GRS767_IL_CAVALIERE_BRETONE

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Terri Brisbin

Il cavaliere bretone


Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: The Conqueror's Lady Harlequin Historical © 2009 Theresa S. Brisbin Traduzione di Anna Polo Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2011 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici febbraio 2011 Questo volume è stato impresso nel gennaio 2011 presso la Rotolito Lombarda - Milano I GRANDI ROMANZI STORICI ISSN 1122 - 5410 Periodico settimanale n. 767 del 22/2/2011 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 75 dell'1/2/1992 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano


Prologo

Hastings, Inghilterra 14 ottobre 1066 Il Duca di Normandia osservò i campi che si stendevano davanti a lui e rivolse un cenno del capo ai suoi comandanti. Compiaciuto, si rese conto che avrebbe regnato su tutto ciò che poteva vedere, anzi, su molto di più. Un fremito di anticipazione lo percorse, mentre sorrideva al pensiero di quale sarebbe stata la reazione dei Sassoni, ora che aveva sconfitto il loro sovrano consacrato e le sue truppe. Poi il suono di varie gole che si schiarivano gli ricordò i compiti che lo attendevano: aveva vinto un'importante battaglia, tuttavia la conquista dell'Inghilterra era ancora lungi dall'essere completata. Guglielmo incontrò lo sguardo dei suoi comandanti, fermi a poca distanza da lui e dalla sua tenda: quegli uomini non aspettavano solo i suoi ordini - così come i fanti, i cavalieri e gli arcieri ma anche le ricompense promesse nel caso in cui l'invasione fosse stata coronata dal successo. 5


Gli avvoltoi volteggiavano già sul campo di battaglia. «Ci vorranno giorni e giorni per ripulire i campi, mio signore» osservò Padre Obert, l'ecclesiastico al suo servizio. Guglielmo accennò alla moltitudine di nobili normanni, bretoni, francesi, del Poitou e del Maine - che si avvicinava alla tenda. «Non credo che siano disposti ad aspettare tanto a lungo, Obert.» Guglielmo posò il calice sul tavolo e tese la mano verso la pergamena che Obert gli aveva preparato: una lista delle proprietà e delle fortezze inglesi, accanto ai nomi degli uomini che le avrebbero ricevute. Con la sua approvazione. Studiandola, riconobbe subito alcuni nomi, insieme con altri che invece non si aspettava, diversi da quelli dei suoi più fidati consiglieri e comandanti. «Chi raccomanda di ricompensare questi guerrieri senza nome?» chiese. Immaginava già la risposta, ma prima di donare terre e titoli voleva essere sicuro dei motivi che stavano dietro a quelle scelte. «Come sempre, sire, il vescovo si preoccupa di ciò che è vitale per i vostri interessi.» Obert non incrociò il suo sguardo, ma tenne la testa china, a disagio. Oddone, il suo fratellastro e illustre Vescovo di Bayeux. 6


Guglielmo avrebbe dovuto capire che c'era la sua mano dietro a quelle proposte. «Oh, certo.» Il tono di lieve ironia non sfuggì a Obert: l'ecclesiastico era sempre ben informato degli intrighi della vita di corte. «Questo farà infuriare alcuni di coloro che hanno rischiato la vita e la fortuna al mio servizio, solo per vedere i bocconi migliori andare ad altri» osservò. Guglielmo notò in particolare tre nomi che avrebbero suscitato l'opposizione perfino dei loro padri: l'avrebbero esposta in termini cortesi, per evitare di accennare alla vera ragione, ma lui ne conosceva bene i motivi. Volevano che le terre andassero a loro o ai loro eredi legittimi, non a dei bastardi come quelli indicati nella lista. Obert indietreggiò davanti al suo sorriso minaccioso e attese in silenzio. «Di certo avrete un consiglio da offrirmi» lo incoraggiò il duca. «Mio signore, appropriarsi di queste terre non sarà facile né scontato. Sono probabilmente le più pericolose da rivendicare in vostro nome» gli fece notare Obert. «Forse alcuni periranno nel tentativo. Sarebbe un peccato per alcuni dei vostri sudditi più leali mettere a repentaglio la vita dei propri eredi in una simile impresa.» Guglielmo si erse in tutta la sua altezza, sfiorando il soffitto della tenda da battaglia, e annuì. «Un'osservazione interessante, Obert» approvò. Poi si avvicinò al lembo della tenda e lo sollevò, segnalando a chi stava fuori di avvicinarsi. «Tale 7


