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SYLVIA Z. SUMMERS Amore e altri sospetti
28-05-2009 10
Immagine di copertina: Nigel Chamberlain/Agentur Schlück GmbH © 2008 Sylvia Z. Summers Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2009 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici agosto 2009 Questo volume è stato impresso nel luglio 2009 presso la Rotolito Lombarda - Milano I GRANDI ROMANZI STORICI ISSN 1122 - 5410 Periodico settimanale n. 694 del 15/8/2009 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 75 dell' 1/2/1992 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano
A mia madre, Gisella, il mio "noi" di infinite letture
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St. Jules, Inghilterra, autunno 1805 Forse Londra era davvero la capitale del bel mondo e Bath la sua appendice per quanto riguardava gli eleganti svaghi dell'aristocrazia, ma per gli abitanti di St. Jules – piccolo borgo abbarbicato sulla ruvida roccia delle scogliere del Devon – il villaggio era il centro di un minuscolo universo. Anche se si davano un tono, le signore del circolo parrocchiale sapevano bene che Great Upper Street, la via principale di St Jules (nonché la meno ripida), costellata di minuscole botteghe che si affastellavano l'una sull'altra, sbilenche e variopinte, non era certo l'elegante Bond Street londinese. Non vi si vedevano mai dame ingioiellate né carrozze di lusso con blasoni nobiliari, tuttavia quel particolare isolamento era anche garanzia di una vita che risultava rassicurante nella sua monotona tranquillità. Durante il rito del tè, istituzione del venerdì pomeriggio al Vicariato, le signore discutevano di tutto: dell'abito un po' troppo scollato della figlia del sindaco, dell'indecenza di certi giovanotti che erano stati "avvistati" mentre si tuffavano tra i flutti senza vestiti, e delle bravate dei numerosi fratelli Swan, figli del maestro del paese, che erano uno più scalmanato dell'altro. Parole come decoro e rispettabilità venivano usate senza pudore o parsimonia, anche se non riguardavano mai questioni molto importanti e nemmeno i cosiddetti "affari da uomini", come la guerra che imperversava nel Continente e della quale era preferibile sapere il meno possibile per non essere considerate immorali e filo-rivoluzionarie. Non si par7
lava neppure del cattivo stato in cui versavano alcuni edifici della città, primo tra tutti il municipio, dal quale anche il sindaco aveva traslocato qualche anno prima per paura di ritrovarsi imbiancato dai calcinacci del soffitto. Gli abitanti di St. Jules, insomma, si comportavano sempre in modo civile e appropriato – contegno di cui peraltro andavano molto orgogliosi – ed era dunque insolito vedere qualcuno che correva a rotta di collo per la strada. Ma per quanto improbabile o inammissibile fosse, era proprio quello che stava accadendo, e sotto gli occhi di tutti! La responsabile di quella condotta decisamente poco signorile era Mrs. Stonebridge, moglie del vicario, che non riusciva a capacitarsi di come quella piacevole e mite giornata di fine estate fosse potuta sprofondare nel più assoluto caos nel giro di qualche istante. E pensare che solo un paio d'ore prima se ne stava seduta pigramente sul sofà del suo salottino, mentre ora correva a precipizio per la pubblica via, con il poderoso petto che sobbalzava pericolosamente, le guance rubizze e le scarpe insozzate di terra. Oh, è davvero la fine del mondo!, continuava a ripetersi mentre – una mano premuta sul cappellino per evitare che volasse via e il giornale sotto il braccio – sgambettava lungo la ripida stradicciola che si allontanava dal centro cittadino per addentrarsi nei campi, verso il grande cottage con il tetto di paglia nel quale viveva la famiglia Swan. Questa volta niente e nessuno le avrebbe impedito di dare una bella lavata di capo a quella ragazzina impertinente, e poco importava che fosse una delle figlie maggiori dello stimato maestro del paese. Quel che era troppo, era troppo! Che cosa aveva causato quel putiferio? Poco prima, mentre se ne stava seduta sul divano, Mrs. Stonebridge aveva udito dei lamenti. Deposto il lavoro a piccolo punto, si era rassettata l'abito e aveva atteso tutta impettita di assumere il consueto ruolo di confortatrice. Ma il conforto che aveva potuto offrire alla figlia del mugnaio si era rivelato del tutto inadeguato alla situazione. La ragazza era stata percossa e cacciata di casa dal padre, senza avere neppure il tempo di infilarsi un vestito da passeggio o gli stivaletti! Tra un singhiozzo e l'altro, la giovane aveva tentato di 8
