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© 2009 Harlequin Mondadori S.P.A., Milano Realizzazione editoriale Amedeo Romeo/Grandi & Associati Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Prima edizione I Grandi Amori Harlequin Mondadori settembre 2009 Questo volume è stato impresso nell'agosto 2009 da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd) I GRANDI AMORI HARLEQUIN MONDADORI ISSN 2036 - 3567 Periodico trimestrale n. 3 del 4/9/2009 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 122 del 16/3/2009 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano
1 Il 27 gennaio del 1641 sembrava che tutta Parigi si fosse data appuntamento davanti a Palazzo Borgogna. Fuori il freddo era pungente, il cielo terso puntellato di stelle pareva una volta di pece nella quale si aprivano minuscole finestre sull'infinito. Dalle bocche dei cavalli legati alle carrozze che si affastellavano davanti al portone uscivano piccoli sbuffi di fumo biancastro. La gente continuava ad arrivare, vociante e allegra, pareva un fiume in piena. Cavalieri, borghesi, servi, nobili, popolani, ladri, venditori ambulanti, chierici, artigiani, artisti, dame e contadine, tutti erano accorsi per ammirare il grande attore Montfleury. Accanto al pesante portone di legno intagliato, vi erano due enormi manifesti rossi sui quali si leggeva in raffinati caratteri dorati: LA CLORESTE, dramma in cinque atti di Balthazar Baro. Non appena le porte si aprirono, la folla iniziò ad affluire. Il salone del palazzo che era stato addobbato per lo spettacolo era ancora in penombra, perciò non se ne poteva ammirare lo splen5
dore. I primi a entrare furono i borghesi e i popolani che, non avendo il posto riservato, erano costretti a presentarsi con ampio anticipo. Un cavaliere si fece largo a passo spedito. Il portiere cercò di fermarlo, per chiedere che pagasse l'ingresso, ma lui, con un gesto di ruvido disprezzo, lo spinse da parte. Vi era un borghese con il giovane figlio, che per fortuna pagò di buon grado il prezzo del biglietto. Se con tanta gente accorsa il portiere alla fine della serata non avesse presentato a Montfleury una somma adeguata, avrebbe dovuto subire l'ira del capocomico, e forse persino perdere quel lavoro di tutto rispetto che gli procurava mance e favori da chi avrebbe fatto carte false per ottenere i posti migliori a teatro. All'improvviso, da qualche parte in cima alla balconata, si udì il grido di una donna. «Lasciami stare, screanzato.» E subito dopo si sentì il rumore di uno schiaffo sonoro seguito da allegre risate. «Ehi» disse un giovane nerboruto, «mi pareva che fino a ieri le mie carezze non ti turbassero poi tanto.» La donna, una vivandiera che era venuta a teatro per vendere i prodotti della sua cucina, si chinò in avanti e sussurrò all'orecchio del giovane in questione: «Qui ci vedranno, sciocco. Più tardi, quando lo spettacolo sarà cominciato, tu mi raggiungerai nel ridotto e a quel punto avrai tutto quello che desideri». Il giovane la spinse via e rise sprezzante. «Ah, no, cara. Sono qui per vedere gli attori io, 6
tu mi servivi solo per ingannare l'attesa.» La vivandiera stizzita si allontanò gridando: «Arance, mele, sciroppo...». In fondo alla sala un ubriacone stappò una bottiglia di vino e, dopo averne bevuta metà con un lungo sorso, si asciugò la bocca con il dorso della mano. Arrivarono anche dei marchesi. «In che posto siamo mai capitati...» borbottò uno di loro, affacciandosi dal palco e rivolgendo un'occhiata disgustata all'ubriacone. Qualche palco più in là due dame strette nei loro corsetti rivestiti di raso ridevano e sussurravano senza sosta mentre guardavano con malizia civettuola un gruppetto di militari appena giunto sul luogo. Questi, accortisi dell'attenzione delle due giovani, si misero a vantare a gran voce le proprie imprese, accrescendo il già