I Padroni del Successo La talentuosa Catherine Mann presenta su Harmony Destiny cinque romanzi dedicati a uomini votati al successo, che non conoscono la parola sconfitta.
Cinque uomini sexy e implacabili, uniti da un legame indissolubile e dall'amore per il potere. Nel loro passato, però, si nascondono segreti che non possono rivelare, neppure alla donna che amano. Sono i Padroni del Successo: possono conquistare tutto ... ma non l'amore.
QUELLO CHE LE LETTRICI VOGLIONO. Abbandonarsi all’amore può essere pericoloso:
mistero e sentimenti, in un mix mozzafiato firmato da un’autrice da oltre 400 milioni di copie vendute in tutto il mondo, NORA ROBERTS.
Tre uomini che hanno tutto: potere, fama, ricchezza. Tre milionari abituati ad ottenere sempre ciò che vogliono. Ma a tutto c’è un prezzo, tranne che all’amore.
PENNY JORDAN
vi conduce nel lussuoso jet set internazionale, con tre storie dove passione fa rima con affari.
Dal 21 Agosto in edicola Leggi le trame su www.harlequinmondadori.it - Seguici su
CATHERINE MANN
Appassionata finzione
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: An Inconvenient Affair Harlequin Desire © 2012 Catherine Mann Traduzione di Giuseppe Biemmi Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved. © 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Destiny agosto 2014 Questo volume è stato stampato nel luglio 2014 presso la Rotolito Lombarda - Milano HARMONY DESTINY ISSN 1122 - 5470 Periodico settimanale n. 2086 del 15/08/2014 Direttore responsabile: Stefano Blaco Registrazione Tribunale di Milano n. 413 del 31/08/1983 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Trentacoste, 7 - 20134 Milano Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano
Prologo North Carolina Military Prep School 17 anni prima Gli avevano rasato il cranio e lo avevano spedito in riformatorio. Poteva la vita andar peggio di così? Dato che aveva appena quindici anni, aveva tutto il tempo per scoprirlo. Indugiando sulla soglia, Troy Donavan scrutò la camerata. La dozzina di letti a castello era per metà occupata da tizi dall'acconciatura a palla da biliardo come la sua... l'ennesima vittoria per il caro, vecchio paparino che si era sbarazzato finalmente dei lunghi capelli del figlio. Oh, perché nessuno doveva mettere in imbarazzo l'onnipotente dottor Donavan. Purtroppo, l'aver beccato il figlio dell'illustre medico che si era indebitamente introdotto nel sistema informatico del Dipartimento della Difesa aveva portato il concetto di imbarazzo a un livello completamente nuovo. Così adesso era stato sbattuto in questa galera, opportunamente celata dietro la facciata di programma di addestramento reclute sulle colline del Nord Carolina, a seguito del patteggiamento con il giudice del foro competente per la Virginia. Un giudice che suo padre aveva ammorbidito. Troy serrò le dita attorno alla sua sacca e resistette all'impulso di vibrare un pugno alla finestra sprangata tanto per avere un po' d'aria fresca. 5
Maledizione, era orgoglioso di quello che aveva fatto. Non voleva che fosse messo a tacere, né che venisse nascosto come un brutto segreto. Fosse dipeso da lui, sarebbe andato in una casa di correzione, o perfino in prigione. Ma, per il bene di sua madre, aveva accettato l'accordo. Avrebbe terminato il liceo in questo posto infame e, se avesse rigato dritto fino al compimento del ventunesimo anno di età, avrebbe potuto riavere indietro la sua vita. Doveva solo sopravvivere senza che la testa gli scoppiasse. Branda dopo branda, arrivò all'ultima fila dove trovò Donavan, T.E. stampato su una targhetta attaccata ai piedi del letto a castello. Dopo una breve esitazione, gettò la sacca da viaggio piena delle sue cianfrusaglie sul materasso inferiore. Un piede che calzava un anfibio tirato a lucido penzolava pigramente dalla branda superiore. «Dunque tu saresti Robin Hood, l'hacker che ha fatto tremare la nazione» buttò lì una voce sarcastica. «Benvenuto all'inferno.» Magnifico. «Grazie, ma non chiamarmi così.» Odiava il soprannome di Robin Hood degli Hacker che gli avevano affibbiato i quotidiani quando era saltata fuori la sua storia. Faceva suonare quello che aveva fatto come una specie di innocente marachella. Il che probabilmente era dovuto all'influenza di suo padre, che aveva cercato di minimizzare il modo in cui il figlio adolescente aveva smascherato una brutta faccenda di corruzione che alcuni funzionari del governo stavano cercando di coprire. «Non devo chiamarti così altrimenti cosa farai?» chiese lo smargiasso sulla cuccetta superiore la cui targhetta recitava: Hughes, C.T. «Ruberai la mia identità e mi ripulirai il conto corrente, mago del computer dei miei stivali?» Troy si dondolò sui talloni per controllare il letto più in alto e assicurarsi che a dormire sopra di lui non ci fosse un discendente diretto di Satana. Di certo, il diavolo non portava gli occhiali e non leggeva il Wall Street Journal. «A quanto pare, non sai chi sono io.» Con un fruscio 6
