D2005_IL DESIDERIO PROIBITO DEL PRINCIPE

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MICHELLE CELMER

Il desiderio proibito del principe


Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Princess in the Making Harlequin Desire © 2012 Michelle Celmer Traduzione di Lara Zandanel Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved. © 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Destiny aprile 2013 Questo volume è stato stampato nel marzo 2013 presso la Rotolito Lombarda - Milano HARMONY DESTINY ISSN 1122 - 5470 Periodico settimanale n. 2005 del 16/04/2013 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 413 del 31/08/1983 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano


1 Vista dall'alto la costa di Varieo, con l'oceano di un blu cristallino e le spiagge di sabbia bianca, sembrava proprio il paradiso. A soli ventiquattro anni Vanessa Reynolds aveva vissuto in così tante città, sparse per i cinque continenti, che ormai aveva perso il conto dei traslochi e delle persone a cui aveva dovuto dire addio – un classico per la figlia di un militare – e sperava che quel piccolo principato affacciato sul Mediterraneo potesse diventare la sua casa definitiva. «Ci siamo, Mia» sussurrò alla figlioletta di sei mesi che, dopo aver passato la maggior parte del viaggio di tredici ore alternando momenti di sonno agitato a grida disperate, aveva ceduto alla stanchezza e ora dormiva tranquilla nel seggiolino. L'aereo stava per raggiungere la pista di atterraggio privata dove sarebbero state accolte da Gabriel. Il ragazzo di Vanessa, anche se sembrava fuori luogo definirlo in quel modo, considerato che aveva cinquantasei anni. Non era nemmeno il suo fidanzato. Almeno non ancora. Quando le aveva chiesto di sposarlo, lei non aveva detto di sì, ma non aveva nemmeno risposto no. Era quello il motivo della sua visita, determinare se voleva veramente sposare un uomo che non solo aveva trentadue anni più di lei e viveva dall'altra parte del mondo, ma oltretutto era re. Guardò fuori dal finestrino e più gli edifici si avvicina5


vano, più sentiva crescere l'ansia dentro di sé. Vanessa, in che guaio ti sei cacciata questa volta? Era quello che probabilmente le avrebbe chiesto suo padre se lei avesse avuto il fegato di raccontargli la verità. Le avrebbe detto che stava commettendo un altro errore colossale. E, okay, forse non era stata esattamente fortunata con gli uomini da... be', probabilmente da sempre. Ma non poteva continuare così, giusto? La ruota gira per tutti, eccetera eccetera. Anche la sua migliore amica Jessy aveva messo in dubbio la sua decisione. «Ora ti piace, ma se una volta arrivata lui si rivelasse un vero tiranno?» «In quel caso tornerei a casa.» «E se ti tenesse in ostaggio? Se ti obbligasse a sposarlo contro la tua volontà? Ho sentito delle storie orribili. Trattano le donne come cittadine di serie B.» «Queste cose accadono in villaggi sperduti dall'altra parte del Mediterraneo, non in un regno in mezzo all'Europa.» Jessy si accigliò. «Non mi importa, la faccenda continua a non piacermi.» Non che Vanessa non fosse consapevole di correre un rischio. In passato situazioni come quella le si erano ritorte contro, ma Gabriel era un vero gentiluomo. Teneva davvero a lei. Non le avrebbe mai rubato l'auto, lasciandola a piedi nel bel mezzo del deserto dell'Arizona. Non le avrebbe intestato una carta di credito per poi prosciugarle il conto. Non avrebbe finto che lei gli piacesse solo per copiare i compiti di storia, per poi scaricarla per una cheerleader. E di certo non l'avrebbe messa incinta per poi scomparire, lasciandola sola con un bambino non ancora nato. Il jet privato incontrò una piccola turbolenza che svegliò Mia. La bambina sbatté le palpebre, il labbro inferiore iniziò a tremare, e lanciò un grido acuto che intensificò il mal di testa di Vanessa. «Shh, tesoro, è tutto okay» sussurrò dolcemente. «Siamo quasi arrivate.» 6


