RITORNO A SUNSET RANCH La loro terra li chiama, li invita a tornare. Ma solo l'amore li farĂ restare.
Dopo la Saga dei Worth, la talentuosa Charlene Sands ritorna con una nuova ed emozionante quadrilogia, che vi dĂ appuntamento in Harmony Destiny ogni mese, fino a settembre. Il cielo del West, i tramonti sulla prateria e i paesaggi sconfinati fanno ancora una volta da cornice alle sue eroine, mentre gli uomini che hanno il privilegio e l'ardire di amarle combattono per migliorare il loro destino. Ăˆ soprattutto la nostalgia che spinge le donne di Ritorno a Sunset Ranch ad affrontare i fantasmi del passato e a rischiare ogni cosa in nome della passione e dell'amore: la nostalgia della terra, della loro casa... delle braccia che le hanno strette per la prima volta e delle labbra che le hanno incendiate di desiderio e speranza. A settembre, non perderti l'ultimo capitolo di questa emozionante saga: Il tuo cuore mi cambia.
QUELLO CHE LE LETTRICI VOGLIONO. Abbandonarsi all’amore può essere pericoloso:
mistero e sentimenti, in un mix mozzafiato firmato da un’autrice da oltre 400 milioni di copie vendute in tutto il mondo, NORA ROBERTS.
Tre uomini che hanno tutto: potere, fama, ricchezza. Tre milionari abituati ad ottenere sempre ciò che vogliono. Ma a tutto c’è un prezzo, tranne che all’amore.
PENNY JORDAN
vi conduce nel lussuoso jet set internazionale, con tre storie dove passione fa rima con affari.
Dal 21 Agosto in edicola Leggi le trame su www.harlequinmondadori.it - Seguici su
CHARLENE SANDS
Un inganno dal passato
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: The Secret Heir of Sunset Ranch Harlequin Desire © 2013 Charlene Swink Traduzione di Roberta Canovi Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved. © 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Destiny agosto 2014 Questo volume è stato stampato nel luglio 2014 presso la Rotolito Lombarda - Milano HARMONY DESTINY ISSN 1122 - 5470 Periodico settimanale n. 2088 del 26/08/2014 Direttore responsabile: Stefano Blaco Registrazione Tribunale di Milano n. 413 del 31/08/1983 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Trentacoste, 7 - 20134 Milano Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano
1 Justin Slade era a casa. Da tre giorni, ormai. Il suo Ford F-150 sfrecciava sulla carreggiata con tanti cavalli motore da pareggiare la potenza dei migliori purosangue di Sunset Ranch, la radio sintonizzata sull'ultima hit country di Luke Bryan. Era una musica di quelle che ti fanno battere il ritmo per forza, e in qualsiasi altro momento Justin avrebbe quanto meno segnato il tempo battendo la mano sul cruscotto. Quel giorno, invece, non riusciva a godersi né la musica, né il cielo azzurro del Nevada o l'aria fresca del mattino, così chiara e frizzante da prospettare l'arrivo ormai imminente dell'inverno. Quel giorno, aveva lo stomaco sottosopra all'idea di ciò che stava per succedere. Il marine che era in lui non aveva alcun dubbio: stava facendo la cosa giusta. Doveva parlare, per il bene di Matilda Applegate... e per Brett. Pigiò il pulsante dell'autoradio e la voce di Bryan scomparve, riempiendo l'aria di un appropriato silenzio. Un brivido freddo lo avvolse come un mantello invisibile, rifiutandosi di lasciarsi scrollare di dosso dalla musica o dal bel tempo. Brett Applegate era morto. Era colpa di Justin, e la zia di Brett, la sua unica parente ancora in vita, meritava di conoscere la verità. Schiacciò il piede sul pedale e alzò lo sguardo sui sobborghi di Silver Springs, mentre la sensuale voce femminile del GPS gli forniva le coordinate; la strada deserta 5
