CA034_GLI_STANISLASKI

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GLI STANISLASKI NATASHA • MIKHAIL • RACHEL


Titoli originali delle edizioni in lingua inglese: Taming Natasha Luring a Lady Falling for Rachel Silhouette Special Edition Silhouette Special Edition Silhouette Special Edition © 1990 Nora Roberts © 1991 Nora Roberts © 1993 Nora Roberts Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved. © 1994 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Collezione Harmony Special maggio 1994 Prima edizione Collezione Harmony Special maggio 1994 Prima edizione Harmony Pack gennaio 1995 Questa edizione I Classici d'Autore Harlequin Mondadori marzo 2011 I CLASSICI D'AUTORE HARLEQUIN MONDADORI ISSN 1824 - 7253 Periodico bimestrale n. 34 del 2/03/2011 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 654 del 20/09/2004 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano


Care lettrici, è un grande piacere per me sapere che Harlequin Mondadori ha deciso di ristampare le mie saghe familiari in questa nuova e raffinatissima edizione, in occasione dei festeggiamenti del 30° Anniversario. L’amore è la chiave di tutti i miei libri e il punto di partenza per quell’evoluzione naturale che per me è il matrimonio. La famiglia è una componente basilare della mia esistenza e, come tale, trova grande spazio anche nella mia vita di autrice. Tutti i protagonisti delle mie storie provengono da una famiglia che, nel bene o nel male, ha contribuito notevolmente alla loro formazione e influenzerà le persone che diventeranno. Quando poi si innamoreranno e decideranno di sposarsi, formeranno un nucleo tutto loro. Le dinamiche familiari mi affascinano da sempre: la fedeltà e i battibecchi, la storia condivisa e il modo in cui ogni componente cresce. La famiglia costituisce le fondamenta di tutti i miei personaggi, che siano i reali Cordina o i più appassionati Stanislaski, i MacGregor guidati da Daniel o i quattro fratelli MacKade. Queste persone hanno a cuore le vicende dei propri cari e spero che voi possiate entusiasmarvi alle loro storie. Complimenti ad Harlequin Mondadori per il suo 30° Anniversario. Il mio augurio è che continui ad affascinare le lettrici con meravigliose storie d’amore per molti anni ancora!

Nora Roberts


Natasha


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«Ma perché gli uomini migliori sono tutti sposati?» Natasha sistemò la bambolina di porcellana sulla minuscola sedia a dondolo della vetrina prima di girarsi verso la sua commessa. «Ti riferisci a qualcuno in particolare?» «Al tipo fermo davanti alla porta, con quella moglie antipatica e quella bimbetta.» Annie sospirò. «Sembrano una di quelle famigliole perfette della pubblicità.» «Allora magari entreranno a comprare il giocattolo perfetto.» Natasha fece un passo indietro e osservò compiaciuta la serie di bambole in costumi vittoriani. Eleganti e di effetto, proprio come voleva che apparissero. Quel negozio di giocattoli non era solo la sua attività: era la sua grande passione. Tutto quello che c'era lì dentro era stato scelto personalmente da lei, tra gli articoli migliori e più ricercati disponibili sul mercato. Solo il meglio, per la sua clientela. E la scelta era vastissima, dalla costosa bambola in pelliccia alla micromacchinina da due dollari, i suoi giovani clienti sapevano di poter entrare nella Fun House e di poterne uscire stringendo tra le manine il giocattolo che li avrebbe resi felici. Nei tre anni da quando aveva aperto il negozio, Nata9


