Ella Matthews IL CAVALIERE PROIBITO
Costa meridionale dell'Inghilterra, inverno 1337
Johanne fece segno a Gemel di rallentare mentre lei tirava le redini del proprio cavallo. Il sentiero era stretto, fiancheggiato da fitti alberi, e la curva che li attendeva rendeva la visibilità minima. Era il luogo perfetto per un'imboscata.
«C'è qualcosa sul sentiero laggiù» disse a Gemel, che cavalcava alle sue spalle. «È difficile vedere con questa pioggia, ma la strada è interrotta da un lungo masso nero che stamattina non c'era.»
«Secondo voi di che cosa si tratta?»
«Sembra un corpo, ma non ne sono sicura.»
«Dovrei andare avanti io per primo, madama.»
Johanne udì gli zoccoli del cavallo di Gemel scalpitare sul terreno quando l'uomo si preparò a superarla, ma scosse il capo. Era lei la signora del castello e lui l'amministratore. Non poteva permettersi di mostrare alcuna debolezza, nemmeno di fronte a Gemel, nemmeno quando la tensione era alta e il paese era sempre più vicino a scendere in
guerra con la Francia e non si poteva sapere quali trappole fossero in agguato per gli incauti. Nemmeno quando qualcuno aveva già attentato alla sua vita. Se aveva imparato qualcosa dal defunto marito, era che chi comandava doveva sempre avere il controllo: non si poteva delegare nessun altro.
«Madama, se si tratta davvero di un corpo, dovremmo cercare una via alternativa.»
Gemel si apprestò a voltare il cavallo, ma lei lo fermò sollevando una mano. Il cumulo sul sentiero era immobile. Se si trattava davvero di una persona, probabilmente era già morta. Un omicidio commesso tanto vicino a Brae non poteva essere preso alla leggera. «Vado a controllare.»
Gocce di pioggia le scesero dal bordo del cappuccio quando spronò Heled, ignorando il borbottio di Gemel. Comprendeva la sua preoccupazione, ma se si trattava di una minaccia alla sicurezza del castello, sarebbe stato meglio scoprirlo subito.
Una volta avvicinatasi, fu chiaro che si trattava in effetti di un corpo, maschile e possente, per di più. Osservò la pioggia che scrosciava su di lui e gli scorreva in rivoli sul volto. Era immobile, ma le parve di notare un lieve innalzarsi del petto.
«È un uomo» disse all'amministratore. «E ricco, a giudicare dai suoi abiti. Non credo che sia morto.
Mi pare che respiri, ma è difficile dirlo da quassù.»
Si preparò a smontare.
«Dovremmo proseguire.» La paura nella voce di Gemel era palese. «Potrebbe trattarsi di un'ennesima imboscata.»
Johanne si girò sulla sella, cercando di vedere qualcosa tra gli alberi, ma le fu impossibile per via
della pioggia battente. Dal sottobosco non proveniva alcun rumore; a quanto pareva, anche gli uccelli avevano cercato riparo dal temporale.
«Probabilmente è un ubriacone. Nessuno sentirà la sua mancanza» borbottò Gemel.
Johanne lo ignorò. Non poteva lasciare una persona a morire da sola, così come non poteva uccidere un innocente. Smontò dal cavallo.
«Madama, questa faccenda non mi piace. Risalite in sella a Heled e andiamocene.»
Poiché a Gemel piacevano poche cose, non fu difficile per Johanne ignorarlo. Mantenne tuttavia una mano appoggiata al cavallo e avanzò lentamente, pronta a risalire in sella se si fosse trattato davvero di una trappola.
Raggiunse il corpo. L'uomo respirava a fatica. Gli toccò il costato con la punta dello stivale. Quello non si mosse. Lo toccò con maggior forza, ma niente. Si accovacciò. Da vicino, notò un principio di barba sul volto dai lineamenti marcati. Aveva i folti capelli scuri appiccicati alla fronte e il suo mantello era fradicio. Non si trattava di qualcuno che si era steso di recente nella speranza che un viaggiatore sprovveduto passasse di lì; giaceva inerme già da un po'. La fibbia che gli chiudeva il mantello all'altezza della gola era d'argento. Che si trattasse di un ricco mercante?
Si chinò, avvicinandosi. Sì, respirava, ma le sue labbra erano ormai blu. Gli passò le dita sulla fronte.
