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I CORDINA


Titoli originali delle edizioni in lingua inglese: Affaire Royale Command Performance The Playboy Prince Cordina's Crown Jewel Silhouette Intimate Moments Silhouette Intimate Moments Silhouette Intimate Moments Silhouette Special Edition © 1986 Nora Roberts © 1987 Nora Roberts © 1987 Nora Roberts © 2002 Nora Roberts Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 1988 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione giugno1988 Harlequin Mondadori S.p.A. Prima edizione aprile 1989 Harlequin Mondadori S.p.A. Prima edizione maggio 1989 Harlequin Mondadori S.p.A. Prima edizione settembre 2004 Harlequin Mondadori S.p.A. Questa edizione I Classici d'Autore Harlequin Mondadori gennaio 2011 I CLASSICI D'AUTORE HARLEQUIN MONDADORI ISSN 1824 - 7253 Periodico bimestrale n. 33 del 5/1/2011 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 654 del 20/9/2004 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano


Care lettrici, è un grande piacere per me sapere che Harlequin Mondadori ha deciso di ristampare le mie saghe familiari in questa nuova e raffinatissima edizione, in occasione dei festeggiamenti del 30° Anniversario. L’amore è la chiave di tutti i miei libri e il punto di partenza per quell’evoluzione naturale che per me è il matrimonio. La famiglia è una componente basilare della mia esistenza e, come tale, trova grande spazio anche nella mia vita di autrice. Tutti i protagonisti delle mie storie provengono da una famiglia che, nel bene o nel male, ha contribuito notevolmente alla loro formazione e influenzerà le persone che diventeranno. Quando poi si innamoreranno e decideranno di sposarsi, formeranno un nucleo tutto loro. Le dinamiche familiari mi affascinano da sempre: la fedeltà e i battibecchi, la storia condivisa e il modo in cui ogni componente cresce. La famiglia costituisce le fondamenta di tutti i miei personaggi, che siano i reali Cordina o i più appassionati Stanislaski, i MacGregor guidati da Daniel o i quattro fratelli MacKade. Queste persone hanno a cuore le vicende dei propri cari e spero che voi possiate entusiasmarvi alle loro storie. Complimenti ad Harlequin Mondadori per il suo 30° Anniversario. Il mio augurio è che continui ad affascinare le lettrici con meravigliose storie d’amore per molti anni ancora!

Nora Roberts


Un affare di stato


Prologo

Non riusciva a ricordare perché stava correndo. Sapeva solo che non doveva, non poteva fermarsi. Se lo avesse fatto, sarebbe stata perduta. Doveva correre, continuare a correre, continuare a fuggire il più lontano possibile da... da dove stava fuggendo. Era bagnata fradicia. Tuttavia non aveva paura del temporale, del buio, dei fulmini: l'unica cosa di cui aveva veramente paura era il suo stesso terrore, perché, quello, era l'unica cosa di cui era consapevole, l'unica che le impediva di darsi per vinta. Non riusciva a ricordare chi era, da dove veniva, dove era stata fino a quel momento. Dove si trovava adesso? Cos'era quel rumore di onde? Era vicina al mare? Senza rendersene conto, scoppiò a piangere. Non ricordava nulla. Nulla! Improvvisamente, vide i fari. L'avevano trovata! Era in trappola! Un attimo dopo, crollò a terra, svenuta.