cominciò a restringersi e il nodo allo stomaco si serrò al punto che provò una fitta di dolore. Aveva partecipato a pericolose missioni in Afghanistan, ma i territori di guerra non gli avevano provocato tanta ansia. Come fedeli compagni di strada, il senso di colpa e l'apprensione non erano un granché. Ingurgitò due pastiglie di antiacido – di recente anche quelle erano diventate fedeli compagne di strada. «Tra cinquanta metri, girare a destra» istruì il navigatore. Justin fece svoltare il furgoncino e imboccò una stradina polverosa che si dipanava verso una fattoria, il cui unico piano era visibilmente segnato da inverni troppo rigidi, estati più bollenti dell'inferno e una sfilza di pessimi mesi tra l'uno e l'altro. Vedere la casa di Brett in simili condizioni, a testimonianza della miseria che aveva afflitto gli Applegate negli ultimi anni, fu straziante; l'amico era solito ripetere che allo zio Ralph sarebbe venuto un colpo se avesse visto cos'era successo alla fattoria di cui era stato tanto orgoglioso. Avvicinandosi ancora, Justin notò un'auto in panne, la gomma posteriore più afflosciata di una medusa spiaggiata, e una donna con la testa infilata nel bagagliaio; il superbo fondoschiena puntato verso il cielo attirò immediatamente la sua attenzione. Diavolo, qualunque uomo con un minimo di sale in zucca si sarebbe fermato a dare una mano. Justin frenò, gli occhi fissi su una visuale che non apprezzava da fin troppo tempo: un gran bel sedere femminile. Bastò quello a fargli girare la testa. Per la miseria, dopo nove anni nei Marines non ci voleva molto – ma diamine, se era una splendida vista! Deglutendo, scese dal furgoncino e si avvicinò alla vettura. La camicetta della donna le era risalita fino in vita, mentre lei continuava a frugare nel bagagliaio, e gli occhi di Justin si incollarono sui quei centimetri di pelle morbida come burro. 6
«Santo cielo, cos'altro c'è che non va?» La sua voce si riversò su di lui come bourbon corposo. Adocchiò ancora quella striscia di pelle. Ragazzi... Quindi si schiarì la voce – accidenti alla madre che gli aveva insegnato le buone maniere. Costringendosi a distogliere lo sguardo dallo splendido panorama, si concentrò sui capelli biondi come i raggi del sole. «Mi scusi, signorina. Posso esserle d'aiuto?» La ragazza si tirò su di colpo, sbattendo la testa contro il portellone. «Ohi.» Fece una smorfia mentre si portava una mano sul capo, sfregandolo per far passare il dolore. «Oh, non l'avevo vista...» I loro sguardi si incrociarono, la mano si immobilizzò tra i capelli. Arcuò le sopracciglia, le labbra che formavano una O perfetta. «Oh.» Era una bomba mozzafiato, ma qualcosa nella memoria di Justin interruppe il flusso di pensieri inappropriati: ricordava quegli occhi verdi come la giada, quella bocca sensuale e i capelli alla Marilyn che in poche potevano permettersi di portare. Avrebbe scommesso tutto ciò che aveva che non l'avrebbe mai rivista, eppure... se la ritrovava proprio davanti, in carne e ossa. Justin non credeva molto alle coincidenze, e quella era troppo assurda da ignorare. Lo stomaco si contorse, mendicando un altro antiacido. Forse si stava sbagliando, in fondo era passato più di un anno e mezzo. Forse assomigliava solo alla donna che aveva conosciuto a New York quel fatidico fine settimana... Quando tolse lo Stetson, gli occhi della ragazza brillarono. «Non volevo spaventarla, signorina.» I secondi scorsero lentamente, mentre lei prendeva nota dei suoi scintillanti stivali neri, jeans nuovi, cintura con fibbia d'argento e camicia col colletto aperto. Studiò il suo viso e fissò a fondo nei suoi occhi. 7