assordante frastuono della sala. In quel momento entrò un giovane di bell'aspetto, alto, snello, dal corpo flessuoso. Aveva lunghi capelli neri, quasi corvini, la carnagione olivastra e le sopracciglia folte e ben disegnate degli uomini del Sud. Ma su questo volto meridionale spiccavano come pozze d'acqua due magnifici occhi blu, intensi, impossibili da evitare. Le fiammelle dei lampadari si specchiavano nelle iridi del giovanotto, e conferivano alla sua bellezza un tratto sovrannaturale. Era il Barone Christian de Neuvillette. Lo accompagnava un amico e compagno di scorriban7
de, Lignière, che da quando il barone era arrivato nella capitale si era assunto il ruolo di Cicerone: lo portava a teatro, alle feste, nelle osterie, nella speranza di poter approfittare del fascino del giovane per conquistare a sua volta qualche fanciulla. L'ingresso del Barone de Neuvillette non passò di certo inosservato. Le dame, vedendolo attraversare la sala con passo sicuro ed elegante, si sporsero a guardarlo, e i loro risolini si tramutarono in sospiri. Il Barone de Neuvillette, a dire la verità, non era per niente interessato allo spettacolo in programma per quella sera, era ben altro il motivo che lo aveva spinto ad andare a teatro. Pochi giorni dopo essere arrivato a Parigi per prendere servizio nel reggimento dei Cadetti di Francia, Christian aveva incontrato per strada una ragazza la cui bellezza gli aveva fatto completamente perdere la testa. Le aveva sorriso, e lei aveva risposto al suo timido saluto, ma poi nessuno dei due aveva trovato il coraggio di dire alcunché. Nei giorni successivi i due giovani si erano incontrati di nuovo un paio di volte, un po' meno per caso. Tutti e due si erano informati sul conto dell'altro, ed erano riusciti a conoscere a grandi linee le rispettive abitudini. Quella sera, Christian si aspettava di vedere a teatro la ragazza, di cui però non era riuscito a scoprire il nome. Giunti a quel punto, mancavano ormai pochi minuti all'inizio dello spettacolo ed era iniziata la 8
processione delle nobildonne che entravano a teatro. «Quella è la presidentessa Aubry!» esclamò Lignière, che faticava a trattenere l'eccitazione. «Quell'altra è la signora... santi numi, mi sfugge il nome... ecco la Bois-Dauphine... la Chavigny...» L'uomo si voltò verso Christian. «Non è nessuna di queste?» «No» rispose il barone con fare sconsolato. «No!» ripeté poi. Lignière cominciava a non poterne più. Erano giorni che l'amico lo portava in giro all'inseguimento di questa fantomatica bellezza, e ora lui aveva proprio voglia di andarsene in taverna a farsi una bella bevuta. «Senti, io me ne vado» disse in tono deciso. Proprio in quel momento fu come se la sala, che l'accenditore aveva appena finito di illuminare del tutto, si riempisse di nuova luce. Una giovane di una bellezza semplice ma straordinaria aveva varcato la soglia del Palazzo Borgogna e aveva preso posto nel palco. Una ciocca ribelle dei lunghi capelli biondi, nascosti sotto la cuffia discreta, era scivolata fuori e disegnava un ricciolo d'oro sul biancore lunare della fronte spaziosa. La pelle era bianca e lucente come quella delle bambole di porcellana; due piccoli cerchi cremisi sulle guance, leggermente arrossate dal freddo, contribuivano a conferirle quell'aria di purezza che la faceva assomigliare a un bambina curiosa. Le labbra carnose non combaciavano del tutto, rimaneva tra loro come una sottile fessura, e 9
