GRS769_TENTAZIONI_DI_UNA_GENTILDONNA

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747 - Le avventure di una gentildonna - C. Jewel 748 - Gli scherzi del cuore - A. Ashley 749 - Profezia nella notte - A. O'Brien 750 - Il dilemma del conte - E. May 751 - La figlia segreta del re - M. Fuller 752 - La principessa e il cavaliere - J. Rock 753 - Il segno del peccato - M. Styles 754 - La cortigiana e il libertino - A. Lethbridge 755 - Regole di cavalleria - J. Justiss 756 - Giochi di spada - M. Willingham 757 - Il mistero del dipinto - S. Mallory 758 - Il corsaro di Sua MaestĂ - D. MacTavish 759 - Prigioniera d'amore - S. James 760 - La benda scarlatta - B. Gifford 761 - Desiderio selvaggio - J. Ashley 762 - Un marito per Charlotte - D. Simmons 763 - Intrighi reali - J. Francis 764 - Un matrimonio perfetto - K. Hawkins 765 - Sciarada per il conte - M. Willingham 766 - Angelo nero - R. Ciuffi 767 - Il cavaliere bretone - T. Brisbin 768 - Le regole dell'etichetta - M. Willingham 769 - Tentazioni di una gentildonna - S. Laurens 770 - Il mistero del libro scomparso - D. Simmons 771 - L'ombra del guerriero - D. Lynn


STEPHANIE LAURENS

Tentazioni di una gentildonna


Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: A Lady of His Own Avon Books © 2004 Savdek Management Proprietory Ltd. Traduzione di Federica Isola Pellegrini Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2011 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici marzo 2011 Questo volume è stato impresso nel febbraio 2011 presso la Rotolito Lombarda - Milano I GRANDI ROMANZI STORICI ISSN 1122 - 5410 Periodico settimanale n. 769 dello 08/03/2011 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 75 dello 01/02/1992 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano


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Restormel Abbey Lostwithiel, Cornovaglia Aprile 1816 Un ciocco si spezzò nel focolare, sprigionando una pioggia di scintille. Le fiamme divamparono, proiettando un bagliore dorato sulle costole dei volumi allineati lungo le pareti della biblioteca. Charles St. Austell, Conte di Lostwithiel, emerse dalle profondità della poltrona e si accertò che nessun pezzetto di brace avesse raggiunto il folto pelo di Cassius e Brutus, i cani per la caccia al lupo accucciati ai suoi piedi. Rassicurato, lasciò ricadere la testa sullo schienale di cuoio. Alzando il bicchiere che aveva in mano, mandò giù un lungo sorso e tornò alle sue meditazioni. Sulla vita, le sue traversie e, talvolta, i suoi inattesi risvolti. All'esterno, il vento fischiava attorno agli alti muri del castello. All'interno, regnava un totale silenzio. Era mezzanotte passata e la servitù si era ritirata da tempo. Era il momento perfetto per fare il punto della situazione. Si trovava lì per compiere una missione, ma si 5


trattava di un incarico di secondaria importanza. Scoprire se c'era del vero nella voce secondo la quale le informazioni riservate del Ministero degli Esteri venivano trasmesse tramite i contrabbandieri locali non avrebbe richiesto un grosso sforzo da parte sua. Era un altro lo scopo principale che lo aveva indotto a cogliere al volo l'occasione che gli aveva offerto Dalziel, il suo ex comandante, consentendogli di tornare all'Abbazia, la dimora dei suoi avi che adesso apparteneva a lui. Quello cioè di raggiungere una prospettiva sufficiente per permettergli di esaminare e quindi eliminare lo stridente contrasto fra la sua pressante necessità di prendere moglie e la sua convinzione crescente che non sarebbe mai riuscito a trovare una donna in grado di interpretare quel ruolo. A Londra, si era ritrovato immerso fino al collo in un mare di candidate, nessuna delle quali assomigliava sia pur lontanamente alla donna che gli occorreva. Il fatto di essere assediato da stuoli di insulse fanciulle, che non lo consideravano che un attraente e facoltoso nobiluomo, con il fascino supplementare di essere un misterioso eroe di guerra, aveva costituito una sorta di purgatorio personale. Non intendeva rimettere piede in società finché non avesse avuto una chiara visione della donna che desiderava sposare. A dire la verità, quella profonda necessità di trovare una moglie, la moglie giusta, lo innervosiva. Subito dopo il ritorno da Waterloo era riuscito a persuadersi che fosse del tutto normale. La sua amicizia con altri sei uomini in cerca di una sposa come lui e il cameratismo che si era instaurato fra loro dopo aver fondato il Bastion Club, l'ultimo baluardo per difendersi dalle madri ansiose di maritare le loro figlie, lo aveva rassicurato e aveva attenuato la sua 6


