Bronwyn Scott
L'ARTE DI CATTURARE UN DUCA
Londra, fine aprile 1825
I ricevimenti pomeridiani di Lady Shelford attiravano molti esponenti del mondo della politica, grazie alla qualità della conversazione. Guinevere Norton ci andava per incontrare gli uomini, meno spesso le donne. Quel giorno era a caccia di un nuovo cliente e i presenti, che lo sapessero o meno, erano tutti sotto esame.
Il salotto degli Shelford, con poltrone e divani disposti in modo che sette o otto gruppi di persone potessero conversare indipendentemente dei vari argomenti del giorno, era il luogo perfetto dove usare il singolare talento che caratterizzava Guinevere: spogliare un uomo o una donna servendosi soltanto della vista.
In effetti stava applicando quella sua insolita abilità con piccoli movimenti degli occhi al di sopra della delicata tazza di Sèvres, innocente ausilio per quello che certuni avrebbero giudicato un passatempo al contrario molto indecente.
L'obiettivo del suo attuale esame, Lord Bilsham, ne
era del tutto ignaro. Mentre era occupato a parlare della necessità di una più accurata supervisione degli orfanotrofi di Londra, lei gli aveva tolto la giacca, gettato da parte il panciotto verde a motivi cashmere, sfilato la camicia – il cui colletto altissimo nascondeva in parte una mandibola che stava perdendo, lentamente ma inevitabilmente, la battaglia contro guance di mezza età – e aveva trovato il lord che si celava sotto, colui che intendeva dipingere prima che le ultime vestigia di giovinezza svanissero del tutto. Da anziano, Lord Bilsham avrebbe considerato il proprio ritratto come una sorta di memoriale.
In tutta sincerità, l'uomo tendeva alla pinguedine. Entro un anno – due, se fosse stato fortunato – sarebbe stato corpulento. Il peso in eccesso si stava già manifestando sotto il mento e la vita. Ma il pennello di Guinevere avrebbe risolto quel problema, dietro compenso. Bilsham poteva anche non essere un dio greco sotto gli abiti – francamente, pochi uomini lo erano –ma il suo patrimonio avrebbe fatto vergognare Re Mida. Ed era solo per quello che a lei prudevano le dita dalla voglia di ritrarlo. Stava già calcolando il denaro che avrebbe ricavato da un ritratto pubblico; in seguito lo avrebbe convinto a farsene fare uno privato.
Bilsham era esattamente il tipo di uomo che sperava di incontrare partecipando ai ricevimenti di Lady Shelford: di mezza età, ricco e molto consapevole della propria importanza. I tè di Lady Shelford attiravano il giusto genere di persone e quel giorno Guinevere ne sarebbe uscita con una o due commesse per degli eleganti ritratti.
Bilsham fece una rara pausa per riprendere fiato e lei capì che era il momento di catturarlo.
Posò la tazza e si chinò in avanti, spalancando gli
occhi e facendo un audace, anche se vagamente incerto, viaggio con la mano fino alla manica del nobile. Un gesto tra lo sfrontato e il signorile, come lei del resto. «Lord Bilsham, la vostra preoccupazione per i bambini di Londra è davvero commovente. Ho sentito dire che presiedete il comitato direttivo di un orfanotrofio a Chelsea.»
«Sì.» L'uomo si pavoneggiò. «Abbiamo quaranta bambini e stiamo lavorando a un programma di apprendistato per maschi e femmine.»
Il sorriso di Guinevere si allargò. «Meraviglioso! Non ho dubbi che questo avvenga grazie ai vostri sforzi come presidente del comitato e alla vostra visione.» L'altro gonfiò il petto. «Coloro che verranno dopo di voi non potranno che imparare dal vostro esempio, per altro insuperabile.» Le parve di notare un modesto rossore che saliva da sotto le punte del colletto. «Avete mai pensato di farvi fare un ritratto da appendere nell'atrio dell'orfanotrofio?»
Bilsham esitò, adesso che erano arrivati al sodo. «Mi sembra un'inutile stravaganza, con tante altre necessità che hanno la precedenza. Sembrerei arrogante, temo.»
Quella era la parte difficile, vendere alle persone un oggetto che consideravano un lusso, ma Gwen era pronta. «Non stavo certo pensando a un gesto autocelebrativo, ma a un modo per tramandare la vostra dedizione all'istituto, affinché sia di ispirazione, riguardo ai meriti della filantropia, a chi vi succederà nel comitato direttivo dell'orfanotrofio di Chelsea.»