questa minima imperfezione la rendeva ancora più affascinante. E quando sorrideva! Quando sorrideva pareva che la terra dovesse ammutolire per non disturbare la sacralità di quell'attimo di grazia. Vestiva con semplicità, indossava un abito di seta bianco lungo fino ai piedi, che fasciava la figura sottile ed esaltava le forme dei fianchi e i piccoli seni di madreperla. Quando Christian la vide, per un attimo credette di perdere conoscenza, voleva quasi scappare, la ricordava bella, ma non così bella. Strattonò Lignière, indicò con il dito in direzione della giovane ninfa, poi balbettò: «È... è... è... è lei...». Lignière gli diede un colpo sulla mano. «Che cosa indichi? Vuoi che tutta la sala sappia quanto sei cafone?» «È lei!» ripeté Christian, che pareva incapace di dire qualsiasi altra cosa. Lignière si voltò a guardarla, emise un lungo fischio di approvazione, poi disse: «Hai buon gusto, amico mio». «La conosci?» chiese Christian. Lignière la conosceva. Disse all'amico che si trattava della figlia di un mercante morto alcuni anni prima. La ragazza, il cui nome era Maddalena Robin, si faceva chiamare Roxane, Lignière non sapeva perché. Tutti ammiravano la sua bellezza, ma era considerata un po' strana, dedita com'era allo studio, ai libri, alla poesia e a tutte quelle stranezze che 10
di solito non interessavano troppo le giovani. Quando udì tutte quelle cose, Christian si sentì sprofondare. Un'intellettuale! Lui era un soldato, non ricordava neanche l'ultima volta che aveva aperto un libro, non sarebbe mai riuscito a conquistare una donna appassionata di arte e di poesia. Aveva sperato che lei, come tutti gli altri a Parigi, andasse a teatro per mettersi in mostra, per frequentare la buona società, e non per un reale interesse. Che disastro! Come se quella scoperta non fosse sufficente a scoraggiarlo, Christian vide che Roxane non era sola. Accanto a lei c'era uno strano individuo, un uomo immenso, di cui non era possibile definire l'età. Aveva il viso incipriato; portava una lunga parrucca da cui uscivano comici sbuffi di borotalco; indossava una tale quantità di trine, gale, nastri e merletti, che sembrava impossibile potesse muoversi. «E quello chi è?» domandò Christian, rivolgendosi a Lignière. Ancora una volta l'amico, che sembrava davvero ben informato, spiegò che si trattava del Conte de Guiche. A quanto pareva il conte era perdutamente innamorato di Roxane, ma era sposato con la nipote del Cardinale Richelieu. Il Cardinale Richelieu era uno degli uomini più potenti di Francia, da più di vent'anni faceva parte del consiglio di Re Luigi XIII, di cui senza alcun dubbio era il consigliere più influente. Nominato segretario di stato alla guerra e agli affari 11
esteri, era stato il principale fautore dell'ingresso della Francia in quella che in seguito sarebbe stata detta Guerra dei Trent'anni. Se questo Conte de Guiche era imparentato con il Cardinale Richelieu, doveva essere a sua volta un uomo molto potente. Christian, poco abituato ai sotterfugi e agli inganni della capitale, non capiva proprio come un uomo sposato potesse mostrarsi in pubblico con un'altra donna, di cui per giunta si diceva perdutamente innamorato! Sentiva il sangue che gli affluiva alla testa. Lignière spiegò che il conte avrebbe voluto che Roxane sposasse un certo Visconte di Valvert, l'individuo untuoso che divideva il palco con i due. Valvert, al contrario di de Guiche, era magrissimo, e aveva una boccuccia tanto antipatica che sarebbe risultato difficile anche al più mite degli uomini non schiaffeggiarlo apertamente. Christian, educato all'onore e al rispetto delle regole, e poco avvezzo agli intrighi dei nobili che vivevano nella capitale, non riusciva proprio a capire come mai de Guiche volesse che la ragazza che diceva di amare sposasse un altro. Lignière gli posò una mano sulla spalla e si rivolse a lui come se parlasse a un bambino. «A Valvert le ragazze non... diciamo... interessano. Mentre gli interessa molto l'amicizia con un personaggio influente come de Guiche, legato al cardinale... mi spiego?» «No» rispose Christian. «Ah, mi farai perdere la testa, tanta purezza 12