sha si era fatta conoscere e benvolere nella piccola città universitaria del West Virginia per il suo amore per i bambini, e per la sua innata capacità di comprendere i loro desideri. «Credo che vogliano entrare» osservò ancora Annie, che continuava a guardare in direzione dell'ingresso. «Che faccio, apro?» «Mancano ancora cinque minuti all'orario di apertura.» «Quali cinque minuti? Non possiamo lasciarci scappare quel fusto» insistette la commessa. «Sarà alto due metri e vedessi che spalle...» Finse di aiutarla a sistemare la vetrina, per poterlo sbirciare di sottecchi. «Ehi, ha appena sorriso alla bambina. Oddio, credo di essermi innamorata! Se solo riuscissi a vedere di che colore ha gli occhi...» Natasha le rivolse uno sguardo divertito. «Va bene, ho capito» si arrese. «Va' ad aprire.» «Solo una bambola, d'accordo?» disse Spence, in direzione della bambina. «Se dipendesse da te, le compreresti il negozio intero.» Lui scoccò un'occhiata seccata alla donna. «Nina, non cominciare...» «Sto solo dicendo che papà ti vizia un pochino, ma perché ti vuole troppo bene» riprese la ragazza, stavolta rivolta alla piccina. «Comunque ti meriti un regalo. Sei stata così brava durante il trasloco...» «Mi piace la casa nuova» dichiarò Federica Kimball, e infilò la manina in quella di suo padre. «Ora ho un giardino e un'altalena tutta per me.» «In altre parole, sono l'unica a non vedere nessun vantaggio in questo spostamento.» Nina carezzò i capelli della bambina. «Ma è che mi preoccupo per te, patatina. Per 10


te e per tuo padre. Voglio che siate felici... Oh, stanno aprendo...» «Buongiorno» li salutò allegramente Annie, dando una rapida controllatina agli occhi di Spence. Grigi. Di uno splendido grigio ardesia. «Serve qualcosa?» «Mia figlia vorrebbe una bambola.» «Allora siete venuti nel posto giusto.» Annie rivolse doverosamente la sua attenzione alla bambina. «Che tipo di bambola?» «Una con i capelli rossi e gli occhi azzurri» rispose la bambina. «Sono sicura che abbiamo quello che fa al caso tuo.» Le offrì una mano. «Vuoi venire con me?» Mentre sua figlia si addentrava nel negozio con la commessa, Spence scosse il capo con impazienza. Nina gli prese la mano e gliela strinse. «Spence...» «Sono un illuso a pensare che non ricordi niente.» «Solo perché vuole una bambola con i capelli rossi...» «Con i capelli rossi e gli occhi azzurri. Come quelli di Angela. Si ricorda tutto, tutto quanto» asserì con forza. Tre anni, pensò. Tanti ne erano passati. Freddie portava ancora i pannolini, allora, ma non aveva dimenticato sua madre. Sebbene Angela non fosse stata degna di essere definita una madre, per lei. Lo sguardo gli scivolò su una piccola bambola di porcellana, dal vaporoso vestitino di tulle azzurro e gli enormi occhi chiari. Angela era così. Bella, di una bellezza eterea, e fredda come il giaccio. L'aveva amata come si può amare un'opera d'arte, ammirando a distanza la perfezione della forma, e andando costantemente alla ricerca di qualcos'altro, oltre alle apparenze. Insieme avevano dato la vita a una creatura 11


