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© 2009 Harlequin Mondadori S.P.A., Milano Realizzazione editoriale Roberta Marasco/ Grandi & Associati Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Prima edizione I Grandi Amori Harlequin Mondadori settembre 2009 Questo volume è stato impresso nell'agosto 2009 da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd) I GRANDI AMORI HARLEQUIN MONDADORI ISSN 2036-3567 Periodico trimestrale n. 4 del 18/9/2009 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 122 del 16/3/2009 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano
Prologo Ginevra, 1760 L'Albergo delle Bilance era il migliore di Ginevra e Casanova vi fu alloggiato magnificamente. L'ultimo tratto del viaggio era stato piacevole, grazie alla conversazione di un pastore della Chiesa di Ginevra, a cui il veneziano aveva dato un passaggio in carrozza. Casanova era riuscito a farlo arrossire, con le sue provocazioni, ma il pastore gli aveva tenuto testa. Non appena entrato in camera, Casanova si sedette e ripensò a tutto ciò che doveva fare. Era impaziente di incontrare Voltaire, il grande filosofo, a cui avrebbe fatto visita al più presto. Prima, però, doveva occuparsi di faccende più sgradevoli ma necessarie, come passare dal banchiere e farsi rilasciare una lettera di credito valevole per Marsiglia, Genova, Firenze e Roma, in modo da assicurarsi il sostentamento economico per le settimane a venire e avere quindi la certezza di potersi pagare ogni diletto, senza privarsi di nulla. Casanova aveva solo trentacinque anni e molti gliene restavano ancora davanti. Eppure, forse perché aveva iniziato così giovane a godersi la vita o forse perché non si era mai risparmiato nel procurarsi piace5
re, talvolta gli capitava di sentirsi provato ed esausto, di sentire il peso di tanti affanni e godimenti. L'uomo è libero, amava ripetere, ma non lo è se non crede di esserlo. E lui si considerava libero, non era schiavo delle proprie passioni come non lo era del proprio destino. Li governava entrambi. Nella sua libertà , aveva scelto di agire seguendo l'impulso del sentimento e mai per calcolo. Il sentimento, infatti, lo aveva sempre avvicinato a se stesso, alla persona che era davvero e che desiderava continuare a essere. Il calcolo, al contrario, lo aveva sempre allontanato da sÊ, lo aveva reso un uomo distaccato, molto diverso dalla sua vera natura passionale. Casanova non era mai distaccato. Lo si poteva rimproverare di molte cose, ma non di essere indifferente. Le donne che lo avevano accusato di esserlo, non lo avevano conosciuto davvero. Credevano che lui passasse dall'una all'altra per indifferenza, quando non era affatto cosÏ. Era vero proprio il contrario. Come poteva essere indifferente, quando regalava tutto se stesso alla gioia dei sensi? Come poteva essere accusato di freddezza, se si era quasi sempre innamorato delle donne che aveva posseduto, almeno di quella specie di amore che rende ciechi e folli e dimentichi di tutto tranne che del presente. Un amore passeggero, d'accordo, che spesso non copriva neppure lo spazio di una notte, ma non era forse anche quello amore? Casanova inseguiva i piaceri, da sempre. Inseguiva i piaceri e non le pene, sulle quali cercava di soffermarsi il meno possibile. Che senso aveva, del resto, fare diversamente? I piaceri, nel ricordo, si rinnovano, tornano ad accendere i sensi e a illuminare l'animo di chi li ricorda. Le pene, invece, a distanza di anni fanno solo sorridere, non sono che una pallida traccia del 6
tormento che procurarono tanto tempo prima. Casanova era perso in questi pensieri, in uno dei rari momenti di inattività, quando un suono ovattato ruppe il silenzio in cui era immerso l'albergo. Incuriosito, si alzò e andò alla finestra. Scostò la tenda e guardò fuori. Era ormai quasi sera e le strade erano deserte, come sospese nella quiete in attesa del sonno. Nella penombra, però, comparve una carrozza. Attraversò la piazza e si fermò davanti all'ingresso dell'albergo. Casanova restò a guardare, incuriosito, e vide un piede femminile posarsi sul predellino della carrozza, seguito dalla rapida apparizione di una magnifica gamba, rivelata