d'animo può essere esasperante, sai?» disse Lignière. «Se Roxane dovesse sposare Valvert» proseguì, «de Guiche potrebbe incontrarla a suo piacimento, evitando di incorrere negli strali di un marito geloso, e allo stesso tempo preservare il proprio matrimonio, senza il quale non avrebbe mai fatto la carriera che ha fatto.» «Vergogna» sussurrò Christian. In quel momento un brusio crescente, seguito da un improvviso silenzio, annunciò l'imminente arrivo degli attori e l'inizio dello spettacolo. La scena di apertura prevedeva subito l'intervento del grande Montfleury. Nella sala la tensione era palpabile, non solo per l'interesse suscitato dalla performance del grande attore, ma anche per una vicenda molto gustosa che risvegliava la curiosità di tutti quanti, nobili e popolani, ricchi e poveri, borghesi e artigiani. A quell'epoca si aggirava per Parigi un personaggio curioso, amato dalla gente semplice, temuto dai potenti, rispettato da tutti. Sto parlando del capitano dei Cadetti di Guascogna, il leggendario Cyrano de Bergerac, poeta, spadaccino, scienziato e musicista. La passione di Cyrano per la poesia e il teatro era inferiore solo alla sua bruttezza, ed egli amava a tal punto le arti della scena da considerare come un affronto personale il fatto che qualcuno calcasse le tavole del palcoscenico senza possedere quelle doti che, a suo insindacabile parere, erano indispensabili per esercitare la nobile professione dell'attore. 13
Tra tutti i teatranti ce n'era uno che il nostro Cyrano odiava particolarmente, e costui era proprio Montfleury. Il capitano dei guasconi non si perdeva una sola interpretazione del famoso mattatore, e non mancava mai di insultarlo, fischiare a pieni polmoni e aizzare il pubblico contro quello che lui definiva un emerito pallone gonfiato. In occasione dell'ultima recita di Montfleury, Cyrano era persino saltato sul palco, aveva minacciato il poveretto e gli aveva intimato di non mettere più piede sul palcoscenico per un mese almeno. Quando gli attori salirono sul palcoscenico, tutti i presenti cercarono Cyrano tra la folla e, non vedendolo, si convinsero che il poeta spadaccino si fosse stancato dei continui battibecchi con il vecchio capocomico e avesse deciso di trascorrere diversamente la serata. Lentamente, accompagnato da una dolce melodia di violini, si levò il sipario. In piedi al centro della scena, Montfleury, in posa drammatica, si preparava a deliziare il pubblico con l'interpretazione di Fedone, il protagonista maschile della Cloreste. In quel preciso momento si udì una frase nel buio. «Non osare aprire bocca, vecchio guitto.» Tutti quanti si voltarono nella direzione da cui proveniva la voce, ma non c'era bisogno di scorgere il personaggio che aveva pronunciato l'improperio, altri non poteva essere che il famigerato Cyrano de Bergerac. 14
La platea cominciò a rumoreggiare, ma nessuno tra il pubblico era realmente infastidito dall'intrusione, lo spettacolo che il guascone avrebbe offerto sarebbe stato di certo all'altezza, e forse anche migliore, di quello per cui avevano pagato il biglietto. I maligni insinuavano persino che il recente successo di pubblico di Montfleury dipendesse proprio dal fatto che la gente andava a vederlo nella speranza di assistere a una schermaglia con Cyrano. Solo Roxane si incupì in volto all'udire il temerario guascone, e mentre i due uomini che l'accompagnavano presero a borbottare parole di sdegno nei confronti di Cyrano, ella si ritrasse leggermente, alquanto preoccupata e infastidita dalla scena. Montfleury era tutto rosso in volto e sembrava sul punto di svenire lì in mezzo al palcoscenico, ma era convinto che qualcuno sarebbe intervenuto in suo soccorso. La sera prima, infatti, aveva cenato a casa del Marchese de Rigaud, e aveva manifestato tutti i propri timori. «Non sono sicuro che sia opportuno che io reciti domani a Palazzo Borgogna» aveva detto. «E lascerete forse che un guascone vi impedisca di esprimere la vostra somma arte?» aveva ribattuto il marchese a quelle parole, con un vago accento canzonatorio. «No di certo» aveva risposto Montfleury, ma gli tremavano le gambe al solo pensiero di ciò che lo aspettava. 15