L'idea di un ritratto che fosse una lezione e un retaggio di impegno sociale toccò la nota giusta nell'animo di Bilsham. Gwen lesse nei suoi occhi il momento esatto in cui l'oggetto, che fino a pochi minuti
prima era stato un lusso, diventò un imperativo morale.
«Se la mettete così, Mrs. Norton, è davvero un'idea eccellente.»
«È per questo che dipingo, Lord Bilsham.» Gwen gli lanciò un'occhiata confidenziale, la voce bassa e intima. «Affinché il presente possa essere preservato. I ritratti non sono solo lussi, sono i custodi delle nostre storie più personali.» Prese un biglietto da visita dalla borsetta, il suo nome e l'indirizzo scritti in caratteri nitidi e dritti, e glielo porse. «Sarebbe un onore per me mettermi al vostro servizio quando sarete pronto a procedere. Mi trovate nel mio studio quasi tutti i giorni dalle dieci alle quattro.» La luce era buona in quelle ore del giorno e lei lavorava al meglio, ma soprattutto aveva una comoda scusa per evitare i tè e gli altri noiosi impegni che costituivano gli svaghi delle gentildonne durante la Stagione.
A Gwen risparmiava dei fastidi e la nobiltà era sollevata di non avere a che fare con lei durante quegli incontri prevalentemente femminili. La popolazione maschile di Londra aveva imparato ad accettare la sua presenza, ma le donne no. Per nascita e per matrimonio era una signora, una di loro, tuttavia le sue scelte la ponevano ai confini della loro cerchia. Ogni volta che presenziava a un evento, si riproponeva la questione che il ton dibatteva ormai da quattro anni, quando si parlava di Guinevere Norton, nata Parkhurst: la nipote di un conte e la vedova del secondogenito di un conte poteva essere ignorata dalla Società o i suoi antenati richiedevano che le sue stravaganze venissero in una certa misura accettate? Quelle stravaganze erano costituite dal suo indirizzo, ai margini dei quartieri dove viveva l'alta società, dalla de-
cisione di mantenersi con la sua arte, e poi da quegli anni trascorsi con il marito in Italia, a seguire costumi molto diversi rispetto a quelli inglesi.
Bilsham prese il suo biglietto con un certo sussiego. «L'onore sarebbe tutto mio.» Lo infilò nella tasca del panciotto con il dovuto rispetto, consapevole che era un vero privilegio ricevere quella proposta.
Lei, infatti, accettava pochi clienti e questo la rendeva esclusiva. Inoltre, non era il committente a scegliere la sfuggente e controversa Guinevere Norton, ma lei che sceglieva il soggetto da ritrarre. Faceva parte dell'immagine che coltivava con tanta cura e parte di ciò che la manteneva nelle grazie di Londra.
Sfiorò di nuovo la manica di Bilsham mentre si alzava in piedi. «Lord Eden e Mr. Marley sono rimasti soddisfatti dei ritratti che ho fatto di recente alle loro mogli.» Forse più contenti ancora dei ritratti che non sarebbero mai stati esposti nelle gallerie di famiglia. La sposa di Eden aveva posato con indosso solo un velo, strategicamente drappeggiato per sfruttare la luce. Probabilmente il suo lavoro migliore, pensò lei. Non che Bilsham avrebbe mai potuto ammirarlo.
Tuttavia Eden e Marley facevano parte del comitato direttivo dell'orfanotrofio, insieme a Bilsham. Le loro raccomandazioni avrebbero finito di convincerlo.
Per ora Gwen aveva fatto abbastanza. Lasciò Bilsham e attraversò il salotto, diretta alla porta. Il suo lavoro là era concluso. Era giunto il momento di andarsene. Forse aveva ancora il tempo di passare a ritirare il materiale nuovo, arrivato quella mattina alla mesticheria dove si riforniva. Il solo pensiero le fece accelerare il passo. Non c'era niente di paragonabile a dei nuovi pennelli! La sensazione setosa dello zibellino vergine, le setole di maiale compatte...
Se il pensiero del materiale che l'aspettava non l'avesse assorbita tanto, lo avrebbe visto arrivare. Ma lei era assorta e non lo vide. Sulla scalinata davanti alla casa di Lady Shelford, con la mente piena della visione ispiratrice dei pennelli – piatti, a lingua di gatto, a ventaglio... – si scontrò con una solida massa maschile che saliva con la stessa rapidità con cui lei scendeva.