meravigliosa che, in qualche modo, aveva vissuto i primissimi anni della sua esistenza senza l'amore e il calore dei suoi genitori. Ma ora Spence era deciso a rimediare. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di dare a Freddie tutto il suo affetto, la sicurezza, e qualsiasi cosa potesse renderla felice. La sentì ridere, all'interno del negozio, e si sentì inondare da un senso di tenerezza. Non c'era musica più dolce della risata di sua figlia. Avrebbe potuto scriverci sopra un'intera sinfonia. La lasciò scegliere la sua bambola in tutta libertà, e intanto si diede un'occhiata intorno. Il negozio non era grande, ma gli scaffali che correvano da muro a muro erano stipati di tutto quanto un bambino potesse desiderare: una giraffa di peluche, un cagnolino dagli occhi dolci, trenini di legno, macchine, aeroplanini, una variopinta scatola a sorpresa. E bambole, dozzine e dozzine di bambole, di ogni dimensione e tipo. L'effetto era straordinario: sembrava la grotta di Aladino, piena di tesori capaci di illuminare gli occhi di qualsiasi bambino. Sollevò tra le mani un carillon di porcellana. Su una base rotante, c'era una splendida zingara con un vestito rosso, tintinnanti cerchi dorati alle orecchie e un tamburello in mano. Un pezzo davvero singolare, pensò. Non avrebbe trovato niente di simile nemmeno sulla Fifth Avenue, a New York. Tirò la corda, e osservò la figurina che roteava. Chaikowsky. Il suo orecchio allenato riconobbe subito la musichetta del meccanismo interno. Poi sollevò lo sguardo e vide Natasha. Sgranò gli occhi e la fissò. Non poté farne a meno. A12


veva gli stessi capelli scuri della figurina di porcellana, lunghi fino alle spalle, e naturalmente mossi. La carnagione scura, quasi olivastra, era messa in risalto dal semplice abitino rosso che indossava. Le osservò il viso, le labbra carnose, prive di rossetto, gli zigomi alti, e gli occhi scurissimi, frangiati di lunghe ciglia. La carica di sensualità che sprigionava era irresistibile. Spence la sentiva anche a diversi metri di distanza. Per la prima volta da anni, provò una violenta ondata di puro desiderio. Natasha la percepì al volo e socchiuse gli occhi, risentita. Che razza di uomo era uno che entrava in un negozio con sua moglie e sua figlia e guardava con tanta sfrontatezza una perfetta estranea? Lo raggiunse, ignorando il suo sguardo insistente. «Ha bisogno di aiuto?» Di aiuto? Di ossigeno, piuttosto. Quella donna gli aveva letteralmente mozzato il respiro. «Chi... chi è lei?» chiese, balbettando. «Natasha Stanislaski.» Gli rivolse il suo sorriso più glaciale. «Sono la proprietaria del negozio.» La sua voce era molto musicale, notò Spence, e aveva un leggero accento slavo che la rendeva ancora più dolce, ed erotica. Vedendo che lui non diceva nulla, Natasha continuò. «Sua figlia è indecisa fra tre bambole. Magari può aiutarla a scegliere...» «Il suo accento... è russo, non è vero?» «Sì.» «Da quanto tempo vive negli Stati Uniti?» «Da quando avevo sei anni, cioè press'a poco l'età di sua figlia.» Non si era accorto che sua moglie era ancora 13


ferma all'ingresso, e sembrava seccata? «Se vuole scusarmi...» Spence la trattenne per un braccio. «Mi scusi. Volevo chiederle di questo carillon.» «È uno dei nostri pezzi migliori. Vuole comprarlo?» «Non so. Ma pensavo che forse non dovrebbe tenerlo su quello scaffale, alla portata di tutti. Mi sembra un pezzo molto fragile, e potrebbe rompersi.» Natasha glielo tolse di mano e lo ripose esattamente dov'era. «I bambini devono toccare quello che gli pare, e devono poter godere il piacere della musica.» «Sono d'accordo.» Per la prima volta, un breve sorriso apparve sul viso di Spence. Un sorriso ammiccante, dal quale Natasha, suo malgrado, si sentì attratta. «Anzi, sono d'accordissimo. Vogliamo discuterne a cena?» Natasha si irrigidì, sentendosi quasi insultata da quell'invito sfacciato. «No» disse decisa, e si girò. «Signorina...» «Papà, non è carina?» Freddie gli corse incontro e gli sventolò sotto il naso una bambola di pezza. Aveva i capelli rossi, ma non era affatto bella. E. soprattutto. non somigliava in niente ad Angela. Spence finse di studiarla. «È la bambola più bella che abbia mai visto.» «Posso averla?» «Siamo qui per questo, no?» Anche Nina volle dare un suo parere. «A me non sembra granché.» «A papà piace...» disse mogia la piccina. «Non è vero, papà?» «Sì, bel musetto.» La mamma era proprio antipatica, decise Natasha men14