E ora, con grande sorpresa di Montfleury, il marchese non batté ciglio, se ne rimase seduto nel suo palchetto, con le labbra ritorte in un sorrisetto divertito. L'attore, sempre più spaventato ma desideroso di recuperare la propria dignità davanti a quelle centinaia di occhi puntati su di lui, riprese la postura del personaggio e si accinse a pronunciare la battuta di apertura, ma subito Cyrano lo interruppe. «Non ci provare, sai!» esclamò. La gente si voltò divertita, qualcuno accennò persino a un applauso, al quale il nostro guascone rispose con un inchino cortese. Non si poteva certo dire di lui che passasse inosservato. Era un personaggio a dir poco bizzarro. Portava un cappello a tre punte e il mantello sollevato dietro dalla spada, come la coda di un gallo. Ma ciò che colpiva sopra ogni altra cosa era il suo naso! Non lo si poteva vedere senza esplodere in un grido di stupore. Chi lo guardava per la prima volta pensava: È finto, ora se lo toglie. Ma non era affatto finto, e il signore di Bergerac non se lo toglieva mai. Anzi, lo portava con ostentata fierezza. Lo aveva così fin da bambino, si era abituato a conviverci, troneggiava sul suo volto ossuto come una piramide in mezzo al deserto, e se qualcuno osava guardarlo un istante più a lungo di quanto fosse lecito, poteva essere certo di finire ricoverato nel più vicino ospedale. 16
Cyrano sfoderò la spada, corse verso il palco, vi salì con un balzo e appoggiò la punta del fioretto sul ventre prominente dell'attore, poi sussurrò, ma abbastanza forte perché la platea lo udisse: «Montfleury, se non sposti immediatamente la tua carcassa maleodorante da queste sacre tavole, mi vedrò costretto a farti a fette». Montfleury cercò di mettere insieme quel poco di dignità che gli era rimasta, rivolse un'occhiata implorante a de Rigaud e farfugliò: «Signore, stiamo offrendo uno spettacolo increscioso...». «Bravo!» gridò de Rigaud a quel punto, ma si aveva il sospetto che lo stesse prendendo in giro, l'espressione sul suo viso tradiva una simpatia per il guascone. Il signore di Bergerac, udite le parole del mattatore, cantilenò con estrema cortesia: «Increscioso è lo spettacolo che voi ogni sera propinate a questo pubblico anestetizzato dalla noia». A quel punto, un giovane cavaliere smanioso di mostrare il proprio valore per attirare l'attenzione di una ragazza che gli stava a cuore si alzò seguito da un manipolo di compagni altrettanto temerari, si fece largo in mezzo alla platea e gridò: «Messere, noi siamo venuti qui per vedere lo spettacolo, e non vi permetteremo di impedircelo». Si rivolse poi a Montfleury. «Maestro, vi prego, riprendete la recita, penseremo noi a questo guastafeste.» Cyrano si sedette sul bordo del palcoscenico. «Voi? Voi chi?» domandò. «Io e i miei amici» rispose il giovane. «Ah, capisco. Voi e i vostri amici...» mormorò 17
Cyrano. «E come pensereste di farlo?» Il cavaliere guardò i propri compagni. «Buttandovi fuori dalla sala, se necessario» ribatté spavaldo il giovane. Cyrano rise. «Buttandomi fuori dalla sala? Bene.» Si alzò in piedi ed estrasse un piccolo quaderno e una penna dalla tasca del mantello. «Vedete miei giovani amici, io ho l'abitudine di segnare su questo taccuino i nomi delle persone che verranno trafitte dalla mia spada. Accanto a quelli che, ahimè, non sopravvivranno, traccio una piccola croce nera, e più tardi, nella quiete della mia stanzetta, io redigo per loro un commosso e sentito epitaffio.» Cyrano, che, come tutti sapevano, non aveva mai perso un duello in vita sua, fece sibilare la spada davanti al naso. I cavalieri non sembravano più tanto sicuri. «Allora, chi di voi vuole aprire la lista? Voi signore?» Indicò il cavaliere che gli aveva parlato. Questi abbassò lo sguardo. «No?» Si rivolse a un altro giovanotto. «Voi?» L'uomo scosse la testa. «No?» Cyrano guardò l'intera platea. «Avanti, chi vuole duellare con me?» chiese. Nella sala calò un silenzio spettrale. Nessuno osava muoversi, per timore che qualunque gesto potesse essere frainteso e provocare l'ira del guascone. «Non una sola mano alzata? Non un nome?» Attese ancora qualche secondo, scrutando negli occhi a uno a uno tutti i presenti, e quando nessuno si mosse, concluse: «Bene, allora proseguia18