spiegare alla moglie del vicario che cosa era accaduto, ma soltanto quando quest'ultima si era fatta consegnare dalla cameriera il pestifero ma irrinunciabile St. Jules' Sunday News, meglio conosciuto dai suoi lettori e detrattori (che poi coincidevano) come St. Jules' Sunday Nosy – o più semplicemente, Nosy, il ficcanaso – tutto era diventato chiaro. Perché sul Nosy c'era un nuovo articolo firmato dal famigerato Desmond Malvern, ed era proprio per questo motivo che Mrs. Stonebridge stava correndo come il vento senza curarsi del fatto che la sottoveste sbucava poco dignitosamente da sotto il vestito. Stavolta aveva proprio passato il segno, decise imboccando di gran carriera Old Crescent Road, la strada che conduceva nel bosco, puntando decisa verso casa Swan, e nulla l'avrebbe trattenuta dal dirle il fatto suo. Si fermò al cancelletto giusto il tempo di riprendere fiato e raddrizzare il cappellino, dopodiché marciò risoluta verso la porta, pronta a dare battaglia. Picchiò con il pugno sul battente per ben tre volte prima che un donnone avvolto in un grembiule da cucina le aprisse con l'aria del pugile che si prepara a un incontro. «Sì?» Tutto a un tratto la moglie del vicario sentì svanire la propria spavalderia. «Stavolta...» esordì agitando con sempre minor convinzione l'indice, «stavolta... ha esagerato davvero.» «Chi?» tuonò il donnone strizzando gli occhi. «Io...» squittì Mrs. Stonebridge, «io... parlo della figlia di Mr. Swan... Pheabe.» Pheabe Swan. Se c'era qualcuno in grado di dirle che cosa stava succedendo in città, quella era la figlia del maestro, si disse Miss Sandyton, una donnina minuta con il viso da topo, strizzando gli occhietti. Erano quasi le undici del mattino, e c'era diversa gente in Great Upper Street, ma Miss Sandyton sapeva che nessuno avrebbe potuto spiegarle che cosa ci faceva una carrozza nera, elegante, e soprattutto sconosciuta ferma davanti al macello in disuso sulla strada che portava al porto. «Miss Swan!» gridò con la sua vocetta stridula adocchian9
do la giovane che stava passando davanti alla drogheria, sul lato opposto della strada. Pheabe sussultò, come se fosse stata a mille miglia da lì con il pensiero, e voltandosi si sfiorò il colletto del vestito, come se volesse prendere fiato. Benché fosse ormai settembre, faceva ancora troppo caldo per indossare un abito di velluto scuro, anche se l'elemento che strideva maggiormente nell'insieme erano gli occhialini a forcella che la fanciulla portava con risoluta baldanza sulla punta del nasino. All'interno del negozio, la moglie del droghiere cercò di richiamare l'attenzione del marito, chino sul libro dei conti. Questi borbottò qualcosa di inintelligibile senza sollevare la testa, e solo quando lei, snervata, sibilò: «C'è Pheabe Swan!», scattò sull'attenti come se l'avesse punto un ago. In effetti, davanti alla vetrina c'era davvero Pheabe Swan: era di spalle, e di fronte a lei c'era quello spaventapasseri di Arabella Sandyton, che l'aveva investita con un torrente di parole. La moglie del droghiere si nascose dietro uno scaffale, dal quale continuò a sbirciare la ragazza. «Hai letto il Nosy?» sussurrò al marito con aria da cospiratrice. «A quanto pare la figlia del mugnaio aveva una tresca con il garzone. Lo diceva l'articolo di Desmond Malvern.» Il marito, che per la verità non sembrava molto interessato, si limitò a grugnire di nuovo. Poi aggirò il bancone e si avvicinò furtivo alla vetrina. «Dici che se n'è accorta?» sibilò la moglie, trattenendo il