secco della pagina, Hughes scomparve dietro al suo quotidiano. «Caro il mio perdente.» Stava dandogli del perdente? Oh, al diavolo. Troy era un genio fuori dal comune e aveva già superato brillantemente test quali l'ACT e il SAT richiesti per l'ammissione al college. Non che i suoi genitori sembrassero essersene accorti o che la cosa li avesse toccati particolarmente. Suo fratello maggiore era il vero perdente: fumava erba, era stato espulso già da un paio di college, ed era impegnato a ingravidare cheerleader. Ma il vecchio li considerava peccati veniali. Problemi cui i soldi di famiglia potevano facilmente porre rimedio. Farsi cogliere a impiegare mezzi illeciti per denunciare la corruzione di alcuni fornitori del Dipartimento della Difesa e di un paio di membri del Congresso invece era un tantino più difficile da nascondere e in questo modo Troy aveva commesso il crimine imperdonabile: aveva messo in imbarazzo mamma e papà agli occhi di amici e conoscenti. Il che era stato il suo intento fin dall'inizio, un goffo tentativo di ottenere l'attenzione dei suoi genitori. Ma, una volta resosi conto di quello in cui si era imbattuto... peculato, ricatti e corruzione, l'appassionato solutore di puzzle che c'era in lui non era riuscito a fermarsi finché non aveva smascherato l'intera faccenda. Comunque la si guardasse, non era certo stato un Robin Hood che aveva risolto i problemi del mondo, accidentaccio. Aperta la sacca piena di uniformi e biancheria, cercò di tenere lontani gli occhi dallo specchietto sul suo armadietto metallico. La sua testa pelata rischiava di riflettere la luce e accecarlo. E dato che gli era giunta all'orecchio voce che metà dei ragazzi qui avevano patteggiato, avrebbe fatto bene a guardarsi le spalle intanto che cercava di scoprire cosa aveva fatto ciascuno di loro per finire in questo posto. Ah, se solo avesse avuto il suo computer. Il fatto era che non era tanto in gamba a leggere le espressioni dei volti. Lo strizzacervelli nominato dal tribunale che lo aveva va7
lutato in occasione del processo diceva che incontrava difficoltà a relazionarsi con la gente e, in compenso, si completava perdendosi nel cyberspazio. L'aspirante Freud ci aveva visto giusto. E adesso eccolo bloccato in una stramaledetta camerata piena di persone. Decisamente la sua idea di inferno. Non aveva nemmeno la possibilità di accedere a un computer per svolgere qualche ricerca sui maldestri criminali che gli facevano compagnia. Grazie al giudice, gli era concesso un uso di Internet solo ed esclusivamente per fini scolastici. Che barba. Lasciandosi ricadere all'indietro, si accomodò accanto alla sua sacca. Doveva esserci un modo per uscire da questo postaccio. Il piede oscillante nell'aria si fermò e una mano si affacciò dalla branda superiore. Mister Wall Street Journal aveva una playstation! Non era un computer, ma era pur sempre qualcosa di elettronico. Qualcosa per calmare quella parte di lui che, non essendo connessa, era totalmente disorientata. Troy non ci pensò due volte. Afferrò la playstation che gli veniva offerta e si sistemò in branda. Mister Wall Street Hughes non fiatò. Il tizio pareva disinteressato. Niente secondi fini. Per ora, Troy aveva trovato il modo per vincere la noia. Non tanto per il videogame, ma perché pareva ci fosse qualcun altro oltre a lui non troppo ligio alle regole. Forse i giovani delinquentelli fra cui era capitato non erano poi così malvagi. E nel caso si sbagliasse, pensò mentre i pollici gli volavano sulla console, aprendogli l'accesso al livello successivo del gioco, almeno aveva di che distrarsi da questo suo primo giorno agli inferi.
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1 Oggigiorno Hilary Wright aveva seriamente bisogno di una distrazione durante il volo dal District of Columbia a Chicago. Ma non certo del tipo costituito da una coppia che stava dandosi da fare per rientrare nel ristretto novero dei membri del Mile High Club. Sbuffando, si abbandonò contro lo schienale del suo sedile accanto al finestrino e si affrettò a mettersi le cuffie auricolari. Avrebbe preferito guardarsi un film o perfino una replica di qualche sitcom, ma questo avrebbe significato tenere gli occhi aperti, con il rischio di vedere i due davanti a lei che se la spassavano sotto il plaid. In effetti, voleva solo arrivare a Chicago, per mettersi finalmente alle spalle il peggior errore della sua vita. Hilary passò da un canale radio all'altro, fino a quando non trovò della musica di suo gradimento. Lungo la corsia centrale si accalcavano una famigliola con bambinetto al seguito e una manciata di uomini e donne d'affari, tutti quanti diretti ai posti in classe economica che solitamente occupava anche lei. Ma non oggi. Oggi, il posto in prima classe le era stato offerto dalla CIA. Che cosa assurda, eh? Fino al mese precedente, tutto ciò che sapeva della CIA lo aveva appreso dalla tivù. Adesso, invece, doveva collaborare con loro per dimostrare la sua innocenza ed evitare il carcere. 9
