FroSissi.indd 1
6-05-2009 11:07:35
Prologo Monaco di Baviera, 24 dicembre 1837 Il palazzo ducale nella monumentale Ludwigstrasse era un tripudio di luci sfavillanti. I lussuosi arredi, i pavimenti di legni pregiati, i variopinti affreschi, gli elaborati stucchi e i finimenti dorati, senza contare l'esotico circo allestito in cortile e il café chantant in stile parigino voluti dal duca in persona, splendevano come non mai in quell'insolita, e magica, vigilia di Natale. I bambini di casa, Luigi ed Elena, Louis e Nené, osservavano la servitù affaccendarsi per tutto il palazzo, e soprattutto attorno alle stanze della madre Ludovica che, già da parecchie ore, giaceva a letto in preda a una strana malattia. Louis, che aveva sei anni, ricordava vagamente che la stessa agitazione c'era stata tre anni prima, quando era nata la sorellina Nené, che adesso lo teneva per mano con aria perplessa, seguita dagli sguardi amorevoli della bambinaia. Di tanto in tanto i due piccoli si riscuotevano dallo stupore e osservavano papà Massimiliano di Wittelsbach, l'eccentrico Duca Max in Baviera - con quella particolare preposizione che distingueva il ramo cadetto dei Wittelsbach da quello regnante di Baviera - camminare inquieto per il lungo corridoio, soffermandosi di tanto in tanto a contemplare uno dei quadri che abbellivano le vaste gallerie dell'edificio. Louis e Nené erano troppo piccoli per intuire che papà si sforzava di placare la propria inquietudine cercando conforto 5
nell'arte, di cui era un appassionato cultore. Mentre la moglie Ludovica, assistita dai medici, lottava contro i dolori del parto, Max tentava di scacciare un'inebriante sensazione che l'aveva accompagnato sin dalle prime ore del mattino, e di cui solo in seguito avrebbe compreso la natura. Non solo quel giorno avrebbe assistito per la terza volta al miracolo della vita, della nascita, ma avrebbe anche presenziato al mirabile avvento di... «Signor duca! Signor duca! Presto, venite!» Le grida di una dama di compagnia della Duchessa Ludovica riscossero Max dalle proprie riflessioni. In quell'istante, le 22.43, per la precisione, tendendo l'orecchio, il duca udì un suono che non mancava mai di emozionarlo nel profondo: il vagito di un bimbo. Ad ampie falcate raggiunse le stanze della moglie e, quasi di corsa, entrò nell'anticamera e quindi nello spogliatoio. Quando giunse sulla soglia del boudoir bianco, i ministri di stato designati come testimoni, le dame di palazzo, i medici, i domestici e, non ultima, Ludovica lo accolsero con uno sguardo raggiante di felicità. Max si avvicinò alla nutrice e al fagottello fra le sue braccia, che strillava come un passerotto affamato. «È una bambina» disse la moglie, con quell'aria stremata ma radiosa tipica delle puerpere. «Una bambina» ripeté Max trasognato, prendendo in braccio la piccola. «Congratulazioni, signor duca. Vostra figlia è bellissima» mormorò la nutrice, gli occhi velati di commozione. «Ed è sana e vispa come un pesce» aggiunse uno dei medici, mentre Max cullava la sua terzogenita. Quanto a Louis e Nené, erano stati finalmente ammessi negli appartamenti della madre e, immobili sulla porta del boudoir, osservavano quella scena inquietante. «È un gattino?» domandò Nené, ancora ignara che, da quel momento, non sarebbe più stata la piccola di casa. E soprattutto che, qualche anno più tardi, la nuova arrivata 6