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«Sta riprendendo conoscenza.» «Signore, ti ringrazio!» Dal fondo della nebbia in cui stava galleggiando, percepì le voci. Ebbe di nuovo paura. Il suo respiro diventò affannoso, corto. Non ce l'aveva fatta. Non era riuscita a scappare... Confusamente, pensò che non doveva far capire a quella gente che era spaventata. Provò a serrare i pugni. Quel gesto la rassicurò e, con cautela, aprì gli occhi. Era tutto confuso, poi, a poco a poco, riuscì a mettere a fuoco qualcosa. Un viso? Sì, il viso di un uomo, sopra di lei, vicinissimo. Di nuovo il panico. Non lo aveva mai visto prima. Oppure sì? Chi era? Registrò che era grassoccio, simpatico, che sorrideva. «Cara, è al sicuro, adesso.» Una voce gentile, dolce, rassicurante. Sentì che le controllava il polso. Al sicuro... Quelle due parole fluttuarono leggere nella sua mente. Si guardò intorno. Un ospedale? Riconobbe l'odore del disinfettante... poi vide l'altro uomo. Pensò, confusamente, che aveva l'aria altera, rigida, del militare, del tipo tutto d'un pezzo. Notò che aveva i capelli striati di bianco, che era alto, che aveva un bel viso. Pallido, molto pallido, con due occhiaie profonde sotto gli occhi scuri... «Tesoro» le disse, «sei di nuovo tra noi. A casa. Sei al sicuro, cara.» Le prese una mano e se la portò alle labbra. «Chi è lei?» «Chi...» «È stanca» lo interruppe l'altro sottovoce. Era un dottore? «Ha subito un grosso trauma. È naturale che sia un po' confusa.» 10


Uno strano malessere la prese alla bocca dello stomaco. «Io non... non ricordo» mormorò. «Non ricordi chi sono?» chiese il militare. Sembrava sconvolto. Perché? Lei cercò di tirarsi su, ma il dottore glielo impedì. Ricordò vagamente che aveva corso. Perché aveva corso così disperatamente? Stava scappando! Ma da chi? Da cosa? Niente. Il vuoto. «Io non ricordo niente. Chi sono? Io chi sono?» chiese con un filo di voce. «Pensi a riposare, ora, è la sola cosa che...» intervenne il dottore, ma l'altro lo bloccò. «Sei mia figlia, cara!» Le prese di nuovo la mano. «Mia figlia! Sua Altezza Serenissima, Gabriella, principessa di Cordina.» Che cos'era, una farsa? Un sogno? Un incubo? Una favola? Sua Altezza Serenissima... Eppure quell'uomo aveva un'aria così severa. «Una principessa? Io? E lei è un re?» Le venne proprio da ridere. Stava sognando. Ecco com'era andata. Quella gente l'aveva drogata, e lei adesso stava facendo quella specie di sogno assurdo. L'uomo abbozzò una specie di sorriso. «Cordina è un piccolo principato. Io sono il principe Armand, tuo padre, e tu sei la mia figlia maggiore. Hai due fratelli più giovani, Alexander e Bennet.» Due fratelli e un padre. Una famiglia. Questo era normale. «E mia madre?» chiese, poco convinta. Sul viso dell'uomo passò un'ombra. «È morta quando avevi vent'anni. Adesso ne hai quasi ventisei. Da allora, sei tu che la sostituisci nelle manifestazioni ufficiali, Brie. È così che ti chiamiamo, Brie.» La osservò, sperando di vedere qualche reazione. Niente. Allora le girò la mano. «Vedi questo anello?» Lei abbassò gli occhi. Al suo mignolo splendeva uno zaffiro sul quale era inciso uno stemma. Ma non le disse nulla. «Te l'ho regalato io, per il tuo ultimo compleanno...» Niente. Lo guardò negli occhi, e gli disse: «È... molto bello». Poi gli sorrise, imbarazzata. Che altro poteva dirgli? Lui rispose con un sorriso triste. «Sono così stanca...» sussurrò allora lei, chiudendo gli occhi. «È naturale» intervenne il dottore. «Deve cercare di dormire. E 11