Un languido gemito si levò dalla tizia in preda ai bollori davanti a lei. Hilary si premette ulteriormente contro lo schienale del suo sedile, coprendosi gli occhi con una mano. Era cosÏ nervosa da non potersi nemmeno godere la sua prima visita a Chicago. Aveva sognato spesso di uscire dalla sua piccola cittadina natale del Vermont. Non per niente, l'impiego come organizzatrice di eventi a Washington le era sembrato un dono piovuto dal cielo. Incontrava persone molto in vista, delle quali altrimenti avrebbe solo potuto leggere sui giornali: politici, attori, perfino altezze reali. Inizialmente, era stata abbagliata dal tenore di vita invidiabile del suo ragazzo. Al punto da non rendersi conto dei traffici di Barry nella gestione delle donazioni filantropiche che amministrava e della sua totale mancanza di etica. Adesso doveva tirarsi fuori dal disastro in cui era piombata fidandosi dell'uomo sbagliato che, in nome di iniziative lodevoli, convinceva fior di paperoni a donare enormi somme a enti fittizi, per poi dirottarle su un conto corrente in Svizzera. Purtroppo, si era dimostrata in tutto e per tutto la classica ragazza di paese, ingenua e credulona. Be', adesso aveva tolto i paraocchi. Un lampo fatto di pelle e reggiseno rosa comparve per un attimo tra i sedili che aveva di fronte. Hilary chiuse con forza gli occhi e si recitò l'abituale mantra. Concentrati. Rilassati. E vedi di metterti alle spalle al piÚ presto questo weekend. Avrebbe identificato il complice del suo spregevole ex fidanzato nel corso di un grande party che si sarebbe tenuto a Chicago. Avrebbe reso la sua dichiarazione ufficiale all'Interpol per consentire di sgominare la rete internazionale di riciclaggio di denaro sporco di cui facevano parte entrambi. E poi sarebbe potuta tornare alla sua vita e al suo lavoro. Una volta rientrata nelle grazie del suo principale, avrebbe potuto tornare a dedicarsi al genere di eventi che aveva sempre amato organizzare. La sua carriera sarebbe fi10
nalmente decollata e le sue feste sarebbero finite nelle pagine di cronaca mondana di tutti i principali giornali. Il suo ex, campione dei perdenti, avrebbe letto quegli articoli in prigione e si sarebbe reso conto che lei aveva voltato pagina, caro lui. Forse sarebbe apparsa anche in qualche foto, risultando così conturbante che Barry avrebbe sofferto nella sua buia e casta cella. Brutto somaro! Hilary si strinse la parte superiore del naso per frenare un moto di pianto. Un colpetto picchiato sulla sua spalla la costrinse a troncare lo sciocco momento di autocommiserazione. Si sfilò uno degli auricolari e vide con la coda dell'occhio un... completo sartoriale con tanto di cravatta Hugo Boss. «Mi scusi, signora. Sta occupando il mio posto.» Voce bassa, ben impostata e per nulla arrogante, il viaggiatore aveva il volto in ombra, dato che era in controluce. Hilary riuscì a distinguere solo i capelli castano scuro, lunghi abbastanza da sfiorargli le orecchie e la parte superiore del colletto della camicia. Dal Patek Philippe che aveva al polso al completo firmato Caraceni, portava solo marchi di cui lei non aveva mai sentito parlare prima di iniziare a lavorare con l'alta società della capitale. E gli aveva soffiato il posto. Sussultando, Hilary fece finta di controllare la carta d'imbarco anche se sapeva già cosa c'era scritto. Dio, odiava stare accanto alla corsia centrale e aveva pregato di avere la fortuna di trovare un posto vuoto accanto al suo. «Mi spiace. Ha ragione.» «Sa che le dico?» Lui appoggiò una mano sullo schienale del sedile libero. «Se preferisce stare accanto al finestrino, per me va bene. Io mi siederò qui.» «Non vorrei approfittare della sua gentilezza.» Non aveva ancora terminato la frase che nella fila occupata dai piccioncini si levò un gemito che incrementò il suo imbarazzo. «Nessun problema.» Lui sistemò la sua valigetta nella 11
cappelliera sopra le loro teste prima di lasciarsi scivolare sul sedile. A questo punto, si voltò verso di lei e, per tutti i bovini che avevano nella fattoria di famiglia nel Vermont, era davvero niente male. Un po' affilato, forse. Ma con delle lunghe ciglia che non facevano che calamitarle lo sguardo su quei suoi limpidi occhi verdi. Doveva essere poco oltre la trentina, a giudicare dalle rughe sottili che gli si formavano quando sorrideva in un modo aperto che lo rendeva più alla mano. Lei inclinò la testa di lato, studiandolo più attentamente. Le pareva familiare, ma non riusciva proprio a collocarlo. Aveva incontrato un sacco di gente alle feste che organizzava e poteva averlo incrociato ovunque. Anche se doveva averlo visto da lontano perché, se si fossero parlati, non se lo sarebbe certo scordata. La fibbia della cintura di sicurezza del fusto produsse un clic metallico mentre l'aereo iniziava a rullare. «Non le piace volare, giusto?» «Perché dice così?» «Semplice. Vuole il sedile accanto al finestrino, ma tiene la tendina abbassata. Si è già messa le cuffie. E stringe il bracciolo in una morsa mortale.» Bello e osservatore. Mmh... Meglio fingere di aver paura dell'aereo che lanciarsi in una imbarazzante spiegazione sugli spiacevoli eventi che le avevano scombussolato la vita. «Lo ammetto. Mi ha smascherata.» Lei accennò con il capo alla fila davanti a loro proprio mentre, attraverso gli schienali dei sedili leggermente reclinati, si intravedeva la mano di un uomo che si lanciava in esplorazione sulle parti basse della sua compagna. «E i piccioncini qui di fronte non rendono certo le cose più facili.» Il sorriso gli si trasformò in una smorfia. «Chiamo l'assistente di volo.» Lui fece per allungare la mano verso il tasto di chiamata sopra di loro e lei gli toccò il polso per fermarlo. Il contatto 12