le avrebbe cambiato la vita, e il destino, per sempre. «No, sciocca, non è un gattino» ribatté il fratello in tono brusco, tentando di mascherare il proprio smarrimento. «Non vedi che è una bambina?» «A me sembra un gattino» insistette Nené che, perplessa, cercò subito la mano della bambinaia alle sue spalle. «Louis, Nené!» esclamò Max scorgendo i figlioletti fermi sulla soglia. «Che cosa fate lì impalati? Venite a salutare la vostra sorellina.» Poi, rivolto alla moglie: «Stavolta hai superato te stessa, Ludovica. Non solo tua figlia è nata di domenica, ma addirittura la vigilia di Natale!». «E non è tutto, Max» dichiarò la donna con un sorrisetto, dando la mano a Louis e Nené che si erano finalmente avvicinati al letto. «Non te ne sei ancora accorto?» «Di cosa dovrei...» cominciò Max, per poi interrompersi di colpo quando vide qualcosa d'incredibile nella figlioletta che cullava in braccio. Sì, quel giorno le invisibili e silenziose fate madrine che presenziavano alla nascita della bambina avevano fatto le cose in grande. Con immensa meraviglia, Max si era infatti reso conto che, nella bocca della piccola, spuntava già un dentino, segno considerato di ottimo auspicio in Baviera. «Buon Dio, Ludovica...» mormorò Max, sbalordito. «Questa bambina è un autentico prodigio. È baciata tre volte dalla fortuna!» Ludovica non poté fare altro che annuire stringendo a sé Louis e Nené, che avevano abbandonato ogni timidezza e già smaniavano per vedere di persona il miracolo. Ma se, in quella notte d'incanto e magia, tutti coloro che salutavano la nascita di Elisabetta Amalia Eugenia di Wittelsbach, duchessa in Baviera, prevedevano per lei ogni bene e felicità, nessuno avrebbe mai potuto immaginare che, qualche anno più tardi, quel piccolo bocciolo di rosa sarebbe divenuta addirittura Imperatrice d'Austria. Era cominciata l'incredibile storia di Sissi.
7
1 IL LAGO INCANTATO Castello di Possenhofen, Baviera, luglio 1847 Un migliaio di diamanti luccicavano sul lago bavarese di Starnberg, specchio d'acqua incantato in cui il sole del primo pomeriggio non smetteva di contemplarsi e pavoneggiarsi. Sicuro del proprio fulgore, dardeggiava senza sosta i boschi circostanti filtrando tra i rami della vegetazione. A dispetto della sua insistenza, e incuranti dei suoi focosi approcci, gli imponenti alberi secolari continuavano a frusciare e stormire, offrendo riparo ai tanti animali che andavano a rintanarsi in quei recessi freschi e silenziosi. In una radura di quell'idilliaca foresta, un magnifico esemplare di lepre bianca stava mangiando l'erba, con il sonoro accompagnamento di un concerto d'insetti, musicisti di un'orchestra che aveva per sapiente direttore la natura con tutti i suoi mirabili segreti. D'un tratto l'armonia del concerto fu guastata da una serie di rumori estranei: lo schiocco di un ramoscello spezzato, qualche passo precipitoso, il crepitio delle foglie calpestate, un sussurro soffocato. La lepre bianca tese l'orecchio e, impaurita, fuggì nel folto del bosco lasciando con un palmo di naso il giovane cacciatore, un bel sedicenne alto e snello. «L'avevo quasi presa!» protestò il ragazzo. «Perché siete 8
venuti a disturbarmi? È tutta colpa tua!» esclamò, lanciando un'occhiata di fuoco a una ragazzina di quasi dieci anni. Minuta, gli occhi castani e lo sguardo lievemente malinconico, la piccola capitanava un drappello di tre bambini, un maschietto di otto e due femminucce di sei e quattro anni, che seguivano la scena con aria perplessa. «Dov'è la Baronessa Wulffen, impiastro che non sei altro?» domandò il giovane cacciatore, sempre più indispettito. «Le avevo raccomandato di tenerti buona per non rompermi come al solito le uova nel