fiato. Lui si voltò di scatto. «Sst!» le impose. Poi si chinò lentamente verso la lavagna su cui aveva scritto il prezzo dello zucchero, che aveva aumentato quella mattina. Arrivò a sfiorarla con la punta delle dita, prima di sobbalzare e passarsi in fretta quella stessa mano tra i capelli quando Miss Sandyton agitò la mano al suo indirizzo. Cercò di sorridere, ma riuscì a malapena ad abbozzare un ghigno storto e tirato, perché anche Pheabe Swan si era girata verso di lui, e i suoi acuti occhi grigi sembravano volerlo trapassare. «Dici che l'ha visto?» gli chiese di nuovo la moglie, impaziente. Lui finse di togliere qualche granello di polvere da uno 10
scaffale. «Non lo so. Non è mica colpa mia se dobbiamo aumentare i prezzi» sibilò irritato. «E, comunque, prima o poi quell'impicciona di Pheabe Swan se ne accorgerà!» Passeggiando a braccetto con la sua amica, Nelly Symonds, figlia del proprietario delle scuderie di St. Jules, fece ondeggiare il parasole in modo da nascondere un poco il viso. «Eccola là...» mormorò. «È con quella pazza della Sandyton.» «Sì! Hai letto della figlia del mugnaio? Me l'ha detto mia madre. Chissà come ha fatto Pheabe a scoprirlo» replicò l'amica. «Anche tua madre legge il Nosy?» trasecolò Nelly, controllando il proprio riflesso in una vetrina. L'altra abbassò lo sguardo, costernata. «La mia dice che non c'è niente di peggio... Però, sembra proprio che quei due se l'intendessero. Lui le aveva addirittura promesso una fuga d'amore, se non ricordo male! Come si può essere tanto sciocchi da crederci, mi domando e dico!» aggiunse, dimostrando di essere alquanto informata sull'argomento. «Il garzone!» chiocciò l'amica coprendosi la bocca con una mano. «Ma perché poi quella storia doveva interessare tanto a Pheabe Swan?» «Mah... non ho ben capito... C'entra in qualche modo la farina, credo» rispose scuotendo il capo. «Io l'ho sempre detto che non bisogna dare troppa confidenza a quell'impertinente» dichiarò gonfiando il petto. «Sappiamo tutti che Desmond Malvern non esiste e che è lei a scrivere tutti quegli articoli.» L'attenzione di Nelly fu improvvisamente catturata da qualcosa che succedeva all'interno del negozio di sartoria e merceria di Madame Tuller. «Guarda! Mrs. Swan e Daphne. Dobbiamo assolutamente entrare!» «Ovviamente» ribatté l'altra, che non vedeva l'ora di sentire che cosa avessero da dire sull'accaduto la madre e la sorella di Pheabe. «Credo che Daphne stia scegliendo la stoffa per l'abito da sposa» mormorò rapita. «Era ora che si sposasse: ha venticinque anni! Secondo me si era montata la testa sentendosi ripetere che era la bellezza del paese e aspettava la grande occasione. Tutti gli Swan si 11
danno un sacco di arie, lo dice anche mia madre. E i loro nomi? Già da quello si può intuire quanto siano pretenziosi: nomi di origine greca per tutti i figli, pensa un po'! Come a voler sottolineare la loro superiorità.» L'amica annuì con vigore, anche se non aveva mai fatto caso che i nomi dei fratelli Swan avessero qualcosa di diverso dagli altri. «Comunque» sentenziò Nelly, «Daphne alla fine si è dovuta accontentare di un agricoltore.» L'altra annuì ancora, ma guardò con invidia il velo che la sarta stava posando sul capo di Daphne Swan. «Di certo è più di quanto avrà sua sorella» commentò, sbirciando l'amica per verificare se quella malignità avesse trovato la sua approvazione. «Il destino di Pheabe è quello di restare zitella.» «... e così mi sono detta: "Chi altri potrebbe spiegarmi che cosa sta succedendo se non la nostra Pheabe Swan?» declamò Miss Sandyton con aria saputa. Pheabe non fece in tempo ad aprire bocca. «Sarei aggiornata come voi, se solo potessi uscire un po' di più. E lo farei, se i dolori alle ossa non mi costringessero a letto per la maggior parte del tempo. Sono così sfortunata... E non credo che il dottore abbia capito la gravità della mia situazione. L'altro giorno, per esempio, non riuscivo quasi a sollevare la tazzina del tè per quanto mi dolevano le mani.» A quel punto, Pheabe stirò la bocca nell'ombra di un sorriso di