di non pensare a nulla. È la cura migliore, in questi casi.» Il principe lasciò malvolentieri la sua mano. «Resterò qui vicino» le disse. «Grazie» mormorò lei. Poi, appena fu uscito, chiese al dottore: «Sono davvero sua figlia?». «Glielo posso assicurare, Altezza. L'ho aiutata io stesso a nascere, venticinque anni fa. In luglio. Cerchi di dormire e di riposarsi, ora. E cerchi di non pensare più a niente. Cerchi di svuotare la mente.» Il principe percorse il corridoio in fretta, seguito da una delle guardie reali. Avrebbe dato qualsiasi cosa per potersi ritirare, per poter avere qualche minuto tutto per sé, in una stanza vuota, tranquilla. Aveva bisogno di rilassarsi, di riflettere in pace, e di prendere fiato. Sua figlia, la sua adorata figlia, era stata ritrovata, finalmente, ma ora lo guardava come un estraneo, uno sconosciuto. Se solo avesse potuto mettere le mani su chi... Ma li avrebbe trovati, a costo di cercarli per il resto della sua vita. Nella grande sala c'erano alcuni funzionari del Dipartimento di Polizia di Cordina e alcune guardie reali. E c'erano anche Alexander e Bennet. Alexander, l'erede al trono, somigliava molto al padre. Era bruno come lui, alto, e aveva ereditato lo stesso portamento marziale e gli stessi lineamenti severi, decisi. Purtroppo, non ne aveva preso la capacità di controllare le proprie emozioni. Aveva infatti un carattere vulcanico, vitale e appassionato, che gli rendeva difficile dominare la sua natura esuberante. Camminava avanti e indietro, fumando nervosamente, mentre Bennet sedeva tranquillo su un divano. Bennet aveva vent'anni, tre meno del fratello. Anche lui era bruno, ma fisicamente aveva preso dalla madre. Di carattere un po' frivolo, era dotato però di una sensibilità, di una gioia di vivere e di un'allegria che lo rendevano molto popolare tra i sudditi. Era infatti molto amato, piaceva alla stampa e, cosa che spesso metteva in imbarazzo il principe, ad almeno metà della popolazione femminile mondiale. Le donne, semplicemente, lo adoravano. In piedi, dietro a Bennet, Reeve McGee, l'americano che Armand in persona aveva fatto venire nel pomeriggio, salutò il 12


principe con un lieve cenno del capo e pensò che Sua Altezza stava reggendo bene la situazione, come, del resto, si era aspettato. Lo aveva già incontrato alcune volte, in passato. Suo padre aveva studiato con lui a Oxford e i due erano legati da un'amicizia profonda che aveva resistito agli anni e alla lontananza. Subito dopo la laurea, infatti, Armand era diventato il principe regnante di quel piccolo, incantevole, ricco stato del Mediterraneo e suo padre aveva intrapreso una brillante carriera diplomatica che lo aveva portato in giro per il mondo. Reeve, sebbene fosse cresciuto nell'ambiente delle ambasciate, non aveva seguito l'esempio del padre e, dopo l'università, era entrato nei Servizi di Sicurezza del suo paese. Pochi mesi prima, però, dopo dieci anni di carriera, si era ritirato. Aveva scoperto di essere stanco di quella vita e adesso desiderava solo starsene in pace. Essendo nato in una famiglia molto ricca, non aveva necessità di guadagnarsi da vivere e si era ritirato in una grossa tenuta agricola, dove finalmente viveva come aveva sempre sognato: da gentiluomo di campagna. Alexander e Bennet si avvicinarono di corsa al padre per chiedere notizie dettagliate di Brie. «Ha ripreso conoscenza. Ho potuto scambiare qualche parola con lei.» «Possiamo vederla?» «La vedrete domani. È molto provata.» Alexander si fece avanti. «Ha detto chi...» «Ne parleremo più tardi» tagliò corto il principe, interrompendo il figlio. «Forse, più tardi, Brie avrà voglia di vedere qualche faccia familiare...» azzardò Bennet. Qualche faccia familiare... Il principe abbassò gli occhi. Nessuna delle loro facce sarebbe stata familiare, per lei. Avrebbe dovuto spiegare ai figli che Brie non li avrebbe riconosciuti, che non ricordava nemmeno chi era, ma non poteva farlo ora, davanti a tutta quella gente. Prima di essere un padre, era un capo di stato. Doveva essere prudente. 13