Di colpo una mano le cinse il braccio. La morsa era così stretta da farle male. Restò senza fiato e cercò di liberarsi, ma la presa era ferrea.
Due occhi scuri la scrutarono da sotto le folte sopracciglia. «Angelo» gracchiò l'uomo prima che le sue palpebre si riabbassassero e la sua mano scivolasse a terra.
Johanne si massaggiò il polso, lì dove lo sconosciuto l'aveva stretta.
«Madama...» Gemel scese da cavallo, avvicinandosi con il pugnale mezzo sguainato. «Siete ferita?»
«No.» Accarezzò di nuovo la fronte dello sconosciuto, provando uno strano senso di protezione nei suoi riguardi. «Non voleva ferirmi. Credo che fosse convinto di essere morto e di essere giunto in paradiso.»
Gemel sbuffò e rinfoderò l'arma, mantenendo tuttavia la mano sul manico del pugnale. «Il paradiso non sarebbe granché se ad accogliere le anime al loro arrivo ci foste davvero voi.»
Johanne sorrise alla battuta di Gemel. Aveva ragione. Quell'uomo doveva essere in preda alla febbre se l'aveva scambiata per una creatura angelica. Dalla morte del marito, era stata piuttosto paragonata al diavolo. Non che le importasse. In un mondo governato da uomini, tornava utile dare un'immagine forte di sé, un'immagine che aveva coltivato nel corso degli ultimi anni. Ora aveva la reputazione di una donna ben più potente di quella debole che aveva quando era sposata. Si trattava di una facciata che non intendeva abbandonare ora che l'aveva ottenuta, anche se spesso era stancante vivere dietro una tale maschera.
Gemel non protestò. Ora che erano entrambi vi-
«Dobbiamo portarlo con noi.»
cini al corpo, era ovvio che lo sconosciuto fosse ferito e che non rappresentasse una minaccia, e nemmeno Gemel poteva rifiutarsi di aiutare un bisognoso.
«Lo caricheremo su Maldwyn» gli propose. «Non credo che Heled reggerebbe il peso.»
Gemel si abbassò e afferrò l'uomo per le spalle.
«Già, è pesante quanto un cavallo da tiro.»
Johanne ridacchiò sollevando le gambe dell'uomo. Erano solide come tronchi d'albero. Ne strinse forte i polpacci muscolosi, determinata a non mostrare alcuna debolezza, né fisica né mentale.
L'uomo non si risvegliò quando lo caricarono su Maldwyn. Lo stallone di Gemel vacillò sotto il suo peso, ma era stato ben addestrato e non sgroppò per liberarsi dal carico.
«È questa cos'è?»
Johanne distolse lo sguardo dall'uomo e si voltò nella direzione indicata da Gemel. Una corda attraversava il sentiero per tutta la sua larghezza, quasi invisibile a causa della pioggia battente. Ancora più difficile da notare se ci si trovava in sella a un cavallo.
«È una trappola.» Johanne si avvicinò. «È sporca di sangue.» Tornò a girarsi verso l'uomo. «Non è suo; non sta sanguinando. Forse era a cavallo e vi si è imbattuto. Di certo basterebbe a disarcionare qualcuno di sella, anche se forse non abbastanza da fargli perdere i sensi.» Si rialzò e si guardò attorno, ma tra gli alberi non notò alcun animale ferito.
«Non abbiamo tempo di cercare il cavallo» affermò Gemel.
Era d'accordo. Se si trattava davvero di una trap-
pola, chi l'aveva tesa poteva essere vicino. Tornò a guardare gli alberi e un brivido freddo le percorse la schiena. «Secondo te è stato Morcant? È possibile che abbia scoperto che sarei passato di qui oggi?»
«Sì, dobbiamo stare all'erta, madama.» Gemel si abbassò e con il pugnale tagliò la fune. «Dovremmo lasciare qui lo sconosciuto. Potrebbe essere in combutta con Morcant.»
«O magari è rimasto ferito perché Morcant era convinto che a passare saremmo stati solo noi.»
«Non è colpa vostra se quest'uomo è rimasto ferito, madama.»
«Se lo lasceremo qui, morirà.» Non lo avrebbe abbandonato, non quando poteva aiutarlo. Gemel annuì. «Allora sarà meglio rimetterci in marcia.»
«A Brae abbiamo bisogno di manodopera» affermò Johanne quando si rimisero in viaggio, con Gemel che guidava il proprio cavallo tenendolo per le redini. «Un uomo di questa stazza potrebbe tornarci utile.»
