essere sceso più in basso che mai. Allungò un debole pugno all'animale, che corse a rifugiarsi dietro una pila di scatoloni vuoti, nel vicolo in cui Jimmy aveva appena passato la notte. Il sapore che aveva in bocca era in perfetto accordo con il puzzo del vicolo. Fra un conato e l'altro di vomito, Jimmy si alzò in piedi barcollando. Impiegò qualche momento a trovare l'equilibrio. Quando ci riuscì, guardò davvero per la prima volta il luogo in cui si trovava. Non era l'Hilton. Non sapeva bene come fosse arrivato là, e nemmeno dove fosse esattamente, ma senza alcun dubbio era in un vicolo pieno di spazzatura, fra due edifici abbandonati. Gemendo sommessamente per i dolori alle ossa e il subbuglio dello stomaco, si passò una mano tremante sulla faccia e barcollò verso la strada, ansioso di trovare un bagno. Proprio in quel momen5


to, una folata di vento attraversò quel canyon di mattoni, gettandogli della polvere negli occhi. Voltò le spalle alla ventata mentre un paio di vecchi fogli di giornale gli si avvolgeva attorno alle caviglie. Pensando che sarebbero stati utili come carta igienica, afferrò i fogli e si diresse verso il profondo vano di una porta, nel palazzo alla sua destra. Era a metà del percorso quando lo sguardo gli cadde su un titolo in mezzo alla pagina. Si fermò. Cacciatore di taglie locale scampa a un tentativo di assassinio. Mentre leggeva, Jimmy cominciò a imprecare. Il suo tentativo di vendicare se stesso e suo fratello, Houston, era fallito. Era patetico. Non era neppure capace di sparare a un uomo e farlo secco. Dimenticando la necessità di un bagno, appallottolò il giornale e si diresse verso la strada. Non riusciva a crederci! Aveva giurato di farla pagare a Wilson McKay per averlo fatto arrestare per aggressione, impedendogli così di versare la cauzione per tirare fuori Houston di prigione. Aveva piantato diverse pallottole in corpo a McKay, come ricompensa, ed era stato certo di avere raggiunto lo scopo. Ma MacKay era vivo e, secondo il cronista che aveva scritto il pezzo, in via di guarigione. «Maledizione! Maledizione e maledizione!» sbraitò Jimmy, sbucando fuori dal vicolo. Era così infuriato che non riusciva neppure a pensare. Aveva bisogno di parlare con Houston, ma quel disgraziato se l'era già filata dal Texas. 6


Jimmy non poteva credere che suo fratello lo avesse piantato in asso in quel modo. Non aveva un soldo. Non aveva un posto dove stare. E, peggio ancora, aveva bisogno di trovare uno spacciatore. Tormentato dalla nausea e tremando a ogni passo, Jimmy cominciò a cercare luoghi e facce familiari. Maledizione, intendeva finire quello che aveva cominciato, con McKay. Ma prima doveva procurarsi una dose. Luis Montoya era un messicano piccolo e robusto, con i caratteri dei suoi antenati aztechi evidenti nei lineamenti. Gli occhi erano scuri, la bocca grande e piena. Aveva la mascella squadrata, decisa, e una massa di folti capelli neri che portava raccolti sulla nuca in una corta coda di cavallo. Faceva parte del Dipartimento di polizia di Chihuahua da undici anni, gli ultimi cinque con il grado di detective della Omicidi. Era un uomo orgoglioso che non faceva favori e non si lasciava influenzare dalle persone che avevano denaro. Quella mattina aveva già litigato con la moglie, Conchita, aveva bucato uno pneumatico e si era scottato la lingua con il primo sorso di caffè... e non erano ancora le otto. Poi era arrivato al lavoro, solo per vedersi affibbiare un caso che nessuno voleva... un caso senza alcun indizio. Tutto quello che sapeva era che la vittima si chiamava Solomon Tutuola. Il suo corpo era stato trovato fra le rovine dell'incendio di una villa. Secondo i documenti, Tutuola aveva comprato la vil7