«La vedrete domani» ripeté con un tono che non ammetteva repliche. «Ora potete andare. Devo parlare con McGee.» «Sta molto male?» chiese Alexander, che non voleva arrendersi. Suo padre aveva un'aria... c'era qualcosa che non lo convinceva. «No. Sai bene che tua sorella è una ragazza forte. È solo molto stanca. Il dottore ha detto che non deve ricevere visite fino a domani.» Alexander annuì. Aveva mille domande da porgli, ma avrebbe dovuto aspettare di avere un colloquio privato con il padre per sapere ciò che gli premeva. Il principe si rivolse a Reeve. «Vieni. Andiamo nell'ufficio del dottore.» Reeve lo seguì. Appena ebbero richiuso la porta, Sua Altezza si accese una sigaretta e ne aspirò il fumo, lentamente. «Ti sono grato di essere venuto subito» gli disse. «L'ho apprezzato molto.» «Non deve ringraziarmi, Altezza. Non ho ancora fatto nulla.» «Ti prego, chiamami Armand, in privato.» Per la prima volta, da quando era iniziata quella brutta avventura, il principe si concesse un attimo di debolezza. Si passò una mano sulla fronte con un gesto stanco, sospirò e si lasciò andare su una poltrona. Reeve pensò che adesso aveva davanti solo un padre esausto, preoccupato, che cercava di mantenere disperatamente il controllo dei nervi. «Mi dica tutto, Armand. Che cosa c'è?» «Brie ha perso la memoria. Non ricorda niente.» «Non ricorda chi l'ha rapita?» «Non ricorda nulla di nulla. Nemmeno il suo nome.» Reeve registrò mentalmente la gravità della cosa. «Un'amnesia temporanea è comprensibile, soprattutto in seguito a uno shock di queste proporzioni» azzardò. «Che cosa ha detto il dottore?» «Non abbiamo ancora avuto modo di parlarne. Reeve, la mia situazione è molto delicata. E lo è quella dei miei figli. Nella nostra posizione, tutto è subordinato all'interesse del paese.» Reeve si limitò ad annuire. «Naturalmente, i miei figli hanno sempre avuto le loro guardie del corpo. Sono sempre stati sotto sorveglianza. Ma, come abbiamo constatato, tutte queste precauzioni si sono rivelate ina14


deguate. Brie è stata sempre insofferente. È molto gelosa della sua privacy ed è una ragazza testarda. Forse l'ho viziata troppo... Il nostro è sempre stato un piccolo principato tranquillo. I nostri sudditi ci amano. Se mia figlia, ogni tanto, eludeva la sorveglianza, fino a ora non era mai accaduto nulla di grave.» «Ma ora è successo che...» «Lei ogni tanto aveva l'abitudine di prendere la sua auto e di andare a fare un giro da sola. È così giovane, così oberata di impegni e di responsabilità, per la sua età... Era l'unica libertà che si prendeva e che io le concedevo volentieri, in fondo.» «Quando è stata rapita?» «Una settimana fa.» «Finché non avrete scoperto chi è stato, dovrà sottostare a una sorveglianza strettissima. Potrebbero riprovarci...» «So che sei un esperto. Ti sei occupato di terrorismo, tra l'altro, se non sbaglio...» «Sì, ma ormai mi sono ritirato. E, del resto, ho sempre lavorato nel mio paese. Qui non avrei le credenziali necessarie. Però potrei darle alcuni nomi sicuri, fornirle una guardia del corpo assolutamente di prim'ordine.» «Io ho bisogno di un uomo di cui possa fidarmi ciecamente, Reeve, per affidargli la vita di mia figlia. Un uomo che sia capace di gestire con classe una situazione che potrebbe diventare esplosiva. Ho seguito la tua carriera. Mi hanno parlato molto bene di te, a Washington. Ti considerano il numero uno.» Reeve era imbarazzato. Non gli andava di rimettersi in ballo. E poi era coinvolto in modo troppo personale, in quella faccenda. «Lei sa che ho lasciato i Servizi. Sono solo un proprietario terriero, adesso.» «Lo so. Non voglio farti delle pressioni, Reeve, ma ho bisogno di qualcuno di cui fidarmi al cento per cento. Pensaci, intanto. Ne riparleremo domani. Vorrei che parlassi con Gabriella, prima di decidere.» Si alzò. «Ti faccio accompagnare a palazzo con la mia automobile. Io, purtroppo, devo fermarmi qui ancora un po'.» Il mattino seguente, un sole smagliante inondava la camera di Gabriella. La ragazza non si era ancora svegliata. Reeve la osservò in cerimonioso silenzio. 15


