TERRI BRISBIN
Cuore bretone
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: The Mercenary's Bride Harlequin Historical © 2010 Theresa S. Brisbin Traduzione di Graziella Reggio Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2011 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici aprile 2011 Questo volume è stato impresso nel marzo 2011 presso la Rotolito Lombarda - Milano I GRANDI ROMANZI STORICI ISSN 1122 - 5410 Periodico settimanale n. 775 del 22/04/2011 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 75 dello 01/02/1992 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano
Prologo
Maniero di Taerford, Wessex, Inghilterra Dicembre 1066 Il Vescovo Obert aveva convocato il secondo cavaliere nella lista, preparata da mesi, di coloro che erano destinati a beneficiare della generositĂ del nuovo sovrano. Aveva con sĂŠ i documenti che avrebbero reso barone un guerriero e mutato un bastardo squattrinato in un ricco lord; ammesso che riuscisse a prendere possesso delle terre assegnategli, ancora in mano ai ribelli sassoni. Obert camminava nervosamente avanti e indietro accanto al lungo tavolo, aspettando che giungesse Brice Fitzwilliam, figlio illegittimo di un nobile di Bretagna. Se intendeva arrivare a Londra in tempo per l'incoronazione, doveva partire l'indomani, e quello era il suo ultimo impegno a Taerford. Nonostante il gelo invernale e la situazione instabile, e senza tener conto delle sue esigenze personali, era il leale servitore del Duca Guglielmo. 5
Dopo Dio, naturalmente, aggiunse tra sé, mentre si voltava verso il gruppetto che si stava avvicinando in quel momento. Come pareva abituale, Giles Fitzhenry, il nuovo castellano di Taerford, camminava accanto al cavaliere in questione. Durante le settimane trascorse al maniero, Obert aveva visto di rado l'uno senza l'altro, che fosse nella grande sala, nei cortili, oppure durante lo svolgimento di qualche attività. I due si erano appena addestrati al combattimento e avanzavano con decisione, seguiti da un drappello di soldati di Giles. Diventavano sempre più silenziosi a ogni passo e, quando gli giunsero davanti, si inchinarono. «Mio signore.» Il vescovo si rivolse per primo a Giles, poi, desideroso di procedere, si girò verso il suo compagno. «Mio signore» ripeté a Fitzwilliam, con un rispettoso cenno del capo. A nessuno sfuggirono i sottintesi di quel saluto. Nell'ampio locale calò il silenzio, in attesa che Obert continuasse. Fitzwilliam sbarrò gli occhi meravigliato, poi rise di gioia. Forse una reazione simile era inappropriata, d'altra parte il religioso la poteva comprendere: in quanto figlio illegittimo, si compiaceva del successo di chi era nato nelle sue stesse condizioni. I commenti e le grida di acclamazione si spensero in fretta e l'intera sala aspettò la dichiarazione ufficiale. Obert indicò al cavaliere di inginocchiarsi di 6
fronte a lui. La cerimonia avrebbe dovuto essere più solenne, alla presenza dello stesso duca, ma in quei tempi difficili conveniva agire in fretta, senza curarsi troppo delle formalità. Come sempre, Lord Giles rimase al fianco dell'amico Brice e gli posò una mano sulla spalla, mentre il vescovo iniziava il discorso. «Nel nome del Duca Guglielmo, dichiaro voi, Brice Fitzwilliam, Barone di Thaxted, nonché vassallo del duca medesimo» salmodiò. Il diretto vincolo di fedeltà a Guglielmo, prossimo all'incoronazione, creava una salda rete di cavalieri che dovevano soltanto a lui terre, titoli e ricchezze, senza feudatari intermedi. Obert non riuscì a trattenere un sorriso soddisfatto, poiché era stato lui a concepire l'idea. «In quanto tale» proseguì dopo una breve pausa, «avete il diritto di reclamare i terreni, il bestiame, i servi della gleba e gli altri beni materiali, posseduti dal traditore Eoforwic di Thaxted, prima del decesso.» I cavalieri normanni e bretoni presenti si rallegrarono, ma non i contadini di stirpe sassone, che da tempo vivevano in quel luogo. Il vescovo capiva che i vincitori di ogni conflitto meritavano ciò che avevano conquistato a fatica, ma il suo lato più umano e compassionevole comprendeva la vergogna degli sconfitti. Quel giorno, comunque, andava festeggiato il cavaliere bretone, che stava in ginocchio di fronte a lui. «Il duca stabilisce che sposerete la figlia di Eoforwic, se sarà possibile. Altrimenti dovrete cer7