Doveva essere lei. La mente di Justin ritornò a quella sera al bar del Golden Palace. «Non esco coi soldati» aveva detto lei, quando lui si era avvicinato al suo tavolo. Justin si era seduto comunque, sorridendole. «Ma farai un'eccezione per me.» «B-Brett? Sei davvero tu?» La speranza nella sua voce lo confuse, prima di essere stordito da un altro colpo. Oh diavolo, non era possibile. «Io non capisco» stava dicendo lei. «Ci avevano detto... ci avevano detto che eri morto. Ucciso in uno scontro a fuoco. Oh mio Dio, tua zia Mattie sarà così felice! C'è stato un fraintendimento? Che cos'è successo?» Lui inspirò a fondo, prima di distogliere lo sguardo dal suo, serrando gli occhi contro il sole pomeridiano. Farabutto. Si detestava per la bugia, e per il dolore che le avrebbe causato rivelando la verità. «Non sono Brett Applegate» spiegò alla bionda. Lei strinse le labbra e inclinò la testa da una parte, studiandolo a fondo. «Ma mi ricordo di te. Ti sei dimenticato di me? Sono Katherine Grady, Kat per gli amici.» Per la miseria, certo che la ricordava. Ma non aveva la più pallida idea del perché Kat si trovasse lì, splendida come sempre, davanti alla casa degli Applegate. A denti stretti, maledisse la scommessa che aveva fatto con Brett. Justin non avrebbe mai pensato di perdere a braccio di ferro col compagno d'armi, non era mai successo prima. Eppure, quella volta aveva perso tre volte su cinque, giusto prima che fossero selezionati per accompagnare un generale a un summit di tre giorni a Washington. Svolto il loro compito, avevano avuto libera uscita a New York prima di tornare in Afghanistan. L'oggetto della scommessa? Scambiarsi l'identità per il fine settimana. Avevano svuotato le tasche, e il buon vecchio Brett aveva fatto i salti di gioia all'idea di vivere la vita di Justin anche solo per un paio di giorni. Gli aveva 8
sventolato la sua carta di credito in faccia, raccogliendo i settecento dollari che Justin aveva appena mollato sulla brandina. «Me la spasserò a essere te» aveva gongolato con un sogghigno un po' maniacale. Da parte sua, Justin aveva investito i pochi contanti di Brett in una bottiglia di vino in albergo, dopodiché Kat l'aveva condotto al proprio piccolo appartamento al quarto piano senza ascensore. Justin aveva voglia di divertirsi, e aveva pensato che fosse lo stesso per lei. Si erano trovati. Non avrebbe mai immaginato che le cose si sarebbero complicate. «Mi ricordo di te, bellezza.» I suoi occhi si addolcirono. «Nessun altro mi ha mai chiamato così.» La tenerezza nella sua voce lo fece sussultare. «Il mio nome non è Brett. Sono Justin Slade e vivo a venti miglia da qui. Brett e io eravamo commilitoni.» La voce di Kat si fece tirata. «Hai detto Justin... Slade?» Annuì. «Justin Slade del Sunset Ranch?» Annuì di nuovo. «Ma, noi... Mi avevi detto che il tuo nome era Brett Applegate, che eri un marine in procinto di tornare oltremare. Mi hai raccontato di questo posto... Tu...» Justin fece una smorfia. Si sentiva una carogna; aveva mentito a una donna, approfittando della sua fiducia – cosa che non aveva mai fatto prima. Deglutì il rimorso e abbassò la voce. «Ho mentito.» L'espressione di Kat fu di per sé una condanna, e lui non poteva biasimarla. Era stata una scommessa stupida e una cosa ancora più stupida condurla a termine. Lentamente, Kat si portò una mano alla bocca, cominciando a scuotere il capo. «Oh... no. No, non può essere vero.» «Forse è meglio se entriamo. Posso spiegarti. Matilda Applegate è in casa?» 9