impazienza per alcuni mesi. Adesso, però, Tristan Wemyss e Tony Blake si erano sposati, mentre lui stava ancora aspettando che la donna giusta apparisse all'orizzonte. Ci erano volute le ultime settimane, in cui era stato risucchiato dal vortice che precedeva l'inizio della Stagione, per comprendere pienamente quale fosse la causa di quella sorta di smania. Era stato di stanza all'estero per tredici anni, lontano dall'alta società in cui era nato e di cui era tornato a fare parte. Aveva trascorso quegli anni in territorio nemico, senza mai rilassarsi, sempre vigile e all'erta. Perfino adesso, pur sapendo che la guerra era finita, ai balli, ai ricevimenti e alle riunioni affollate aveva scoperto di esserne mentalmente estraniato. Continuava a comportarsi come un osservatore esterno, perennemente intento a spiare, a guardarsi intorno, incapace di abbassare la guardia. Aveva bisogno di una moglie per riuscire di nuovo a stabilire un contatto, una moglie che fungesse da ponte fra lui e quanto lo circondava. Era un conte, aveva diverse sorelle, parenti, conoscenti e innumerevoli doveri. Non poteva nascondersi. Non voleva nascondersi, non possedeva l'indole di un eremita. La capacità di stabilire quel collegamento era appunto la dote che piÚ desiderava in una futura moglie. Purtroppo, per farlo, la suddetta futura moglie sarebbe dovuta entrare in sintonia con lui, ed era in questo che avevano fallito tutte le giovani debuttanti. Non riuscivano neppure a vederlo con sufficiente chiarezza, figurarsi a capirlo, e non era affatto sicuro che questo le interessasse. Il loro concetto del matrimonio, del tipo di rapporto che comportava, si fermava agli aspetti superficiali. Il che, a suo avviso, si avvicinava pericolosamente all'inganno, alla finzione. Dopo aver mentito per tredici anni, dopo 7


aver vissuto così a lungo sotto una falsa identità, l'ultima cosa a cui avrebbe consentito di contaminare la sua esistenza, quella reale di cui intendeva rientrare in possesso, era proprio l'inganno. A un tratto, fievole ma inequivocabile, udì un rumore di passi. Stivali, non scarpe. I passi si avvicinarono, provenienti dal retro della casa. Quando raggiunsero il corridoio, non lontano dalla biblioteca, comprese che chiunque stesse attraversando il castello a quell'ora non era un domestico. Nessun domestico avrebbe percorso il corridoio con quel passo tranquillo e sicuro. Raddrizzandosi, mise giù il bicchiere, continuando a tendere l'orecchio mentre l'intruso girava l'angolo e si avviava lungo lo scalone con la massima calma. «Che diavolo...» Alzandosi, scoccò un'occhiata ai cani, che peraltro non si erano mossi, quasi conoscessero quella persona. «Restate qui» intimò loro. Un istante più tardi aprì la porta della biblioteca. A differenza della persona che si aggirava in casa sua, non fece più rumore di un fantasma. Giunta in cima alla scala, Lady Penelope Jane Marissa Selborne svoltò inconsciamente nella galleria, in direzione del corridoio che si trovava all'estremità. Non si era disturbata a prendere una candela, non ne aveva bisogno. Aveva percorso quel tragitto un'infinità di volte nel corso degli anni. Quella notte, le ombre della galleria e il silenzio che regnava nell'Abbazia costituivano un balsamo per la sua mente in subbuglio. Che diavolo doveva fare e, soprattutto, che cosa stava succedendo? Provò l'impulso di ravviarsi i capelli con le mani, di sciogliere le lunghe ciocche strettamente raccolte in una crocchia, ma portava ancora il cappello a larga tesa. Con indosso un paio di calzoni e una vec8


chia giubba, aveva trascorso la giornata e tutta la sera a seguire furtivamente il suo lontano cugino, Nicholas Selborne, Visconte di Arbry. Nicholas era l'unico figlio del Marchese di Amberly, che dopo la morte del suo fratellastro Granville aveva ereditato la tenuta della sua famiglia, Wallingham Hall, a circa quattro miglia di distanza. BenchÊ provasse stima e un tiepido affetto per Amberly, che aveva incontrato in parecchie occasioni, non era altrettanto certa dei propri sentimenti nei confronti di Nicholas. Quando, in febbraio, era arrivato a Wallingham senza preavviso e aveva cominciato a fare domande sulle abitudini e gli amici di Granville, si era insospettita. Aveva dei validi motivi per credere che chiunque andasse in giro a rivolgere quel genere di domande meritava di essere tenuto d'occhio, ma Nicholas era ripartito cinque giorni piÚ tardi e lei si era augurata che la cosa finisse lÏ. Nicholas era ricomparso il giorno prima e aveva trascorso l'intera giornata a visitare i vari covi di contrabbandieri disseminati lungo la costa. Quella sera si era recato a Polruan e aveva passato due ore nella taverna del villaggio. In quelle due ore, lei lo aveva tenuto d'occhio da un folto di alberi a breve distanza e, quando lui era uscito, lo aveva seguito. Dopo essersi accertata che avesse imboccato il sentiero che conduceva a Wallingham, aveva guidato la giumenta in direzione dell'Abbazia, il suo rifugio. Durante la sua lunga attesa, si era sforzata di escogitare un sistema per scoprire che cos'avesse fatto Nicholas nelle taverne in cui era entrato, ma avrebbe dovuto aspettare fino all'indomani per attuare il proprio piano. Oltre che per lambiccarsi ancora una volta il cervello per tentare di dare un senso a ciò che aveva appreso fino ad allora, di comprende9