argomento dovrebbe convincere chi protesterà a gran voce per questa scelta, almeno per il momento.» «Come dite voi, mio signore.» Obert si mise al suo fianco e attese con lui l'ingresso dei sostenitori più nobili, ricchi e potenti. «Perché sprecare un erede in un'impresa tanto pericolosa, quando la si può affidare a un bastardo?» Un altro uomo avrebbe pagato con la vita quelle parole sfrontate e in effetti in passato era accaduto, dal momento che il Duca di Normandia era conosciuto anche come Guglielmo il Bastardo. Tuttavia, il tono ironico e confidenziale usato da Obert stava a indicare che egli stesso condivideva l'illegittimità della propria nascita. Guglielmo vide le pile di corpi che venivano ammucchiati sul campo di battaglia e annuì. I suoi uomini avevano già battezzato quel luogo Senlac, lago di sangue, ed era indubbio che prima di conquistare tutta l'Inghilterra molti altri posti avrebbero meritato appellativi simili. Alla terra che lo assorbiva non importava se quel sangue fosse nobile o no, se era fluito nelle vene di un uomo dotato di un titolo o di un semplice nome e se la causa per cui aveva combattuto fosse giusta o sbagliata. E non interessava neanche a lui, Guglielmo, Duca di Normandia, il bastardo diventato conquistatore. Contava solo il successo. Se gli uomini della lista ideata dal Vescovo Oddone avevano molto da guadagnare e poco da perdere, lui non si 8


sarebbe certo opposto. Guglielmo incrociò le braccia sul petto e fece un cenno a Obert, che cominciò a leggere a voce alta e chiara l'elenco delle terre e i nomi di coloro che le avrebbero ricevute come ricompensa per aver combattuto al suo servizio. In guerra il successo contava piÚ del sangue.

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«Finite la frase e vi ritroverete vedova ancor prima di essere diventata moglie» promise in un sussurro minaccioso Giles Fitzhenry, cavaliere di Guglielmo il Conquistatore. Il sangue gli sgorgava dal taglio sull'occhio e colava sulla spalla della donna che teneva stretta in una morsa brutale. Con una minima pressione avrebbe potuto ucciderla ed era pronto a farlo, se lei avesse pronunciato i voti nuziali. Giles si girò verso la folla silenziosa riunita nella chiesetta e mostrò il pugnale che le teneva puntato contro il fianco, a dimostrare che sarebbe morta, se qualcuno avesse tentato di intervenire. Lady Fayth di Taerford gli afferrò la mano, come se volesse fermarlo. Avrebbe dovuto pensare alle conseguenze delle proprie azioni prima del suo arrivo, pensò Giles, prima che i suoi uomini e quelli di suo padre - morissero nella battaglia per difendere la fortezza. Fece un cenno a Roger - uno dei suoi compagni d'arme - e questi puntò la spada alla gola del complice della donna, in attesa della sua risposta. «O10


ra la fortezza e le terre sono mie e lo siete anche voi, signora. Le vostre parole serviranno solo a procurargli una morte più o meno veloce» dichiarò, osservandola mentre lanciava uno sguardo all'uomo trattenuto a poca distanza. Sentì il corpo di lei che cedeva prima ancora che pronunciasse le parole di resa, cercò di ignorare le morbide curve femminili sotto il suo braccio, allentò un po' la stretta e abbassò il pugnale per darle la possibilità di fare la sua scelta. «Allora, intendete prenderlo come marito al mio posto?» la incalzò a voce alta. «No» rispose lei con un sussurro roco, che tuttavia risuonò con chiarezza nel silenzio mortale della cappella. Gli uomini di Giles circondarono la sua gente e cominciarono a spingerla fuori dalla chiesetta. Senza lasciarla andare, lui fece un cenno al suo secondo e poi indicò l'uomo che sarebbe dovuto diventare suo marito. «Uccidilo.» Il prete protestò a gran voce, ma venne ignorato. Fu la voce quieta della fanciulla a fermarlo. «Mio signore» cominciò in un bisbiglio, tentando di girarsi per guardarlo in faccia. Quel movimento fece sì che il sangue di Giles le inzuppasse ancora di più il mantello. Parlò a voce più alta solo quando lui allentò la presa. «Vi prego, mio signore. Lui non ha colpa. Vi prego, abbiate pietà.» Consapevole della sua collera, pareva quasi offrire se stessa in sacrificio. In seguito, Giles si disse che aveva ceduto per 11