la solo pochi giorni prima di morire. Ma non era morto nell'incendio. Stando al medico legale, a finirlo erano stati molteplici colpi di pistola. Il fuoco aveva solo completato l'opera. Qualcuno aveva commesso un omicidio. Adesso, era compito di Montoya scoprire chi. Il detective prese la pratica, palpò la tasca per assicurarsi di avere il cellulare e andò alla porta. Aveva un appuntamento con Chouie Garzia, l'agente immobiliare che aveva venduto la villa a Tutuola. Garzia aveva già rilasciato una dichiarazione la notte dell'incendio, ma Montoya amava interrogare personalmente i suoi testimoni. Consultò l'orologio salendo al volante. Pochi momenti dopo uscì dal posteggio e si immise nel traffico. La caccia all'assassino era iniziata. Mezz'ora dopo aveva trovato la sua meta, era uscito dalla superstrada e aveva imboccato il viale d'accesso di quella che un tempo era stata una lussuosa villa. Adesso non era altro che un rudere. Una piccola Honda bianca era posteggiata vicino a un saguaro. Un uomo era appoggiato al cofano. Chouie Garzia, sperò. Montoya si fermò accanto alla Honda, poi scese, con la sua migliore faccia da poliziotto. «Chouie Garzia?» L'ometto si fece avanti, annuendo nervosamente. «Sì, sì signore.» «Detective Montoya. Ho bisogno di farle alcune domande su Solomon Tutuola, l'uomo che è morto qui. Lei gli ha venduto la villa, vero?» 8


Garzia annuì di nuovo. «Circa tre giorni prima dell'incendio.» Montoya cominciò a prendere appunti. «C'era qualcuno con lui, quando vi siete incontrati?» «No, era solo.» «Che impressione le ha fatto?» chiese Montoya. Garzia spalancò gli occhi. «El Diablo.» «Come mai?» domandò Montoya, sorpreso. Garzia si fece il segno della croce, poi si guardò da sopra la spalla, come se bastasse parlare di quell'uomo per farne apparire lo spettro. «Aveva degli strani tatuaggi su tutto il corpo... perfino sulla faccia, che credo fosse stata ustionata di recente. La pelle era ancora in via di guarigione, e non aveva capelli su un lato della testa.» Montoya aggrottò le sopracciglia. «Può descrivere i tatuaggi?» «Disegni geometrici... sa come quelli di un'antica ceramica. I denti erano limati a punta, e quando sorrideva era come guardare un leone.» Montoya ricordò la foto giunta in ufficio. Era vero. L'uomo aveva un aspetto diabolico, e la descrizione di Garzia ne confermava l'identità. Alzò gli occhi guardando il rudere annerito. «Che lei sappia, viveva qui da solo?» Garzia si strinse nelle spalle. «Credo che avesse assunto una cuoca e un giardiniere, ma non li ho mai visti. Ho visto solo lui... e i suoi soldi.» 9


Spostò nervosamente il peso del corpo da un piede all'altro prima di passarsi le mani sui capelli impomatati, per poi pulirsele sui pantaloni. Montoya inarcò un sopracciglio osservando il nervosismo di Garzia. Non riteneva che stesse mentendo, ma i suoi atti spiegavano l'aspetto leggermente lucido delle gambe dei pantaloni del suo completo. Non erano segni del ferro da stiro, ma brillantina. Riprese l'interrogatorio. «Ha detto che Tutuola aveva del denaro. Di che somma stiamo parlando?» «Quando ha deciso di comprare la casa, ha voluto prenderne possesso immediatamente. Gli ho detto che era impossibile, che c'erano dei documenti da preparare. Allora si è offerto di pagare qualunque cifra i proprietari chiedessero per disporre subito della casa. Quando hanno accettato, ha aperto il baule della macchina. C'era una specie di valigia, ed era piena di soldi. Non avevo mai visto tanti soldi in vita mia.» «Ha pagato in contanti?» Garzia annuì. «A manciate.» Montoya sorrise. Un movente. Ora le cose cominciavano ad avere un senso. Ranch McKay, alla periferia di Austin, Texas. Il mattino giunse in punta di piedi, senza preavviso né strepito. Iniziò all'orizzonte orientale con appena un accenno del tepore che stava per giun10