dal gesto di sollevare le vesti per smontare con più agilità. Lui sorrise. La sua permanenza in albergo prometteva di essere interessante. Ma proprio quando stava per scoprire il volto della nuova ospite, impaziente di vederne i lineamenti sotto l'ampio cappello, notò qualcosa sul vetro della finestra. Qualcosa che lo colpì con la violenza di uno schiaffo. Così forte, che Casanova era certo di essere arrossito. Sul vetro, incisa in una grafia tremolante ma perfettamente leggibile, c'era una scritta. Una scritta che lui conosceva bene e che fece sussultare il suo cuore, così poco avvezzo a essere turbato. Le parole erano state affidate al vetro con la punta di un diamante e lui sapeva perfettamente a chi appartenevano le dita che avevano stretto la pietra, tanti anni prima. Casanova socchiuse gli occhi e passò un polpastrello su quella calligrafia tanto amata, come un cieco che cerchi di leggere ciò che ha davanti. ANCHE DI HENRIETTE TI DIMENTICHERAI Henriette, cara Henriette. Come aveva potuto avere 7
tanta ragione? Come era riuscita a conoscerlo meglio di quanto si conoscesse lui stesso? Casanova si guardò intorno nella stanza. Non l'aveva riconosciuta. Non ricordava neppure di essere sceso in quello stesso albergo con lei, in quel terribile giorno di inverno. Ma certo. Ora, a guardarla con occhi nuovi, tutto gli tornava alla memoria. Il letto dove i loro corpi si erano distesi insieme per l'ultima volta, il cuscino dove aveva visto riposare quel volto meraviglioso e dove poi aveva cercato il suo profumo, disperato, fra le lacrime, affondandoci il viso e riversandoci tutta la propria disperazione. Henriette. Nobile e dolce Henriette. Casanova aveva mantenuto la promessa che lei gli aveva imposto, la più difficile che avesse mai dovuto fare a qualcuno. E probabilmente anche una delle poche che avesse mantenuto davvero. In quello, almeno, le era stato fedele. E che fedeltà crudele, quella che ti strappa via per sempre l'oggetto del tuo amore e del tuo desiderio. Casanova guardò di nuovo nella piazza, fuori dalla finestra, ma la carrozza era già scomparsa e così pure la sua proprietaria. Lasciò scorrere un'ultima volta il dito sulle parole incise dal diamante e a un tratto incrociò il proprio riflesso sul vetro. Era cambiato molto da quando aveva amato Henriette? Mentre si guardava negli occhi, in quegli occhi che sapevano sedurre anche la più reticente delle donne e conquistarsi le simpatie del più diffidente degli uomini, ebbe il dubbio di essere cambiato. Non solo, di non essere più degno di possedere una donna come Henriette. Gli pareva addirittura impossibile, osservando le labbra sottili e sensuali del suo viso, avere avuto dentro di sé la dolcezza di quei mesi incantevoli, la capacità di innamorarsi al punto da arrivare allo smarri8
mento dei sensi, l'integrità morale che è componente essenziale di una relazione amorosa, soprattutto una relazione esclusiva e intensa come quella fra lui ed Henriette. Ebbene sì, quello per Henriette era stato davvero amore. E al confronto, ogni altra passione impallidiva. Era stato un amore unico e raro, di quelli che non si misurano né per intensità né per durata. Non si misurano e basta. Tutt'al più, con molta fortuna, si possono contare, ma sempre sulle dita di una mano. Casanova non aveva avuto quella fortuna. Di amori come quello ne aveva provato uno solo ed era stato talmente travolgente e straziante, che alla fine aveva preferito dimenticarlo, nasconderlo a se stesso. Per la prima volta, Casanova percepì il trascorrere del tempo, provò un doloroso senso di perdita per tutti gli anni che gli erano sfuggiti e che si erano portati via una parte di lui. Era ancora capace di amare, certo, ma una parte di lui era diventata irraggiungibile e non si sarebbe mai più offerta con lo stesso candore e la stessa assolutezza con cui lo aveva fatto per Henriette. Casanova sospirò. Poi uno scalpiccio di piedi fuori dalla porta della sua stanza gli ricordò che mancava poco all'ora di cena e che doveva prepararsi. Con un po' di fortuna, la nuova ospite dell'albergo sarebbe scesa a cena e gli avrebbe finalmente rivelato il suo viso e concesso i suoi occhi. Anche i suoi occhi.