Non udì la risposta di Gemel per via della pioggia battente, ma dalla postura delle sue spalle capì che non era d'accordo. Di certo avrebbe preferito cacciare lo straniero non appena fosse guarito, ma non spettava a lui decidere chi poteva vivere al Castello di Brae. Dacché il marito dispotico era morto, tutte le decisioni riguardanti la piccola roccaforte erano ricadute su di lei e non aveva alcuna intenzione di permettere che le cose cambiassero, almeno finché il figlio non fosse cresciuto e lei avrebbe potuto affidargli la sua eredità. Fino a quel giorno,
si sarebbe adoperata a rafforzare Brae e se per riuscirvi avesse dovuto mostrarsi un comandante spietato, non si sarebbe tirata indietro. Aveva osservato Badon e aveva imparato da lui che la maniera migliore per mantenere il potere era di apparire sempre sicuri di sé. Non era lì per stringere amicizie, ma soltanto formare alleanze con chi poteva aiutarla nella sua causa.
Avevano raccolto lo sconosciuto che non erano troppo lontani da Brae, ma la pioggia incessante aveva trasformato i sentieri in fiumi di fango, rendendo il viaggio lentissimo. L'uomo non si svegliò, nemmeno quando Gemel scivolò, imprecando ad alta voce. A quel punto Johanne smontò a sua volta, per condurre entrambi i cavalli sul terreno tanto accidentato.
Non lo avrebbe mai ammesso, ma quando finalmente arrivarono a Brae per poco non rimpianse di avere salvato lo sconosciuto. Non c'era lembo del suo corpo che non fosse bagnato fradicio, come se fosse rimasta a mollo in una vasca troppo a lungo. Non desiderava altro che dirigersi in camera, spogliarsi e scaldarsi davanti al fuoco, ma da signora del castello doveva restare finché l'ospite non fosse stato sistemato.
«Lo metteremo nella stanza sotto la mia» disse a Gemel quando infine fermarono i cavalli all'interno del cortile.
«Siete sicura che sia saggio?»
«È l'unica camera che si può chiudere a chiave da fuori.»
Gemel borbottò tra sé e sé, chiaramente contrariato dall'idea di avere uno sconosciuto che dormi-
va tanto vicino alla sua padrona, quando gran parte degli abitanti del castello riposava nella grande sala, ma non protestò. Forse era esausto. Era stato sfiancante condurre i cavalli per i sentieri fangosi e Gemel aveva superato i quarant'anni, come indicavano le profonde rughe attorno alla bocca. Avrebbe dovuto smettere di affidarsi tanto a lui, ma era difficile. Erano poche le persone di cui si fidava e Gemel era una di loro, e nemmeno a lui confidava tutto. Non voleva infatti che scoprisse i segreti che serbava nel cuore. Contava solo che la ritenesse forte.
In due riuscirono ad attraversare il cortile sorreggendo l'uomo e a entrare nella piccola roccaforte. Anche se le dolevano i muscoli e non desiderasse altro che lasciar andare quel carico pesante, Johanne mantenne la presa.
«Chiama Mary e dille di portarmi delle coperte asciutte» ordinò al suo sottoposto quando finalmente stesero l'uomo sul materasso di paglia.
«Non dovreste restare sola con lui. Non sappiamo che temperamento abbia. Potrebbe sopraffarvi in un baleno.»
«Gemel, quest'uomo non riesce a muoversi. Non sono in pericolo.» Si drizzò in tutta la sua altezza e abbassò lo sguardo sull'amministratore, affinché le obbedisse.
Il controllo che aveva su Brae era appeso a un filo. Un unico atto di ribellione avrebbe potuto fare crollare tutto.
Il tempo sembrò fermarsi mentre il cuore iniziava a batterle forte. Che fosse quella la volta in cui tutto sarebbe crollato? Si aspettava in continuazio-
ne che qualcuno disobbedisse ai suoi ordini. Badon non le aveva mai mostrato alcun rispetto e continuava perciò a sorprenderla che gli abitanti del castello glielo concedessero. Sapeva che era solo questione di tempo prima che qualcuno intuisse la debolezza dietro la sua spavalderia, ma perdere il controllo per una faccenda tanto semplice sarebbe stato umiliante.
Mantenne fisso lo sguardo su Gemel. Non si sarebbe arresa, né in quel momento né mai.