comprensione, fece un piccolo – impercettibile – sospiro, e si preparò ad ascoltare la geremiade di Arabella Sandyton. Se c'era un dono che Pheabe Swan aveva in abbondanza, era quello di saper ascoltare. E ogni tanto, in mezzo a mille inutili chiacchiere, riusciva a cogliere una notizia interessante. Era successo così con la figlia del mugnaio che, confidandole la sua infatuazione per il garzone, le aveva involontariaemente rivelato come questi avesse trovato un metodo infallibile per raggirare il suo padrone. Quel furfante alterava la farina per il pane, sostituendone una parte con una qualità meno pregiata, dopodiché rivendeva la farina di grano in eccedenza, intascandosi il ricavato. E non si era neanche resa conto della gravità di quell'atto! 12
L'articolo del St. Jules' Sunday News non citava esplicitamente i due amanti, ma quello era un piccolo paese, e nessuno aveva avuto difficoltà a leggere tra le righe che cosa fosse accaduto davvero. Tanto più che nelle parole di Pheabe – o meglio, in quelle di Desmond Malvern – era implicitamente sottinteso che la figlia del mugnaio era stata raggirata perché accecata dai sentimenti. Tuttavia, anziché scandalizzarsi per la disonestà del garzone, l'intera St. Jules aveva preferito spettegolare sulla relazione clandestina dei due giovani, che aveva causato le ire del mugnaio, le lacrime di sua figlia e la concitata corsa della moglie del vicario. All'orizzonte, dove le vecchie case sbilenche del centro digradavano verso il porto, si andava addensando un banco di nubi più scure e malgrado l'insolita calura, quasi presagisse l'incipiente cambio del tempo, quel mattino la gente di St. Jules si era riversata per strada. Un misto di orgoglio e timidezza rendeva Pheabe piuttosto nervosa nel trovarsi in mezzo a tante persone. Era ovviamente compiaciuta che tutti l'avessero riconosciuta come l'autrice degli articoli di Malvern – era solo per rispetto a sua madre che aveva adottato quello pseudonimo – ma non poteva fare a meno di sentirsi infastidita dalle occhiate che tutti le lanciavano. Non potendo contare su un'altezza considerevole o dei lineamenti severi, quel giorno Pheabe aveva scelto un abbigliamento austero, che riuscisse a darle un aspetto almeno in parte altezzoso. Si rammaricava di avere un visetto da bambina, e un naso piccolo e a dir poco buffo. Avesse almeno avuto uno di quei bei nasi aquilini e regali! Quando indossava uno dei suoi soliti grembiuli, sembrava poco più di una bimbetta. E invece aveva già ventidue anni! Così aveva domato i ricci castani raccogliendoli in uno chignon, senza permettersi neppure la frivolezza di una ciocca lungo le guance, aveva inforcato i vecchi occhiali di suo padre – le cui lenti erano state sostituite con due innocui pezzi di vetro – e aveva indossato il pesante abito di velluto, allacciato fin sotto la gola. A un tratto si rese conto che Miss Sandyton doveva averle 13
fatto una domanda, perché se ne stava zitta e la guardava come se si aspettasse almeno un paio di parole in risposta, prima di proseguire con il suo discorso. «Avete ragione, Miss Arabella, saranno almeno un paio d'anni che non si vedono carrozze eleganti a St. Jules» si affrettò dunque a replicare, dopo aver ricostruito mentalmente il quesito. Miss Sandyton sorrise soddisfatta, e si accingeva a riprendere il discorso quando Pheabe, più lesta, proseguì: «Se permettete, ora vi saluto. Devo assolutamente parlare con il sindaco di una certa questione...» mentì. «Ma non mancherò di chiedergli se conosce il proprietario del veicolo che avete visto.» E si allontanò in fretta, prima che l'altra avesse modo di fermarla. Il vecchio macello era chiuso da qualche anno, e in effetti non c'era alcuna ragione per cui una carrozza elegante – come l'aveva definita Arabella Sandyton – dovesse sostarvi davanti, considerò. Le prudeva la punta del naso. Sorrise tra sé e sé, compiaciuta, pensando che era davvero come se annusasse le notizie. Quell'immagine la faceva sentire speciale. Non era facile crearsi una propria identità quando si avevano