Louise Allen
Scandali segreti
Titoli originali delle edizioni in lingua inglese: The Disgraceful Mr Ravenhurst The Notorious Mr Hurst The Piratical Miss Ravenhurst Harlequin Mills & Boon Historical Romance © 2009 Melanie Hilton © 2009 Melanie Hilton © 2009 Melanie Hilton Traduzioni di Silvia Zucca Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved. © 2010 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony History aprile 2010 maggio 2010 giugno 2010 Seconda edizione Harmony Special Saga dicembre 2013 HARMONY SPECIAL SAGA ISSN 1825 - 5248 Periodico bimestrale n. 80 dell'11/12/2013 Direttore responsabile: Stefano Blaco Registrazione Tribunale di Milano n. 332 del 02/05/2005 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Trentacoste, 7 - 20134 Milano Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano
Sommario
Pagina 7
Segreti di famiglia
Pagina 203
Scandalo a teatro
Pagina 409
Una lady tra i pirati
Segreti di famiglia
1 Vézelay, Borgogna, agosto 1816 La figura femminile danzava nuda in un sensuale abbandono senza tempo, godendo della propria spudorata provocazione sessuale. Sul volto dello sventurato che la guardava era dipinta un'espressione di lussuria e disperazione, mentre si sporgeva per afferrarla. Era difficile scorgere i dettagli nella penombra e allungare il collo non la aiutava, ma la scena era inequivocabile. «Cielo! Gli uomini!» Esasperata, Elinor fece un passo indietro, stringendo in una mano il parasole e nell'altra il blocco da disegno, mentre valutava che anche i gomiti e le punte degli stivaletti potevano diventare una valida arma contro un'aggressione. «Oh!» Involontariamente aveva urtato qualcosa. Qualcosa di solido, grande e... maschile. «Vi chiedo perdono» disse l'uomo. «E perché mai?» gli domandò, troppo agitata per adottare le usuali buone maniere. «Sono stata io a urtarvi, sir, e spetta a me chiedervi scusa.» L'uomo, di considerevole altezza, raddrizzò la schiena e proprio in quel momento un raggio di sole penetrò dalla finestra illuminandogli i capelli d'un rosso scuro, che rendevano ordinarie le ciocche fulve di Elinor. «Stavate esprimendo la vostra disapprovazione verso il comportamento maschile. Io mi volevo scusare per qualsiasi peccato i miei fratelli possano aver commesso ai vostri occhi.» Il suo tono era remissivo, ma lei non si lasciò ingannare: 9
dalla sua voce traspariva una certa forza e un'indubbia nota divertita. Elinor scosse il capo per scacciare qualsiasi idiozia la sua mente fosse sul punto di elaborare e fece un passo di lato per osservarlo meglio. Le stava sorridendo e la piega delle sue labbra trasformava un volto dai tratti forti e non particolarmente raffinati in qualcosa di piuttosto attraente tanto che riuscì a incantarla e a strapparle un sorriso in risposta. Lei non era – ricordò a se stessa con severità – il tipo da sorridere agli sconosciuti. Di certo aveva reagito così perché le era parso di udire qualcosa, ma senza dubbio si trattava dell'eco che risuonava in quell'ambiente cavernoso. «Mi stavo riferendo a questo.» Depositò il blocco da disegno sul banco, ma continuò a tenere stretto il parasole, sia per indicare il capitello, sia perché poteva rivelarsi utile come arma. Sua madre, infatti, era solita ammonirla che tutti gli uomini erano bestie. Perciò era bene non correre rischi con gli sconosciuti, anche se all'apparenza sembravano dei distinti gentiluomini inglesi. Indicò la sommità della colonna finemente scolpita, numero 6B, sui suoi appunti. «È romanica, ciò vuol dire che...» «Che è stata scolpita tra il 1120 e il 1150 e che è uno degli elementi che fanno della Basilica di Vézelay un magnifico esempio dell'arte religiosa del periodo» finì lui con la competenza dello studioso d'arte. «Oh, certo, avrei dovuto capirlo. Se siete in visita alla basilica, vuol dire che dovete apprezzare l'architettura» si scusò guardandosi poi attorno. «Siete un uomo di chiesa?» «Vi sembro un uomo di chiesa?» Lo sconosciuto parve risentito di quell'ipotesi. «Ehm... no.» Anche se, senza dubbio, una figura atletica come quella dello sconosciuto sarebbe stata magnificamente su di un pulpito. «Grazie al cielo.» Notò che non le offriva alcuna spiegazione alternativa sulla sua identità. «Così...» Sollevò lo sguardo e accennò 10