mettere fine allo spargimento di sangue, che non aveva mai avuto davvero l'intenzione di uccidere l'uomo coinvolto dalla sua promessa sposa nel tentativo di impedirgli di affermare i suoi diritti su di lei e sulle terre che le appartenevano. In realtà, quando i loro sguardi si incontrarono, si ritrovò pronto a concederle tutto ciò che chiedeva. Liberò un lungo respiro e annuì. «Portate lui e i suoi uomini ai confini delle mie terre e liberateli» ordinò. «Se torneranno qui e cercheranno di avvicinarsi alla mia sposa, uccideteli senza esitare.» Roger trascinò il prigioniero fuori dalla cappella e Giles lasciò la donna, per poi spingerla verso un altro dei suoi uomini. Aveva molto da fare e non voleva intralci di sorta. «Trova un posto sicuro dove portare la signora» ordinò. Lei si portò una mano alla gola, come se volesse parlare, ma poi rimase in silenzio. L'impronta insanguinata delle sue dita le macchiava il collo e i guanti di maglia di ferro le avrebbero certo lasciato dei lividi nei punti in cui l'aveva tenuta stretta. Quando Giles scorse due dei suoi uomini che giacevano morti in fondo alla chiesa, tuttavia, ogni simpatia nei suoi confronti svanì. Incrociò un'altra volta il suo sguardo: l'odio che ardeva in quegli occhi verdi era più eloquente di mille parole. Le rivolse un sorriso cupo, accettando quella muta sfida. «Non deve succederle niente, se non per mano 12


mia e dietro mio ordine» intimò. «È chiaro?» «Sì, mio signore» rispose il soldato, trascinando via Fayth. Giles lanciò un'ultima occhiata alla cappella per accertarsi che qualcuno si stesse occupando dei morti e dei feriti, poi uscì a esaminare la sua nuova dimora. Fayth sentiva addosso l'odore del sangue e ne avvertiva ancora la consistenza appiccicosa sulla pelle. Era come se quell'uomo avesse voluto marchiarla come sua proprietà davanti a tutti e ora la gola e il petto le facevano male per quella morsa brutale. Mentre la trascinavano in cortile, vide Edmund e i suoi uomini che venivano incatenati tra loro. Avrebbe voluto chiamarlo, ma temeva una punizione e si trattenne. Poi i prigionieri furono spinti attraverso il cortile e fuori dal cancello della fortezza. Avrebbe mai rivisto Edmund? Il suo nuovo signore avrebbe mantenuto la sua parola, li avrebbe liberati? Lottò contro le lacrime all'idea di non rivedere più il suo amico d'infanzia. Almeno era riuscita a salvargli la vita, ma adesso tutti quelli che l'avevano sempre protetta non c'erano più e lei si ritrovava a fronteggiare gli invasori da sola. Un clamore improvviso attirò la sua attenzione e Fayth guardò inorridita i servi e i contadini - uomini, donne e bambini - che venivano sospinti nel cortile della fortezza. I soldati di Sir Giles anda13