re a che cosa fossero dovuti i suoi sospetti. Pur essendo impaziente di risolvere l'enigma, quell'interminabile giornata l'aveva sfinita. Era talmente stanca che riusciva a stento a formulare un pensiero coerente. Si sarebbe concessa una lunga notte di sonno e avrebbe riflettuto il mattino seguente. Giunta in fondo alla galleria, percorse il corridoio. Aveva occupato spesso una delle due stanze all'estremità di quell'ala, negli ultimi dieci anni, ogni qualvolta aveva desiderato venire a trovare la sua madrina. La stanza era sempre pronta per lei, i domestici abituati alle sue improvvise comparse. Portando lo sguardo alla sua destra, al di là delle lunghe finestre prive di tende che davano sul giardino posteriore, decise di non accendere il fuoco. L'unica cosa che desiderava era spogliarsi, infilarsi sotto le coperte e dormire. Aveva appena impugnato la maniglia della porta quando una grande sagoma scura apparve alla sua sinistra. Il panico l'attanagliò. Aprì la bocca per lanciare un grido... Lo riconobbe in quel medesimo istante. Si portò la mano alle labbra per soffocare lo strillo, ma lui fu più rapido. Una mano si abbatté sulla sua, premendole il palmo contro le labbra. Per un istante lei incontrò i suoi occhi, scuri e indecifrabili, acutamente consapevole del calore della sua pelle contro la bocca. Consapevole della sua presenza. Il tempo parve fermarsi, poi la realtà la folgorò. Irrigidendosi, abbassò la mano e indietreggiò di un passo. Fece un profondo respiro, il cuore che le martellava in gola. «Maledizione, Charles, come vi è venuto in mente di spaventarmi a morte? Avreste potuto dire qualcosa, emettere un suono.» Inarcando un sopracciglio, il Conte di Lostwithiel 10


la percorse con lo sguardo. «Non vi avevo riconosciuta.» Un senso di calore si insinuò in lei. La sua voce era profonda come ricordava, il suo potere di seduzione più evidente che mai. Si impose di ignorarlo. La certezza che lui era l'ultima persona che avrebbe voluto incontrare la colpì con la violenza di una mazzata. «Be', sono io. E adesso, se non vi spiace, ho intenzione di coricarmi.» Abbassando la maniglia, lei aprì la porta, varcò la soglia e la chiuse. O tentò di farlo. Il battente si inceppò a un palmo dallo stipite. Lei lo spinse, quindi si lasciò sfuggire un sospiro. L'intuito la informò che si era limitato ad appoggiare una mano sull'altro lato della porta. «E va bene!» Indietreggiò, alzando le mani. «Fate pure il difficile» aggiunse a denti stretti. Stanca com'era, il controllo che esercitava sulla propria irritabilità era oltremodo precario, la condizione peggiore in cui potesse trovarsi quando era costretta ad affrontare Charles Maximilian Geoffre St. Austell. Attraversando la stanza, gettò da parte il cappello e si lasciò cadere sulla sponda del letto. Lo osservò da sotto le ciglia mentre avanzava nella camera e volgeva attorno lo sguardo, prendendo nota delle sue spazzole sulla toeletta, del paio di stivaletti sotto l'armadio, del letto rifatto. Il tutto mentre si dirigeva a lunghe, arroganti falcate verso la poltrona di fronte alla finestra e la occupava con un aggraziato movimento fluido. I capelli neri leggermente ondulati gli incorniciavano il viso. Un viso dai lineamenti aristocratici, con le sopracciglia rivolte all'insù, gli occhi profondamente infossati, il naso e il mento cesellati, e delle labbra su cui non le conveniva indugiare. Charles la fissò per circa dieci secondi, ricordandole che era 11