Alla fine, Gemel annuì e si allontanò.
Restò immobile finché non udì più i suoi passi. Quando fu sicura di essere finalmente sola, a parte l'uomo svenuto, sospirò, le dita che le tremavano per via dell'enormità della scelta presa.
Gemel aveva ragione. Se quell'uomo si fosse svegliato e si fosse rivelato aggressivo, avrebbe potuto spezzarle il collo in un istante. Tuttavia, lo sconosciuto si era mosso a malapena durante l'intero viaggio e a guardarlo svenuto sul materasso, dubitava che vi sarebbe riuscito in quel momento.
Però l'amministratore era stato sul punto di disobbedirle. Lo aveva percepito durante i suoi lunghi istanti di esitazione. E sì, l'uomo aveva esitato perché era preoccupato per la sua incolumità e sì, lo comprendeva bene, ma Gemel non avrebbe vacillato in tal modo se fosse stata Badon. Badon non avrebbe tollerato alcuna esitazione. Avrebbe strappato a Gemel il titolo di amministratore al minimo accenno di disobbedienza. Johanne non era tanto spietata, anche se fingeva di imitare alcune delle strategie di comando più tollerabili del marito. Non sarebbe mai stata collerica come lui, né avrebbe
mai umiliato qualcuno perché le obbedisse. Tuttavia, non poteva ammettere alcuna insubordinazione. A volte trovare il giusto equilibrio era sfibrante.
Non poteva continuare a destreggiarsi in quel modo. Doveva trovare la maniera di consolidare il proprio controllo, così che nessuno dubitasse della sua capacità di governare. Il problema era che le sue opzioni erano limitate, alcune sgradevoli e troppo simili a quelle del defunto marito.
Ma non importava. Se ne sarebbe preoccupata in seguito, in quel momento doveva occuparsi del forestiero.
Si accovacciò di fianco al materasso. L'uomo non si era mosso dacché l'avevano scaricato. Nel silenzio della stanza riuscì a sentirlo respirare. Un respiro regolare, ma lieve. Gli toccò la fronte. Era ancora freddo come il ghiaccio, però non sembrava sanguinare da alcuna ferita; se fosse riuscita a non fargli prendere la febbre, probabilmente sarebbe sopravvissuto.
Passò in rassegna il resto del corpo. Aveva ragione a considerare i suoi abiti quelli di un uomo ricco. Il mantello era spesso e di ottima qualità e la fibbia d'argento presentava una elaborata decorazione a forma di uccelli.
La slacciò sfiorando con le dita la leggera barba che gli ricopriva il collo. Gli sfilò il mantello, sotto il quale gli abiti eleganti gli aderivano come una seconda pelle, mettendo chiaramente risalto i muscoli del petto. Deglutì.
Non era la prima volta che vedeva il corpo di un uomo. Badon era sempre stato orgoglioso del suo
petto nudo. Non perdeva mai occasione di ostentare la propria forza di fronte al mondo, spogliandosi e mettendo in mostra i muscoli.
Dalla sua morte, aveva visto uomini a petto nudo che lavoravano nel cortile, ma non si era mai soffermata a osservarli. Era pur vero che nessuno di loro possedeva i muscoli scolpiti dello sconosciuto. Quando era in forze, doveva essere una meraviglia da ammirare.
Allungò una mano per tracciare i contorni del suo petto e poi la ritrasse di scatto. Spogliarlo affinché non morisse dal freddo era accettabile, accarezzarlo no.
Trasalì quando la porta della camera si spalancò. Si rialzò di scatto, mentre Mary entrava per scaricare della legna nel camino.
La cameriera la raggiunse vicino al letto e fissò lo sconosciuto. «Oh, ma come è bello! Sono sicura che scalderebbe un letto a meraviglia.»
Johanne resistette all'impulso di coprirlo. «Accendi il fuoco, per favore.»
Sebbene lei stessa avesse ammirato il fisico dell'uomo solo pochi istanti prima, il commento della domestica la infastidì. Desiderò che Mary uscisse dalla camera, il che, si rese conto quando iniziò a slacciare le stringhe bagnate della tunica dell'uomo, era assurdo. Solo perché gli aveva salvato la vita, non significava che potesse in qualche modo rivendicarlo per sé. «Quando avrai finito, vieni ad aiutarmi a svestirlo. Pesa come tutto il fieno che abbiamo raccolto nella stalla.»