vano di casa in casa e ne cacciavano gli occupanti senza alcun riguardo, ammucchiandoli nel recinto dove in genere si tenevano i cavalli. Li avrebbero uccisi tutti? La sua gente la fissava atterrita, invocando il suo nome, ma cosa poteva fare? Lei stessa era prigioniera. Quando uno dei soldati normanni gettò a terra la giovane figlia della cuoca, Fayth non poté più restare a guardare: con una forza che non sapeva di possedere si liberò dalla presa del soldato, si precipitò da Ardith e spinse via il suo aggressore. L'aiutò ad alzarsi, gridandole di scappare, e si girò proprio mentre la guardia la raggiungeva e l'uomo che aveva assalito Ardith si rimetteva in piedi. Imprecando in un normanno troppo rude e veloce perché lei riuscisse a comprenderlo, l'aggressore l'afferrò per il mantello e la fissò furioso, sollevando il pugno avvolto nel guanto di maglia: era evidente che non sopportava di essere stato interrotto mentre faceva valere quelli che riteneva i suoi diritti di conquista. Fayth cercò di sottrarsi al colpo brutale in arrivo, ma la presa del soldato era troppo forte. Un dolore terribile le esplose nella testa, poi il buio l'avvolse. Giles guardava il cortile immerso nel caos dalla finestra della stanza che aveva requisito per sé. Era un locale ampio, con un camino e una latrina ricavata nello spessore del muro e dava sul cortile 14


e il cancello. Sotto di lui, la gente di Taerford veniva radunata dai suoi uomini, che ormai controllavano l'ingresso e le vie di accesso alla fortezza. Si erano aperti la strada combattendo da Hastings, superando Londra e inoltrandosi nel paese di Re Aroldo, a ovest, decisi a inseguire i pochi che erano scappati dal campo di battaglia e tentavano di organizzare la resistenza al dominio di Guglielmo. Giles e i suoi uomini avevano dovuto affrontare molte battaglie, prima di arrivare alla terra che gli era stata promessa dal duca normanno. Nonostante fossero stati avvertiti del suo arrivo, la signora di Taerford e i suoi complici erano quasi riusciti a celebrare quell'affrettato matrimonio. Era arrivato giusto in tempo per impedirlo e prendere possesso della fortezza e adesso Taerford e Lady Fayth gli appartenevano. L'edificio aveva tre piani, con diverse stanze private e una cucina separata, la cappella e varie botteghe e costruzioni circondate dalle mura. Non era molto grande, ma per il momento poteva offrire una protezione sufficiente, almeno fino a quando non avesse fatto sostituire il legno con la pietra, così come aveva ordinato il duca. Giles si sfilò il cappuccio di maglia e cercò qualcosa per fermare il sangue che gli colava dalla ferita. Trovò una pezzuola di lino, la premette sul taglio e tornò alla finestra per accertarsi che i suoi ordini venissero eseguiti. Purtroppo si avvide che non era così. 15


Uno dei soldati più giovani della compagnia aveva buttato a terra una ragazza e le sue intenzioni apparivano inequivocabili. Maledizione! Giles aveva proibito tali eccessi, ma Stephen aveva perso il controllo, in battaglia, e la fanciulla era la sua prossima vittima. Uscì dalla stanza e si precipitò giù per le scale, raggiungendo il cortile in tempo per assistere all'intervento di Lady Fayth. Prima che potesse fermarlo con un ordine, Stephen l'afferrò per il mantello, sollevandola da terra. Giles gli urlò di fermarsi, ma la sua voce si perse nel fragore del cortile. Mentre correva verso di loro, Stephen la colpì con un pugno così possente da farla crollare a terra priva di sensi. Giles gli fu subito addosso e lo bersagliò di colpi. «Andrè, porta la signora nella mia stanza» ordinò poi alla guardia. «Henri, trova la sua serva, o la guaritrice, perché la curino. E rimani al suo fianco» aggiunse, asciugandosi con il dorso della mano il sangue che scorreva di nuovo copioso. Quindi si rivolse a Stephen, riverso ai suoi piedi. «La disubbidienza e la mancanza di controllo sono sempre stati i tuoi punti deboli» lo accusò. «Ti avevo messo in guardia, ma non mi hai ascoltato.» Giles ordinò che venisse rimesso in piedi, spogliato fino alla vita e legato alla palizzata. Nel cortile calò un silenzio tombale, mentre tutti guardavano il nuovo signore che puniva uno dei suoi uomini. Lui avrebbe preferito evitarlo, ma una rapida risposta alla disubbidienza era necessaria, soprattutto in quel momento. Si tolse i 16