sempre stato in grado di vedere al buio meglio di lei, che se intendeva superare quel colloquio senza rivelare i suoi segreti sarebbe dovuta ricorrere a tutto l'autocontrollo che possedeva. «Come mai siete a casa?» La frustrazione trasformò quella domanda in un'accusa. «Vivo qui, ricordate? In effetti, adesso sono il proprietario dell'Abbazia e di tutte le sue terre.» «Sì, ma... Marissa, Jacqueline e Lydia, Annabelle ed Helen sono andate a Londra per aiutarvi a trovare una moglie. Anche la mia matrigna e le mie sorelle si trovano lì. Erano tutte talmente eccitate quando sono partite. Non si è parlato d'altro dal giorno della vittoria di Waterloo. Dovreste essere a Londra, non in Cornovaglia.» Penelope fece una pausa. «Loro lo sanno che siete qui?» «Sanno che dovevo venire all'Abbazia.» Doveva? «Come mai?» Charles desiderò che la luce fosse migliore o che la poltrona si trovasse più vicina al letto. Non era in grado di scorgere i suoi occhi e le sue espressioni erano troppo fuggevoli per avere la possibilità di decifrarle nella penombra. Aveva scelto la poltrona, posta a prudente distanza, per non acuire il loro già notevole nervosismo. Quel momento nel corridoio era già stato abbastanza imbarazzante. L'impulso di prenderla fra le braccia era stato talmente forte, talmente inatteso, che lui aveva dovuto fare appello a tutta la sua forza di volontà per resistervi. Si sentiva ancora piuttosto scosso. Penny aveva l'aspetto che ricordava: alta, esile, flessuosa, una bionda silfide che, malgrado l'apparente fragilità, gli aveva sempre tenuto testa. Benché sembrasse essere cambiata ben poco, diffidava di quella deduzione. Essendo la figlia di un nobiluomo, i tredici anni trascorsi fra i sedici e i ventinove 12


dovevano averle lasciato il segno, ma lui ignorava in quali modi, tranne che in uno. Avrebbe potuto giurare che la sua presenza di spirito non si era affatto affievolita. «Sono venuto per affari.» «Quali affari?» «Questo e quello.» «Questioni che riguardano la tenuta?» «Mi occuperò di qualunque cosa troverò sulla scrivania del mio studio durante la mia permanenza qui.» «Ma non è l'unica ragione?» Charles scattò all'istante sulla difensiva. Avrebbe compiuto la propria missione alla luce del sole, non sotto copertura. Per un volta non c'era motivo che non ne parlasse apertamente, eppure l'ultima persona a cui si era aspettato di parlarne per prima era lei. Tuttavia, dato che glielo stava chiedendo, il modo più diretto per procedere era quello di rivelarle ogni cosa e vedere come avrebbe reagito. Inoltre, desiderava che Penny ricambiasse la sua confidenza e rispondesse alle domande che intendeva rivolgerle. Per esempio, perché scorrazzava per la campagna in piena notte, e per giunta vestita da uomo? Perché si trovava lì e non a casa sua? Come mai non era a Londra o non si era sposata? In tal caso, si rese conto, la distanza che aveva messo fra loro avrebbe giocato a suo sfavore. Non riuscendo a vedere bene il suo viso, se lei avesse mentito non se ne sarebbe accorto. Alzandosi lentamente, si diresse verso il letto e si appoggiò a una colonna. «Vi spiegherò esattamente perché sono qui, se in cambio voi mi spiegherete esattamente perché siete arrivata a casa mia a quest'ora, vestita in quel modo.» Benché avesse rafforzato la stretta attorno alla 13


sponda del letto, Penny non si irrigidì. Fece passare lo sguardo da lui alla porta. «Ho fame.» Charles la seguì lungo la scala di servizio e in cucina. Mentre attizzava il fuoco nella stufa, lei azionò la pompa dell'acqua, riempì il bollitore e prese ad aggirarsi per la cucina come se sapesse benissimo dove veniva riposta ogni cosa. In effetti, lui notò che aveva disposto tazze e piattini sul tavolo, oltre a un candeliere e un vassoio che conteneva i biscotti alle mandorle di Mrs. Slattery, la capocuoca e governante dell'Abbazia. La studiò mentre si lasciava cadere su una sedia a un'estremità del tavolo, poi occupò quella di fronte al posto che aveva apparecchiato per lui lungo un lato. Penny afferrò un biscotto e cominciò a mordicchiarlo. «Dunque, perché siete venuto qui?» Se le avesse risposto semplicemente, succintamente, quante probabilità aveva di ottenere qualcosa da lei? «Il mio ex comandante mi ha chiesto di dare un'occhiata nei dintorni.» «Il vostro comandante...» Lei esitò. «In quale corpo prestavate servizio, Charles?» «Non nell'esercito e non in marina.» «In quale reggimento?» «In teoria, in uno di quelli delle Guardie Reali.» «In pratica?» Se non le avesse risposto, non avrebbe compreso il resto. Lei si accigliò. «Dove siete stato in tutti questi anni?» «A Tolosa.» «Presso i parenti di vostra madre?» «Loro sono di Landes. Abbastanza a sud di Tolosa per rendere plausibili i miei colori e il mio accento, ma abbastanza lontano per essere relativamente certo che nessuno mi riconoscesse.» 14