sette fratelli, di cui una gemella... Il ricordo di Deirdre le fece venire un nodo in gola, così lo scacciò all'istante. In quel momento qualcuno batté il pugno contro la vetrina accanto alla quale stava passando. Si voltò allarmata. «Daphne!» Con un gesto impaziente, sua sorella sollevò il velo dal viso, rivelando un'espressione accigliata. Sembrava che stentasse a trattenere la collera. «Pheabe!» esclamò, il suono soffocato dallo spessore del vetro. Poi, alle sue spalle, fece capolino la madre, con la stessa, identica espressione sul volto. Un istante dopo, Mrs. Swan si sporse dalla porta del negozio, afferrò l'altra figlia per un polso e la trascinò dentro. «Cosa ci fai qui?» sibilò, guardandosi intorno e notando con disappunto che Nelly Symonds e la sua amica Hettie Nolan stavano soltanto fingendo di interessarsi ai nastri. «Te l'avevo detto che oggi sarei passata da Greyson, al giornale» spiegò Pheabe. Possibile che sua madre non la stesse mai a sentire? «Mr. Greyson!» sbottò sua madre. «Potevi andarci nel pomeriggio. Chi bada ai tuoi fratelli, in questo momento?» 14
Pheabe si guardò attorno, smarrita. «Ags... ha detto...» balbettò. «Tuo fratello Agamennone ha solo tredici anni! È uno di loro. Come puoi pensare che sia in grado di accudire tre bambini, e da solo, per giunta?» «Mamma...» intervenne Daphne, puntando verso lo spogliatoio, «è meglio che andiamo a casa noi.» Guardò Pheabe con disapprovazione, atteggiando la bocca a una smorfia che voleva essere un sorriso comprensivo ma che in realtà tradiva il suo disappunto. «Tornerò domani per la stoffa.» «Daphne...» mormorò Pheabe, costernata. «Non preoccuparti» l'interruppe la sorella. «Abbiamo sbagliato noi a chiedertelo.» Noi. Era sempre così. Noi. Loro. E lei si trovava in mezzo a quegli universi chiusi, senza poter fare parte di nessuno dei due. Aveva avuto anche lei un loro e un noi, una volta, quando c'era Deirdre... Inghiottì l'amarezza e sollevò il capo, risoluta. «D'accordo. Io vado, allora» disse salutando madre e sorella con un cenno del capo. Non doveva lasciarsi ferire dalle parole di Daphne, si disse. Lei era forte. La sua gemella, Deirdre, era morta, ma era certa che continuasse a vegliare su di lei, e il solo pensiero le dava sicurezza. Cercò di inspirare quanta più aria poteva. L'indipendenza era una qualità pregevole, si ripeté. Era anche per quel motivo che aveva iniziato a scrivere per il St. Jules'. Camminò spedita, lasciandosi alle spalle gli edifici del centro, la bocca serrata in una linea severa per non mostrare la debolezza della sua solitudine. Dopotutto, lei bastava a se stessa. Doveva concentrarsi... La cosa più importante, in quel momento, era scoprire a chi appartenesse la carrozza nera, e la strada più veloce per arrivare al vecchio macello era quella dei campi. Solo quando si inoltrò nel boschetto, dove il sole disegnava giochi di luce tra le foglie arrossate dall'autunno, si concesse di rallentare il passo, rilassare le spalle e sollevare lo sguardo da terra. Ma non era sola. Trasalì, fermandosi di colpo, scrutando nella direzione in cui aveva visto una sagoma muoversi tra gli alberi. 15
Il giovane, che doveva avere pochi anni più di Pheabe, indossava abiti di ottima fattura, anche se i suoi capelli ramati erano tutti scarmigliati. Era voltato di tre quarti verso il suo cavallo e stava armeggiando frettolosamente con le cinghie di una delle bisacce della sella. «Nicholas...» mormorò Pheabe senza nemmeno rendersene conto. «Nicholas!» chiamò a voce più alta subito dopo, mentre il suo volto si accendeva di un sorriso radioso. Sorpreso, il ragazzo si voltò di scatto, e la borsa gli scivolò dalle mani. «Pheabe...?» Ma lei gli era già corsa incontro, gli occhi offuscati dalle lacrime, e gli tendeva le braccia, dimenticando di non essere più una bambina bensì una donna di ventidue anni. Dopo un attimo di smarrimento Nicholas sorrise compiaciuto, allargò le braccia e se la strinse al petto. «Ma come sei vestita?» mormorò. Lei rise e pianse insieme. «Io? Tu, piuttosto! Sei un vero damerino... Come