mo da dove io sono stato interrotto». Rinfoderò la spada e posò una mano sulla spalla di Montfleury. «Ascolta, bestia incompetente, ti do cinque secondi per lasciare il palcoscenico, poi... sei morto!» Montfleury sudava e tremava come una foglia. La platea riprese a rumoreggiare. Montfleury tentò di farfugliare: «Signore, io credo che dovrei...». Cyrano non si mosse di un millimetro. «Io... io ho ap... appoggi importanti» balbettò l'attore. Cyrano sorrise, beffardo. «E quindi?» disse. «E quindi voi dovreste stare attento a parlarmi così.» Cyrano gli rivolse un'occhiata truce. «È forse una minaccia?» Gli girò attorno come se volesse studiarlo attentamente. «Ho sentito dire che siete amico intimo del Duca di Candale.» Montfleury annuì e sussurrò: «Sì». Cyrano si chinò verso di lui. «Parla più forte, sei in un teatro ed è bene che il pubblico ti senta.» L'attore si voltò verso Cyrano e, per la prima volta, lo guardò in faccia. Il guascone fece un balzo all'indietro. «Mi hai guardato il naso!» urlò. «N... no...» balbettò Montfleury, terrorizzato «No, cosa?» «Non vi ho guardato il naso.» «Mi prendi forse per matto?» 19
«No» rispose Montfleury, che non sapeva più cosa dire, poiché era certo che qualunque parola avesse pronunciato si sarebbe messo nei guai, e non si sbagliava. «Allora se non sono matto, e ho detto che mi hai guardato il naso, vuol dire che mi hai guardato il naso. Giusto?» «Sì» disse l'attore. «Sì?» ripeté Cyrano. «Mi hai guardato il naso? Cos'ha che non va il mio naso?» Si fermò di colpo. «È grande?» «No» rispose Montfleury con enfasi esagerata. «Come no?» ribatté Cyrano. «È piccolo?» Si voltò verso la platea perché tutti ammirassero la sua proboscide. «Io ho un naso piccolo?» Nessuno osò ridere; tutti sapevano che sul naso di Cyrano de Bergerac era bene non scherzare. Mai! Fu a quel punto che il Conte de Guiche decise che era giunto il momento di intervenire. Fino ad allora era rimasto seduto impassibile nel suo palco riservato, in mezzo tra Roxane e Valvert. Aveva assistito allo spettacolo, con un pizzico di fastidio ma evitando di commentare, per non rischiare di scontentare la bella Roxane, che pareva già piuttosto turbata dalla scena. Roxane era infatti cugina di Cyrano e da bambina aveva spesso trascorso l'estate a giocare spensierata a Bergerac, nella tenuta di campagna che era appartenuta alla famiglia del cugino. I due erano molto legati, e de Guiche temeva che, se avesse mostrato disprezzo per il guascone, si sarebbe inimicato la giovane. Ma ora la 20
situazione era degenerata, il conte era un personaggio pubblico, imparentato con Richelieu, e non poteva permettere che quello spaccone trasformasse Parigi nel proprio pollaio, comportandosi come se fosse il padrone indiscusso della città. Scese in platea e si fece largo tra le sedie, seguito dal suo tirapiedi, Valvert. La folla era ammutolita. Quante emozioni, quella sera! Erano tutti curiosi di scoprire se Cyrano avrebbe avuto il coraggio di comportarsi da spaccone anche di fronte a un potente come de Guiche. «Signore di Bergerac» chiamò de Guiche. Cyrano si voltò. «Dite a me?» chiese. «Ci sono altri signori di Bergerac in questa sala?» rispose de Guiche, cercando l'approvazione del pubblico. Valvert annuiva come se il conte avesse mostrato una straordinaria sagacia. «No, in effetti io sono l'unico, signore» ammise Cyrano. «E allora dico a voi, sì.» «E per quale ragione mi chiamate?» «Vorrei invitarvi a porre fine allo spettacolo che state dando, non si addice a questo luogo.» «Siamo in un teatro, signore, dove altro dovrei dare spettacolo?» Il pubblico rise. «Ci sono delle signore, messere, e non tollero che siano costrette ad assistere a manifestazioni di brutale violenza» si stizzì de Guiche. Cyrano si voltò verso il palco dove si trovava 21