provocò una lieve scarica di elettricità statica. Almeno, lei si augurava che fosse elettricità statica e non un fremito di attrazione. Schiarendosi la gola, Hilary incrociò le braccia sul petto, nascondendo le mani sotto le ascelle. «Oh, lasci perdere. L'assistente di volo è nel bel mezzo del solito discorsetto relativo al comportamento da tenere in caso di problemi...» Lei abbassò la voce. «E in questo momento ci sta fulminando con lo sguardo perché non facciamo che parlare.» Lui si chinò su di lei con aria cospiratrice. «Allora potrei prendere a calci il retro dei loro sedili fino a quando si renderanno conto di non essere invisibili e che occorre avere un po' di rispetto per gli altri passeggeri.» Per la verità, ora che lui le era così vicino, Hilary non notava nemmeno più la coppia dai bollenti spiriti. Il suo sguardo infatti era calamitato su quei brillanti occhi verdi che la fissavano con manifesto interesse. Un vero e proprio balsamo per il suo ego. E un'eccellente distrazione. «Suppongo che sarà meglio vivere e lasciar vivere.» «Già.» Lui le indicò il finestrino. «Ormai siamo decollati. Può sollevare la tendina e rilassarsi.» Rilassarsi? Le sue parole la confusero per un attimo, poi Hilary rammentò la scusa con cui aveva giustificato il nervosismo. E ricordò invece la vera ragione del suo nervosismo. Il suo ex. Barry. Che, recandosi a Chicago, sperava di contribuire a far marcire in prigione identificando il suo complice... sempre ammesso che non venisse eliminata prima da quel brutto ceffo. Inspirando, si sganciò la cintura di sicurezza e si sistemò il tailleur formale. «Grazie per il supporto...» «Troy.» Lui le tese la mano. «Mi chiamo Troy e vengo dalla Virginia.» «E io sono Hilary, District of Columbia.» Accingendosi a stringergli la mano, stavolta lei si preparò alla scossa elet13
trica, che giunse puntuale e conturbante. Be', cosa c'era di male nel sentirsi attratti da un'altra persona? Il problema era che il suo ex l'aveva segnata e aveva trasformato la candida ragazza di campagna di un tempo in un essere cinico, spingendola a dubitare di chiunque avesse di fronte. Tanto che perfino adesso si interrogava sui motivi che poteva avere un uomo così distinto per farle un po' di innocua corte su un aereo di linea. Dannazione, non c'era niente di riprovevole nel chiacchierare con questo Troy durante il volo. L'aveva aiutata a superare il nervosismo che l'aveva presa alla prospettiva di dover identificare il complice di Barry alla raccolta di fondi prevista per il finesettimana. Un complice particolarmente sfuggente, che aveva un sesto senso per evitare le telecamere. Pochissime persone lo avevano mai visto. Perfino lei lo aveva incontrato solo due volte, la prima facendo un'improvvisata al condominio di Barry e la seconda nell'ufficio del suo ex. Chissà se l'uomo in questione la ricordava? La domanda fece riaffiorare il nervosismo. Aveva disperatamente bisogno di approfittare del diversivo che le offriva l'uomo che aveva accanto. In fondo, parlare con Troy era sempre meglio che gettarsi sul carrello dei drink, anche perché era astemia. «Allora, Troy, che cosa la porta a Chicago?» Troy aveva riconosciuto Hilary Wright nel momento stesso in cui aveva messo piede sull'aereo. Era uguale identica alla foto contenuta nella pratica dell'Interpol che la riguardava, comprese le lentiggini sul naso e i riflessi naturali della sua folta chioma rossa. La foto, tuttavia, non aveva evidenziato nulla che si trovasse al di sotto del collo. Gravissima pecca, perché la ragazza era... notevole. Di gamba lunga e con tutte le curve al posto giusto, emanava un'aria innocente che di solito non lo intrigava. Ma quando mai si era tirato indietro di fronte alla possibilità di lanciarsi lungo nuove strade? Era per questo che si era presentato sul suo volo, piutto14