care un'altra nubile adatta alle vostre condizioni, presso vassalli fidati, nelle terre circostanti.» Obert porse al nuovo barone il fascio di pergamene che certificavano l'acquisizione delle terre e del titolo nobiliare. Infine alzò le braccia e aspettò il suo giuramento. Brice, con una voce profonda che rivelava la serietà delle intenzioni, ripeté la formula suggerita dall'assistente del vescovo. «Davanti a Dio onnipotente, io, Brice Fitzwilliam, ora Barone di Thaxted, giuro nel nome di tutto ciò che è sacro che resterò sempre fedele a Guglielmo di Normandia, duca e nuovo sovrano d'Inghilterra. Prometto di amare ciò che ama e aborrire ciò che detesta, secondo le leggi divine e il giusto ordine del mondo.» Dopo una pausa per prendere fiato, proseguì: «Giuro che mai, con azioni, intenti, parole od omissioni, mi comporterò in maniera sgradevole per lui, a condizione che si mostri equo nei miei confronti, secondo quanto meriterò, in base agli impegni assunti quando mi sono assoggettato a lui e alla sua clemenza, anteponendo la sua volontà alla mia. Offro la mia lealtà senza riserve, aspettandomi in cambio la sua protezione e i suoi favori». Il Vescovo Obert alzò la voce per farsi udire da tutti i presenti. «Io, Obert di Caen, a nome e per conto di Guglielmo, Duca di Normandia, accetto il giuramento di omaggio e fedeltà, pronunciato di fronte a questi testimoni e davanti a Dio. Prometto inoltre che Guglielmo, in quanto signore e sovrano, pro8
teggerà e difenderà la persona e le proprietà di Brice Fitzwilliam di Thaxted, che qui si impegna sul suo onore a obbedire al volere e alle parole del sovrano.» Guardò a lungo i presenti, poi concluse: «Nel nome del re, accolgo il giuramento senza condizioni e senza altre aspettative, se non la fedeltà e i servizi dovuti da un leale vassallo». Lasciò che la dichiarazione echeggiasse per la sala, poi invitò il nuovo barone a levarsi in piedi. «Al nuovo Barone di Thaxted!» gridò infine. «Thaxted!» ripeté con entusiasmo. Tutti acclamarono, battendo i piedi e le mani, e il vescovo permise che continuassero così per qualche istante. Lord Giles diede al caro amico una pacca sulla schiena, poi lo strinse in un abbraccio fraterno, che parlava di anni di fatiche e di trionfi comuni. Soltanto quando vide entrare nella sala Lady Fayth, Obert si rammentò che doveva discutere con Brice della donzella coinvolta nella vicenda. Nell'osservare l'alternarsi di espressioni sul dolce viso della signora del castello, in reazione alla nomina di Brice Fitzwilliam, comprese che le donne erano ben capaci di rendere la vita difficile a coloro che venivano designati per vigilarle, in quanto signori o mariti. Notò la sua lieve esitazione nei saluti e nelle congratulazioni, che forse sfuggì a tutti gli altri. Ah! I sentimenti delicati del gentil sesso complicavano davvero l'esistenza degli uomini. Quando Lord Giles prese la mano della moglie, andandole al fianco, Obert colse l'enorme diffe9
renza tra i due cavalieri, appena resi nobili dal loro sovrano. Lord Giles infatti non aveva dovuto lottare per conquistare la sposa, dopo avere combattuto per prendere possesso delle terre. Non si poteva prevedere di certo la medesima sorte per Lord Brice.