paniere!» «Eccomi, signorino Louis...» disse una dama trafelata, giunta solo in quel momento. «Perdonatemi, ma questa monellaccia me l'ha fatta sotto il naso. Lo dico sempre che dovremmo legarla a una sedia per tenerla ferma.» Poi, rivolta alla monellaccia in questione e agguantandone la manina proseguì: «Vi avevo detto di non seguire il signorino. Perché non ubbidite mai? E non solo siete scappata via senza dirmi nulla, ma avete portato con voi persino Carlo Teodoro, Maria Sofia e Matilde!». I tre bambini più piccoli guardavano ora la dama inviperita ora la sorella maggiore che, dopo qualche istante di silenzio, rispose: «E avrei portato anche Sofia Carlotta, se non fosse una neonata. E persino Nené, che come al solito è rimasta a casa ad aiutare la mamma. Dovevamo fermare Louis a tutti i costi. Non si uccide un animale bianco!». Louis abbassò lo sguardo sul fucile e si grattò la testa, smarrito. «E adesso cosa ti inventi?» domandò infine. «È una altra delle tue fantasie?» Ignorando il tono sprezzante del fratello, la ragazzina proseguì: «Secondo una leggenda, chi uccide un animale bianco sarà ucciso a sua volta. Vuoi forse morire, Louis? Pensa come soffrirebbero mamma e papà... e anche noi fratelli. Anche se sei scorbutico, ti vogliamo bene». «Non me ne importa niente delle tue chiacchiere» protestò il fratello maggiore. «Tu sei una mocciosa e credi ancora alle favole, mentre io...» 9
«Tua sorella ha ragione, Louis» sostenne una voce maschile alle spalle della ragazzina. «Papà» gridò lei, voltandosi, «sei tornato dal tuo viaggio, finalmente!» Quindi, lasciando la mano dei fratellini, si gettò fra le braccia del Duca Max, che la strinse a sé con un largo sorriso di soddisfazione. «Le dai sempre tutte vinte a lei, papà» obiettò Louis, sconsolato. «Non è giusto.» «Non mi piace sentirti disprezzare la fantasia» lo rimproverò il duca, lasciando la piccola e carezzando la testa dei figli minori. «Anche quando cresciamo, non dobbiamo mai trascurarla, ricordatelo sempre, Louis. La fantasia è una cosa grandiosa, una forza immensa, un dono divino. L'amministrano per noi tutti gli artisti, i poeti, gli scrittori, i grandi musicisti. Quanto alle favole e alle leggende, ci sono state tramandate dai nostri antenati e quindi sono parte di noi. Molto spesso, anche se ci sembrano irrazionali e assurde, ci mettono in contatto con la vera essenza del creato, con quel mondo invisibile che ci circonda. Tua sorella ha fatto bene a fermarti, se nel suo animo sentiva che stavi sbagliando.» «Ma papà, io volevo solo che tu fossi fiero di me. Volevo sparare a un animale veloce come la lepre per farti vedere che sono un cacciatore provetto.» «Domattina andremo a caccia insieme e potrai rifarti, d'accordo?» propose il duca nel suo consueto tono benevolo. «Anch'io voglio venire a caccia» disse Maria Sofia, saltellando sul posto. «E anch'io, papà» intervenne Carlo Teodoro, Gackel, galletto, come lo chiamavano tutti, lasciando la mano della Baronessa Wulffen, che osservava con affetto condiscendente quella discussione famigliare. Matilde, ribattezzata Spatz, passerotto, perché minuta e delicata, espresse la propria partecipazione con il suo linguaggio infantile comprensibile solo a pochi eletti. «Adesso bando alle chiacchiere» disse Max sistemandosi i baffi con un sorriso di soddisfazione. «Torniamo tutti a casa 10