Gwen ruzzolò fino ai piedi della scala. L'impatto dell'osso sacro sul lastricato non fu affatto piacevole. «Guardate dove andate!» gridò, ma non troppo forte, per la sorpresa.
Anche l'uomo era caduto, ma, siccome stava salendo, gli era bastato appoggiare le mani a terra. Subito si raddrizzò con una risatina.
«Lo farei di sicuro, se la mia destinazione fosse adorabile come voi.» Parole pronunciate con la naturalezza di chi era avvezzo ad amoreggiare, con un timbro tenorile, seducente e sibilante, probabilmente più facile da ascoltare in altre circostanze.
L'uomo le porse la mano per aiutarla e Gwen si rialzò, lo sguardo catturato da due occhi verdi che luccicavano come il quarzo avventurina quando catturava il sole.
Il suo stomaco si contrasse per un'ammirazione tutta femminile, nel trovarsi inaspettatamente davanti un uomo così bello, con quegli occhi, i capelli simili al manto dello zibellino e la pelle baciata dal sole. C'era solo un uomo in città che corrispondeva a quella descrizione, anche se lei non lo aveva ancora incontrato; aveva sentito le voci su di lui, e come sempre si era impegnata a non darvi troppo credito. Le voci erano generalmente esagerate, eppure in questo caso i dettagli corrispondevano. Era davvero lui?
«Permettetemi di presentarmi, anche se suppongo di essere un po' in ritardo.» Gli occhi verdi brillavano di malizia, umorismo e qualcos'altro: suprema sicurezza maschile. «Sono Dev Bythesea.»
Proprio lui, l'erede presunto del Duca di Creighton, appena arrivato dall'India. Tecnicamente Visconte Everham, uno dei titoli di cortesia del duca, anche se, a voler dare credito alle voci, Bythesea preferiva non usarlo. Quella era solo una delle piccole stravaganze che gli venivano attribuite. In Società non si parlava d'altro, da quando era circolata la notizia che Creighton aveva finalmente mandato a chiamare il nipote.
Gli porse la mano. «Guinevere Norton.»
«Quella Guinevere Norton? La pittrice?» Gli occhi verdi manifestarono un sincero interesse. «Questo è davvero un incontro fortunato. Oggi Ganesha mi sorride. Siete voi la persona che ero venuto qui a cercare. Rafe mi ha detto che frequentate il salotto degli Shelford.» Rafe. Lord Eden. Almeno quella voce era vera. I due uomini erano amici. Se Eden gli aveva parlato di lei, cos'altro poteva avere raccontato? «La vostra reputazione vi precede, milady.»
«Come la vostra precede voi.» Una risposta che era anche un avvertimento. Era abbastanza esperta nel trattare con gentiluomini cui piaceva amoreggiare, da sapere che non era il caso di concedere loro troppa confidenza. Mantenne il tono freddo, distaccato. «C'è qualcosa che posso fare per voi, Mr. Bythesea?»
Il suo nome era totalmente inglese, a ricordare con forza che lui era un prodotto dell'Impero, il figlio di un uomo che aveva fatto fortuna all'estero, ai più remoti confini dell'Impero stesso, e anche nipote di un duca. Adesso era a casa per assumere il suo ruolo tra i più importanti Pari del Regno Unito.
«Non voglio essere scortese, ma sto andando a ritirare un ordine.» Gwen si mostrò corretta ma distaccata, non volendo suscitare ulteriore entusiasmo o confidenzialità da parte del visconte. Non voleva dare l'impressione di essere incline ad accettare appuntamenti estemporanei per strada. La sua reputazione doveva essere attentamente curata e protetta, in ogni singola mossa che faceva. Non voleva che venisse compromessa dall'incontro casuale con un uomo che aveva già addosso l'etichetta dello stravagante, ed era a Londra da un mese appena.