con la testa in direzione del capitello. «Che cosa c'è esattamente in quella scena che suscita la vostra ira?» «Mostra, come al solito, un uomo che soccombe ai suoi più bassi istinti e che non essendo in grado di mantenere il controllo di sé incolpa della sua debolezza morale una donna.» «Mi complimento per la vostra vista, se riuscite a dedurre tutto ciò in questa luce.» «È una settimana che studio questi capitelli. Ci si fa l'occhio.» Elinor si guardò attorno nella navata, ingombra di mattoni caduti a terra, banchi rotti e immondizia. «Ho dovuto girarci attorno tre volte per trovare la luce giusta. Non so però per quanto ancora sarà possibile: a meno che qualcosa non sia fatto subito, temo che queste opere possano sgretolarsi o danneggiarsi in modo irreparabile. Vedete i buchi nel tetto? Le sculture sono esposte agli elementi.» «Siete una studiosa quindi?» Lui aveva alzato lo sguardo per fissare le figure scolpite, colte nell'istante eterno della tentazione e della caduta. «Mia madre è la studiosa, io sto semplicemente prendendo appunti per lei. È un'autorità riguardo all'arte delle prime chiese in Francia e in Inghilterra.» «Davvero?» L'uomo spostò la sua attenzione dal capitello a lei e un sorriso gli illuminò gli occhi. Erano verdi, notò Elinor. Un verde insolito, molto chiaro, come l'acqua nei ruscelli. Non il comune castano che vedeva lei ogni volta che si guardava allo specchio. «Vorrei proprio conoscerla, vostra madre. Posso venire a farvi visita?» «Siete anche voi uno studioso?» Elinor iniziò a raccogliere le proprie cose, matite, gessetti e fogli. «Se volete potete accompagnarmi da lei ora.» «Diciamo che ho un certo interesse per le antichità.» Lui l'aiutò portando il cavalletto. Ci fu invece una piccola contesa per quanto riguardava il seggiolino, che vinse lui, e per il parasole, che tenne Elinor. «Risiedete a Vézelay?» 11
«Sì, sono ormai sette giorni che siamo qui. Stiamo compiendo un viaggio per la Francia, in visita alle cattedrali più belle. Mamma dice che ci tratterremo a Vézelay per diverse settimane. Merci, monsieur.» Sorrise e fece un cenno di saluto al sagrestano che puliva il portico con una scopa. «Farebbe meglio a far aggiustare il tetto invece di limitarsi a spazzare.» Attraversò lo spazio prospiciente la basilica. «I nostri alloggi sono da quella parte.» C'era qualcosa di vagamente familiare in lui, anche se non avrebbe saputo spiegare con precisione cosa. Di certo le rendeva facile parlargli. Di norma Miss Ravenhurst si sarebbe limitata a chinare educatamente il capo e a mormorare un saluto di fronte a un uomo che non le era stato presentato. Non le sarebbe mai venuto in mente di invitarlo a seguirla fino ai suoi alloggi per incontrare la madre. Forse dipendeva dai suoi capelli rossi, ora nascosti da un cappello. Essendo lei stessa una Ravenhurst dai capelli rossi, vedeva ogni giorno una versione meno spettacolare di quel colore quando si guardava allo specchio. Era un difetto, per una signora, avere le chiome di quel colore e sarebbero state più accettabili se fossero state d'un rosso cupo tendente al mogano, come quelli di lui. Notò con una certa invidia che gli erano state risparmiate anche le lentiggini, ma in effetti non aveva la pelle chiara come la sua. «Eccoci.» Avevano in effetti impiegato solo pochi minuti lungo la ripida strada principale. La porta era accostata e lei l'aprì. «Mamma? Sei in casa? Abbiamo visite.» «Sono qui, Elinor.» Lei seguì la voce di sua madre fino al salotto. Lady Louisa Ravenhurst balzò in piedi da dietro un tavolo ricoperto di carte e libri. «Mamma, questo signore è uno studioso di antichità e voleva incontrarti...» «Theophilus!» Lady Louisa sollevò il suo monocolo e lo fissò alquanto allibita. Anche Elinor si voltò a fissarlo. «Il cugino Theo?» Lo scandaloso cugino Theo? Lì? «Sono anni che non vi vedevamo.» 12