Kat chiuse gli occhi e li tenne chiusi come se stesse pregando, e il tono di Justin si fece più deciso. «Kat.» Sbattendo le palpebre diverse volte, lei lo guardò a lungo prima di rispondere. «Non possiamo entrare in casa.» «Perché no?» Proprio in quel momento la porta d'ingresso si aprì e ne uscì una donna un po' in là con gli anni, con in braccio un bimbetto. La donna si muoveva lentamente ma con precisione, come calcolasse ogni passo che faceva. Gli occhi azzurri erano quanto di più vitale c'era in lei, evidenziati da eye-liner e ombretto; il fondotinta, invece, sembrava mettere in risalto, più che nascondere, le rughe sul viso. Ma la gentilezza nel suo sguardo era autentica, e rivolta proprio a lui. «Mi è parso di sentire delle voci. Chi abbiamo qui?» Il bambino si voltò a guardarlo, ma subito tornò a girarsi per aggrapparsi al collo della donna, scalciando le gambette. Lei lo strinse mentre gli sussurrava rassicurazioni nell'orecchio. «Andiamo, Connor, tesoro mio. Non aver paura.» Kat si schiarì la voce. «Zia Mattie, questo è Justin Slade.» La donna inarcò le sopracciglia mentre cercava di collocare il nome. «Slade? Mi suona familiare.» «Ero un amico di Brett. Sono qui per parlare con lei.» Katherine Grady era in grado di cavarsela in parecchie brutte situazioni. Figlia unica, era cresciuta in una casa dove abusi e violenza erano all'ordine del giorno; insieme alla madre era passata da rifugio a rifugio, scappando dal padre bellicoso e facendo il possibile per impedire alla madre di cadere a pezzi. Non c'era niente di romantico o eroico nel vivere di elemosina, nel non sapere se nel giro di pochi minuti avrebbero dovuto darsi alla fuga, o se avrebbero avuto cibo e riparo sufficienti. Kat aveva imparato a sopravvivere, fin da piccola. 10
Di solito celava bene le proprie emozioni, ma in quel momento la paura le serrò la gola, facendole battere forte il cuore. Tremava così tanto che le ginocchia vacillarono. Com'era possibile? L'uomo che per tutto quel tempo aveva pensato fosse Brett era in realtà Justin Slade. Buon Dio. Non riusciva a concepire la menzogna che le aveva raccontato, era troppo. Ma in quel momento, ciò che provava non aveva importanza; ciò che contava davvero era zia Mattie: la donna non poteva rischiare una ricaduta durante la convalescenza. Matilda invitò Justin a entrare e lui non esitò, e Kat si pietrificò all'idea di ciò che stava per succedere. L'avrebbe fatta morire di dolore, e lei non sapeva come impedirlo, come proteggerla dalla verità. «Siediti, figliolo» indicò zia Mattie quando furono in soggiorno. «Se non ti spiace, mi siedo anch'io. Il piccolo Connor, qui, è un bel daffare, mi fa stancare parecchio. Ormai pesa quasi nove chili – non è così, Kat?» Kat aveva lo stomaco annodato. Annuì, esitante, prima di sedersi sulla punta di una poltrona colorata a fiori; Justin, invece, prese posto sul divano e appoggiò il cappello accanto a sé, continuando a lanciare occhiate curiose al bambino. «Scusa la confusione» riprese zia Mattie. «Kat sta facendo meraviglie per sistemare questo posto con un budget limitato. Ci sa fare, non trovi?» Educatamente, Justin si guardò intorno. Kat si chiese se un uomo avrebbe notato i cuscini fatti a mano, i piccoli tappeti in tinta e i vasi di fiori che insieme alle fotografie erano sistemati in posizione strategica nella modesta dimora di tre stanze. La prima volta che vi aveva messo piede, Kat aveva trovato una casa in condizioni tremende; in due mesi era riuscita a riportarla in vita. E il suo arrivo – o meglio, l'arrivo di Connor – aveva dato nuova vita a Matilda Applegate. «È carina, accogliente» commentò Justin. Kat era frastornata. Comprendeva le bugie, fino a un 11