gere... un barlume di luce che tingeva il cielo di toni di rosa e giallo. La scia di un jet che volava da nord a sud assunse l'aspetto di una cometa rosa vivo, mentre il sole continuava a salire. Cat Cupree osservò lo spettacolo dal portico sul retro mentre il suo caffè si raffreddava nella tazza. Era già stata, in precedenza, nel ranch dove Wilson era cresciuto. Solo, in quell'occasione era stata lei la convalescente. Stavolta era Wilson, rimesso insieme dall'abilità dei chirurghi del Dallas Memorial Hospital. Ripensandoci, poteva ancora provare lo stesso panico di quando, al capezzale di Wilson, aveva visto il tracciato cardiaco del monitor diventare piatto. Aveva urlato. Prima per lo shock, poi per la rabbia e, da ultimo, per il rifiuto a lasciarlo morire. E così, lui non era morto. E ora erano di nuovo insieme, e stavano cercando di capire dove sarebbero andati, da quel punto. Il gatto di famiglia trotterellò su per i gradini, poi balzò sul dondolo del portico accanto a Cat e le strofinò la testa contro il gomito. Lei mise da parte la tazza del caffè ormai freddo per accoglierlo in grembo. «Be', che cosa aspetti?» Il vecchio gattone emise un brontolio, le balzò sulle ginocchia, fiutò i due bottoni sul davanti della camicetta blu, poi si acciambellò sulle sue gambe e cominciò a leccarsi le zampe. Cat gli stava grattando un punto fra le orecchie, quando sentì la porta di casa aprirsi. 11


Guardò da sopra la spalla. L'uomo che stava uscendo era pallido, e più magro di almeno cinque chili di quanto era stato il mese prima. Ma i folti capelli arruffati, il singolo cerchietto d'oro all'orecchio e lo scintillio dei suoi occhi erano ancora gli stessi. «Wilson, non sapevo che ti fossi alzato» disse Cat. «Non riuscivo a trovarti» spiegò lui. Cat scosse la testa, poi batté la mano sullo spazio libero accanto a sé. «Avresti dovuto sapere che non potevo essere lontano.» Wilson guardò il gatto sulle ginocchia di Cat. «C'è posto?» Lei sorrise. «Smettila di fare il broncio e siediti.» «Perché ti sei alzata così presto?» chiese Wilson. «Non riuscivi a dormire?» «Non volevo perdermi lo spettacolo» rispose Cat, indicando il cielo, che si stava a poco a poco rischiarando. Wilson guardò in alto, poi sospirò. «Oh, sì, capisco quello che intendi dire.» Cat gli posò una mano sulla gamba, grata per il pulsare vitale del sangue nelle sue vene. «Vivere in città fa dimenticare cose come il sorgere del sole.» «Vivere in città fa dimenticare ogni sorta di cose» aggiunse lui. «Come godersi la vita senza lasciarsi attirare in un ritmo frenetico.» 12


Cat si appoggiò a lui, attenta a non pesare su qualcuna delle ferite ancora in via di guarigione. «Una persona ci si potrebbe abituare.» «Decisamente» convenne Wilson, poi, come Cat, si abbandonò all'incanto dello spettacolo del giorno nascente. Seduto sul dondolo, chinò lo sguardo sulla donna che teneva fra le braccia. L'aria di sfida che l'aveva caratterizzata per tanto tempo era scomparsa. Essersi liberata dalla furia che proveniva dal bisogno di vendetta aveva lasciato in Cat spazio per il suo amore. Sembrava che fosse passata una vita da quando l'aveva vista per la prima volta, con sulla spalla un uomo privo di conoscenza che stava portando fuori da un edificio in fiamme. Allora Wilson non aveva saputo che lei era una cacciatrice di taglie, ma adesso lo sapeva. Quella donna era incredibilmente spietata. Aveva dato la caccia all'assassino della sua migliore amica con feroce determinazione, e poi lo aveva trascinato a Dallas perché fosse processato. E nessuno, a parte Wilson, conosceva il punto fino a cui si era spinta per ottenere vendetta sull'uomo che aveva ucciso suo padre e tagliato la gola a lei, lasciandola per morta. Dopo interminabili anni di ricerche, alla fine lo aveva trovato, lo aveva seguito fino a Chihuahua attraverso il deserto messicano e aveva portato a termine quella che aveva cominciato a temere fosse un'impresa senza speranza. Quando Tutuola era morto, la rabbia di Cat era 13