sto che seguire il piano studiato dagli agenti della CIA, che stavano collaborando con la sezione americana dell'Interpol. Per vedere com'era la tipa in una situazione in cui teneva la guardia abbassata. Per sua fortuna il posto accanto al finestrino era libero, così aveva potuto avvicinarla. Era stato tutto facilissimo, e lei non aveva avuto il minimo sospetto. Anzi, per la verità, gli era sembrata la classica campagnola ingenua. Aveva un nasino all'insù che non gli sarebbe dispiaciuto baciare. In base alla foto, se l'era aspettata carina, ma non si sarebbe mai aspettato l'indefinibile energia che emanava. Era palpabile quasi quanto la sua innocenza. Questo aereo diretto a Chicago era l'ultimo posto in cui lei avrebbe dovuto essere. Anzi, l'ultimissimo posto in cui avrebbe dovuto essere era quel vero e proprio nido di vipere che sarebbe stata la festicciola trappola organizzata a Chicago per questo weekend. Dannazione alle autorità che l'avevano coinvolta in questa assurda messinscena. Avrebbe potuto provvedere lui all'identificazione senza disturbare Hilary Wright, ma i capi avevano insistito per avere anche la sua conferma. Ora che l'aveva vista, era evidente che era troppo ingenua per essere in pasta con gli squali con cui se la faceva Barry Curtis. Un manipolo di truffatori incalliti che usavano un evento organizzato per raccogliere fondi per coprire il riciclaggio di denaro sporco internazionale. «Ehi, Troy? Pronto?» Hilary gli sventolò la mano davanti al naso, le unghie mordicchiate fino alla carne viva. «Che cosa la porta a Chicago?» «Un viaggio d'affari.» Era la verità. «Mi occupo di computer.» Vero anche questo. In parte. Certo, una volta appreso chi era effettivamente, lei avrebbe potuto cambiare atteggiamento. Di solito, le persone lo giudicavano in base al suo passato oppure ai suoi soldi. «E lei invece cosa ci va a fare a Chicago?» le chiese, anche se lo sapeva già. «Una raccolta di fondi. Sono un'organizzatrice di eventi e, uhm, il mio capo mi manda a controllare come se la cava 15
un particolare chef nell'evento di questo finesettimana.» Era un'orribile bugiarda. Anche se non fosse stato già a conoscenza del vero motivo che la portava a Chicago, avrebbe intuito che non gliela raccontava giusta. «Viene dal District of Columbia per uno chef di Chicago. Lavora per dei politici?» «No, sono specializzata in raccolte di fondi a scopo benefico, non in campagne elettorali. Non avevo in programma questa trasferta a Chicago. Diciamo che sono venuta a studiare la concorrenza. Sa, è una faccenda abbastanza impegnativa, visto che si inizia venerdì sera e si continua fino a domenica pomeriggio senza soluzione di...» Hilary si interruppe, imbarazzata. «Sto parlando a ruota libera. Non è il caso che le snoccioli l'intero programma del finesettimana.» «Mi pare di capire che è specializzata nel lisciare l'ego di ricchi e famosi.» Lui abbozzò un sorriso. Le labbra le si storsero leggermente. «Pensi quello che vuole. Non mi serve la sua approvazione.» Un atteggiamento che condivideva. E allora perché la provocava? Perché era dannatamente bella quando gli occhi le brillavano per l'indignazione. Quel genere di mentalità orgogliosa era rara. Ma poteva anche mettere nei guai una persona. Troy lo sapeva fin troppo bene. C'era voluto tutto il suo autocontrollo per piegarsi ai dettami del giudice quando era stato condannato alla tenera età di quindici anni. Ma all'istituto militare in cui era stato sbattuto aveva trovato degli amici e aveva imparato a vivere seguendo delle regole. A poco a poco aveva riottenuto l'accesso al computer e aveva finito per mettere in piedi una società di videogiochi che adesso gli fruttava più denaro di quanto ne avesse mai portato a casa quel tronfio luminare del suo vecchio. Ma l'accesso al computer aveva avuto un prezzo. Da allora ogni suo movimento era stato monitorato dall'FBI. Pareva fossero convinti che la sensazione di onnipotenza assaporata scavando nei segreti del Dipartimento della Dife16
sa avesse creato in lui una sorta di dipendenza. Ed era così. Per farla breve, a ventun anni aveva ricevuto un'allettante offerta. Se voleva riprovare certi brividi, doveva mettere di tanto in tanto le sue indiscusse capacità informatiche al servizio della sezione americana dell'Interpol. Se in un primo tempo lo aveva seccato tenersi a disposizione, a poco a poco lo aveva appassionato collaborare in alcune grosse operazioni anticrimine di livello internazionale. Con il tempo, avevano perfino iniziato a utilizzarlo non solo per le sue conoscenze tecnologiche. La sua agiatezza infatti gli dava un facile accesso agli ambienti dell'alta società. Quando l'Interpol aveva bisogno in fretta di un infiltrato, usavano lui... e altri agenti freelance come lui. Nella maggior parte dei casi, comunque, continuava a fornire assistenza informatica stando dietro le quinte. Solo una volta ogni tanto veniva chiamato ad agire in prima persona, come in questo frangente, in modo da non rovinare la sua copertura. Un po' di quella cautela avrebbe fatto comodo adesso, invece di coinvolgere incautamente Hilary Wright in questa operazione congiunta di CIA e Interpol. Hilary infatti non sarebbe stata in grado di portare avanti la messinscena per la durata necessaria. Non avrebbe retto il gioco. Troy lo aveva capito fin dal momento in cui aveva letto il suo profilo, ma non lo avevano voluto ascoltare. Sapeva Iddio perché lo chiamavano genio e poi si rifiutavano di dargli retta. Così si era imbarcato di sua iniziativa su questo volo e, una volta trovata conferma ai suoi sospetti, aveva capito che, se non voleva che la pupa mandasse a rotoli l'operazione, avrebbe dovuto starle accanto tutto il finesettimana. Beninteso, non sarebbe poi stato questo gran sacrificio starle appiccicato per l'intero weekend. Per la prima volta da anni non si sentiva annoiato. Questa donna lo intrigava, e non erano molte le cose che suscitavano il suo interesse nella vita. Sarebbe rimasto dov'era 17