Penny assimilò quell'informazione a poco a poco. «Eravate una spia?» «Un agente segreto del governo di Sua Maestà.» Il bollitore fischiò in quel momento. Lei si alzò per versare l'acqua nella teiera, tornò verso il tavolo e travasò il tè nelle loro tazze. «Per tutti questi anni?» Fino ad allora lui non aveva avuto idea di come avrebbe reagito, se sarebbe rimasta inorridita o avrebbe compreso. Penny comprese. L'orrore che trapelava dal suo viso era per lui, non per quello che molti giudicavano un disonore. «Qualcuno doveva pur farlo.» «Ma da quando?» «Mi reclutarono appena mi arruolai nelle Guardie.» «Non avevate che vent'anni!» Appariva, era, sconvolta. «Ero anche mezzo francese, avevo un aspetto completamente francese, parlavo il francese come un indigeno. Ed ero pronto a commettere qualsiasi follia.» Charles non le avrebbe mai rivelato che gran parte della propria temerarietà era stata causata da lei. «Ma...» «All'epoca era facile intrufolarsi in Francia. Un paio di mesi più tardi ero diventato un uomo di affari di Tolosa come tanti altri.» Penny l'osservò con occhio critico. «Avete un aspetto, un atteggiamento troppo aristocratici. La vostra arroganza vi tradirebbe sempre.» «Feci circolare la voce che ero il bastardo di una casata ormai estinta e sulla cui tomba avrei ballato volentieri.» «E poi?» insistette Penelope. «Mi insinuai nelle grazie di ogni dignitario civile 15


e militare della zona, raccogliendo tutte le informazioni che potevo.» «Quindi avete inviato le informazioni in Inghilterra, ma siete rimasto lì... per tutto quel tempo?» «Esatto.» Charles afferrò la propria tazza e la chiuse fra le mani, sorseggiando il tè mentre continuava. «Quando divenne chiaro con quale successo riuscivo a infiltrarmi nelle alte sfere civili e militari, la posta in gioco aumentò. Andarmene sarebbe stato troppo rischioso. I francesi dovevano credere che sarei sempre rimasto lì, che avrebbero sempre potuto contare su di me.» «Allora è per questo che non siete tornato per il funerale di James.» «Fui in grado di svignarmela per quelli di mio padre e di Frederick, ma, quando mancò James, l'armata di Wellington stava marciando su Tolosa. Era di vitale importanza che rimanessi dov'ero.» Frederick, suo fratello maggiore, si era spezzato l'osso del collo cadendo da cavallo durante una battuta di caccia. James, il secondogenito, aveva preso il suo posto solo per affogare in un banale incidente mentre si trovava a bordo della sua barca a vela. Di conseguenza lui, il minore dei figli del sesto conte, era diventato il nono conte. Uno degli scherzi del destino che avevano radicalmente modificato la sua esistenza. Dopo aver sorseggiato il tè con aria assorta, Penny riportò lo sguardo su di lui. «Dove vi trovavate a Waterloo?» «Dietro le linee francesi. Avevo convinto altri uomini, mezzi francesi come me, a unirsi a un distaccamento proveniente da Tolosa. Dovevamo sorvegliare l'artiglieria su una collina che sovrastava il campo di battaglia.» «Per impedire ai cannoni di sparare?» 16


«Era il nostro compito, infatti.» «In modo da diminuire il massacro delle nostre truppe?» Massacrandone altre. «Ma, dopo Waterloo, avete venduto il vostro brevetto.» «Non c'era più bisogno di noi agenti segreti. E avevo altri doveri che mi aspettavano.» L'ombra di un sorriso le aleggiò sulle labbra. «Doveri che né voi né nessun altro avevate mai immaginato che avreste dovuto assumervi.» Penny continuò a studiarlo per un lungo istante. «Che cosa si prova a diventare il conte?» gli domandò infine. Aveva sempre avuto l'abilità di toccare il suo punto più sensibile. «Mi sento... strano. Ho ancora difficoltà a ricordare che Filchett e Crewther si stanno rivolgendo a me quando pronunciano la parola milord.» Filchett e Crewther era i suoi maggiordomi, rispettivamente dell'Abbazia e della sua residenza londinese. «Ho sentito dire che voi e alcuni altri uomini avete fondato un circolo per aiutarvi a vicenda a trovare una moglie.» «Siete stata a Londra ultimamente?» «Non da sette anni.» Non si era meravigliato che Dalziel fosse a conoscenza del Bastion Club, ma... «Come diavolo fate a saperlo?» «Marissa lo ha appreso da Lady Amery.» Charles imprecò a denti stretti. Avrebbe dovuto ricordare che la madrina di Tony Blake era francese e che faceva parte del gruppo di emigrati aristocratici che si erano trasferiti in Inghilterra prima del Terrore. Al pari di sua madre. «A me non ha detto una parola.» «Vostra madre e le altre sono partite per Londra 17