Forse l'idea di tenere quell'uomo possente come
«Avete ragione, madama.»
manodopera a Brae non era granché. Forse avrebbe dovuto liberarsi di lui prima possibile. Anche da svenuto la spingeva a comportarsi in maniera insolita, a sbottare con i domestici e a prendere decisioni irrazionali. Vi avrebbe riflettuto seriamente se l'uomo si fosse risvegliato. Se fosse morto prima dell'alba, la decisione sarebbe stata presa per lei.
Alewyn si risvegliò lentamente, la testa che gli pulsava e il corpo indolenzito come se avesse combattuto contro un intero esercito francese.
Aveva prurito sulla fronte, ma le braccia erano troppo pesanti per grattarsi.
«Siete sveglio?» bisbigliò una voce femminile.
Rimase senza fiato. Cos'era accaduto la sera precedente? Non ricordava di essere andato a letto con nessuno. Aveva bevuto e perso il controllo delle proprie azioni? Ma no. Era diretto da qualche parte. Era stato Benedictus, il suo comandante, a mandarlo in missione. E ciò significava che non c'era tempo di ubriacarsi, di andare a letto con qualcuno o di divertirsi. Non se voleva mantenere la promessa fatta a se stesso.
«Le vostre palpebre si muovono. Sapete dove vi trovate?» La voce continuava a porgli domande, ma non aveva la forza di rispondere. «Cosa è successo prima che veniste ferito?»
No, di sicuro non era andato a letto con quella donna. Non ne avrebbe mai scelta una tanto ostinata. Alewyn sentì le palpebre pesanti che si rifiutavano di sollevarsi.
«Perché vi trovavate sul sentiero?»
Si leccò le labbra. Forse se avesse risposto, la
donna avrebbe smesso di parlare. «Io non...» La sua voce risuonò roca, come se avesse bevuto troppe birre. Non sapeva nulla del sentiero al quale lei si stava riferendo.
«Non ricordate nulla?»
Scosse il capo. Perché quella donna non la smetteva di parlare e gli concedeva un istante per pensare? «No... Io...» Avrebbe voluto rispondere che sapeva chi era, ma non riusciva a ricordare come fosse finito in quelle condizioni. Desiderava chiederle dove si trovava e perché il corpo gli doleva tanto, e spiegare che non ne sapeva nulla di sentieri. Tuttavia, i suoi pensieri erano confusi e nulla aveva un senso. Gli mancarono le parole e lui sprofondò nel buio.
Istanti o forse giorni dopo, si risvegliò. Rimase immobile, in attesa che le domande riprendessero, ma non ci fu che silenzio. Aveva ancora le palpebre pesanti, però riuscì ad aprirle. Sopra di sé notò un alto soffitto in pietra, da cui dedusse che si trovava all'interno di un castello e non nella casupola di un contadino, sebbene il materasso sul quale era steso non fosse molto comodo. Forse era prigioniero; era difficile dirlo.
Provò una fitta di dolore quando si sollevò sui gomiti. Osservò la stanza. Era piccola ma pulita, con il fuoco che scoppiettava nel camino. Delle coperte pesanti erano stese su di lui, morbide sulla pelle.
Si irrigidì.
Scostandole, si guardò. Qualcuno lo aveva spogliato. Lividi viola gli ricoprivano gran parte del corpo; non c'era da stupirsi che fosse tanto doloran-
te. C'era stata una battaglia? No, di certo se la sarebbe ricordata e poi non aveva perso uno scontro da quando era diventato adulto. Nemmeno quella volta in cui cinque uomini gli erano saltati addosso alle spalle. Alla fine, erano stati loro a ritrovarsi stesi a terra.
Il modo in cui la donna misteriosa lo aveva interrogato suggeriva che nemmeno lei avesse idea di che cosa gli fosse accaduto. Era possibile, tuttavia, che gli stesse mentendo. Gemette. Non era facile pensare con la testa che gli pulsava tanto violentemente.
Sforzandosi di osservare il resto della stanza, notò che non c'era traccia dei suoi abiti. La stanza era vuota, se non per il materasso sul quale giaceva.
Be', se i padroni di quel castello pensavano che la nudità lo avrebbe trattenuto nella stanza, si sbagliavano. Cercò di sollevarsi a sedere, ma i muscoli protestarono.
Che cosa diavolo gli era successo e perché non ricordava nulla?
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