«Da quando avevo dodici anni, quindici anni fa» convenne lui. «Tu allora dovevi averne sette. Mi stavo domandando se eri proprio la cugina Elinor.» «A causa dei capelli, suppongo» disse, rassegnata al fatto che fossero il suo tratto più memorabile. «Avevo dieci anni» lo corresse. Era stato gentile a fingere di credere che avesse solo ventidue anni, e che non fosse una zitella quasi ventiseienne. «Che cosa ci fai qui, Theophilus? Avevo sentito dire da tua madre che avevi intrapreso un Grand Tour.» Lady Louisa gli indicò una sedia. «Accomodati.» «Converrete con me, zia Louisa, che sono un po' vecchio per intraprendere un tour sotto la guida di un vecchio precettore.» Elinor lo squadrò da capo a piedi mentre accavallava le gambe: se avesse dovuto immaginare un pericoloso libertino – espressione usata in famiglia per definire suo cugino – non avrebbe avuto il suo aspetto. «Mia madre usa la parola tour come una parola in codice che significa spedito all'estero dopo essere caduto in disgrazia. Mi guadagno da vivere evitando i turisti inglesi e, generalmente, cercando di non far giungere nessuna delle mie imprese alle orecchie del mio santo papà.» «Tuo padre non è un santo, anche se è diventato vescovo» lo rimproverò la zia. «Ma di certo hai messo a dura prova la sua pazienza, Theophilus. E dov'eri finito l'anno scorso, quando quell'odioso Corso è tornato dal suo esilio?» «Oh, ero qui in Francia. Sono diventato un mercante svedese fin quando c'è stato pericolo. In ogni caso i miei affari non ne hanno risentito.» Elinor era dibattuta tra due emozioni contrastanti. Era contenta di aver rincontrato suo cugino. I Ravenhurst erano una grande famiglia ed erano molto uniti. Ma da qualche parte dentro di lei quella gioia era turbata da un insolito nodo allo stomaco. «Perché aggrotti tanto la fronte, Elinor?» le domandò sua madre. «Ti verranno le rughe.» 13
«Ho un po' di mal di testa, mamma.» Aveva incontrato un uomo intelligente e attraente – Theo lo era di certo, anche se non lo si poteva definire bello nel senso classico del termine – e ora scopriva che non era un estraneo ma un parente. Perciò perché doveva sentirsi così strana? Così... delusa... se non per il fatto che, ancora una volta, sarebbe stata trattata come l'assistente della sua stravagante ed emancipata madre? Fino a un'ora prima avrebbe voluto incontrare un uomo tanto quanto poteva desiderare di tornare a Londra per starsene seduta in un angolo durante un'altra interminabile e straziante Stagione. «Hai parlato di affari, Theophilus?» La mamma, come sempre, predicava bene e razzolava male; infatti stava aggrottando la fronte proprio come aveva appena detto a lei di non fare. «Non ti sarai dato al commercio, voglio sperare!» «Si deve pur campare, zia!» Le sorrise ed Elinor notò che anche le labbra di sua madre erano indotte a rispondergli. L'aveva incantata. «I miei genitori pensano che all'età di ventisette anni debba guadagnarmi il pane e mi hanno tagliato i fondi.» «Ma il commercio! Ci sono molte altre professioni rispettabili per il nipote del Duca di Allington.» «Molto gentilmente, mio padre mi ha informato che potrò accedere alla carriera ecclesiastica solo passando sul suo cadavere. Ed è sua opinione che io sia un pendaglio da forca, perciò inadatto a intraprendere qualsiasi professione legale. Infine io stesso ho scarsa predisposizione a uccidere la gente, a meno che non sia assolutamente necessario, il che mi impedisce d'arruolarmi.» «Ma la politica? Il governo?» gli suggerì Elinor. «Sono anche allergico alle falsità e agli imbrogli.» Lady Louisa ignorò quell'ultima battuta. «Che tipo di commercio?» «Arte e antichità. Ho scoperto di avere un buon occhio. Ovviamente prediligo cose piccole, che si possono trasportare.» «Perché ovviamente?» chiese Elinor. «È più facile far passare un girocollo di smeraldi o un piccolo re14