per il resto del volo e avrebbe recitato la sua parte. Era conscio che, una volta scoperta la sua non proprio immacolata identità, lei se la sarebbe battuta a gambe levate. Probabilmente non avrebbe nemmeno mai saputo il vero motivo per cui se l'era trovato accanto e, d'altra parte, una donna come Hilary Wright non si sarebbe certo invaghita di uno con la sua reputazione, considerato anche che aveva appena patito una bruciante scottatura in campo sentimentale. Oh, non che questo lo avrebbe fatto recedere dalla decisione di starle incollato. Che ne fosse conscia o meno, aveva bisogno di lui per uscire indenne dalla prova che li aspettava. Quando una delle hostess chiese loro se desideravano del vino, Hilary declinò educatamente, al che Troy le fece presente che magari un goccio di qualcosa l'avrebbe aiutata a superare le sue paure legate al volo. «Non bevo» ribadì lei. «Mai?» Hilary si rifiutava di rischiare di finire come sua madre, costantemente dentro e fuori dalle cliniche per alcolisti mentre il suo compianto padre cullava la speranza che stavolta il programma avrebbe funzionato. Cosa che non era mai accaduta. Non c'era niente per lei a casa. Washington era la sua chance di farsi una vera vita. Non poteva permettere che qualcosa rischiasse di rovinare questa opportunità. Non un drink. Né un uomo affascinante. «Mai» rispose. «Non bevo mai.» «Ci dev'essere tutta una storia dietro a questa faccenda.» Lui giocherellò con i gemelli di platino che aveva ai polsini della camicia. «Infatti, c'è.» «Ma non intende condividerla.» «Non con un completo sconosciuto.» Era un'esperta in fatto di mantenere i segreti di famiglia, di nascondere i pro18
blemi in modo che apparissero normali agli occhi del mondo esterno. Organizzare sfarzose serate di gala per l'élite del District of Columbia era un po' la ciliegina sulla torta dopo aver affinato l'arte di salvare le apparenze da adolescente. Poteva sembrare un'ingenua ragazza di campagna, ma la vita l'aveva già segnata non poco. Il che probabilmente spiegava il motivo per cui stava interrogandosi circa il fatto che si era insolitamente sentita a proprio agio nell'ultima ora trascorsa con Troy. Niente in lui era come si sarebbe aspettata dopo che le aveva lanciato quel suo sguardo impunito all'inizio. Avevano passato tutto il viaggio a... parlare. Avevano discusso dei loro attori e cibi preferiti. Avevano scoperto che entrambi amavano il jazz e le parodie dei film dell'orrore. Lui era sorprendentemente colto, citava Shakespeare a memoria e aveva un acuto senso dello humour. C'era interesse nei suoi occhi, ma non le fece alcuna avance e l'aereo ormai stava iniziando a scendere di quota per l'atterraggio. Gli occhi gli si socchiusero di fronte al silenzio di Hilary. «Qualcosa non va?» «Non ha fatto il provolone» buttò lì lei. Lui sbatté le palpebre sorpreso prima che quel suo sorrisetto malizioso gli tornasse sulle labbra. «Vuole che lo faccia?» «Per la verità, sto divertendomi già così.» Hilary si appoggiò allo schienale e attese che lui smettesse di sghignazzare, rendendosi conto che non sarebbe caduta ai suoi piedi. Non aveva mai avuto un particolare debole per questo genere d'uomo, dai capelli un po' lunghi e dal viso segnato da qualche piccola cicatrice, come se non facesse altro che cacciarsi nei guai. Ne aveva una sul mento e una che gli attraversava un sopracciglio. E un'altra ancora sulla fronte che faceva capolino quando i capelli gli si sollevavano. Ma d'altra parte Barry era stato il classico precisino impeccabile, sempre sbarbato di fresco e incredibilmente a 19
modo. Solo che dietro a quel suo aspetto rassicurante si nascondeva una vera carogna. Troy la fissò intensamente negli occhi. «Non si direbbe che si diverta troppo spesso, o sbaglio?» E chi aveva il tempo per divertirsi? Aveva lavorato sodo negli ultimi tre anni per costruirsi una nuova vita, lontana da una cittadina pettegola che la conosceva come la figlia di un'alcolizzata. Barry aveva infangato ulteriormente la sua reputazione con i suoi loschi traffici, rubando perfino il denaro destinato alle borse di studio. E, se non riusciva a dimostrare il contrario, la gente avrebbe sempre pensato che fosse coinvolta anche lei. Non avrebbero creduto alla sua parola. Il suo capo non le avrebbe creduto. Lei si tirò il bordo della gonna. «Le do forse l'impressione di una guastafeste?» «No, non di una guastafeste. Solo di una stakanovista. Il sottobraccio sotto il suo sedile è pieno di documenti dall'aria ufficiale, invece che di libri o riviste. E le unghie mangiucchiate delle sue belle mani... be', sembrano gridino tutto il suo stress.» Aveva cercato