Il visconte non si lasciò scoraggiare. Ridacchiò, un semplice brontolio che iniziò dal profondo del suo petto, un suono intimo per loro due e basta, poi le rivolse un sorriso affascinante. «Vedo che la sto facendo troppo facile. Rafe mi ha avvertito che non siete il tipo che si lascia impressionare facilmente dalle belle parole e dalle lusinghe.» Gli occhi verdi danzarono, ammaliatori. Era difficile distogliere lo sguardo. «A quanto pare aveva ragione. Permettete che vada dritto al punto. Ho una proposta per voi, Mrs. Norton.» Indicò un'elegante carrozza laccata scura, lungo il marciapiede, trainata da una pariglia di cavalli neri abbinati. «Vogliamo discuterne mentre vi accompagno a fare la vostra commissione? La mia carrozza è a vostra disposizione. È il minimo che possa fare, dopo che vi ho travolta.»
Lei inarcò un sopracciglio. «No» lo corresse, comprendendo cosa si celava dietro quell'approccio. «Sia chiaro, Mr. Bythesea, che sono io a fare un favore a voi, non il contrario. Voi siete quello che ha una proposta da sottopormi.»
«Devo prenderlo come un sì?» Le offrì il braccio e Gwen lo accettò.
Perché no? Il cielo prometteva pioggia e lei non avrebbe rifiutato un passaggio in carrozza quando minacciava un diluvio. Inoltre, un bell'uomo con una proposta era sempre una combinazione interessante, anche se lei non era sul mercato.
La vettura era elegante e nuova, con l'interno dotato di lussuosi sedili imbottiti grigi e finestrini con i vetri perfettamente puliti, chiusi da tende di un grigio più scuro. Bythesea prese posto sul sedile rivolto nella direzione opposta a quella di marcia e distese le gambe, che occuparono l'abitacolo in quasi tutta la sua lunghezza. Quelle gambe attiravano sicuramente l'attenzione e forse lui ne era consapevole. Lo aveva fatto apposta? Era vestito da città, con pantaloni scuri e stivaletti. Gwen lasciò scorrere su quelle lunghe gambe il suo occhio obiettivo, ma curioso di artista, figurandosele, invece, in calzoni attillati e stivali alti. Come sarebbe riuscito un dipinto con un simile soggetto? Quell'abbigliamento avrebbe completato la sua assoluta e imponente mascolinità. Anche se, nel suo caso, meno fosse stato coperto, meglio sarebbe stato. Lo osservò e con gli occhi gli tolse il fazzoletto da collo, pensando al piccolo scorcio di pelle abbronzata sottostante.
«Dove siete diretta, Mrs. Norton?» Il visconte irruppe nelle sue fantasticherie.
Quegli occhi ridenti indovinavano troppo facilmente la piega che prendevano i suoi pensieri, forse perché anche quelli di lui si avventuravano là dove la maggioranza delle persone non osava andare apertamente. Gwen doveva tenerlo presente. A quanto pareva, Dev Bythesea sapeva essere audace.
«Allo Strand, per cortesia» rispose allora lei, con tono compassato.
«Rafe – Lord Eden – dice che fate esattamente questo: spogliate le persone con i vostri magnifici occhi azzurri. Non preoccupatevi, il vostro segreto è al sicuro con me.» Il visconte ridacchiò, imperturbabile. «Vi soddisfo? Lo spero, perché fa parte della mia proposta.»
Si chinò in avanti, riempiendo lo spazio tra loro con le sue spalle ampie, e questo conferì un senso di intimità alla loro conversazione. Sapeva di patchouli e di spezie, un profumo che i sensi di Gwen trovarono estremamente maschile.
«A breve mia zia, la Duchessa di Creighton, vi chiederà di farmi un ritratto. Forse troverete l'invito oggi stesso nella vostra posta.» Conoscendo la reputazione della dama in questione, probabilmente era proprio così. In tal caso, aveva fatto bene ad affrettarsi. Non c'era tempo da perdere. «La zia ritiene che un mio ritratto aumenterà le mie probabilità di trovare una moglie» aggiunse il visconte.
Gwen inarcò un sopracciglio, sorpresa. «Pensa forse che non abbiate molte possibilità?» Per quanto ne sapeva, gli eredi di un ducato non erano mai a corto di aspiranti duchesse.
Lui fece un sorriso ferino. «Non così poche quanto vorrei io.»
«Non sono certa di avere capito.» Gwen corrugò la fronte, cercando di indovinare dove il visconte volesse andare a parare.
«La mia reputazione è discutibile, Mrs. Norton, come sicuramente saprete. Mio padre era un fratello del duca e non si aspettava certo che lui o i suoi futuri figli avrebbero un giorno ereditato il titolo, ma il destino non è stato clemente.»