liquiario a un blocco di dogana, piuttosto che una tela di sei piedi o una statua.» «Sei coinvolto in traffici illeciti?» domandò sua zia, diretta. «Nei periodi successivi a una guerra, c'è sempre un certo viavai di quelli che vengono descritti come oggetti d'arte, anche se molti non hanno il diritto di fregiarsi di questo titolo. Naturalmente, basta che brillino e il governo ufficiale li reclama come propri.» Theo si strinse nelle spalle. «Io preferisco venderli per conto mio o fungere da agente per un collezionista.» «E ci guadagni molto?» chiese Elinor ignorando l'occhiataccia di sua madre: le signore non dovevano parlare di denaro, specie se questo proveniva dal contrabbando o dal commercio. «Così pare.» «E cosa ci fai qui?» gli chiese Lady Louisa. «Frughi tra le rovine?» Theo sussultò per quell'insinuazione, ma il suo tono rimase amichevole quando replicò: «Credo che ci sia un oggetto prezioso di un certo interesse nei dintorni. Sto indagando». C'era qualcosa di più sotto, Elinor lo intuì all'istante notando che il sorriso aveva abbandonato i suoi occhi e una nota tesa era comparsa nella sua voce. Di colpo la sua curiosità era stata destata. «Dove risiedi, Theo?» domandò prima che sua madre potesse chiedergli ulteriori dettagli riguardo alla sua ricerca. Più di quanti lui fosse disposto a rivelare. «Ho un alloggio giù a St. Père.» Era da un po' che Elinor desiderava visitare il villaggio ai piedi della collina di Vézelay. Le sarebbe piaciuto camminare lungo il fiume, ma la madre aveva liquidato la chiesetta del villaggio come poco importante per i suoi studi, preferendole la basilica sulla collina. «Sopra la bottega del sarto c'erano delle camere disponibili. E nel villaggio c'è anche una taverna dove si può gustare un ottimo pasto.» Adesso sta spiegando un po' troppo, si rese conto Elinor. Per15
ché mai riuscisse a capire che quelle parole – e il suo tono – nascondevano dell'altro rimaneva un mistero per lei. Forse era legato al fatto che erano cugini. Si scoprì a osservarlo con attenzione, ma si deconcentrò quando lui, cogliendola in fallo, le fece l'occhiolino. «Ebbene, dato che sei qui, Theophilus, potresti renderti utile. Elinor ha molto da fare per conto mio e potresti fornirle un po' di assistenza.» «Ma mamma... Theo avrà i suoi affari a cui badare. Io posso farcela da sola senza disturbarlo.» Suo cugino la guardò pensieroso per un lungo momento e alla fine sorrise. «Sarebbe un piacere per me. In cosa posso esservi utile?» «Potresti accompagnarla a St. Père a fare qualche schizzo della chiesa. Domattina riguarderò i primi disegni dei capitelli, Elinor, e ti dirò se avrò bisogno di un lavoro più dettagliato. Dubito che St. Père si rivelerà molto interessante, ma vale la pena di perderci una giornata.» «Sì, mamma.» Theo fissò Elinor stupito. Dov'era finita la ragazza sicura di sé che aveva incontrato nella basilica? Era come se la presenza di sua madre le succhiasse ogni vitalità. Seduta lì, con le mani giunte in grembo, un abito grigio che sembrava fatto apposta per toglierle ogni colore dal volto e nascondere qualsiasi forma il suo corpo possedesse, sembrava l'immagine perfetta di una zitella. Aveva cercato di lusingarla, quando aveva finto di non ricordare la sua età, ma Elinor dimostrava in pieno i suoi anni. Considerò il fatto di doverla scortare a St. Père. Non ci sarebbe stato alcun problema. Era presto perché il suo cliente iniziasse a spazientirsi riguardo a ciò che gli aveva promesso e, per come la vedeva lui, mostrarsi in giro come scorta della cugina gli avrebbe offerto una buonissima copertura. «A che ora desideri che passi a prendere te e la tua cameriera?» 16
«Cameriera? Non ce n'è alcun bisogno» ribatté sua zia. «Siamo in piena campagna francese e voi due siete cugini. Perché mai Elinor dovrebbe aver bisogno di uno chaperon?» Theo notò che le labbra di Elinor si stringevano impercettibilmente. Evidentemente la cugina era sensibile all'assunto che stava al di sotto di quella frase, e cioè che non era abbastanza attraente per attirare attenzioni sgradite. «Ti raggiungerò giù dalla collina a qualsiasi ora t'aggradi» gli rispose. «Non c'è motivo per cui tu debba arrampicarti fin qui.» Probabilmente era vero. Sembrava il tipo da orientarsi bene e, dopotutto, quello era un posto rispettabile. Ma sentì l'impulso di trattarla con più riguardo di quello che lei stessa si aspettava di ricevere. «Verrò a