guanti e accettò la frusta che il suo secondo gli porgeva. Non lo faceva alla leggera, visto che aveva sperimentato quel castigo sulla propria pelle. Tuttavia, aveva imparato in fretta la lezione e in seguito si era ritrovato di rado ad affrontare quella dura punizione. Avvicinandosi alla palizzata, guardò la gente rinchiusa nel recinto e i suoi uomini. «Il castigo per chi disubbidisce ai miei ordini è dieci frustate. Contale, Thierry.» Giles fece schioccare la frusta in aria, suscitando un fremito in molti degli spettatori, indietreggiò di vari passi e applicò la punizione che lui stesso aveva decretata, mentre Thierry contava a voce alta affinché tutti udissero. Stephen si lasciò sfuggire un sibilo a ogni colpo, ma non gridò, né cercò di sottrarsi. Giunto alla decima frustata, Giles fece un respiro profondo e si fermò. «E altre dieci per aver colpito Lady Fayth.» Quelle parole suscitarono sussulti di sorpresa. Giles sollevò il braccio e continuò a colpire; a quel punto Stephen aveva ormai perso ogni ritegno e gemeva di dolore. Nessuno si mosse fino a quando non gli ebbe somministrato altre dieci frustate. «Slegatelo e lasciatelo là. Quando avremo portato a termine le incombenze più urgenti, qualcuno potrà occuparsi delle sue ferite.» Incontrò lo sguardo dei suoi uomini, poi si girò e si allontanò. Due di loro staccarono Stephen dalla palizzata e lo adagiarono a terra, per poi 17


tornare ai compiti che stavano svolgendo prima dell'interruzione; per colpa della stupidità e della lussuria di uno di loro, ora avevano un soldato di meno impegnato a lavorare. Giles sollevò la testa e notò che il sole non era ancora giunto al suo punto più alto nel cielo. Il sudore e il sangue gli colavano dalla testa, sotto la cotta di maglia e la tunica. Combatteva dall'alba ed era stanco; si accertò che i suoi uomini controllassero il cortile e i suoi occupanti, poi fece cenno a Thierry di seguirlo nella fortezza. I giorni passati ad aprirsi la strada combattendo cominciavano a pesargli. In quel momento voleva solo una dimora sicura, un bagno caldo e un pasto, ma temeva che non sarebbe riuscito a esaudire quei desideri tanto presto. E doveva ancora affrontare la sua futura sposa. Il primo tentativo di aprire gli occhi le provocò un dolore lancinante, così Fayth rimase immobile e attese che la nausea passasse. Sentiva qualcuno muoversi nella stanza ed era tentata di riprovarci, ma le ondate di dolore che le attraversavano la testa la indussero a ripensarci. «Mia signora?» Il sussurro veniva da una voce familiare, ma in quel momento non era in grado di riconoscerla. «Mia signora?» Fayth deglutì, senza riuscire a parlare. Le pareva che, se ci avesse provato, la testa si sarebbe spaccata, ma l'altra insisteva. «Mia signora, svegliatevi! Sta arrivando.» 18


Fayth sollevò una mano e si passò le dita sulla fronte e la testa, fino a quando non trovò il bernoccolo, fonte di tutto quel dolore. Riparò gli occhi dalla luce con un braccio e si costrinse ad aprirli. Accanto a lei c'era Ardith. Con il viso terrorizzato rigato di lacrime, la ragazzina si girò verso la porta e poi tornò a guardarla. L'uscio si aprì e lei balzò in piedi, indietreggiando e fermandosi solo quando andò a sbattere con la schiena contro il muro. Fayth la guardò più a lungo possibile, ma dopo pochi minuti la testa che continuava a girare glielo impedì. «Dovevi occuparti della sua ferita. Perché è ancora coperta di sangue?» Le parole pronunciate in un inglese esitante rimbombarono nella stanza e Fayth sentì contrarsi lo stomaco. Terrorizzata, Ardith riuscì a rispondere solo con un sommesso singhiozzo. Fayth si fece forza per intervenire. «Non è abituata a questi compiti» sussurrò, sperando che la spiegazione fosse sufficiente. Il dolore divenne ancora più intenso e lo stomaco si rivoltò. Per fortuna, Ardith capì cosa stava per succedere, afferrò un recipiente e glielo tese proprio mentre Fayth cominciava a vomitare. Alla fine non aveva più la forza di rialzare la testa e sarebbe rimasta in quella posizione umiliante, se due mani forti non l'avessero sollevata, adagiandola contro i cuscini. «Liberati di quella roba!» ordinò Giles. 19