tre si avviava alla cassa. Fece lo scontrino e. quando la piccina si rifiutò di farsi incartare la bambola, le donò un nastrino azzurro. «Così potrai legarle i capelli...» «Oh, grazie!» esclamò Freddie. gongolante. «Posso venire a guardare i giocattoli qualche volta, o devo per forza comprarne uno?» Natasha sorrise e prese un altro nastro, che annodò tra i capelli della bambina. «Vieni pure ogni volta che vuoi.» «Spence... dobbiamo andare» fece Nina. impaziente. «Sì, arrivo.» A Spence non sarebbe dispiaciuto trattenersi ancora un po'. «È stato un piacere, signorina Stanislaski.» «Addio» fu il saluto di Natasha. Aspettò che la porta si richiudesse e cominciò a borbottare. «Ma tu guarda...» «Hai detto, scusa?» le chiese Annie. «Quell'uomo.» «Sì.» La commessa prese un'aria sognante. «Che uomo...» «Viene qui con sua moglie e sua figlia e mi spoglia con gli occhi. E poi ha la faccia tosta di invitarmi a cena.» «Che cosa?» L'espressione deliziata di Annie fu incenerita da un'occhiataccia di Natasha. «Hai ragione, una gran bella faccia tosta. Ma devi ammettere che sua moglie sembrava proprio una strega.» «I problemi coniugali di quell'uomo non mi riguardano.» «No, infatti. Immagino che gli avrai detto di no.» «E che avrei dovuto rispondere a uno sconosciuto che entra nel mio negozio e comincia a farmi delle proposte?» «Delle proposte? Perché, che cosa ti ha detto di preciso?» «A parole, niente. Ma il messaggio che mi ha lanciato 15


con gli occhi era fin troppo esplicito. Se non ci fosse stata quella bimbetta con lui, lo avrei preso a schiaffi.» Natasha fumava ancora di rabbia, ma Annie la conosceva da tempo, e sapeva come cambiare argomento per raddolcirla. «Un vero tesoro, quella bambina, vero? Si chiama Freddie.» Come previsto, lo sguardo di Natasha si intenerì. «Sì. Un angioletto.» «Mi ha detto che si sono appena trasferiti a Shepherdstown da New York. Non conosce ancora nessuno, perciò la bambola sarà la sua prima amichetta.» «Povera piccina.» Nessuno sapeva meglio di Natasha cosa significava, per una bimbetta, ritrovarsi in un posto nuovo, pieno di estranei. Freddie... Chissà quanti anni aveva, si chiese. Forse quanti ne avrebbe avuti Lily, adesso... In piedi, davanti alla finestra della sala della musica, Spence osservava assorto l'aiuola fiorita del giardino. Una vista completamente diversa da quella che si godeva dal suo superattico, nel cuore di New York. Ma non meno bella, decise d'impulso. Proprio non lo capisco questo tuo capriccio di voler vivere in campagna, gli aveva detto Nina, quando lo aveva aiutato a traslocare. E forse non lo capiva nemmeno lui. Non dopo aver vissuto tutta una vita in città rumorose, affollate, piene di traffico. Spence era nato in un mondo fatto di bella gente, di benessere e di prestigio. Aveva vissuto nell'alta società, adattandosi perfettamente ai suoi ritmi frenetici e mondani. L'estate a Montecarlo, l'inverno a Nizza, i finesettimana ad Aruba o a Cancun. 16