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Foresta di Thaxted, Inghilterra nordorientale Marzo 1067 Il suolo sotto i suoi piedi stava tremando e nell'aria echeggiava un rombo indistinto. Gillian si guardò attorno, cercando di identificarne la causa. Era una bella giornata, considerato che regnava ancora l'inverno. Nessuna nuvola macchiava l'azzurra distesa del cielo e, nemmeno in lontananza, si scorgevano avvisaglie di temporale che potessero giustificare il fragore. Abbassò il cappuccio sulle spalle, raggiunse la strada, poi scrutò nelle due direzioni opposte. Pochi istanti dopo, identificò la fonte del rumore e, spaventata, tornò d'un balzo nel groviglio di siepi e arbusti che costeggiavano il ciglio della carreggiata. Ringraziando il cielo per essere riuscita a impadronirsi di un mantello bruno, appena prima di fuggire, lo strinse bene attorno al corpo e rimase immobile, mentre un folto gruppo di cavalieri e 11
fanti passava con gran fracasso oltre il suo rifugio. Quando li vide fermarsi a poca distanza da dove stava distesa, in perfetto silenzio, Gillian non osò nemmeno respirare per il terrore di venire scorta e catturata dagli ignoti predoni. Troppo lontana per udire e troppo in basso per interpretare i gesti, colse appena qualche parola in francese, mescolata a un po' di inglese. Restò a capo chino, sperando che gli stranieri si allontanassero al più presto. Invece ne sentì alcuni smontare di sella e camminare lungo la strada. Tremò terrorizzata. Venire sorpresa da sola in quei tempi pericolosi significava morire, oppure subire una sorte anche peggiore, che Gillian si era sforzata in ogni modo di evitare. La decisione di scappare di casa per chiudersi in convento non era stata presa alla leggera, senza considerare le possibili conseguenze, ma le alternative erano state limitate e poco allettanti, vale a dire sposare un vecchio, secondo il volere del fratello Oremund, oppure un feroce guerriero normanno, scelto dal duca invasore e pronto a distruggere tutto ciò che lei amava. In quel momento, comunque, non poteva fare altro che rimanere nascosta e pregare che i soldati se ne andassero, consentendole di proseguire verso il monastero. Li sentì discutere e trattenne di nuovo il fiato nella speranza di non attrarre la loro attenzione. Intanto le voci si avvicinavano pericolosamente al nascondiglio. D'improvviso riconobbe il nome di casa sua, 12
oltre a quello del fratello. Se solo avessero parlato nella sua lingua o almeno più piano, così da lasciarle intendere il senso del discorso! Dopo qualche istante che le parve interminabile, i guerrieri si voltarono e si allontanarono, avvisando gli altri che non avevano visto niente. Per osservarli, Gillian sollevò la testa con estrema attenzione. Soltanto un cavaliere rimase sulla strada, a pochi passi di distanza da dove lei era nascosta. Invece di seguire subito i compagni, questi si sfilò l'elmo e, girandosi, lo mise sottobraccio. Gillian non riuscì a impedirsi di sussultare. Era alto, muscoloso e decisamente molto più attraente di tutti gli uomini di sua conoscenza, compreso il cugino, che veniva considerato come il sogno di ogni fanciulla. I capelli biondi non erano corti, secondo lo stile normanno, ma piuttosto lunghi e sciolti attorno al viso. Da quella distanza, non si riusciva a distinguere il colore degli occhi, però il volto spigoloso e virile era assai affascinante, sebbene appartenesse a un normanno. Un normanno! Per giunta armato di tutto punto. Santa Madre di Dio! Gillian non poteva fare altro che pregare. L'uomo stava scrutando tra gli alberi, proprio nella sua direzione. Gillian non osò muoversi, nemmeno per nascondersi meglio sotto il groviglio di rami, poiché proprio in quel momento lui alzò testa e strizzò le palpebre, nel tentativo di cogliere altri segnali che rivelassero una presenza. 13
Lei emise a malapena il fiato e rimase ancora immobile. Temette che il cavaliere si inoltrasse nel boschetto per perlustrarlo, invece si voltò verso gli altri, rimise in testa l'elmo e si allontanò a lunghe falcate. Mentre camminava, lanciava imprecazioni, tanto furiose e sboccate da farla arrossire. Non poteva essere il barone che aveva ricevuto Thaxted dal Conquistatore, poiché nessun nobile si sarebbe sfogato a quel modo, paragonando addirittura uno dei soldati a una bestia da soma, per giunta debole e incapace. Chi era dunque e cosa faceva laggiù? Un altro guerriero impartì l'ordine di proseguire e Gillian pregò di cuore che i soldati obbedissero. Rimase ferma finché vide la polvere depositarsi sulla superficie della strada e fu sicura di non udire più alcun rumore. Infine si alzò con lentezza a sedere e si avvolse nel mantello scuro. Non intendeva lasciare il rifugio se non era certa che tra lei e i guerrieri ci fosse una distanza ragionevole. Estrasse dalle pieghe del mantello la borraccia di birra annacquata e bevve un lungo sorso per alleviare la sete. La fatica per avere percorso molte miglia, il terreno asciutto e polveroso e la paura che ancora le pulsava nelle vene le avevano reso la gola secca. Fu tentata di consumare un po' delle provviste che aveva preparato e avvolto in un panno, ma poi preferì aspettare: aveva portato appena il cibo sufficiente per due giorni di viaggio, dal castello 14