Le sue parole non ottennero l'effetto sperato: Ardith si rannicchiò in un angolo, tremando così forte da rischiare di rovesciare il secchio. Fayth dovette restare a guardare mentre il guerriero si avvicinava a grandi passi e la prendeva a male parole in normanno. Poi un trambusto fuori dalla porta lo interruppe ed Emma entrò nella stanza con un recipiente e delle pezzuole. «Mio signore» cominciò, rivolgendogli un inchino. «La state terrorizzando, e i vostri uomini non sono da meno.» La donna lo superò e tese la mano ad Ardith. Fayth rimase a guardare in silenzio mentre la sua anziana serva posava sul tavolo gli oggetti che aveva portato, toglieva il secchio dalle mani tremanti della ragazzina e si avviava alla porta, incurante dello sguardo attonito del guerriero normanno. L'aprì, consegnò il secchio a uno dei soldati fermi in corridoio e gli ordinò di liberarsene. Solo la sonora risata del suo signore spinse l'uomo a obbedire. «Tu non sembri terrorizzata, vecchia. Come ti chiami?» «Emma è anziana, mio signore» intervenne Fayth in un sussurro, nel tentativo di fermare la sua ira. «Vi prego...» «Sono abbastanza vecchia da avervi ripulito il didietro quando eravate un lattante, mio signore» rispose Emma senza esitare, né mostrare il dovuto rispetto per quel temibile guerriero. Poi si mise le mani sui fianchi e lo fissò con a20


ria di sfida. Dio santo, gemette Fayth tra sé, quell'uomo l'avrebbe uccisa per una simile impertinenza! «Dalla tua età e dalla mia, direi che hai ragione» concordò Giles. Scoppiò in un'altra, breve risata, poi si rivolse all'uomo più vicino e borbottò qualcosa in un normanno troppo rapido perché Fayth riuscisse a capirlo. «Comunque, le mie risate non ti danno il permesso di continuare con la tua sfrontatezza, donna» l'ammonì, tornando serio. Questa volta Emma indietreggiò e chinò la testa. Fayth era abituata ai suoi modi schietti, ma in quella situazione così nuova non aveva modo di prevedere quali gesti, anche innocenti, potessero provocare una reazione violenta. Non che Emma fosse innocente... «Lady Fayth, raggiungetemi nel salone non appena ve la sentirete» le ordinò in inglese, fissandola accigliato. «Ci sono questioni che devono essere risolte al più presto.» «Ma... mio signore...» protestò Emma. Lui bloccò qualsiasi discussione con un gesto e un'occhiata truce. «Nel salone. Preparala.» La serva fu abbastanza saggia da annuire e accostarsi al tavolo per svolgere i suoi compiti. Il nuovo signore di Taerford uscì dalla stanza e cominciò a impartire ordini. A quel punto, Emma tornò da Fayth, si chinò su di lei e fece cenno ad Ardith di avvicinarsi. «Temevo che ti colpisse» sussurrò Fayth. «Non 21


devi farlo arrabbiare, Emma. Ricordalo.» L'altra scosse la testa. «Mia signora, il nuovo padrone rispetta solo la forza.» Fece scivolare un braccio dietro le sue spalle e proseguì, decisa. «Dovete affrontarlo allo stesso modo e dimostrarvi la degna figlia del Conte Bertram.» Fayth avrebbe voluto lasciarsi convincere dalla sicurezza di Emma, ma gli eventi sconvolgenti di quella giornata erano ancora troppo freschi nella sua mente. Le parole di Sir Giles, poi, facevano presagire nuovi, temibili cambiamenti nella sua vita e in quella della sua gente. Edmund era ancora vivo? Sarebbe riuscito a realizzare il suo proposito, radunando un numero di sostenitori sufficiente a opporsi a Guglielmo? Era così assorta nei suoi pensieri che il movimento improvviso fatto da Emma per aiutarla a rimettersi a sedere la colse di sorpresa. Passarono diverse ore, prima che Fayth si sentisse pronta a scendere nel salone. Le gambe le tremavano a tal punto che la serva dovette chiamare due guardie per sostenerla: meglio farsi assistere scendendo le scale, che inciampare e cadere, dichiarò. Fayth si concentrò unicamente nell'impresa di mettere un piede davanti all'altro e scorse il nuovo signore solo quando se lo trovò dinanzi. Alla sua occhiata truce, gli uomini la lasciarono passare e fecero un passo indietro. Proprio quando temeva di crollare a terra, tanto le faceva male la 22