certo punto: anche lei in qualche occasione aveva dovuto farvi ricorso. Poteva perdonarle, se significava non avere problemi o proteggere chi si ama. Ma che senso aveva raccontare di essere un'altra persona? «Così conoscevi mio nipote Brett?» «Sì, signora. Ci siamo incontrati nei Marines. Quando abbiamo scoperto di essere praticamente vicini di casa, siamo diventati amici.» Connor cominciava a rilassarsi. Si voltò tra le braccia di Matilda e le si sedette in grembo, facendo salire le lacrime agli occhi di Kat. Era un momento speciale, un breve ma monumentale lasso di tempo in cui i dolci occhi marroni di Connor si posavano per la prima volta su Justin. La pregnanza le fece girare la testa. Il figlio che incontra il padre. «Oh, ma guarda; pare che Connor si stia abituando a te. Questo è il figlio di Brett, che presto compirà un anno senza che neanche ce ne siamo accorte.» Kat abbassò gli occhi, il peso della situazione che le piombava sulle spalle. Doveva pensare in fretta, trovare un modo per proteggere zia Mattie. «È tuo figlio?» le domandò Justin. «Sì.» Si alzò in fretta e si avvicinò a Matilda. «Lascia che lo prenda io, zia. Avrai le braccia indolenzite per averlo tenuto per tutta mattina.» Connor non stava dando alcun problema; non era irritabile o agitato, come gli capitava sempre quando c'erano degli estranei in giro. Si aggrappò al collo della madre e lei gli baciò la guancia, prima di voltarsi verso Justin. «Zia Mattie ha da poco avuto un infarto e deve ancora rimettersi del tutto. La notizia della morte di Brett è stata davvero un duro colpo.» «Probabilmente sarei morta» intervenne la donna, «se Kat e Connor non fossero arrivati. Quel tesoro di un bimbo è stato come un angelo disceso dal cielo, venuto a salvarmi la vita.» Justin si alzò. Guardava da una parte all'altra, da Con12
nor a Kat. Il sospetto che Kat si era aspettata gli ravvivò lo sguardo. «Brett non mi ha mai detto di avere un figlio.» Ancora una volta fu Matilda a intervenire. «Perché lui non sapeva di averlo. Kat è venuta qui a cercarlo, per informarlo del bambino, ma ormai era troppo tardi perché Connor conoscesse il suo papà. Da quel momento Kat si è stabilita qui, e si prende cura di me.» «Non hai mai detto a Brett che aveva un figlio» ribadì Justin inchiodandola con lo sguardo. Le rughe d'espressione intorno agli occhi di zia Mattie si tesero per la preoccupazione. «Oh cielo. Ho detto qualcosa di sbagliato?» «No, zia, tranquilla. Va tutto bene» la rassicurò Kat con voce pacata. «Justin era un amico di Brett, possiamo raccontargli la verità.» Lo fissò, sperando di trasmettergli il proprio pensiero. Ora che aveva assorbito l'inganno, non voleva trasferire il danno a zia Mattie. Le emozioni la stavano sconvolgendo come un uragano, ma si costrinse a nasconderle, pur di non ferire ulteriormente la donna. «Ho conosciuto Brett a New York e abbiamo passato del tempo insieme. Quando ho scoperto di essere incinta, ho cercato di fargli avere la notizia oltremare, ma non ho mai avuto alcun riscontro. Così, sono rimasta in città, a lavorare, allevando mio figlio finché... be', finché non ho deciso di venire in Nevada per cercare Brett qui.» Justin studiò il bambino che aveva in braccio prima di riportare lo sguardo su di lei. E Kat mise il guinzaglio alla frustrazione che provava nei confronti dell'uomo che le aveva deliberatamente mentito. «Non ho trovato Brett» continuò in fretta, «ma ho trovato zia Mattie. Conoscere Connor è stata la miglior cura, per lei. La sua salute è migliorata al punto da stupire persino i medici. Non è così, zia?» Matilda si sporse sulla poltrona, annuendo e facendosi il segno della croce. «È un miracolo, ecco cos'è. Connor è un dono di Dio.» 13