L'aereo toccò terra e il cuore le balzò in gola. Era nervosa, eccitata e sollevata, e provava almeno una decina di altre sensazioni che non riusciva a definire. Anche se si erano parlati via Skype praticamente ogni giorno da quando Gabriel aveva lasciato Los Angeles, non si trovavano faccia a faccia da più di un mese. E se, dopo aver dato un'occhiata al suo vestito stropicciato, al mascara sbavato e ai capelli spettinati l'avesse rimandata negli Stati Uniti? È ridicolo, cercò di rassicurarsi, mentre l'aeroplano raggiungeva il terminal privato della famiglia reale. Sapeva che la prima cosa che aveva attirato l'attenzione di Gabriel nell'elegante hotel di Los Angeles in cui lavorava come responsabile degli ospiti internazionali, era stato il suo aspetto fisico. La bellezza – e l'esperienza di vita all'estero – le erano valsi quella posizione di prestigio alla sua giovane età. Era stata un vantaggio ma, a volte, anche il suo tallone d'Achille. Ma, fortunatamente, Gabriel le aveva dimostrato che non badava solo all'aspetto. Erano diventati molto amici, confidenti. Lui la amava, o almeno così sosteneva, e lei lo considerava un uomo di parola. C'era solo un piccolo problema. Anche se provava un immenso rispetto per lui e gli voleva bene come amico, non poteva affermare con certezza di esserne innamorata – verità di cui Gabriel era ben consapevole. E quella era la ragione della sua visita. Il sovrano era sicuro che con il tempo Vanessa avrebbe iniziato ad amarlo. Era certo che avrebbero condiviso una vita lunga e felice. E la santità del matrimonio non era qualcosa che Gabriel prendeva alla leggera. Il suo primo matrimonio era durato trent'anni, e lui sosteneva che sarebbe continuato per almeno altri trenta se un cancro non si fosse portato via sua moglie otto mesi prima. Mia piagnucolò di nuovo, grosse lacrime le scivolavano sulle guance paffute. Appena l'aeroplano si fermò Vanessa accese il cellulare e mandò un breve messaggio a Jessy così, quando si sarebbe svegliata, avrebbe appurato che 7


erano atterrate sane e salve. Poi slacciò le cinture di sicurezza e prese in braccio la figlia. «Ci siamo, Mia. La nostra nuova vita inizia adesso.» Secondo suo padre, Vanessa aveva fatto degli errori di giudizio e delle cattive decisioni una forma d'arte, ma ora le cose erano diverse. Lei era diversa, e lo doveva a sua figlia. Affrontare da sola gli otto mesi della gravidanza era stata dura, e l'idea di una neonata completamente dipendente da lei per qualsiasi cosa l'aveva terrorizzata. C'erano stati momenti in cui non era stata sicura di farcela, ma nell'istante in cui aveva posato gli occhi su Mia, quando il medico gliel'aveva messa tra le braccia dopo ventisei ore di travaglio, aveva provato un amore incondizionato. Per la prima volta sentiva di avere uno scopo nella vita. Prendersi cura della figlia, darle una vita serena, era diventata la sua priorità. Desiderava che Mia crescesse in una famiglia stabile, con due genitori, e sposare Gabriel avrebbe assicurato a sua figlia privilegi e opportunità che andavano oltre qualsiasi sogno. Era una buona ragione per sposare un uomo che non l'attraeva molto fisicamente, giusto? Dopotutto, non erano più importanti il rispetto e l'amicizia? Vanessa guardò dal finestrino e vide una limousine parcheggiata a poche centinaia di metri dall'aereo. Doveva trattarsi di Gabriel, pensò con un misto di sollievo ed eccitazione. Era venuto ad accoglierla come aveva promesso. La hostess le si avvicinò e iniziò a raccogliere la borsa dei pannolini e il bagaglio a mano. «Miss Reynolds, posso aiutarla con i suoi bagagli?» «Sarebbe fantastico» replicò Vanessa, alzando la voce per superare gli strilli della bambina. Lasciò il sedile per la prima volta dopo molte ore e sentì le gambe rigide. Non era solita condurre una vita sedentaria. Il lavoro in hotel la obbligava a stare in piedi otto o dieci ore al giorno, e Mia non le permetteva di riposarsi durante il poco tempo che passavano insieme. Quando era fortunata riusciva a dor8