morta con lui. E il loro rapporto, che qualche volta Wilson aveva temuto fosse unilaterale, aveva cominciato a fiorire. Poi, gli avevano sparato. E, a quanto gli aveva detto Cat, il suo cuore si era fermato, dopo che era uscito dalla sala operatoria. Lui non ricordava molto dell'accaduto, ma ricordava bene di avere sentito Cat che lo supplicava, urlando, di non morire anche lui. Era una donna formidabile da contrastare. E adesso erano là. A entrambi era stata data una seconda occasione di vita, e non volevano sprecarla. «Hai programmi per oggi?» chiese Wilson. «Ho intenzione di andare ad Austin a fare qualche commissione per tua madre. Ha detto che c'è un funerale alla sua chiesa e lei aiuterà a servire le vivande per la famiglia.» Wilson annuì. «Sì, papà mi ha detto che è morto il vecchio Henry Daugherty. Era uno dei diaconi della chiesa quando ero ragazzo. Mi pare che papà mi abbia detto che aveva novantadue anni.» «Direi che è un bel traguardo» commentò Cat. «Vuoi che venga con te?» chiese Wilson. «No, non fa niente. Devo solo comprare qualche provvista che manca per il pranzo domenicale.» «Il pranzo domenicale. La mamma lo aspetta ogni volta quasi quanto il resto di noi. Qualunque cosa succeda durante la settimana, riesce a tenersi al corrente su tutto ciò che riguarda figli e nipoti, quando vengono a pranzo la domenica.» 14


«Ricordo» disse Cat, pensando al primo pranzo domenicale a cui aveva partecipato dopo che Wilson l'aveva trovata quasi moribonda in Messico. L'aveva riportata in Texas, e poi nella casa della sua famiglia. Era stato là, al ranch dei McKay, che Cat aveva cominciato a credere di avere qualcosa per cui vivere, a parte la vendetta. Il vecchio gatto all'improvviso saltò dalle ginocchia di Cat e corse giù dal portico mentre Carter, il padre di Wilson, usciva di casa per raggiungerli. «Buongiorno a tutti e due» disse. «Vado nella scuderia a dare da mangiare agli animali. Dorothy sta già preparando la colazione.» «Vado ad aiutarla» si offrì Cat e, dopo avere battuto un colpetto sulla gamba di Wilson, rientrò in casa. «Ti spiace se vengo con te?» chiese Wilson a suo padre. Carter sorrise. «Oh, immagino di poter trovare il modo di sopportarti.» Wilson si alzò con cautela, trasalendo leggermente per il dolore delle ferite. Poi, insieme, lui e suo padre scesero dal portico e si incamminarono nella luce del mattino. Erano da poco passate le nove quando Cat partì per Austin. Wilson era andato con Carter nel pascolo a sud, e Dorothy era già uscita per andare alla chiesa. Cat aveva controllato i messaggi sul cellulare prima di partire e aveva notato che aveva ri15


cevuto una chiamata dalla Art Ball Bail Bonds. Aveva lavorato per Art Ball per anni, dando la caccia a coloro che, dopo che Art aveva anticipato il denaro per la cauzione, non si erano presentati in tribunale. Ma pochi giorni prima aveva preso una decisione che avrebbe cambiato tutto ciò che sapeva della vita. Voleva una famiglia. Voleva dei bambini con Wilson, e voleva essere il genere di madre che sua madre era stata per lei... che la madre di Wilson era per lui e per i suoi fratelli e sorelle. Voleva essere il più lontano possibile dalla feccia della società, il che significava niente più caccia ai delinquenti. Né per Art Ball, né per nessun altro. E intendeva riversare in una famiglia la stessa passione che aveva messo nel vendicare l'assassinio di suo padre. Tutto quello di cui aveva bisogno era un'opportunità. Appena tornata da Austin, avrebbe chiamato Art. Mentre guidava, non poté fare a meno di notare com'era limpida l'aria e com'era azzurro il cielo. L'azzurro a cui si intonava quello dei fiordalisi che fiorivano nei pascoli e lungo la strada. I pascoli recintati erano punteggiati di vitellini e di puledri che trotterellavano accanto alle madri sulle lunghe gambe incerte. Era primavera. Un tempo di rinascita. Cat lo sentiva in ogni fibra del suo essere. Poco più avanti, scorse una vecchia automobile sul lato della strada. Quando la superò, notò che era vuota, ma non ci badò più di tanto. Subito do16