di far convivere la carriera con una relazione. Non le era andata bene. E tutto per quel lestofante nemmeno tanto scaltro di Barry, vista la facilità con cui era stato preso con le mani nel sacco. Era stata talmente impegnata nel suo lavoro che non aveva colto i segnali che avrebbero dovuto farle capire che la stava usando per avvicinarsi ai suoi clienti e gabbarli. «Troy, io ci tengo alla mia carriera.» Che sarebbe stata rovinata se non si fosse assicurata che tutti sapessero che era stata al cento percento all'oscuro di quello che combinava Barry. Il suo capo l'avrebbe licenziata e nessuno l'avrebbe più assunta considerato che i clienti non si sarebbero più fidati di lei. «Lei no?» Che cosa faceva esattamente? Hilary cominciava a rendersi conto che avevano parlato molto di lei e pochissimo di lui, e il volo era quasi al termine. 20
«Lavorare è importante... ma anche le vacanze non guastano. Dunque, se avesse preso questo aereo per piacere e non per impegni professionali, e potesse scegliere una coincidenza una volta atterrati, dove le piacerebbe andare?» «Oltreoceano.» Rispose istintivamente, prima ancora di realizzare che una volta ancora lui aveva distolto il discorso da sé. «Be', è un po' vago» disse lui, mentre Chicago si delineava sempre più nitida sotto di loro. «Chiuderei gli occhi e sceglierei a caso un posto lontano.» Lontano il più possibile dalla serata di gala nella cosiddetta Windy City, la Città del Vento. «Ah, il vecchio concetto di fuga. Capisco bene. Quando ero in... collegio, facevo mille progetti riguardo a posti in cui andare a vivere o anche solo da visitare, posti privi di recinzioni.» Collegio? Interessante e così distante dalla sua infanzia, quando Hilary prendeva tutte le mattine la vecchia corriera dai sedili strappati con i suoi amichetti vicini di casa. Lei si sprofondò nel suo sedile. «Non è proprio questo lo scopo delle vacanze? Fare qualcosa di completamente diverso dalla routine quotidiana.» «Non ha tutti i torti.» Il sorriso gli si tese per un attimo prima che il volto gli rasserenasse. «Di dov'è esattamente... tanto perché possa avere un'idea di quella che è la sua routine quotidiana quando sceglierò la meta della nostra grande fuga?» Nostra? «Naturalmente, intende in teoria, vero?» «In teoria? Nooo! Così facendo rovina la fantasia.» «Giusto, me ne scuso.» Il suo magnetismo aveva un suo modo di attirarla in questa fantasia. Be', non c'era nulla di male in questo. «Vengo dal Vermont, da un paesino che nessuno ha mai sentito nominare. Trasferirmi nel District of Columbia è stato un bel cambiamento... e adesso vado a Chicago.» «Ma non mi sembra contenta della cosa.» 21
Lei dovette sforzarsi di non sussultare. Era troppo perspicace. Era giunto il momento di mettere un minimo di distanza tra loro, magari facendolo sentire un po' in imbarazzo. «Ho il terrore di volare, ricorda? E questo è il momento in cui si suppone che dovrebbe chiedere il mio numero di telefono.» «Me lo darebbe se glielo chiedessi?» «No» disse lei, credendoci quasi. «Non sono messa molto bene per uscire con qualcuno al momento. Quindi può anche smetterla di farmi la corte.» «Scusi, ma un uomo non può essere carino senza per questo pretendere qualcosa che vada oltre a una piacevole conversazione?» Hilary non poté reprimere un sorriso. «Davvero ha appena detto una cosa del genere?» Lui si accasciò contro lo schienale, fissandola con un certo rispetto. «Okay, ha ragione. Mi andrebbe di chiederle il numero di telefono... perché sono single, nel caso se lo stesse chiedendo, ma dato che ha messo in chiaro di non essere aperta alle mie avance, consolerò il mio cuore infranto e il mio ego ferito con il piacere della sua compagnia per un altro po'.» Dio, ci sapeva fare. Era spiritoso e ricco di fascino, oltre che sicuro di sé al punto da non pensarci due volte a buttarla sullo scherzo. «Si esercita molto a far battute come questa oppure è forte a improvvisare?» «Lei è una donna sveglia. Sono sicuro che si darà una risposta da sé.» Accidenti. Le piaceva proprio. «È spassoso.» «E lei incantevole. È stato un piacere per me occupare il posto accanto al suo nel corso di questo volo.» Erano atterrati? Hilary si guardò attorno come se si stesse svegliando da un pisolino e scoprisse che era passato più tempo di quel che pensasse. L'aereo si era fermato. Troy si alzò, sfilandole il bagaglio a mano dalla cappelliera. «Suo?» «Come l'ha capito?» 22