sono contenta di rivederti, Nicholas. Sei tornato! Oh, sei tornato...» «Aspetta» la bloccò lui, allontanandola un poco da sé. «Andiamo via di qui... Qualcuno potrebbe vederci.» Pheabe annuì e frugò nella borsa per trovare un fazzoletto con cui soffiarsi il naso. Era sempre meraviglioso rivedere un vecchio amico, e quello che aveva di fronte rappresentava per lei un ponte tra il presente e i ricordi della sua infanzia. «Sono appena arrivato» le spiegò subito Nicholas. «Con l'ultima nave...» «Ah...» commentò Pheabe, chiedendosi come mai si fosse fermato nel bosco anziché proseguire per la strada principale e andare a Darrelhood, la decadente villa in cui viveva suo padre. Lui dovette intuirlo, perché le strizzò l'occhio. «Ho fatto sgranchire le zampe a Pegaso, il mio cavallo. Ne aveva bisogno.» Pheabe scrollò il capo e sorrise. «Come stai, Nicholas? Ma quanti anni sono passati?» «Fammici pensare. Sono otto... no. Caspita! Addirittura dieci! Quando sono partito eravamo dei bambini... Le cose sono molto cambiate...» Poi si accorse che lei si accigliava e 16
aggiunse: «Voglio dire, tu sei sempre la stessa Pheabe, è solo che...». Si interruppe, imbarazzato, e si chinò a riprendere la borsa da terra per poi assicurarla alla sella. «Ne sono successe di cose, eh? Io ho appena ricevuto la nomina a capitano! Ma niente nave, per ora.» All'improvviso si rabbuiò. «Mi dispiace... ho saputo... mio padre mi ha scritto di Deirdre...» Pheabe non sapeva più dove guardare, e fu contenta che la tesa del cappellino le nascondesse il viso. Riabbracciare Nicholas Reeves era piacevole e doloroso al tempo stesso, perché le ricordava un periodo ormai finito, lontano, e che era stato il più felice della sua vita. Annuì, sapendo di dover dire qualcosa. «È successo tutto in un attimo... Anche se sono passati sei anni, non riesco ancora a farmene una ragione.» Nicholas le appoggiò una mano sul braccio, come per trasmetterle tutta la sua comprensione, senza dire nulla. «Ti va di fare una passeggiata fino alla brughiera? Così mi spieghi perché te ne vai in giro vestita come una vecchia governante. Per un attimo mi sei sembrata Mrs. Groove. Te la ricordi? Mi sgridava sempre perché uscivo di nascosto a giocare con te e con Deirdre. Quando ci chiamava dalla terrazza, ci voltavamo per un attimo a farle la linguaccia e poi fuggivamo nel nostro posto segreto...» Si fermò un istante, soprappensiero. «Ehi, A proposito, esiste ancora?» domandò come balzando fuori dalla nebbia calda dei ricordi. «Io... credo di sì... Cos'hai trovato di diverso qui a St. Jules?» Non ebbe il coraggio di rivelargli che ogni tanto, quando voleva stare sola e pensare, tornava ancora alla loro grotta sulla spiaggia, il loro posto segreto. Nicholas gettò la testa all'indietro e rise di gusto. Era diventato un bel ragazzo, anche se aveva l'aria piuttosto stanca, probabilmente per il viaggio. «Be'... tu. Solo tu, in effetti. A St. Jules il tempo sembra essersi fermato. Sai, da una parte mi fa rabbia... ma ne sono anche rincuorato.» Pheabe lo guardò di sottecchi, cercando di capire che cosa gli passasse per la testa. «Non sei ancora andato da tuo padre, vero?» Il ragazzo sorrise e si scostò una ciocca di capelli che gli era caduta sugli occhi. «Un'altra di quelle cose che non cam17
biano mai... Comunque... ti va di farci un salto?» «Dove?» «Al nostro posto segreto. Per vedere com'è.» Iniziarono a scendere dalla collina, verso il mare, e Pheabe pensò che Nicholas aveva ragione a proposito di St. Jules. L'immobilismo della città faceva rabbia anche a lei. Ci sarebbe stato bisogno di idee nuove, persone nuove... La carrozza! Parlare con Nicholas le aveva fatto dimenticare tutto il resto. Era piacevole stare con lui, sentiva di essere di nuovo se stessa, di non aver più bisogno di nascondersi. Ormai era fatta, si disse. La carrozza, a quel punto, probabilmente se ne era già andata. Avrebbe chiesto a Charlotte, la figlia del sindaco, se ne sapeva qualcosa. Ora non voleva rinunciare alla compagnia del suo amico d'infanzia. Continuarono a scendere, mentre