quattro settimane or sono. Quanto tempo avete trascorso con lei?» «Sono stato molto occupato.» Charles ringraziò il cielo per il fatto di non arrossire con facilità. Aveva accuratamente evitato non tanto sua madre, che lo capiva talmente bene da spaventarlo, quanto le sue sorelle minori, Jacqueline e Lydia, e soprattutto le sue cognate, Annabelle, la moglie di Frederick, ed Helen, la moglie di James. I loro mariti erano deceduti senza eredi. Per qualche ragione misteriosa, questo le aveva trasformate nelle più accanite sostenitrici dell'assoluta necessità di combinargli un matrimonio, contagiando le sue sorelle con il loro zelo. Se in un primo momento lui aveva accettato di buon grado il loro aiuto, quando si era reso conto che le fanciulle che mettevano instancabilmente sulla sua strada erano tutte inadatte non se l'era sentita di ferirle con un secco rifiuto. «Sono state loro a spingervi a lasciare la città?» gli domandò Penny. «Le avevo avvertite, come avevo messo in guardia Elaine e le mie sorelle, ma erano tutte convinte di sapere esattamente quale fosse la ragazza giusta per voi e che avreste gradito il loro aiuto.» Lui sbuffò, un gesto decisamente sarcastico. «La Stagione è iniziata da una sola settimana e vi siete già dato alla fuga.» «È vero, ma ne avevo avuto abbastanza.» I suoi occhi... Penny sapeva che erano blu ma nel fioco chiarore della candela apparivano neri... la fissarono attentamente. «Come vi è venuto in mente di cavalcare per la campagna, vestita in quel modo?» riprese lui. «È più comodo che montare con le gonne, specialmente dopo il calare dell'oscurità.» «Non ne dubito. Ma perché stavate cavalcando di 18


notte, e a una velocità tanto sostenuta da apprezzare la differenza fra una sella da amazzone e una sella da uomo?» Dopo un'esitazione infinitesimale, lei gli fornì un piccolo indizio pericoloso. «Stavo seguendo qualcuno.» «Qualcuno che stava facendo cosa?» «Non lo so. È per questo che lo stavo seguendo.» «Chi era e dove stava andando?» Penny sostenne il suo sguardo. Confidarglielo costituiva un rischio troppo grande, non senza sapere perché lui si trovasse lì. E specialmente adesso che aveva appreso la verità sul suo passato. Non che fosse rimasta molto colpita. Aveva sempre sospettato qualcosa del genere, avendo conosciuto bene il giovane che era stato. Ma erano trascorsi tredici anni e non conosceva l'uomo che era diventato. «Avete dichiarato che il vostro ex comandante vi ha chiesto di dare un'occhiata qua attorno. Che tipo di ex comandante può avere una spia?» «Uno determinato. Dalziel svolge un ruolo importante a Whitehall... quale di preciso, non l'ho mai capito. Comandava tutti gli agenti segreti dislocati all'estero.» «Che cosa vi ha chiesto di cercare da queste parti?» Lui esitò. Penny intuì che stava valutando il rischio di rivelarglielo senza avere la certezza che lei ricambiasse la sua confidenza. La sua espressione si indurì. «Pare che ci fosse una spia al Ministero degli Esteri che inviava informazioni segrete ai francesi durante la guerra e che la via di comunicazione si trovasse nei pressi di Fowey, probabilmente tramite una delle bande di contrabbandieri che operano nella zona.» Lei si era illusa di essere in grado di rimanere im19


passibile, ma il tremito che le percorse le mani la tradì. «Che cosa sapete al riguardo?» indagò Charles, a cui non era sfuggita la sua reazione. Per un intero secondo, Penny prese in considerazione l'idea di fingere la massima innocenza, ma sarebbe stato inutile con lui. Poteva rifiutarsi di rispondere, però. Lanciò un'occhiata alla vecchia pendola posta sulla mensola al di sopra della stufa. Era l'una passata. «Ho bisogno di dormire.» «Penny?» Lei respinse la sedia, ma commise l'errore di incontrare i suoi occhi. La fiamma della candela si rifletteva nelle sue iridi, conferendo un aspetto diabolico ai suoi lineamenti marcati, addolciti dalle labbra sensuali che doveva avere scolpito un demonio per indurre in tentazione qualsiasi donna. Tuttavia, non era la sua sensualità a costituire la minaccia peggiore, non per lei. La conosceva meglio di chiunque altro. Con lei, possedeva una carta che avrebbe potuto, e saputo, giocare, un'arma infallibile per piegarla alla sua volontà. Non la chiamava Penelope che nelle occasioni formali, usava Penny in quasi tutte le altre. Quando erano soli, le affibbiava spesso un nomignolo scherzoso, Squib, mortaretto, un soprannome oltremodo eloquente. Nei rapporti fisici avrebbe sempre riportato la vittoria. Ma non in quelli che non lo erano, come al momento. Si mise in piedi. «Non posso dirvelo, non ancora. Devo riflettere.» Girando attorno al tavolo, si diresse alla porta che si trovava alle sue spalle. Mentre gli passava accanto lui contrasse i muscoli, ma non si alzò. Appena raggiunse la porta, lasciò andare il fiato che aveva trattenuto. «Mon ange...» 20