Lui tamburellò l'indice sull'etichetta con tanto di logo dell'allevamento di famiglia attaccata alla maniglia. «Vermont. Il rapporto più elevato fra mucche e abitanti di tutto il paese.» «Esatto.» Lei si alzò, fermandosi vicino a lui. Molto vicino. I passeggeri si accalcarono nella corsia centrale, tanto che i seni le si sfregarono contro il torace di Troy. Un torace solido come roccia, al cui contatto Hilary sentì allertarsi di colpo tutti i sensi. Ma, nonostante tutto, lui non la sfiorò nemmeno con un dito, né cercò di approfittare della situazione, strusciandosi contro di lei. «Le auguro una piacevole visita alla Città del Vento.» Lei si morsicò il labbro inferiore, resistendo all'assurdo impulso di tirarlo per la cravatta di seta. In quel momento, l'assistente di volo parlò all'altoparlante. «Siete pregati di tornare ai vostri posti. Abbiamo un lieve ritardo prima di poter scendere a terra.» Hilary si ritrasse di scatto, abbassandosi così rapidamente che per poco non batté la testa. Troy riprese invece il suo posto con più calma, mentre una delle hostess apriva il portellone. Attraverso l'apertura si poteva vedere la lunga scala metallica che era stata portata in posizione. Confusa, Hilary sollevò con uno strattone la tendina del suo finestrino. Si erano fermati nei pressi del terminal. Un grosso SUV nero con delle insegne ufficiali di un qualche tipo sulla portiera attendeva a qualche metro di distanza. Due uomini in abito nero e occhiali da sole salirono con passo atletico la scaletta ed entrarono a bordo del velivolo. Il primo fece un cenno con il capo all'assistente di volo. «Grazie, signora. Facciamo in un attimo.» I due tizi identici cominciarono ad avanzare lungo la corsia centrale, guardando uno a sinistra e l'altro a destra. Hilary accusò un tuffo allo stomaco e sbarrò gli occhi. Che problema c'era? Contrariamente a quello che aveva detto a Troy, non aveva affatto paura di volare, ma adesso sentiva che quella bugia le si stava ritorcendo contro. 23
Quanto ci sarebbe voluto per sapere cos'era che non andava? Non molto, a quanto pareva. Gli uomini vestiti di scuro si bloccarono all'altezza della sua fila. «Troy Donavan?» Troy Donavan? Oddio, conosceva quel nome. Hilary attese che lui negasse... anche se già sapeva che non lo avrebbe fatto. «Sì, sono io. Qualche problema, signori?» Troy Donavan. Lo aveva confermato. Era lungi dall'essere un qualsiasi bel fusto, lungi dall'essere un anonimo mago del computer che aveva preso un volo di linea. La sua fama di assiduo frequentatore di party e di amante della vita vissuta sempre sul filo del rasoio lo rendeva una presenza costante sulle pagine dedicate alla cronaca mondana dei vari quotidiani. «Signor Donavan, può uscire dal suo posto, per favore?» Troy le lanciò un'occhiata contrita prima di alzarsi, mettendosi di fronte ai due uomini. «Ehi, avremmo potuto incontrarci al gate come gente normale.» L'uomo più anziano, quello che pareva responsabile dell'operazione, scosse il capo. «Meglio così. Non vorremmo mai dover far aspettare il colonnello.» «Ma certo. Guai a recare incomodo al colonnello.» I muscoli delle braccia di Troy si contrassero, mentre le mani lungo i fianchi gli si richiudevano a formare dei pugni. Cosa diamine stava succedendo? Gli uomini in nero recuperarono la valigetta in pelle di Troy e gli calcarono in testa un borsalino, dandogli lo stesso look che aveva visto immortalato in innumerevoli foto a corredo dei rispettivi articoli. Se lo avesse visto subito con l'amato quanto inseparabile cappello, lo avrebbe riconosciuto in un batter d'occhio. Era noto per aver violato il sistema informatico del Dipartimento della Difesa diciassette anni prima. All'epoca lei aveva solo dieci anni ma, per il modo in cui si era infil24
con me per avertelo taciuto? So quanto sia importante per te la fiducia.» «Suppongo che quel genere di professione non sia qualcosa che si va in giro a sbandierare tanto facilmente, ma adesso puoi confidarti con me liberamente, visto che sto per essere assoldata a mia volta dal colonnello. Sostiene che il suo elenco di reclute necessiti di qualche estrogeno.» Per una volta, Troy rimase senza parole. La mascella gli si aprì e tentò di parlare almeno un paio di volte, semplicemente per fermarsi e passarsi una mano nei capelli. Alla fine, si limitò a sorridere, sghignazzando. Cingendola con il braccio libero, la aiutò a rimettersi sulle sue gambe. «Dio mio, ti amo, Hilary. Non c'è ombra di dubbio dentro di me.» Lui la baciò una prima volta, quindi una seconda e una terza fino a quando le ginocchia minacciarono di cederle. «Sappi che vorrò essere al tuo fianco in ogni incarico che ti verrà assegnato, in modo da non impazzire per l'ansia e la preoccupazione. Forse dovrei essere più rilassato, ma quando ci sei di mezzo tu...» «Certo che staremo sempre fianco a fianco, in modo che anch'io potrò tenerti d'occhio» gli disse lei contro la bocca, sentendosi il cuore talmente gonfio di gioia da riuscire a malapena a respirare. «Anch'io ti amo, Troy, uomo a tua volta unico e, soprattutto, mio.» «Sissignora, sono tutto suo.» Lui la baciò con trasporto, lasciandola senza fiato. «Intendo impegnarmi ogni singolo giorno della mia vita per diventare il miglior uomo possibile per te.» Troy le stampò una serie di baci sulla fronte, sugli occhi e sulla punta del naso. «Sono un tipo che apprende velocemente, sai? Quindi, devi solo darmi il tempo giusto.» «A quanto tempo stavi pensando?» «A tutta una vita.» Lei gli tolse il cappello e se lo calcò in testa. «Mi pare un termine assolutamente ragionevole.»
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