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1 UN RISVEGLIO BURRASCOSO Cesena, 1749 All'alba, un frastuono improvviso lo strappò al sonno. Confuso, Casanova si sollevò a sedere sul letto. Gli ci volle qualche istante per riconoscere la natura di quel suono. Proveniva dal corridoio. Erano colpi violenti, sferrati contro la porta della stanza accanto alla sua. Qualcuno bussava con insistenza e intimava agli ospiti all'interno di aprire. Qualche istante dopo, il baccano si spostò dentro la stanza, oltre la parete. Casanova scese dal letto e andò alla porta, per capire che cosa stesse succedendo. Quando aprì l'uscio, vide l'oste insieme a un gruppo di arcieri del vescovo. Dall'interno della stanza provenivano ora alcune urla in latino. Si avvicinò e scorse un nobiluomo anziano con un berretto da notte, seduto a letto e ancora fra le lenzuola, che agitava il pugno in direzione dell'oste. «Che accade?» chiese Casanova all'oste. «Che ragione avete per disturbare il sonno dei vostri ospiti?» L'oste, un uomo corpulento, lanciò un'occhiata indignata verso la stanza. «Quest'uomo è a letto con una 10
donna e gli arcieri del vescovo sono venuti a informarsi se è sua moglie, come è loro preciso dovere.» Casanova guardò di nuovo all'interno e in effetti vide che accanto al nobiluomo c'era una sagoma in rilievo, nascosta dalle coperte. Prima non l'aveva notata. «Se la donna è sua moglie, quest'uomo non ha che da presentare il certificato e la cosa sarà risolta. Altrimenti andranno in prigione, entrambi» concluse l'oste, annuendo soddisfatto, come se la responsabilità dell'ordine morale di quell'albergo, se non dell'intera città, ricadesse interamente sulle sue spalle. «Come hanno fatto a forzare l'uscio della camera?» chiese Casanova, lanciando un'occhiata alle guardie. «Non lo hanno forzato» rispose l'oste compiaciuto, «sono io che ho aperto la porta. Era mio dovere.» Casanova non poteva credere alle proprie orecchie. Sapeva che in molti alberghi le stanze erano senza serrature, ma non ne aveva mai indovinato la ragione. A quanto pareva era così per obbedire agli ordini del Santo Uffizio. Per evitare che gli stranieri potessero chiudersi dentro, magari con un individuo dell'altro sesso che non era unito a loro in matrimonio. Quell'intrusione nella sfera privata altrui gli pareva un'infamia che gridava vendetta. «Siate gentile» proseguì l'oste. «Sembra che questo signore non capisca altra lingua che il latino. Se voi lo parlate, volete essere così cortese da spiegargli la situazione e cercare di fargli intendere ragione?» Casanova accettò, più per rendere un favore al nobiluomo sorpreso a letto che per facilitare le cose all'oste. Così entrò nella stanza e spiegò all'uomo come stavano le cose. Quando ebbe terminato di parlare, l'altro reagì in modo inaspettato e scoppiò a ridere. «Nessuno può sapere se la persona che si trova con 11
me è una donna» disse. «È entrata in albergo in abiti da uomo.» Casanova sollevò le sopracciglia, perplesso. «Non basterà a dissuadere l'oste, temo» rispose. «Non ho alcuna intenzione di rendere conto a nessuno di ciò che accade nel mio letto.» A quel punto, Casanova gli fece presente che molto probabilmente la faccenda si sarebbe potuta risolvere sborsando qualche zecchino e mettendo tutto a tacere, ma l'uomo sbottò, ancora più indignato, e disse che non aveva intenzione di tirare fuori neanche un soldo e che anzi avrebbe preteso le scuse dell'oste. Solo allora Casanova si guardò intorno nella stanza e vide in un angolo una sciabola e un abito che pareva un'uniforme ungherese. Dunque quell'uomo era un ufficiale. L'affronto subito quindi era ancora più grave. Intanto, la sagoma sul letto era sempre immobile, nascosta dalle coperte. Spuntava soltanto una ciocca arruffata di capelli scuri. «Andrò dal vescovo» disse d'impulso Casanova. «Chiederò che intervenga nella questione e la risolva nei dovuti modi.» L'ufficiale lo guardò riconoscente. Lo stesso Casanova era stupito dal proprio slancio. Doveva ammettere che non era solo l'indignazione morale a spingerlo ad assumersi quell'onere. C'era anche e soprattutto la curiosità di scoprire chi si celasse sotto le coperte. L'oste e gli arcieri del vescovo non ebbero altra scelta che rimandare la questione a dopo il colloquio e se ne andarono, tutti tranne due arcieri, che restarono in corridoio. Casanova non perse tempo, mosso dalla curiosità più che dall'ansia di giustizia. Indossò la redingote e uscì senza neppure pettinarsi. 12