Penny si immobilizzò. L'aveva chiamata in quel modo un'unica volta. Benché tacita, la minaccia era inequivocabile. Si volse a guardarlo. Intento a fissare la candela, lui non si girò. Un nodo di tensione si allentò in lei. «Non disturbatevi, sarebbe inutile. Vi conosco, ricordate? Non siete il tipo di uomo capace di fare una cosa simile.» Fece una pausa. «Buonanotte.» Charles non rispose, non si mosse. Ascoltò i suoi passi che si allontanavano e si chiese quale sorte perversa lo avesse cacciato in quella situazione. Non era il tipo di uomo capace di ricattare una donna? Se avesse saputo... Era stato quel tipo di uomo per più di dieci anni. Penny non era in possesso di una tessera insignificante del mosaico, bensì di una importante. Era troppo intelligente per reagire in modo eccessivo a un particolare irrilevante in cui si era imbattuta per caso. «Dannazione!» Charles balzò in piedi e tornò in biblioteca. Aprendo la porta, chiamò Cassius e Brutus e si diresse verso i bastioni, un lungo terrapieno che circondava il lato meridionale del parco, per fare una passeggiata, per lasciare che la brezza marina gli spazzasse via le ragnatele e i ricordi dalla mente. La vista dall'ampia sommità erbosa dei bastioni abbracciava la maggior parte dell'estuario del Fowey. Nelle giornate limpide, lo sguardo riusciva a spaziare fino al mare. Si incamminò, sforzandosi di pensare a cose banali, come i cani per la caccia al lupo che gli trotterellavano accanto. Aveva avuto i primi due all'età di otto anni. Erano morti di vecchiaia poco prima che lui si arruolasse nelle Guardie Reali. Quando era tornato a casa due anni prima, dopo che Napoleone era stato esiliato all'Elba, aveva comprato quelli. Ma poi Napoleone era evaso e lui era ripartito, lasciandoli alle cure di Lydia. 21


Come doveva comportarsi con Penny? Quella domanda gli balzò improvvisamente in mente, cancellando ogni altro pensiero. Fermandosi, reclinò la testa e aspirò una profonda boccata di aria salmastra. Chiuse gli occhi e permise a tutto ciò che sapeva di lei di affluirgli alla memoria. Quando era rientrato in Inghilterra, forse per colmare le sue lacune sui loro vicini, sua madre gli aveva raccontato che Penny non si era sposata, pur avendo avuto un notevole successo durante quattro Stagioni londinesi. Era la figlia di un conte, possedeva una dote ragguardevole e, sebbene non fosse un diamante, era più che graziosa con i suoi lineamenti delicati, la carnagione chiara, i lunghi capelli biondo argento e i tempestosi occhi grigi. La sua statura, a onor del vero, costituiva una grave manchevolezza. Era solo di mezza testa più bassa di lui e quindi veniva a trovarsi con gli occhi alla stessa altezza di quelli della maggior parte degli uomini. Ed era... lui l'avrebbe definita esile come un giunco anziché scheletrica, con le membra lunghe e le curve appena accennate. Era l'antitesi della donna prosperosa, un altro inconveniente per molti uomini. Inoltre, c'erano i fattori non insignificanti della sua viva intelligenza e della sua lingua spesso tagliente. Sebbene non lo infastidissero, non molti uomini avrebbero gradito quelle caratteristiche in una moglie. Penny lo aveva sempre sfidato. Lui aveva apprezzato e trovato divertenti le loro pressoché continue scaramucce, simili a quella in cui erano stati impegnati fino a qualche momento prima. Malgrado la gravità della situazione, era consapevole che il passato si stava risvegliando, che diversi aspetti della loro lunga amicizia stavano affiorando in superficie, e uno di questi era appunto la sfida 22