ancora Roxane. Si inchinò nella sua direzione. La ragazza si portò il ventaglio davanti al viso, per celare il rossore delle guance. «Se ho infastidito qualcuna di queste nobili gentildonne, chiedo umilmente perdono.» Dietro il ventaglio, la bocca di Roxane si increspò in un sorriso. «A mia parziale discolpa, vorrei dire loro che non sono io a decidere per le mie azioni, il mio carattere irruente e il mio implacabile amore per la bellezza mi costringono a schiaffeggiare gli stolti.» Sollevò la mano, sembrava quasi che intendesse colpire il conte in volto, ma per fortuna intervenne Roxane. «Cugino» disse con dolcezza, decisa a evitare che la situazione si complicasse ulteriormente. «Penso che lo spettacolo sia finito. Che ne dite?» «Cugina» rispose Cyrano, e si tolse il cappello, «penso che quando voi dite che lo spettacolo è finito, allora è proprio ora di calare il sipario.» Roxane sorrise di nuovo. «Bene.» Cyrano abbassò lo sguardo. «Potrete perdonarmi, cara cugina?» «Certo» rispose Roxane con voce ferma, vincendo l'imbarazzo di dover parlare di fronte alla folla. «E sono sicura che il mio accompagnatore, il Conte de Guiche, farà in modo che chi di dovere dimentichi l'accaduto.» «Cara cugina, accetterò il vostro consiglio, ma sia chiaro non perché io tema il conte o il Duca di Candale, solo perché siete voi a domandarlo.» «Non ne ho alcun dubbio, Cyrano de Bergerac non teme nessuno, nemmeno il più potente tra i 22
nobili parigini. Ma Cyrano de Bergerac è anche un uomo gentile, e se è una donna a chiedergli di rinfoderare la spada, non può rifiutare» annuì Roxane. «È così, infatti» mormorò Cyrano. E si inchinò. Partì un applauso scrosciante, e il siparista ebbe la bella idea di calare la tela, ponendo definitivamente la parola fine allo spettacolo. Christian, quando aveva visto che Roxane era rimasta sola, in un impeto di improvviso coraggio si era lanciato verso i palchi, ma si era immobilizzato sulle scale con il cuore in gola per l'emozione che gli aveva suscitato ascoltare la voce dolce della sua amata. Ora riprese la salita, ma quando arrivò era già tardi: vide Roxane di spalle che camminava accanto ad altre due dame. Non avrebbe avuto il coraggio di parlarle in pubblico. Emise un sospiro triste e tornò da basso. Mia adorata, vi ho vista ieri sera a passeggio per il boulevard in compagnia della vostra governante. Ho avuto la tentazione di avvicinarvi, di svelare finalmente il mio cuore e di farvi conoscere il volto di colui che vi ama, ma quando sono arrivato a pochi passi da voi, ancora una volta non ne ho avuto il coraggio. Vi ho seguita, perdonate la mia impudenza, però non ho potuto evitarlo. Indossavate un abito di seta color avorio; ciò mi ha indotto a paragonarvi nel mio cuore a uno di quei cigni che solcano alteri le acque dei laghetti 23
nei giardini del re. Il sottile nastro rosso che vi cingeva il collo esaltava la lucentezza della vostra pelle, come una vivida goccia di sangue sulla gelida coltre di neve che si posa a coprire la mia anima ogni istante che trascorro lontano da voi. VerrĂ un giorno in cui l'umile servitore che io sono troverĂ il coraggio di uscire allo scoperto, nel frattempo, vi prego, accettate queste mie parole e l'amore di chi di voi vive e per voi morirebbe all'istante. Il vostro devoto Uomo della Luna
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