Un paio d'ore più tardi era di ritorno, ansioso di riferire al capitano ungherese l'esito positivo del colloquio. Sulla porta della locanda, per poco non andò a sbattere contro un ufficiale, che evidentemente aveva ancora più fretta di lui, almeno a giudicare dalla sua andatura. L'ufficiale quasi lo spintonò, costringendosi a farsi da parte. Casanova si aspettava perlomeno delle scuse, ma l'altro non alzò neppure gli occhi da terra. Indignato, avrebbe preteso una riparazione a quel torto, in circostanze differenti. Ora, però, aveva già un contenzioso aperto con l'oste e non gli sembrava opportuno aggiungere un altro motivo di conflitto alla sua permanenza nella locanda. Si limitò dunque a lanciare un'occhiataccia all'ufficiale e lo seguì con lo sguardo per un tratto, nella speranza che si voltasse, per poterlo vedere in viso. L'altro, però, non lo fece. Subito prima di voltarsi di nuovo e varcare la porta della locanda, Casanova ebbe una strana sensazione. C'era qualcosa, in quell'uomo così villano, che non lo convinceva, che gli sembrava fuori posto, ma non riusciva a capire che cosa. Casanova si girò di nuovo, per guardare l'ufficiale, ma questi era già scomparso. Giunto in corridoio, Casanova vide che l'uscio della stanza accanto alla sua era ancora socchiuso, così bussò ed entrò. Il capitano aveva indossato l'uniforme ed era in piedi accanto al letto. Casanova lanciò subito un'occhiata al letto e fu deluso quando si accorse che era vuoto. La sagoma sotto le coperte non c'era più e il letto era stato riordinato, come se non vi avesse dormito nessuno. Dopo aver informato il capitano che presto avrebbe potuto ripartire e lasciare l'albergo con onore, Casanova cercò di ottenere qualche informa13
zione in più sull'oggetto della sua curiosità. «Anche la persona che viaggia con voi è ungherese?» chiese, impaziente di scoprire qualcosa. «No, è francese» rispose l'ufficiale, senza dare indizi circa il sesso della persona in questione. Davanti a quell'informazione, lui reagì con perplessità. Se l'ufficiale parlava francese, che motivo aveva avuto di far credere all'oste che non era così? Sarebbe stato molto più facile e conveniente parlare a quell'uomo nella sua stessa lingua e risolvere la questione senza dover coinvolgere degli estranei. Il capitano gli sembrava un uomo intelligente, oltre che orgoglioso e fiero. Anche per questo, cercò di prolungare il piacere della sua compagnia. Casanova aveva la capacità rara di stringere amicizia con molta facilità, con le persone più disparate. Nel corso degli anni, quella dote gli era tornata sempre infinitamente utile. Il veneziano viaggiava moltissimo ed era raro che trascorresse parecchio tempo di fila nello stesso luogo. Ma non si sentiva mai straniero, perché, appena posato piede in una città, si circondava subito di amici e compagni di gioco o di avventure. Incontrava vecchie conoscenze o ne faceva di nuove e in breve era al centro di una vasta e variegata rete di amicizie, maschili e femminili. Anche per questo motivo, gli venne spontaneo chiedere al capitano se poteva avere l'onore di fare colazione insieme a lui e al suo compagno di viaggio. «Ma certo, quanto a me volentieri» rispose l'ufficiale. Poi si affrettò ad aggiungere: «Il mio compagno ora non c'è, ma tornerà a breve. Sareste così gentile da chiedergli voi stesso se gli farebbe piacere?». Casanova aggrottò le sopracciglia, senza capire. «Non potete chiederglielo voi?» 14