che presentava avere a che fare con lei, interagire di nuovo con lei. Secondo sua madre, aveva ricevuto decine di proposte di matrimonio assolutamente accettabili, ma le aveva rifiutate tutte. Se interrogata, rispondeva che nessuna di esse aveva suscitato il suo entusiasmo. In apparenza, era felice di vivere in Cornovaglia, di dirigere la tenuta della sua famiglia. Era l'unico frutto del primo matrimonio del Conte di Wallingham. Sua madre era morta quando lei era molto piccola. Suo padre si era risposato e aveva avuto un maschio e altre tre femmine dalla seconda moglie, Elaine, una donna gentile e di buon cuore che aveva preso Penny sotto la sua ala, instaurando con lei un rapporto non tanto di madre e figlia quanto di amiche intime. Il conte era mancato cinque anni prima e Granville, il fratellastro di Penny, aveva ereditato il titolo. Unico figlio maschio di una madre che stravedeva per lui, era sempre stato viziato, cacciandosi in un guaio dopo l'altro, senza minimamente curarsi di qualunque cosa non fosse la propria immediata gratificazione. Quando era scoppiata di nuovo la guerra, animato dal dilagante fervore patriottico, sordo alle suppliche della madre e delle sorelle, si era arruolato in un reggimento. Era caduto in un punto imprecisato della pianura insanguinata di Waterloo. Il titolo e le proprietĂ erano passati a un lontano cugino, il Marchese di Amberly, un anziano gentiluomo che aveva assicurato a Elaine e alle sue figlie che avrebbero potuto continuare a vivere a Wallingham Hall. Legato da fraterna amicizia al defunto conte, era stato il tutore di Granville finchĂŠ questi non aveva raggiunto la maggiore etĂ e aveva ritenuto opportuno andare a farsi ammazzare, lasciando la madre e le sorelle prive di un protettore. 23


Questo, decise Charles riaprendo gli occhi e ricominciando a camminare, era appunto ciò che lo preoccupava di più. Penny era già invischiata in Dio sapeva che cosa e non c'era un uomo che potesse vegliare su di lei. Tranne lui. Benché in un remoto recesso della sua mente si annidasse il sospetto che fosse a causa sua che lei aveva rifiutato tutte le proposte di matrimonio, ignorava ed era incapace di indovinare quale opinione avesse adesso di lui. Il fatto poi che lui sapesse benissimo che cosa provava nei suoi confronti aveva costituito una sgradevole sorpresa. Aveva dato per scontato che tredici anni avessero smorzato la sua infatuazione. Purtroppo, si era sbagliato. Da quando era partito per la guerra, si erano incontrati un paio di volte nel 1814 e poi di nuovo negli ultimi sei mesi, ma sempre da una prudente distanza, circondati dalle rispettive famiglie. Quella notte si era imbattuto in lei in modo del tutto inatteso e il desiderio era divampato ancora una volta, irretendolo, imprigionandolo, artigliandolo. Cionondimeno, era altamente improbabile che potesse fare qualcosa per mitigare quella tortura. Penny aveva chiuso con lui tredici anni prima, tagliandolo fuori dalla propria vita. Non era tanto sciocco da trattenere il fiato nella speranza che lei cambiasse idea. Era, ed era sempre stata, terribilmente testarda. Avrebbero dovuto accantonare quella parte del loro passato. Su qualunque cosa fosse stato inviato a indagare e lei sembrasse avere già scoperto, si trattava di una faccenda troppo pericolosa per non comportarsi come sul campo di battaglia. Quando avesse raccolto delle informazioni più precise, avrebbe tentato di tenerla alla larga. Non prese neppure in considerazione l'idea che lei si trovasse dalla parte 24


sbagliata dell'intrigo. Non l'avrebbe mai fatto, non Penny. Si trovava dalla sua stessa parte, anche se non si fidava di lui. Con ogni probabilità stava proteggendo qualcuno, ma chi? Quanto avrebbe tardato a decidere di rivelarglielo? Non avevano molto tempo a disposizione. Ora che lui era lì, la situazione avrebbe cominciato a precipitare. Era proprio quello il suo compito: agitare le acque e affrontare qualunque cosa fosse emersa. Continuò a passeggiare sui bastioni per un'altra mezz'ora, poi salì nella propria stanza, crollò sul letto e, con sua grande meraviglia, si addormentò.

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Le regole dell'etichetta MICHELLE WILLINGHAM INGHILTERRA - GERMANIA, 1855 - Lady Hannah è di nobili origini, e dunque il matrimonio con un semplice soldato è fuori discussione. Ma se si scoprisse che lui è un principe...

Tentazioni di una gentildonna STEPHANIE LAURENS CORNOVAGLIA, 1816 - Charles e Penny si incontrano dopo tredici anni, e tra loro divampa una passione incontenibile. Torna SEDUCTION, più sensuale e bollente che mai.

Il mistero del libro scomparso DEBORAH SIMMONS INGHILTERRA,1806 - Kit Marchant accompagna la bella Hero alla ricerca di un libro scomparso da oltre un secolo. A perdersi, stavolta, sarà però il loro cuore.

L'ombra del guerriero DENISE LYNN INGHILTERRA - SCOZIA, 1142 - Quando la potente signora della fortezza di Montreau rivede Jared, capisce che l'affascinante guerriero non ha dimenticato il passato. Né lei.


Il primo, attesissimo romanzo di una trilogia storica che trasporterà le lettrici nel mondo decadente della famiglia Rohan, tra passioni aristocratiche e oscure trame‌. Imperdibile.

Candace Camp

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