il vento spazzava il fianco della collina frustando i loro vestiti. Si fermarono a riposare su alcune antiche rocce di granito che costellavano la brughiera. «Avanti, dimmi cosa ci fai conciata come una cornacchia» l'incalzò lui. Pheabe rise e gli diede una pacca sul braccio, come per sgridarlo. «Devo cercare di sembrare una persona seria, se voglio lavorare...» Allo sguardo stupito di Nicholas, gonfiò il petto d'orgoglio. «Non sono più una bambina, Nicky. Sono diventata una donna adulta.» Ci fu un attimo di silenzio, poi lui si mise a ridere di nuovo. L'enorme massa d'acqua blu scuro si stendeva davanti a loro, rassicurante nel suo regolare lambire l'acciottolato della spiaggia. Nicholas lanciò un'occhiata distratta dietro di sé, all'alto faraglione che un tempo lui e le gemelle Swan avevano eletto a loro rifugio. Le sporgenze irregolari della roccia permettevano a una persona agile di arrampicarsi fino alla fessura scura e solitaria che si apriva a una quindicina di piedi da terra, oltre la quale si allargava una piccola grotta. «E così ti occupi della cronaca locale di St. Jules...» disse abbozzando un sorriso che Pheabe, con lo sguardo perso all'orizzonte, non poté vedere. «Mi immagino già che notizie! 18
Le tende nuove di Miss Sandyton, oppure Di chi saranno le blasfeme incisioni che deturpano le panche della chiesa?» Pheabe cercò di colpirlo con una gomitata. «Innanzitutto, per stare dietro alla produzione di tende di Miss Sandyton dovrei tenere una rubrica mensile dedicata solo a lei... E poi nessuno ha più danneggiato le panche della chiesa, da quando tu sei partito.» Lui rise ancora. «Oddio, Pheabe Swan, mi sei mancata davvero! Non hai idea di quanto avessi bisogno di tornare qui e respirare ancora l'aria fresca della mia infanzia» esclamò inspirando profondamente l'aria frizzante di salsedine. «A volte penso che sarebbe bello poter tornare indietro nel tempo...» disse Pheabe, distratta, guardando la roccia dietro di loro. «Già... Anche a me piacerebbe. Era tutto più facile, prima.» Nicholas si era chinato a scegliere alcuni sassi, che poi lanciava verso il mare, riuscendo, ogni tanto, a farli rimbalzare sulla superficie dell’acqua. «Vi abbiamo visti! Vi abbiamo visti!» esclamò un gruppetto di bambini sbucando dagli scogli bassi alle loro spalle. Pheabe si voltò di scatto, mentre la prima reazione di Nicholas fu quella di nascondersi dietro il cavallo. «Che cosa diavolo ci fate qui?» gridò rabbiosa all'indirizzo di tre ragazzini. Uno dei maschi si fece avanti puntando un pezzo di legno verso Nicholas e Pegaso. «In guardia, messere... Avete rapito nostra sorella: non la passerete liscia!» La ragazzina, un po' più alta degli altri due, lo spalleggiò. «Noi qui ci siamo venuti a giocare. Tu, invece, cosa facevi?» insinuò. «Non ti riguarda, Hero.» «Ma chi sono?» domandò Nicholas, facendo capolino da dietro la sella. «I miei fratellini» sbuffò Pheabe, spazientita. Titubante, Nicholas tornò visibile a tutti. «Davvero? Il piccolo Agamennone?» chiese guardando quello che lo teneva sotto tiro. «Nooo!» risposero tutti gli altri, in coro. «Io sono Castor!» esclamò il bambino. 19
«Davvero? Non mi ricordo di te...» «Sono passati dieci anni, Nicholas, e Castor ne ha soltanto nove. Nessuno di loro era ancora nato quando sei andato via» gli spiegò Pheabe. «Polluce, Hero, non vi avevo lasciati con Ags?» «È stato Ags a voler venire qui alla scogliera. Con il telescopio!» le spiegò Hero, la ragazzina, che aveva i capelli tagliati corti come gli altri. Sorrise con malizia. «E poi eri tu che dovevi badare a noi. La mamma si arrabbierà molto quando verrà a saperlo. Non vuole che veniamo da soli qui alla spiaggia, lo sai!» concluse con un certo compiacimento. «La mamma sa già che vi ho lasciati con Ags, e ho già avuto il piacere di sentire la sua opinione» ribatté Pheabe. Hero si guardò attorno, disorientata. «Però... però scommetto che non sa che sei venuta qui con un ragazzo» esclamò. Pheabe sgranò gli occhi e fece un passo in avanti, ma Nicholas si intromise estraendo dalla tasca una