No, non lo era stato. L'attuale duca aveva generato
una numerosa discendenza, ma solo femminile. Aveva però due fratelli. Uno di loro, il secondogenito, era morto insieme alla giovanissima moglie tre anni prima, senza lasciare eredi, mentre il più giovane, il padre di Bythesea, era rimasto vittima di una febbre l'anno successivo.
Quelle tragedie erano di pubblico dominio. La Società aveva fatto in modo che tutti ne venissero informati. La storia della famiglia Creighton aveva conosciuto una nuova popolarità nel momento in cui era stato richiamato in patria l'erede, un nipote che nessuno aveva mai visto, prima che scendesse dalla nave.
Bythesea proseguì: «Non aspettandosi di ereditare, mio padre si sentì libero di sposare la donna che amava e scelse la figlia di un ragià. Lui aveva avuto successo lavorando per la Compagnia delle Indie Orientali, poi si era messo in proprio quando i rispettivi interessi avevano preso direzioni diverse. Sono cresciuto nel commercio e ho lavorato al suo fianco, ma ho venduto la mia quota della società prima di partire. Tutto ciò mi ha comunque segnato in due modi. Primo, mi sono sporcato le mani lavorando; secondo, sono inglese solo per metà, un fatto ineludibile che è impresso nei miei lineamenti e sulla mia pelle, e tutto il mondo può vederlo. Non importa che nel mio Paese mia madre sia una rani, una principessa a pieno titolo».
Il suo Paese. Gwen prese mentalmente nota. Non si considerava inglese, almeno non del tutto, nonostante il cognome, né dava l'impressione di patirne.
«Mia zia vuole un ritratto che mitighi questi due difetti, che mi faccia apparire più inglese.» L'enfasi che mise nella parola non lasciò dubbi sulla sua opinione al riguardo.
«E voi cosa volete?» Non era ancora sicura di quale fosse il proprio ruolo in quella vicenda, ed erano quasi arrivati alla mesticheria. La carrozza imboccò una strada stretta.
«Niente di tutto questo. Non voglio una moglie scelta da mia zia, che appartenga a una famiglia che disprezza tutto ciò che sono, tutto ciò che amo. Non mi rispetterebbero mai.» Fece un gesto con la mano, liquidando generazioni dei migliori casati inglesi. «Non sono contrario al matrimonio, anzi lo desidero. Nella mia cultura, un uomo viene considerato veramente adulto solo quando si sposa, indipendentemente dalla sua età. Ma voglio essere io a scegliere la mia sposa. Voglio il matrimonio alle mie condizioni e con i miei tempi.» Socchiuse gli occhi, concentrandosi su di lei.
Gwen sentì un certo calore nel ventre. Era passato parecchio tempo dall'ultima volta che aveva incontrato un uomo per il quale il suo corpo si era degnato di risvegliarsi. Lo scintillio degli occhi di avventurina le disse che stavano arrivando al nocciolo della proposta.
«Voglio che accettiate la richiesta di mia zia, ma voglio anche un altro dipinto. Uno che solo voi potete fornirmi, un ritratto che, invece di contribuire a migliorare la mia reputazione, la rovinerebbe del tutto se venisse mostrato in pubblico. Rafe dice che sapete esattamente come fare.» Si appoggiò contro i lussuosi cuscini grigi, lasciandole lo spazio per respirare, per pensare, gli occhi fissi su di lei.
Dunque Eden gli aveva parlato dell'altro ritratto. Dovevano essere intimi amici, molto più di quanto lo fossero i vecchi compagni di scuola del ton. Comunque Gwen era contrariata che Eden avesse parlato
senza chiederle il permesso; doveva fidarsi totalmente di Bythesea per violare l'accordo di segretezza che aveva stipulato con lei. In questo modo, le impediva anche di appellarsi alla propria ignoranza della questione.
«Posso farlo, ma questo non favorirà la vostra causa. Quei dipinti, quelli che vi ha menzionato Lord Eden, non devono essere visti da nessuno, eccetto il committente. Sono assolutamente privati. Fa parte del contratto e non è una condizione negoziabile.» Era una clausola su cui insisteva, per salvaguardare non solo la reputazione del committente, ma anche la propria.
Bythesea scrollò le spalle. «Mi serve solo come arma per assicurarmi che la zia mi consenta di scegliere da solo la mia sposa.»