Ricordò quando l'aveva conosciuta, circa dieci anni prima. Era la festa del suo sedicesimo compleanno. Lui aveva già vent'anni, allora, ma quella ragazzina lo aveva colpito. Ricordava ancora come era vestita, il suo profumo, la delicatezza serica della sua pelle chiara, il contrasto dei capelli biondo scuro su quel viso delicato, quella massa di capelli in cui avrebbe voluto affondare le dita. E quella bocca piena, sensuale, dal disegno perfetto. E gli occhi. Color topazio, orlati di ciglia scure... Ora quel visino di sedicenne era diventato il viso di una donna. Attraente. Anzi, molto attraente. Di una bella principessa che una settimana prima era stata rapita, che poche ore prima era stata ritrovata priva di conoscenza sulla strada che costeggiava il mare, e che non ricordava più nulla, nemmeno il suo nome. Brie aprì gli occhi. Qualunque cosa fosse successa alla ragazza in quegli anni, in quegli ultimi giorni, i suoi occhi erano rimasti gli stessi. Due topazi profondi, straordinariamente lucenti. «Chi... chi è lei?» «Reeve McGee, un amico di suo padre.» Brie lo fissò. «Ah, il principe...» Si era sforzata di ricordare qualcosa, la sera prima, di ripescare qualche frammento nella sua memoria, ma non aveva ottenuto nulla. «Lei mi conosce?» «Ci siamo conosciuti anni fa, Altezza.» Quegli occhi, che anni prima lo avevano incantato e che di nuovo lo stavano seducendo, lo scrutarono con avidità. «Era il giorno del suo sedicesimo compleanno, Altezza, e lei era vestita di rosa» continuò, sperando di aiutarla a riacquistare qualche brandello di memoria. «Lei è americano?» chiese invece lei, inaspettatamente. «S... sì. Come lo sa?» «Il suo accento...» Un'ombra le passò negli occhi. «No, non ricordo.» Alcune lacrime le spuntarono sulle ciglia, ma furono subito ricacciate indietro. «Lei... lei può immaginare come mi senta? Che sensazione sia per me svegliarmi sul nulla, sul vuoto totale? Che cosa è successo? Perché mi sento come una pagina bianca?» «Altezza...» «Deve proprio chiamarmi così?» Reeve represse un sorriso. Come dieci anni fa... «Come vuole che la chiami?» 16