mire al massimo cinque ore durante la notte. Nelle serate no, invece, riusciva a malapena a chiudere gli occhi. Non era più uscita con nessuno dalla nascita di Mia. Non che non avesse ricevuto diversi inviti dai clienti dell'hotel, ma non voleva mischiare il lavoro con la vita privata. Certo era difficile dire di no a un sovrano, soprattutto se bello e affascinate come Gabriel. Ed eccola lì, solo pochi mesi dopo, pronta a iniziare una nuova vita. Forse. Vanessa si fermò sulla porta e guardò ancora una volta il sedile. «Oh, mi servirà il seggiolino per mia figlia.» «Ci penso io, signora» la rassicurò il pilota. Lo ringraziò e scese i gradini della scaletta, sollevata di essere a terra e apprezzando il calore del sole. L'assistente di volo le fece strada verso la limousine. Quando furono vicine, l'autista scese e aprì la portiera posteriore. Il cuore di Vanessa iniziò a battere all'impazzata. L'eccitazione scorreva nelle sue vene mentre una scarpa dall'aspetto costoso – probabilmente italiana – sfiorò il suolo e, mentre il proprietario faceva la sua comparsa dall'auto, lei trattenne il respiro... e poi si lasciò andare a un sospiro di delusione. Quell'uomo aveva lo stesso fisico longilineo, i lineamenti marcati e gli occhi profondi ed espressivi di Gabriel, ma non era Gabriel. Se anche non avesse impiegato diverse ore a fare ricerche sulla storia del paese, avrebbe compreso istintivamente che l'uomo esageratamente attraente che veniva verso di lei era il principe Marcus Salvadora, il figlio di Gabriel. Era proprio come nelle foto che aveva visto – profondamente intenso e decisamente troppo serio per i suoi ventotto anni. In pantaloni grigi e camicia bianca, che metteva in risalto la carnagione olivastra e gli scuri capelli mossi, sembrava più un modello da copertina di GQ che un futuro sovrano. Vanessa osservò di nuovo l'interno della limousine, sperando di veder comparire qualcun altro, ma l'auto era vuota. 9


Lacrime di stanchezza e frustrazione le bruciavano negli occhi. Aveva bisogno di Gabriel. Solo con lui a fianco riusciva a credere che sarebbe andato tutto per il meglio. Ma cosa avrebbe pensato il principe, se fosse scoppiata a piangere? Mai mostrarsi deboli. Era quello che suo padre le ripeteva da sempre. Quindi trasse un respiro profondo, raddrizzò le spalle e salutò il principe con un sorriso sicuro, chinando leggermente la testa, com'era usanza nel paese. «Miss Reynolds» disse lui, avvicinandosi per stringerle la mano. Lei spostò Mia, che aveva smesso di urlare, sul fianco sinistro per liberare la mano destra, già sudata e appiccicosa per il caldo. «Vostra Altezza, è un piacere conoscerla finalmente. Ho sentito molto parlare di lei.» Marcus strinse la mano con sicurezza. Il palmo freddo, nonostante la temperatura. La fissò negli occhi, studiandola con tanta intensità che Vanessa si chiese se volesse sfidarla a braccio di ferro, a duello o qualcosa del genere. Resistette all'impulso di liberare la mano e quando lui interruppe il contatto provò una strana sensazione di formicolio sul palmo. Doveva essere per il caldo, razionalizzò lei. E come faceva il principe ad apparire così freddo e composto, mentre lei era sul punto di sciogliersi? «Mio padre le porge le sue scuse» le disse in perfetto inglese, con un lieve accento, la voce profonda e vellutata come quella di Gabriel. «Ha dovuto inaspettatamente allontanarsi dal paese. Una questione di famiglia.» Allontanarsi dal paese? Le cadde il mondo addosso. «Ha detto quando sarebbe tornato?» «No, ma ha detto che l'avrebbe chiamata.» Come poteva lasciarla sola in un palazzo pieno di estranei? Si sentì stringere la gola e gli occhi bruciare. Non piangere, si ammonì, mordendosi l'interno della guancia per frenare le lacrime. Se avesse avuto abbastanza pannolini e pappe per affrontare il viaggio di ritorno negli 10