«No. Non parlo francese» rispose l'altro. Casanova era incredulo. Questo spiegava la reazione del capitano davanti all'oste, ma non la sua relazione con la persona che aveva dormito nel suo letto, chiunque fosse. «Dunque voi e il vostro compagno di viaggio non potete parlare?» chiese il veneziano. «Soltanto a gesti» rispose l'ufficiale con un sorriso. A quel punto Casanova era più curioso che mai. Ancora una volta, la vita metteva sulla sua strada una persona interessante, che con ogni probabilità nascondeva una storia eccitante e avventurosa. Lui e il capitano si diedero appuntamento di lì a mezz'ora, per fare colazione. E quale fu la sorpresa di Casanova, quando arrivò all'appuntamento stabilito e si trovò di fronte, in una giacca maschile ma sotto un viso inequivocabilmente femminile, lo stesso ufficiale che aveva incrociato sulla porta della locanda e che era stato tanto villano. A quel punto capì la ragione di tanta maleducazione. Se visto di sfuggita poteva passare per un uomo, bastava guardarlo in viso per capire che in realtà si trattava di una donna. E di una donna molto attraente, nonostante il taglio alla maschietto e i capelli corti e arruffati. Quella che dormiva con il capitano era una donna bellissima, dal viso fresco e seducente, con una grazia innata, che prorompeva anche sotto il taglio di capelli maschile. Era inoltre una donna allegra e vivace, come il veneziano scoprì fin dalle prime battute della conversazione. Lei e il capitano non potevano formare una coppia più insolita, e Casanova si chiese come quell'avventuriera fosse finita sulla strada del militare ungherese. Non appena lo vide, la donna sorrise, un sorriso di 15
scuse. Casanova capì che lo aveva riconosciuto. «Dunque eravate voi, poc'anzi, sulla soglia della locanda!» esclamò il veneziano, in francese. «Sappiate che avete rischiato di attirarvi la mia collera. Se non avessi avuto tanta fretta di riferire l'esito dei colloqui al capitano, non vi avrei permesso di allontanarvi.» La donna sorrise, un sorriso irresistibile, al quale si sarebbe perdonata qualunque cosa. «Sono lieta di non aver dovuto conoscere la vostra indignazione. Giacché questa mattina, con l'oste, avete dato prova di essere un uomo dal temperamento indomito» disse. Se voleva essere un'adulazione, colse nel segno. Casanova ammirò l'arte della donna, che era riuscita a blandire la sua irritazione con quella frase discreta, senza rischiare di offendere il capitano che viaggiava con lei o di sembrare sfrontata e impertinente. Inoltre, non vi era niente a cui Casanova fosse più sensibile delle adulazioni, soprattutto se pronunziate dalle labbra di una donna attraente. Lui abbandonò subito i modi bellicosi. Si ricordò della richiesta del capitano e le domandò, in francese, se poteva avere l'onore di fare colazione con lei. Lei, naturalmente, acconsentì. Casanova allora tradusse la loro breve conversazione al capitano, che per tutto il tempo li aveva osservati senza sapere che cosa si dicevano. Durante la colazione, l'ufficiale spiegò a Casanova, in latino, che proveniva da Roma ed era diretto a Parma, dove doveva incontrare nientemeno che Dutillot, ministro dell'infante duca di Parma. «Come viaggiate?» chiese allora Casanova, perché un'idea si era fatta strada nella sua mente. Ora che aveva visto la compagna del capitano, non poteva sopportare l'idea di separarsi da lei tanto presto. 16
«In diligenza» rispose l'ufficiale. «Non dispongo di una carrozza.» «Io ho una carrozza molto confortevole» disse Casanova. «Se volete farmi questo onore, potremmo viaggiare insieme fino a Parma.» «Sarebbe meraviglioso» disse l'ufficiale. «Volete proporre la cosa a Henriette, per favore?» E fu così che Casanova scoprì il nome della donna che gli avrebbe offerto uno degli amori più intensi ed eccitanti di tutta la sua vita, in cui pure le donne e gli amori non erano certo mancati. Casanova si rivolse alla donna, in francese. «Madame Henriette, vuole farmi l'onore di essere mia ospite fino a Parma?» «Volentieri» rispose lei, «ma sappiate che così dovrete assumervi anche l'ingrato compito di interprete, fra me e il capitano» aggiunse con un sorriso. «Sarà un piacere» rispose Casanova e, non appena terminata la colazione, dopo aver strappato ai due la promessa di una cena insieme, uscì di corsa dall'albergo a comprare una carrozza. Aveva mentito al capitano e a Henriette. Non ne possedeva una, ma avrebbe fatto in modo di rimediare al più presto.
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