«Con il mio nome. Se non sbaglio, dovrebbe essere Gabriella.» «Lo è. Ma la chiamano Brie.» Lei fece una smorfia. «Pazienza. Non è un problema. Mi vuole dire che cosa mi è successo?» «Be', non conosciamo ancora tutti i particolari...» «Ma che cosa vuole che mi importi dei particolari? Crede che in una situazione come la mia possano interessare molto i dettagli?» Che caratterino!, pensò Reeve, divertito. «Lei è stata rapita una settimana fa.» Brie chiuse per un attimo gli occhi. Frammenti, ombre. Una piccola stanza buia... odore di muffa... nausea, mal di testa. E la paura. «Io... ricordo vagamente. È tutto confuso. Come un film che non riesco a mandare avanti.» «Non cerchi di sforzarsi. Verrà da sé.» «Per lei è facile dirlo! Qualcosa mi ha cancellato la memoria, mi ha rubato i ricordi!» Lo fissò. «E lei, che posto occupa nella mia vita? Siamo forse innamorati?» gli chiese candidamente. Reeve alzò un sopracciglio. La principessa non girava certo intorno alle cose! E non sembrava neppure molto spaventata da quella prospettiva... «No» rispose, sempre più divertito. «Ci siamo visti solo quella volta, alla festa per i suoi sedici anni. Mio padre e il suo sono vecchi amici. Non credo che avrebbero apprezzato molto, se allora l'avessi sedotta...» «Lo credo bene! E allora, perché si trova nella mia camera?» Ma senti che tono! «Perché me lo ha chiesto suo padre. Ha a che fare con la sua sicurezza.» Lei guardò l'anello che portava al dito. Bello..., pensò per un attimo. Ma perché aveva tutte le unghie rovinate? Spezzate? Una vaga sensazione svanì subito come un'ombra. No, non ricordava come se le era ridotte così. «La mia sicurezza?» «Io ho una certa esperienza in proposito, così suo padre mi ha chiesto di occuparmi di lei.» «Una guardia del corpo? Be', non credo che mi piaccia averne una.» Ma guarda che tipo! Ho fatto miglia e miglia per venire qui e lei mi liquida come se niente fosse... 17


«Principessa» le disse, «lei si renderà certo conto che, nella sua posizione, si è spesso costretti ad accettare situazioni che non piacciono del tutto...» «Io so solo che non sopporto che qualcuno mi stia alle costole tutto il santo giorno. Quando tornerò a casa...» Ma com'era la sua casa? Dove? «Quando tornerò a casa» ripeté, cercando di vincere quell'improvviso senso di disagio, «cercherò una soluzione al problema. Intanto, dica pure a mio padre che declino la sua gentile offerta.» «Non è una mia offerta, ma una richiesta di suo padre» rispose lui, secco. Brie si accorse in quel momento di quanto lui fosse alto, robusto, solido. E quanta classe possedesse. Ebbe la sensazione che fosse meglio non averlo contro: c'era qualcosa di deciso, di implacabile, di duro, in lui. Si sentì improvvisamente a disagio. Non sapeva bene perché, ma quell'uomo la turbava, le faceva uno strano effetto. Pensò che la sua vita era già abbastanza complicata in quel momento, anche senza Reeve McGee... «Io ho già venticinque anni, a quanto mi dicono, signor McGee...» «Deve proprio chiamarmi così?» la interruppe lui prontamente. L'ombra di un sorriso balenò sulle labbra di lei. «Il che vuol dire» continuò, ignorandolo, «che sono abbastanza grande per prendere da sola le mie decisioni.» «Però, dal momento che lei è un membro della famiglia reale, Altezza, alcune libertà non le sono concesse» rispose lui, deciso. Andò alla porta e l'aprì. «Ho cose più importanti da fare, Gabriella, che fare da babysitter a lei, anche se è una principessa. Ma, purtroppo, a volte persino noi miseri mortali non possiamo fare solo quello che vogliamo.» Appena fu uscito, lei strinse i pugni. Ma chi si crede di essere? Cercò di tirarsi su a sedere. La testa le girava, ma non sopportava più di starsene lì sdraiata. C'era qualcosa che doveva assolutamente fare. Lentamente, aspettò che quel senso di vertigine le passasse. Poi si alzò con cautela. C'era uno specchio attaccato a una delle pareti, e l'attirava come una calamita. Finalmente si vide. Non riconobbe quel viso, però, per fortuna, non era brutto. E quegli occhi avevano sì un colore strano, 18


ma almeno non erano storti o troppo piccoli... Il viso era magro, però, troppo pallido, e aveva un'espressione tesa, spaventata. Non somigliava a quello del principe... evidentemente, aveva preso dalla madre. Chi sei?, chiese mentalmente a quella sconosciuta che lo specchio le rimandava. Che tipo di persona sei, tu? Sei simpatica? Sei intelligente? Che carattere hai? E in quel momento, finalmente, si concesse di scoppiare a piangere.

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