«E se vi sfidasse a mostrarle il ritratto?» Gwen non poteva permetterselo. Era per questo che sceglieva lei i suoi soggetti e non viceversa. Sceglieva solo persone di comprovata discrezione.
«Non lo farà. Ha troppo a cuore il ducato per correre questo rischio, soprattutto perché le voci sono già quelle che sono.» Le lanciò uno sguardo affilato. «Di sicuro le avrete sentite anche voi. Hanno cominciato a circolare nel momento in cui ho messo piede sul suolo inglese. Tutte chiacchiere intrise di ignoranza e mito.» C'era una punta di rabbia nelle sue parole.
Gwen annuì. Conosceva le voci di cui parlava. Londra abbondava di illazioni, non solo sulla sua discendenza, ma anche sull'educazione liberale che aveva ricevuto e su ciò che una simile educazione avrebbe potuto comportare. Chissà, magari il visconte teneva un harem nella sua esotica casa di città in Evans Row, appena fuori Berkeley Square, nel cuore della
più rispettabile Mayfair. Durante il mese trascorso dal suo arrivo, non aveva ricevuto nessuno in casa sua, il che non faceva altro che alimentare ulteriori pettegolezzi, stavolta sull'arredamento della casa. Cosa nascondeva il visconte là dentro? Viveva in modo licenzioso a porte chiuse? Vagava per casa in pantaloni ampi di seta e turbante?
Gwen sapeva per esperienza personale quanto potessero essere ingiuste e scorrette simili congetture, del tutto infondate. Quando era tornata in Inghilterra dopo la morte di Christophe, la gente aveva chiacchierato all'infinito sulle sue scelte e non certo in modo lusinghiero.
«Non è soltanto vostra zia a correre un rischio» gli ricordò, «ma anche io. Ho costruito la mia carriera sulla discrezione.» Se avesse accettato quell'offerta e lui avesse mostrato a qualcuno il suo ritratto privato, la reputazione di Gwen sarebbe stata fatta a brandelli.
«Non intendo tradirvi» le assicurò il visconte mentre la carrozza accostava al marciapiede davanti alla mesticheria. Le mise una mano sul braccio mentre lei si accingeva a scendere. Il suo tocco la rese consapevole della sua vicinanza in un modo che non sperimentava da molto tempo. La sua voce era bassa, il suo sguardo finalmente serio. «Non correte alcun rischio, vi do la mia parola. Mio padre e io non abbiamo certo costruito un impero commerciale sulla doppiezza o sull'inaffidabilità. Io sono un uomo di parola. Giuro sugli dei che non vi tradirei mai.» Le tolse la mano dal braccio mentre un lacchè apriva la portiera, ma il suo sguardo ardente rimase incatenato a lei, indugiando fino all'ultimo momento. «Prendetevi il tempo che serve, Mrs. Norton, non ho fretta.»
Lei scese sul marciapiede, consapevole che il vi-
sconte era uscito a sua volta dalla carrozza. Cosa aveva inteso dire, che poteva prendersi il tempo che voleva per fare i suoi acquisti o per decidere? Forse entrambi? Aveva la sensazione che sfumature e doppi sensi fossero abituali per Dev Bythesea. Di sicuro era capace di tenere una donna sempre in allerta.
E di sicuro Dev Bythesea era difficile da gestire, per qualsiasi donna. C'era un certo fascino in questo, soprattutto perché il bel visconte aveva probabilmente bisogno di un tocco di umiltà. Pur non essendo arrogante, era però estremamente sicuro del proprio fascino.
Lui le tenne aperta la porta del negozietto per farla passare. Gwen si voltò a guardarlo, incontrando i suoi occhi. Che piacere sarebbe stato dipingere quel volto, quel corpo, senza bisogno di usare la fantasia. Si concesse un sorriso modesto e segreto, mentre gli passava davanti. «Credo proprio che accetterò la vostra proposta, Mr. Bythesea.»
Un brivido di eccitazione cominciò a vibrarle dentro, spegnendo i campanelli di allarme suonati dal suo buonsenso. Erano passati secoli dall'ultima volta che si era concessa un momento di sconsideratezza e aveva gettato al vento la prudenza. Perché non accettare? Lo avrebbe ritratto e di lì a qualche settimana lui sarebbe andato per la sua strada; nel frattempo, però, sarebbe stato bello sentirsi viva. Di certo non poteva causarle un vero danno.
Era una proposta che non poteva rifiutare.
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