Stati Uniti, sarebbe risalita in aereo per tornare a casa. Mia urlò e Marcus sollevò leggermente il sopracciglio. «Questa è Mia, mia figlia.» Sentendo il suo nome, la piccola sollevò la testa dalla spalla di Vanessa e guardò Marcus, gli occhi blu sgranati per la curiosità, i capelli biondi che le sfioravano le guance rigate di lacrime. Di solito non socializzava facilmente con gli estranei, così Vanessa si preparò al secondo e inevitabile attacco di pianto. Invece, inaspettatamente, la bambina rivolse a Marcus un ampio sorriso a due denti, che avrebbe sciolto anche il cuore più duro. Forse Marcus assomigliava così tanto a Gabriel – che Mia adorava – che istintivamente aveva provato fiducia. Marcus non riuscì a fare a meno di ricambiare il sorriso e il lieve movimento del sopracciglio che addolciva i suoi lineamenti – oh, cielo! Aveva anche le fossette! – fece provare a Vanessa un brivido lungo la spina dorsale, tipico sintomo di attrazione immediata e fuori controllo. Subito si sentì assalire dal senso di colpa, e distolse in fretta lo sguardo da Marcus. Che razza di donna depravata si sentiva attratta dal suo futuro figliastro? Probabilmente era più stanca e agitata di quanto si rendesse conto, perché era evidente che non era più in grado di ragionare. Marcus tornò a rivolgere a lei l'attenzione e il sorriso scomparve. Indicò la limousine dove l'autista stava sistemando il seggiolino di Mia. «Vogliamo andare?» Vanessa annuì, cercando di convincersi che tutto sarebbe andato per il meglio. Ma mentre prendeva posto all'interno dell'auto non poté fare a meno di chiedersi se questa volta non avesse davvero sopravvalutato le sue forze. Era anche peggio di come Marcus l'aveva immaginata. Seduto accanto a lei, osservava la sua nuova rivale, la donna che, in poche settimane, era riuscita a stregare suo padre dopo solo otto mesi dalla morte della regina. All'inizio, quando gli aveva dato la notizia, aveva creduto che Gabriel avesse perso la testa. Si era innamorato 11


di un'americana, tra l'altro così giovane, e che conosceva appena. Ma ora, vedendola di persona, non c'era da meravigliarsi che il re fosse così infatuato di lei. I capelli setosi e color miele avevano una tonalità che nemmeno il più bravo parrucchiere sarebbe riuscito a riprodurre. Aveva il fisico di una pin-up e un viso che avrebbe ispirato Leonardo o Tiziano. Quando l'aveva vista scendere dall'aereo, barcollante e con una bambina urlante stretta al petto, aveva sperato che si trattasse di una delle solite bionde senza cervello che si vedono nei reality show americani. Ma poi i loro sguardi si erano incrociati, e lui aveva notato quegli occhi grigi pieni d'intelligenza. E di un po' di disperazione. Anche se si odiava per questo, lei sembrava così smarrita ed esausta che non era riuscito a fare a meno di provare compassione per lei. Ma ciò non cambiava il fatto che era il nemico. La bambina si agitò nel seggiolino, poi lanciò un urlo acuto. «Va tutto bene, tesoro» sussurrò dolcemente Vanessa, stringendo il piccolo pugno della figlia. Poi rivolse lo sguardo a Marcus. «Mi dispiace, di solito è molto calma.» A lui erano sempre piaciuti i bambini, anche se in effetti li preferiva quando sorridevano. Prima o poi avrebbe avuto dei figli. Come unico erede, era sua responsabilità portare avanti la dinastia dei Salvadora. Ma la situazione avrebbe potuto cambiare. Con una moglie bella e giovane suo padre avrebbe potuto avere altri figli. Vanessa estrasse da una delle borse un biberon con del succo di frutta e lo diede alla figlia. La bambina ciucciò per qualche secondo, poi fece una smorfia e lanciò la bottiglia a terra, proprio contro la scarpa di Marcus. «Mi dispiace» ripeté lei, mentre la bambina cominciava a lamentarsi. Anche la donna sembrava sul punto di scoppiare in lacrime. Lui raccolse la bottiglia e gliela passò. 12