po, però, si accorse che c'era un pedone che camminava sul margine della carreggiata. Molto probabilmente il guidatore dell'auto. Cat non aveva l'abitudine di prendere a bordo degli autostoppisti, ma la persona a piedi era una ragazza adolescente che portava una piccola valigia, perciò cambiò idea. La ragazza indossava dei jeans così vecchi che erano diventati grigi, una T-shirt bianca con le maniche lunghe e un paio di scarpe da tennis. I capelli erano rossi e corti e, quando Cat rallentò, si fermò di colpo e si voltò. C'era la paura sul suo volto... e qualcos'altro che fece irrigidire Cat. Frenò e abbassò il finestrino del SUV. «Ehi, serve un passaggio?» Era evidente che la ragazza era combattuta tra il bisogno d'aiuto e il timore dell'ignoto. «Mi chiamo Cat Cupree» aggiunse Cat. «Sono ospite di Carter e Dorothy McKay.» Vide che la ragazza riconosceva i nomi, cosa che parve diminuire la sua diffidenza. Si scoccò un'occhiata da sopra la spalla e prese una decisione. Con un breve sorriso, mise la valigia sul sedile posteriore e salì. Sbirciò Cat, guardinga, notando i capelli scuri e il viso grazioso, ma quando vide la cicatrice sulla gola si morse il labbro e distolse rapidamente gli occhi, come se fosse stata sorpresa a fissare qualcosa di proibito. Cat vide l'occhiata. Non era la prima volta che qualcuno si stupiva per quello sfregio contorto. 17


«È solo una cicatrice» disse. «Scusi se la fissavo. Grazie per il passaggio. Sono Shelly Green.» Cat adocchiò il livido scuro sullo zigomo di Shelly, il sangue secco sotto il naso e l'occhio nero, poi distolse lo sguardo. «Piacere di conoscerti, Shelly. Dov'eri diretta?» «Alla stazione dei pullman, ma se è fuori dalla sua strada mi lasci pure in qualunque posto lei sia diretta.» Cat inserì la marcia e ripartì, poi tornò a osservare le ferite della ragazza. «Quindi, hai detto che ti chiami Shelly?» La ragazza annuì. «Chi ti ha picchiata?» Shelly trasalì, poi si strinse nelle spalle, ma Cat vide il suo labbro tremare. Tentò un'altra domanda... una a cui non sarebbe stato così difficile rispondere. «Quanti anni hai?» «Diciassette.» «È stato uno dei tuoi genitori a picchiarti?» Lei scosse la testa. «No, signora. Non ho genitori.» «Già, neppure io» disse Cat, poi scoccò un'altra occhiata alla ragazza. Shelly si stava asciugando le lacrime con il dorso della mano. «Ci sono dei fazzoletti di carta sul sedile posteriore. Serviti.» Shelly parve sorpresa, poi guardò da sopra la spalla, vide la scatola dei fazzoletti, l'afferrò e se la mise sulle ginocchia. Senza fare commenti, si sof18


fiò il naso tre volte, appallottolò i fazzoletti usati, li ficcò nella tasca dei jeans e infine posò la scatola sul sedile accanto a sé. «Allora... hai intenzione di dirmi chi ti ha picchiata?» «Il mio uomo. Si è arrabbiato perché non ho voluto scopare stamattina prima che uscisse per andare al lavoro.» Cat si sentì drizzare i capelli... e ardere dalla rabbia. «E il tuo uomo sarebbe...?» Ancora una volta, Shelly si strinse nelle spalle. «Si chiama Wayne. Wayne Bedford. Non siamo sposati, ma sto con lui da quando avevo quindici anni.» Sospirò, e Cat provò l'impressione che quella ragazzina portasse sulle spalle tutto il peso del mondo. «Prima non si comportava così, ma adesso... Comunque, il mese scorso gli ho detto che se non la smetteva di picchiarmi me ne sarei andata.» «Perciò, oggi è quel giorno?» chiese Cat. Shelly annuì. «Dove pensi di andare?» «Ovunque possano portarmi centocinque dollari» rispose la ragazza. Cat annuì senza fare commenti, ma provava un senso di nausea. Quella ragazzina le ricordava se stessa alla sua età. La sola differenza era che, mentre Cat era stata ferita molte volte in vita sua, a farlo non era mai stato qualcuno che, in teoria, avrebbe dovuto amarla. «Se avessi scelta, dove andresti?» chiese. 19