testa, Fayth scorse qualcosa di nuovo: l'anello con il sigillo di suo padre - un ornamento che non si sarebbe mai tolto da vivo - pendeva da una catenella che cingeva il collo del cavaliere normanno. Fayth sollevò la testa e incontrò il suo sguardo soddisfatto, che confermava senza bisogno di parole la posizione e i diritti che ormai deteneva. Suo padre era morto e quell'uomo possedeva tutto ciò che un tempo era stato suo. La verità la colpì come uno schiaffo, ma Fayth non riusciva ad accettarla. Allungò una mano per afferrare l'anello, ma lui la bloccò, stringendola forte. «Mi appartiene, insieme a voi e a questa fortezza. Il Duca Guglielmo mi ha nominato Barone di Taerford e mi ha assegnato tutte le terre possedute un tempo da vostro padre, il Conte Bertram... e non solo quelle.» Nonostante l'impegno preso con Emma di opporre la propria forza alla sua, in quel momento Fayth perse il controllo: il salone e l'intera fortezza presero a girare davanti ai suoi occhi, mentre il dolore alla testa e al cuore la travolgeva. Suo padre era morto.

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ANGELO NERO Roberta Ciuffi Tutti ad Aylesvale, ridente villaggio nel sud dell'Inghilterra, apprezzano la generosità di Nell Hobson. Quando però la graziosa vedova accoglie in casa propria un uomo ferito, la cosa rischia di suscitare uno scandalo. Tanto più che lo sconosciuto, oltre a essere giovane e affascinante, non ricorda nulla tranne che il proprio nome, Michael. Ma chi è in realtà? La domanda turba gli abitanti del villaggio, prima fra tutti Nell, che in parte si augura e in parte teme che lui possa ritrovare la memoria. E tormenta anche lui, quando guarda negli occhi la donna che gli ha rubato il cuore e che non vorrebbe mai lasciare per tornare a una vita che forse non gli appartiene più. In uscita a febbraio


Un matrimonio perfetto KAREN HAWKINS Inghilterra - Scozia, 1807 - Per porre fine alla faida che divide le loro famiglie, Fiona trascina all'altare il noto libertino Jack Kincaid. Il loro matrimonio sarà davvero il disastro che sembra?

Sciarada per il conte MICHELLE WILLINGHAM Inghilterra, 1850 - Stephen Chesterfield capisce di trovarsi nei guai quando scopre di avere una moglie che non ricordava. Anche se forse la dolce Emily è l'unica che potrebbe aiutarlo.

Angelo nero ROBERTA CIUFFI Inghilterra, 1818 - Chi è il giovane affascinante che ha perduto la memoria e che dice di chiamarsi Michael? È un gentiluomo a cui Nell può affidare il proprio cuore... o un angelo caduto?

Il cavaliere bretone TERRI BRISBIN Wessex, 1066 - Giles Fitzhenry è il valoroso cavaliere bretone che prende possesso delle terre della nobile sassone Lady Faith. Ma la conquista del suo amore sarà un'impresa ancor più ardua.


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Michael Thorpe è un soldato di umili origini. Lady Hannah è nobile e pertanto inaccessibile. Ma se si scoprisse che in realtà lui è un principe, tutto muterebbe.

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Charles e Penny si incontrano per caso dopo tredici anni. E tra loro divampa la passione, selvaggia e incontenibile. Torna SEDUCTION, più sensuale e bollente che mai.

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Hero è alla ricerca di un libro scomparso da oltre un secolo. Kit Marchant decide di aiutare la giovane in quell'avventura. Ma a perdersi, questa volta, sarà il suo cuore.

L'ombra del guerriero DENISE LYNN

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Lea è la potente signora della fortezza di Montreau. Jared è l'uomo che aveva rifiutato poco prima delle nozze. E che non ha mai dimenticato né lei né il passato.

Dall'1 marzo


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