Lei prese dalla borsa un giocattolo e cercò di distrarre la piccola, ma dopo qualche secondo anche quello venne lanciato in aria, colpendogli la gamba. Provò con un altro giocattolo, ottenendo lo stesso risultato. «Mi dispiace» mormorò, per la terza volta. Lui raccolse entrambi i giocattoli e glieli restituì. Rimasero seduti per alcuni minuti in un silenzio imbarazzante, poi lei disse: «Allora, è sempre così loquace?». Marcus la guardò storto. Non aveva niente da comunicarle, e comunque avrebbe dovuto gridare per superare le urla della bambina. Non ottenendo risposta, Vanessa proseguì nervosamente. «Non so dirle quanto fossi entusiasta di venire qui. E incontrarla. Gabriel mi ha parlato così tanto di lei e di Varieo.» Lui non condivideva il suo entusiasmo, e non avrebbe finto di farlo. Non credeva affatto a quello che gli stava dicendo. Non serviva essere un genio per indovinare che quella donna si trovava nel suo regno solo per la ricchezza e la posizione sociale di suo padre. Vanessa provò di nuovo a dare il biberon alla figlia. Finalmente Mia lo prese, e in un paio di minuti si addormentò. «Non ha riposato bene durante il volo» gli spiegò, come se a lui interessasse qualcosa. «E poi, si trova in un ambiente completamente nuovo e immagino che ci vorrà un po' di tempo perché si adatti.» «Il padre non ha obiezioni sul fatto che porti la figlia a vivere in un altro stato?» non poté fare a meno di chiedere lui. «Suo padre ci ha lasciato quando ho scoperto di essere incinta. Da allora non l'ho più visto né sentito.» «È divorziata?» Vanessa scosse la testa. «Non ci siamo mai sposati.» Meraviglioso. Un altro punto a suo sfavore. Il divorzio sarebbe stato già abbastanza negativo, ma un figlio fuori dal matrimonio? A cosa diavolo stava pensando suo pa13


dre? E credeva davvero che lui avrebbe approvato una cosa del genere, o che le avrebbe dato il benvenuto in famiglia? Il biasimo doveva essere chiaramente dipinto sul suo viso, perché Vanessa lo guardò dritto negli occhi e disse: «Non mi vergogno del mio passato, Vostra Altezza. Nonostante tutto, Mia è la cosa migliore che mi sia mai capitata. Non ho rimpianti». Non aveva paura di parlare con franchezza, eh? Non era certo una qualità appropriata a una futura regina. Anche se non poteva negare che sua madre era ricordata per aver sempre dato voce alle sue opinioni, divenendo un modello per le giovani donne. Ma c'era una linea sottile tra il seguire un principio ed essere irresponsabile. E la sola idea che quella donna avesse pensato di poter rimpiazzare la regina lo faceva stare male. Marcus poteva solo sperare che suo padre recuperasse la ragione prima che fosse troppo tardi, prima di fare qualcosa di ridicolo come sposarla. Per quanto desiderasse restare fuori da quella faccenda, aveva promesso a suo padre che si sarebbe assicurato che lei avesse tutto quello di cui avrebbe avuto bisogno durante la sua permanenza, e lui era un uomo di parola. Per Marcus l'onore non era solo una virtù, era un obbligo. Glielo aveva insegnato sua madre. Ma anche per lui c'erano dei limiti. «Il suo passato» le disse, «è una faccenda tra lei e mio padre.» «Ma è evidente che lei abbia un'opinione molto chiara a riguardo. Forse dovrebbe provare a conoscermi, prima di formulare giudizi.» «Non intendo sprecare il mio tempo.» Lei non batté ciglio. Sostenne il suo sguardo, gli occhi grigi illuminati da una fiamma che diceva che non si sarebbe lasciata intimidire, e lui sentì uno strano brivido. Un'emozione che sembrava un misto tra astio e... desiderio. E Vanessa Reynolds ebbe l'audacia di sorridere. Affa14


scinandolo e facendolo infuriare allo stesso tempo. Okay si limitò a commentare lei, scuotendo leggermente le spalle. Non gli credeva, o non le importava? In ogni caso, non faceva differenza. Avrebbe tollerato la sua presenza per il bene di suo padre, ma non l'avrebbe mai accettata. Provando un disagio a cui non era abituato, estrasse il cellulare, ignorandola. Per la prima volta dalla morte della regina, suo padre sembrava davvero felice, e Marcus non intendeva fare nulla che potesse causargli un nuovo dolore. Che si godesse la sua nuova conquista: con un po' di fortuna, suo padre sarebbe tornato in sÊ e l'avrebbe rimandata da dove era venuta.

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