Non rinnegava niente del suo passato. Solo avrebbe voluto capire e accettare prima le sue responsabilità. Specie quelle che aveva verso Freddie. Era stata sua figlia ad aprirgli gli occhi e a cambiare radicalmente la sua vita. Era in giardino, in quel momento, a dondolarsi sull'altalena. Gli bastava guardarla per sentirsi travolgere da uno slancio di amore folle per quella creaturina. La vide chinarsi a sussurrare qualcosa nell'orecchio di Joey, la bambola che stringeva al petto. Una bambola di pezza. Avrebbe potuto scegliere qualcosa di più prezioso, di porcellana, o di velluto. Invece aveva preferito una compagna più tenera, e apparentemente più bisognosa di affetto. Una scelta sintomatica. Per tutto il giorno, la bambina non aveva fatto che parlare di quel negozio di giocattoli, facendogli capire che le sarebbe piaciuto ritornarci presto. Anche a Spence sarebbe piaciuto ritornarci. Più che per il negozio, per la proprietaria. Bella e altera. Così l'avrebbe definita. Ma anche sdegnosa, e sprezzante. Certo il suo approccio aveva lasciato parecchio a desiderare. Ma la reazione di lei... Furiosa. Non c'era altra parola per descriverla. Natasha non aveva nemmeno cercato di essere gentile, quando aveva respinto il suo invito. Un no secco. Tagliente. Neanche le avesse chiesto di andare a letto con lui... «Sono pronta.» Nina si fermò sulla soglia e sospirò. Spence era di nuovo perso nei suoi pensieri. «Spence, ho detto che sono pronta.» «Cosa...? Ah, sì.» Lui abbozzò un sorriso distratto. «Ci mancherai, Nina.» 17


«Ma se non vedi l'ora che me ne vada.» «No, davvero. Ti sono grato per averci aiutati con il trasloco.» «Non l'ho fatto per generosità. L'ho fatto perché ero curiosa di venire a vedere l'eremo in cui aveva deciso di rinchiudersi mio fratello.» Nina lo raggiunse e lo abbracciò di slancio. «Oh, Spence, sei proprio sicuro? Pensaci bene, è un grosso cambiamento, per tutti e due. Mi chiedo che cosa farai qui, nel tempo libero.» «Taglierò l'erba in giardino. Me ne starò seduto in veranda. E magari ricomincerò a scrivere musica.» «Questo potevi farlo anche a New York.» «Sono quattro anni che non riesco a comporre nemmeno due battute» le ricordò. Lei si avvicinò al grande piano a coda. «Sì, ma se volevi cambiare aria, potevi andartene a Long Island, o nel Connecticut.» «Questo posto mi piace, Nina. Credimi, è la cosa migliore che potessi fare per Freddie. E per me.» Nina si mise a tamburellare con le dita sulla superficie lucente del piano. «Ti senti ancora in colpa, per via di Angela. E non è giusto.» «Ci vuole tempo per rimediare a certi errori.» «Errori di chi, scusa? È stata lei a renderti infelice» dichiarò sua sorella, convinta. «Il vostro matrimonio non ha mai funzionato. E poi, andiamo, lo sappiamo tutti che era lei a non volere la bambina.» «Io, invece, la volevo solo perché speravo che ci avrebbe aiutati a restare uniti. Quindi, come vedi, non ero migliore di mia moglie.» «E va bene, hai commesso degli errori. Ma li hai riconosciuti, e stai cercando di rimediare. Angela, invece, non ha 18


mai avuto sensi di colpa. Se non fosse morta, a quest'ora avresti divorziato e avresti chiesto la custodia di Freddie. Il risultato è lo stesso. So che può sembrare brutale, ma la realtà spesso lo è. Non mi va di pensare che ti sei trasferito qui, e che hai deciso di cambiare vita solo per rimediare a qualcosa che è finito per sempre.» «Non è soltanto questo, Nina. Guardala.» Indicò sua figlia, che si dondolava allegra sull'altalena. «È felice. E lo sono anch'io.»

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Questo volume è stato impresso nel febbraio 2011 presso la Rotolito Lombarda - Milano


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