prenderti alle dieci, se non è troppo presto. E se il tempo sarà bello potremmo mangiare fuori dalla locanda. La sala interna non è adatta a una signora.» «Grazie.» Il sorriso le illuminò il volto, e Theo si scoprì a ricambiarla con pari entusiasmo. Le lentiggini che le danzavano sul naso erano davvero carine. Se solo si fosse acconciata i capelli in modo meno severo... «Non ti dispiacerà se passerò tutta la giornata fuori, mamma?» «Non avrò bisogno di te» rispose Lady Louisa, confermando l'opinione di Theo secondo cui sua zia trattava la figlia come un'impiegata. Gli altri figli di Lady Louisa, Simon e Anne, erano scampati alle eccentricità della gentildonna contraendo dei buoni matrimoni. Elinor era destinata, a quanto pareva, a diventare la tipica figlia non maritata, che trascorre la propria vecchiaia accanto alla madre. Eppure, nonostante quell'aspetto da zitella, pensò che gli faceva piacere essersi imbattuto in lei. Qualche volta si sentiva solo – specie quando nessuno cercava di ucciderlo, di derubarlo o di raggirarlo – e qualche contatto con i suoi congiunti era pur sempre piacevole. «Cosa mi dite della mia famiglia? Ci sono novità?» «Suppongo tu abbia già sentito di Sebastian e della sua grandu17
chessa.» Lui annuì. Era a Venezia, a quell'epoca, a negoziare l'acquisto di una collana di diamanti, ma anche lì gli era giunto il pettegolezzo riguardante il matrimonio di suo cugino, Lord Sebastian Ravenhurst, con la Granduchessa di Maubourg. Li aveva anche visti insieme, durante una delle sue rare visite a Londra, quando il loro burrascoso corteggiamento era ancora segreto. «E Belinda ha sposato Lord Dereham.» Ora, perché mai le labbra di Elinor si contraevano nell'udire nominare quella coppia? «Sì, lo sapevo. Ho incontrato Gareth e sua moglie a Parigi.» «I tuoi cugini si sono sistemati molto bene» sentenziò sua zia. «Dovresti seguire il loro esempio.» «Se troverò una gentildonna disponibile a condividere il mio modo di vivere, allora sarò felice di seguire il vostro consiglio.» «Davvero? Mi domando se le signore disponibili non siano state tra le ragioni per cui i tuoi genitori disapprovavano il tuo stile di vita» mormorò Elinor con incredibile franchezza. Aveva senso dell'umorismo quella sua strana cugina! «Certamente disapproverebbero se volessi sposare una di quelle! Forse avrai una buona influenza su di me» disse lui. «Dopo aver sentito la tua opinione sulla decadenza morale del maschio, sono certo che potresti guidarmi.» Per fortuna sua zia era troppo occupata a scuotere la campanella per chiamare la cameriera per notare quello scambio di battute. Theo rifiutò il tè che gli veniva offerto, anche se gli fu assicurato che veniva dall'Inghilterra, e prese congedo. «A domani, cugina.» Sorrise agli schizzi e ai tomi che giacevano impilati all'ingresso. Sì, sarebbe stato un piacevole passatempo, finché non fosse scoppiato il finimondo.
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Giochi del destino di Elaine Coffman Scozia, 1740-1746. In una Scozia segnata da continue guerre e faide, si intrecciano le vicende di due potenti clan scozzesi, i cui membri sono costretti a difendere le proprie terre dai nemici, e il cuore dalle insidie del destino. James, Conte di Monleigh e laird del clan Graham, è costretto a ospitare nel suo castello una bellissima fanciulla che è stata trovata priva di sensi su una spiaggia e, benché il suo atteggiamento gli ispiri un'istintiva diffidenza, non sa opporsi all'attrazione irresistibile che la misteriosa sconosciuta esercita su di lui. Per suo fratello Fraser e la focosa Claire Lennox è stato amore a prima vista e quel sentimento è sopravvissuto a prove terribili e dolorose, ma qualcuno trama per distruggere la loro speranza di essere felici insieme. E un anno dopo, è la sorella di Claire, Kenna, a dover impugnare la spada per difendere la propria vita e quella dell'affascinante capitano che ha saputo risvegliare in lei la passione. Dimostrando ancora una volta che nel nome dell'amore si può vincere qualunque battaglia.
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