Justin chiuse gli occhi un istante, quindi tornò a fissare il bambino con uno sguardo così possessivo da far venire i brividi a Kat. «Ne sono sicuro.» La donna cominciò ad alzarsi. «Ma guarda che maleducata che sono» stava borbottando tra sé. «Vuoi un po' di crostata? Preparo io stessa la marmellata con le mie pesche, e Kat l'ha fatta questa mattina. Metto su anche un po' di caffè, così possiamo parlare di più di Brett.» «Mi spiace, non posso restare» la interruppe però Justin. «La prego, non si alzi. Grazie dell'offerta, ma oggi vado un po' di corsa.» Il viso di Matilda si afflosciò per la delusione. «Però tornerai a trovarci, vero? Mi piacerebbe tanto sentire del mio ragazzo...» Justin squadrò Kat, condannandola con uno sguardo solenne. Perlomeno, però, aveva colto la gravità della condizione di Matilda e stabilito di tenere la bocca chiusa. «Le prometto che lo farò.» Si avvicinò alla donna e si inginocchiò, prendendole dolcemente una mano tra le proprie e concentrando la propria attenzione sulla settantenne che aveva cresciuto Brett dall'età di cinque anni, quando i suoi genitori erano morti in una tempesta mortale. «Bene, bene.» Gli occhi azzurri brillavano di calore; quel guizzo le faceva dimostrare vent'anni di meno. «Sono contenta di poter conoscere un amico di Brett.» «È un piacere anche per me, signora. Brett non faceva altro che parlare di lei. Anzi, con le descrizioni della sua crostata di pesche faceva venire l'acquolina in bocca a tutto il plotone.» «Oh, che caro. La prossima volta che verrai, te ne farò assaggiare un po'.» «Non vedo l'ora.» Rialzatosi in piedi, afferrò il cappello e andò alla porta, voltandosi a guardare Kat. «Se vieni a darmi una mano, ti cambio quella gomma a terra.» «Ma che dolce» osservò Matilda appoggiandosi di nuovo allo schienale. 14
La ragazza si costrinse a sorridere. Il tono autoritario faceva capire che con quell'uomo era meglio non scherzare, ma rammentare che Justin Slade le aveva mentito le fece tornare subito la collera. «Arrivo subito.» Quando Justin fu uscito, posò un altro bacio sulla guancia di Connor e lo piazzò nel recinto a pochi passi dalla poltrona di zia Mattie. «Non ti preoccupare, lo guardo io» la rassicurò la zia. «Grazie. Non ci vorrà molto.» Matilda sbirciò dalla finestra. «Sembra proprio un bravo giovanotto.» E Kat rischiò di strozzarsi con la risposta. «Eh già.» Dopodiché uscì ad affrontare Justin Slade, certa che le scintille non avrebbero tardato a scoppiare. Justin puntò il cric a terra e cominciò a sollevare la vecchia Chevy. Lei si tenne a distanza, osservandolo lavorare con le maniche arrotolate, l'espressione tirata, il sudore che gli imperlava la fronte. A guardarlo in quel momento, era facile spiegare ciò che era successo a New York. Di solito non usciva coi soldati, né con altri uomini che rischiassero di ributtarla nel fosso dal quale si era trascinata fuori a fatica. Puntava in alto e nessuno l'avrebbe fermata. Una volta si era legata a un disgraziato, e la storia non le aveva portato altro che dolore. Ma Brett... o meglio, Justin aveva fascino sufficiente a spingerla a fare un'eccezione. A New York era stata così sola, con un disperato bisogno di un amico – ed era quello che era stato lui, per due interi giorni. Con lui Kat si era aperta, raccontandogli la propria vita, la recente perdita della madre. Justin aveva ascoltato. Aveva capito. Non le aveva fatto pressioni per il sesso, quella prima notte non ci aveva neanche provato: aveva dormito sul divano del suo piccolo soggiorno senza dire una parola. L'indomani avevano scorrazzato per la città, si erano divertiti. Fin dal principio Kat aveva saputo che quel fine settimana non avrebbe portato a niente; non c'era fascino 15