manciata di caramelle, che porse alla bambina. «Vi prego umilmente di mantenere il segreto, Miss Hero. E anche voi, signori» aggiunse invitando anche i due maschietti a servirsi. «Si dà il caso che io sia in missione segreta.» Si voltò verso Pheabe e le strizzò l'occhio. Lei assentì con un gesto grave del capo, sforzandosi di non sorridere. «Non dite a nessuno di avermi visto... ne va della Corona Britannica!» «Siete un ufficiale dell'esercito?» gli domandò Castor. «Della Marina. Vuoi arruolarti nella Royal Navy anche tu, da grande?» gli domandò. «No, io farò il soldato come mio fratello maggiore» sentenziò il piccolo Castor. «Sconfiggerò Napoleone e lo trafiggerò con la mia spada!» dichiarò fingendo un affondo con il ramo che teneva in mano. «Nostro fratello maggiore, Alexander, ci dice sempre che la vita dei soldati è più avventurosa di quella dei marinai» intervenne Hero. «Per questo anche Castor vuole arruolarsi nell'esercito.» «Davvero?» Nicholas sembrò rimuginarci su per qualche istante. «Ma un soldato non potrà mai assistere a un ammutinamento, com'è successo a me.» 20
Pheabe si voltò verso di lui, per capire se stesse dicendo la verità. «Un ammutinamento?» Lui annuì, poi si strinse nelle spalle. «A dir la verità, di azione ce n'è stata poca...» Fece l'occhiolino al piccolo Polluce, che trasse un sospiro di sollievo. Pheabe, però, era comunque preoccupata. «Un ammutinamento, che orrore... È terribile che delle persone di cui ci si fida, che dovrebbero amare la loro patria sopra ogni cosa, possano concepire un atto simile. Ma quando...?» Si interruppe perché qualcuno stava gridando il suo nome mentre correva verso di loro saltando tra gli scogli in lontananza. Era un ragazzino, e stringeva qualcosa tra le mani. «Ags!» esclamò Pheabe con una smorfia. «Non dovevi badare a loro?» lo rimproverò. Il ragazzino, malgrado il viso da bambino, era già più alto della sorella, ma totalmente sgraziato nei movimenti. «Pheabe...» disse con una voce roca che non sembrava appartenergli. «La nave...» Aveva corso a perdifiato, e non riusciva a parlare. Pheabe scoccò uno sguardo interrogativo a Nicholas. «La nave?» domandò, quasi rivolgendosi a lui. «La nave...» riprese Agamennone Swan, Ags per i suoi fratelli. «Il Sindaco Weightwind era giù al porto, e c'erano un sacco di soldati... della Marina, credo. Sembrava stessero scortando qualcuno.» Ags sollevò il telescopio, indicandole che era stato grazie a quello che aveva visto tutto. «Dev'essere arrivata una persona importante. E tu devi assolutamente scoprire chi è.»
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Il Trono di Giada Alexandra J. Forrest Oltremare - Cina, fine XII secolo - Rimasto vedovo, Eric decide di tornare in Oltremare per combattere al fianco dei Crociati, ma durante la battaglia di Hattin viene fatto prigioniero. A salvarlo dalla schiavitù cui è destinato è lo stesso Saladino, che dopo averlo comprato al mercato degli schiavi gli propone un patto: Eric rimarrà al suo servizio per dieci anni, trascorsi i quali riavrà la libertà. Iniziano così le mirabolanti avventure di Eric in Oriente, al fianco della bellissima principessa siriana Ysatis, promessa sposa all’Imperatore dei Chin. Per amor suo Eric accetta di rimanere in Cina, senza minimamente sospettare che l’antica profezia sul futuro del Trono di Giada riguarda proprio lui e la donna che gli ha rubato il cuore.
L’isola della passione Shannon Drake Mar dei Caraibi, 1716 - La fama di Red Robert, abilissimo spadaccino che solca con la sua nave il Mar dei Caraibi, si è diffusa ovunque, eppure nessuno sospetta che sotto i panni del temibile pirata si nasconda in realtà una donna. Non se ne rende conto, sulle prime, nemmeno Logan Haggerty, quando finisce nelle mani del celebre bucaniere. La verità tuttavia viene ben presto a galla, e in breve l’affascinante scozzese si ritrova perdutamente innamorato della bella Roberta. Ma la loro felicità ha vita breve, perché lo spietato Blair Colm, nemico giurato di entrambi, è sulle loro tracce...
Dal 9 settembre
27-05-2009 10