a vedere come se la sta cavando vostra madre con la piccola Sofia Carlotta. Quella bambina consuma latte per tre... Speriamo che, crescendo, non faccia lo stesso con la birra d'orzo, altrimenti perderò il mio primato di ubriacone nelle osterie del paese.» «Con la mamma è rimasta Nené, non avrà bisogno di noi» spiegò la ragazzina più grande insistendo per salire a cavalluccio del padre. «Restiamo ancora un po' qui, voglio vedere tutti gli animali del bosco!» Dopo qualche istante di riflessione, Max si rivolse alla Baronessa Wulffen. «Voi cosa ne pensate, mia cara? Possiamo sottrarre questi giovani virgulti alle noie dello studio ancora per qualche ora?» «Perdonatemi se mi permetto, Vostra Altezza» rispose la donna in tono rispettoso, «ma è già pomeriggio e, dopo la gita nel bosco, non resterà tempo per riprendere le lezioni. Forse sarebbe più opportuno tornare a casa subito e...» «Ma c'è un sole splendido e l'aria è tiepida» la interruppe Max con un sorriso bonario. «Mi credete un tale aguzzino da impedire ai miei figli di godersi la vita?» La povera baronessa avvampò in volto. «Buon Dio, Vostra Altezza, no, non intendevo suggerire che voi... insomma, non pensavo che...» Max e la ragazzina scoppiarono in una risata, subito imitati da Louis e dai tre più piccoli. «Come siete buffa quando vi lasciate prendere dall'imbarazzo» osservò il duca. «Lo so che molti biasimano me e mia moglie per la libertà che lasciamo ai nostri figli e per la scarsa istruzione che impartiamo loro. Ma io me ne infischio dell'etichetta e delle malelingue. Voglio che i miei figli crescano felici e spensierati. Non voglio che camminino impettiti come principi, devono imparare a muoversi come angeli con le ali ai piedi. Sono un uomo tanto spregevole, secondo voi?» La Baronessa Wulffen gli rivolse un largo sorriso. Sapeva che, se gli aristocratici suoi pari lo criticavano aspramente, il popolo nutriva invece un sincero affetto per Massimiliano 11
Giuseppe di Wittelsbach. Gioviale, allegro, privo di ogni arroganza, innamorato della vita e del prossimo, il Duca Max era amatissimo dalla gente perché, in fondo, era uno di loro e questo lo rendeva un uomo degno di ogni stima. «No, non siete affatto un uomo spregevole, Vostra Altezza. Anzi, sapete cosa vi dico? Se me lo consentite e non sono di troppo, vi accompagnerò volentieri in giro per il bosco.» Ancora una volta, pensava la baronessa, era stata soggiogata dalla contagiosa allegria del duca e dalla fiabesca atmosfera di Possenhofen, dalla magia di quel lago incantato. In qualità di governante si sentiva un fallimento assoluto, non riuscendo mai a imporsi con quei discoli... ma come resistere a tanta bellezza, a tanto amore? «Ben detto, mia cara» affermò Max con un largo sorriso. «Partiamo in esplorazione, dopodiché, quando saremo sazi di panorami e passeggiate, torneremo a casa a farci una bella merenda.» Louis sorrise felice, pensando che forse, in fin dei conti, quel giorno avrebbe potuto sparare a qualche preda, mentre i piccoli Gackel, Spatz e Maria Sofia presero a saltellare dalla gioia. La ragazzina più grande si strinse invece al padre e disse: «Ti voglio tanto bene. Sei il papà più buono del mondo!». «Anch'io ti voglio bene, mia adorata Sissi» disse l'uomo sorridendole. «Pensa sempre questo: quando nella vita avrai dolori e preoccupazioni, vai come ora a occhi aperti per il bosco. E da ogni albero, ogni cespuglio, ogni fiore, ogni animale, la potenza di Dio ti verrà incontro infondendoti forza e consolazione.» «Sono tanto felice di avere un papà come te.» «E io di avere una figlia come la mia Sissi!» esclamò Max con una punta di amarezza pensando al triste momento, mai troppo lontano, in cui avrebbe dovuto darla in sposa e separarsi da lei.
12