L'espressione di Shelly cambiò. I suoi occhi si spalancarono e il tono della voce si fece più vivace. «A Seattle.» Cat sorrise. «Perché proprio Seattle?» «Per gli alberi e le montagne. Non ho mai vissuto in un posto con alberi e montagne, e credo che lassù sia quanto di più vicino al paradiso.» Cat sospirò. Era così giovane. Anche dopo tante durezze, la vita non era ancora riuscita a portare via la gioia dal mondo di quella bambina. «Se arrivassi a Seattle, che cosa faresti?» «Qualcosa farei. Sono una brava cameriera, e...» «Shelly, se spenderai tutto il tuo denaro in un biglietto di autobus, dove vivrai quando arriverai laggiù?» Shelly si strinse nelle spalle. «Ho già vissuto per strada. Escogiterò qualcosa. Lo faccio sempre.» Cat non rispose, perché non c'era nulla da dire. Pochi chilometri più avanti, notò che un pick-up la seguiva a velocità sostenuta, ma non ci fece caso più di tanto. La strada era diritta e piana e non c'era altro traffico in vista. Il furgone poteva superarla senza problemi. Solo che il veicolo non stava né rallentando, né cercando di sorpassare. Era così vicino al suo paraurti che Cat poté vedere la barba di tre giorni sulla faccia del conducente, quando guardò nello specchietto retrovisore. 20


«Che cosa fa quel matto?» borbottò, più a se stessa che a Shelly, ma la ragazza si voltò sul sedile per vedere che cosa stava succedendo. «Oh, Signore!» urlò. «È Wayne! Mi ha trovata! Mi ha trovata!» In quel momento, il pick-up urtò con violenza da dietro il SUV. Shelly urlò di nuovo mentre Cat cercava freneticamente di tenere in strada il veicolo. «Mi ucciderà!» gridò Shelly, e scoppiò in singhiozzi. «Sta' zitta e tieniti forte» ordinò Cat, secca, e premette sull'acceleratore. Scattò in avanti, mettendo una ventina di metri buoni fra sé e il pick-up. Ma anche Wayne accelerò, e pochi secondi dopo urtò di nuovo il SUV, che stavolta slittò e sbandò prima che Cat ne riprendesse il controllo. Premette l'acceleratore a tavoletta e nello stesso tempo schiacciò il pulsante d'emergenza nel programma del suo GPS. Pochi attimi dopo si sentì la voce dell'operatore. «Buongiorno, signorina Cupree. Come posso aiutarla?» Cat dovette sbraitare per farsi sentire al di sopra dei lamenti di Shelly. «Questa è un'emergenza... Qualcuno sta cercando di buttarmi fuori strada. Rintracci la mia posizione e contatti immediatamente lo sceriffo della contea.» «Ho la sua posizione. Stiamo contattando l'uffi21


cio dello sceriffo in questo momento. È ferita?» «No. Non ancora» rispose Cat, e poi trasalì quando il pick-up la urtò di nuovo. Gli strilli di Shelly aumentarono di intensità. Cat fu colpita dal pensiero che quello avrebbe potuto essere l'ultimo giorno della sua vita... e tutto perché aveva dato un passaggio a una ragazza con un occhio nero e il naso sanguinante. Più ci pensava, più si infuriava. Non era disposta a gettare via il suo futuro per un farabutto che non era capace di controllare la propria rabbia. «Shelly, smetti di urlare» ordinò. Shelly aumentò ancora il volume, perciò a Cat non restò che fare meglio. Il ruggito che le uscì dalla gola sorprese perfino lei. «Shelly! Chiudi. Quella. Bocca.» La ragazza era abituata alla paura, e in quel momento non sapeva di chi averne di più, se di Wayne, che stava cercando di buttarle fuori strada o di quella donna dagli occhi spiritati e la cicatrice sulla gola. Prese fiato, con un ultimo singhiozzo, e si premette le mani sulla bocca. Ora i soli suoni nell'auto erano la voce dell'operatore che assicurava Cat che i soccorsi stavano arrivando e il rombo del motore, mentre sfrecciavano sulla statale. Cat aveva le dita intorpidite per la forza con cui stringeva il volante, ma la sua mente lavorava a pieno ritmo. Non era in grado di staccare Wayne. Ci aveva già provato. Se i soccorsi non arrivavano in fretta, avrebbe dovuto ricalcolare le sue opzioni. 22