al mondo che le avrebbe fatto rinunciare al proprio sogno: non si sarebbe innamorata di uno squattrinato contadinotto. Con il cric in posizione, Justin inserì la brugola che aveva trovato nel bagagliaio su uno dei bulloni dello pneumatico. Il bullone non si mosse di un millimetro e Justin fece forza, i muscoli che si tendevano nelle braccia a ogni sforzo che imprimeva all'attrezzo. Sul collo emerse una vena quando applicò alla brugola il peso del proprio corpo, facendo finalmente ruotare il bullone in senso antiorario. Quando lo ebbe allentato, si sedette sui calcagni stringendo gli occhi contro il sole abbagliante, quindi la fulminò. «Connor è mio figlio?» «Shh!» si raccomandò Kat girandosi di scatto verso la porta, sperando che Matilda si fosse assopita. «Non farti sentire da zia Mattie.» Justin spostò la brugola sul bullone successivo e lo fece ruotare. «Con quanti uomini sei andata a letto prima e dopo di me?» Uno, ma non intendeva rispondergli. Era certa che il padre di Connor fosse Brett Applegate... o perlomeno l'uomo che lei aveva creduto fosse Brett. «Mi hai mentito. Mi avevi detto di essere Brett.» Terminato di rimuovere i bulloni, Justin si alzò, l'espressione arcigna puntata su di lei. Si avvicinò, i passi lenti e predatori. «Con quanto impegno hai cercato di metterti in contatto con Brett Applegate quando hai saputo della gravidanza?» Il suo tono la fece tremare... ma zia Mattie veniva prima. «Non possiamo parlarne qui. Hai visto zia Mattie: quella povera donna ha avuto già abbastanza dolori in vita sua. Il suo cuore è debole, non può farle che male se sentisse la nostra conversazione.» Lui la inchiodò con tutta la forza dei suoi occhi castani – gli stessi occhi di Connor. Quasi le leggesse nel pensiero, Justin parlò con voce grezza. «Quel bambino ha i miei stessi occhi, gli stessi capelli.» 16
«Shh! Zia Mattie adora Connor. Le ha dato una nuova vita, noi non possiamo... non possiamo parlarne adesso. Se davvero eri amico di Brett, sai quanto bene le voleva. Non avrebbe voluto che le facessi del male. Ed è questo che succederà se tu...» Justin colse l'antifona e riprese a voce più bassa. «Non ho intenzione di far del male alla zia di Brett, ma se quel bambino è mio figlio devo...» «Ti prego...» Justin la fissò a lungo, gli occhi duri come la pietra. «D'accordo, ma dobbiamo parlare. Vieni da me questa sera, al Sunset Ranch. È venti miglia a ovest di qui, ti aspetto per le sette.» Oh no, non poteva andare al ranch, e in quel momento non aveva intenzione di spiegarne le ragioni a Justin. «Non posso venire da te» rispose con voce scossa. «Vediamoci a Silver Springs; c'è una piccola caffetteria che si chiama Blossom, la conosci?» «La troverò. Ci vediamo là alle sette.» «Alle otto. Prima devo mettere Connor a letto; tutte le sere gli leggo una storia e lui si addormenta facilmente. Sarà più facile per zia Mattie se dorme, quando io me ne vado.» L'immagine addolcì lo sguardo di Justin e, per qualche secondo, Kat provò un senso di sollievo che il padre di suo figlio non fosse perso per sempre. «Se non ci sei, vengo a cercarti.» Sul serio? Pensava che l'avrebbe piantato in asso? «Ci sarò. Anch'io voglio delle risposte.» «Le avrai.» Chiuso il discorso, tornò alla macchina per finire il lavoro. Col cuore che batteva all'impazzata, lei tornò in casa. Matilda in effetti stava riposando, grazie al cielo; il piccolo Connor, invece, non appena la vide si puntò sulle ginocchia e, aggrappandosi al bordo del recinto, si sollevò in piedi. Gli occhi gli luccicavano di orgoglio per quel successo e Kat si sentì sopraffare dall'amore. 17
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