Quando il furgone urtò di nuovo il SUV, perse definitivamente la pazienza. Aprì lo sportellino della consolle, gettando alcuni CD in grembo a Shelly fino a quando raggiunse il fondo del vano, poi spinse forte. Il fondo si aprì di scatto, rivelando la 9 millimetri che teneva nascosta sotto. Senza perdere un istante, se la mise sulle ginocchia. «Reggiti!» urlò, e poi inchiodò i freni. Gli pneumatici stridettero. La gomma bruciò. Era l'ultima cosa che Wayne Bedford si era aspettato. L'airbag gli esplose in faccia quando si schiantò contro la parte posteriore del SUV. Anche gli airbag di Cat si gonfiarono di colpo, ma lei era preparata. Non appena riuscì a concentrarsi, dopo l'urto, mise il cambio in folle, poi sparò un colpo nell'airbag, sgonfiandolo all'istante. Quando balzò giù, la sua pistola era puntata contro Wayne. «Scendi dalla macchina!» gridò. Poi, per chiarire il concetto, sparò un colpo al di sopra del tetto del furgone. All'improvviso, la furia di Wayne di trovare la sua ragazza fuggitiva si trasformò in puro panico. Non sapeva chi fosse quella donna, ma si rendeva conto di avere fatto una mossa molto sbagliata. «Non sparare! Non sparare!» urlò. Cat spalancò bruscamente la portiera e sparò un altro colpo, stavolta nell'airbag del furgone. Wayne urlò ancora mentre l'airbag si sgonfiava. 23


«Oh, Signore, Signore, mi dispiace. Non spararmi. Per favore. Non voglio morire.» «Avresti dovuto pensarci prima di cercare di buttarci fuori strada!» urlò Cat, agguantandolo per il colletto e trascinandolo fuori dal vicolo. Lui andò a sbattere la faccia sull'asfalto e si afferrò il naso quando cominciò a sanguinare. «Il mio naso!» «Non è niente a paragone di quello che hai fatto alla faccia della tua ragazza» ribatté Cat. «Chiudi quella bocca!» Come Shelly, Wayne preferì andare sul sicuro e strinse i denti, anziché continuare a lamentarsi. A quel punto, Shelly scese dalla macchina di Cat e, un po' malferma sulle gambe, si avvicinò al pick-up che perdeva vapore e acqua dal radiatore spaccato. «Wayne Bedford, che cosa diavolo ti salta in mente?» sbraitò, allungandogli un calcio alla suola di uno stivale. «Ci hai quasi ammazzate.» «Lei ha una pistola» protestò Wayne. La ragazza scoccò un'occhiata nervosa alla sua buona samaritana. «Sì, lo vedo, e mi sembra abbastanza arrabbiata da usarla.» «Sono proprio davanti a voi, perciò potete smettere tutti e due di parlare come se non ci fossi» brontolò Cat. Shelly si mordicchiò il labbro. «Non mi sento tanto bene» annunciò Wayne. Shelly sospirò e guardò Cat. 24


«Ha intenzione di sparargli?» «Non ho ancora deciso» rispose lei. Poi cominciò a sentire le sirene. Lanciò un'occhiata a Wayne. «Credo di no. A quanto pare, resterai vivo per metterti di nuovo nei guai un altro giorno.»

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113 - L'ULTIMA CACCIA di S. Sala Dopo un'infanzia e un'adolescenza difficili segnate dalla solitudine e dal bisogno di vendetta, Cat Cupree vorrebbe iniziare una vita tranquilla accanto a Wilson McKay, l'uomo che le ha insegnato il valore dell'amore e della famiglia. Ma lasciarsi alle spalle il passato si rivela impossibile. Un solerte poliziotto messicano è deciso a risolvere un caso di omicidio su cui Cat è anche troppo informata, e un balordo con una lunga lista di crimini alle spalle vuole a tutti i costi uccidere Wilson. I due dovranno lottare per difendere la loro vita e conquistare la felicità.

114 - PRETTY GIRLS di J.T. Ellison Quando l'ennesima ragazza finisce nella trappola di un serial killer, l'agente di polizia Taylor Jackson e il suo amante, il profiler dell'FBI John Baldwin, si ritrovano a indagare su un caso complesso. Il killer sta insanguinando Nashville e gli stati confinanti, lasciando una firma macabra e inconfondibile. Le mani tagliate della vittima precedente. La giornalista Whitney Connolly vuole servirsi del caso per andarsene da Nashville. E, per farlo, è disposta a sfruttare una notizia che potrebbe rivelarsi esplosiva. Ma non si scherza col fuoco, senza rimanerne scottati.


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