al monastero, e aveva ben poco denaro per acquistare altro. Ammesso di trovare qualcosa da comprare lungo il percorso. Quell'anno, l'inverno era arrivato in anticipo e l'ultimo raccolto era stato scarso, compromesso dalle prospettive di guerra e dalle disastrose conseguenze dei conflitti. Le eccedenze erano andate all'esercito di Re Aroldo, passato per ben due volte dai terreni di Thaxted. La prima volta, l'armata del sovrano era diretta a settentrione per affrontare le schiere di Harald Hardrada, e la seconda a meridione per combattere contro l'usurpatore Guglielmo di Normandia. Le truppe di Aroldo avevano avuto poche possibilità di riorganizzarsi dopo lo scontro con Harald, prima di marciare verso meridione e battersi contro le forze normanne. In una giornata di metà ottobre, le speranze sassoni erano state schiacciate, poiché il monarca e i suoi alleati più fedeli avevano perso la vita nel feroce combattimento. Peggio ancora, nei mesi successivi alla battaglia di Hastings, ribelli e fuorilegge di ogni genere avevano razziato il paese in cerca di qualunque mezzo per sostenere la rivolta contro gli invasori. Gillian sospirò, sconvolta soprattutto dal ricordo dell'ultimo periodo e, con lo stomaco contratto, dimenticò ogni proposito di nutrirsi. Ormai era passato abbastanza tempo da quando i guerrieri si erano allontanati. Dunque si alzò, ripulì l'abito e il mantello dal fango e dalle foglie 15
secche e tornò sulla strada. Studiando la posizione del sole, si accorse di avere sprecato almeno un'ora di preziosa luce diurna. Riprese quindi il cammino a passi rapidi. Doveva raggiungere il monastero entro il tramonto, altrimenti sarebbe stata costretta a trascorrere un'altra notte all'addiaccio, da sola nella foresta. La prospettiva la terrorizzava ancor più dopo la scoperta che un drappello normanno viaggiava insieme a lei. Passò un'ora, poi un'altra. Gillian continuò a camminare, tenendo sempre gli occhi bene aperti e le orecchie tese a qualunque segnale di pericolo. Procedeva nella stessa direzione dei normanni, ma stava attenta a non accelerare troppo per non correre il rischio di avvicinarsi a loro. Mentre il sole scendeva sull'orizzonte, si rese conto che non sarebbe riuscita ad arrivare a destinazione prima che le monache chiudessero i cancelli per la notte. Asciugandosi il sudore della fronte con una manica, si augurò di tutto cuore che dormire a ridosso delle mura sarebbe stato sicuro quasi quanto al loro interno. Affrettò quindi il passo, addentando senza fermarsi un pezzo di pane e un boccone di formaggio. Rallentò soltanto quando giunse all'altura che indicava la vicinanza del convento. Ormai la separavano soltanto poche miglia dalla salvezza. Mentre risaliva la strada ripida, si fermò qual16
che volta a riprendere fiato, finché arrivò alla sommità. E a quel punto smise del tutto di respirare. Scorse infatti una scena terribile: gli stessi guerrieri di prima, insieme a molti altri, erano accampati lungo il ciglio della strada. Gillian guardò di fronte a sé e si domandò se fosse il caso di procedere comunque, fingendo di essere una contadina, diretta a svolgere qualche compito. Magari quei soldati non le avrebbero prestato attenzione... Represse l'impulso di correre, poiché in quel modo li avrebbe invitati a seguirla, e decise che un passo lento e regolare avrebbe rappresentato la soluzione migliore. Abbassò il cappuccio sulla fronte, chinò il capo e si costrinse a procedere lungo la strada, tentando di mantenere un'andatura in apparenza tranquilla. Nel passare accanto ai soldati, li spiò con la coda dell'occhio e accelerò un poco. Molti si accostarono al margine della strada, ma nessuno la fermò. Una ventata di speranza la pervase. Tuttavia, proprio quando aveva quasi superato l'accampamento, un uomo colossale le si parò di fronte. Gillian tentò di aggirarlo, ma il gigante si spostò insieme a lei. A giudicare dall'aspetto, doveva essere fortissimo. Dopo una breve riflessione, si voltò con l'intento di tornare indietro, ma si trovò davanti un altro guerriero. Un terzo e un quarto le andarono ai lati, impedendole ogni possibilità di fuga. 17
Gillian trasse qualche respiro profondo e aspettò che agissero. «Madamigella, perché girate da sola per queste strade?» la interrogò uno dei quattro, in inglese con peraltro un forte accento straniero. «Dove siete diretta?» Sebbene sperasse di non doversene servire, lei aveva già preparato una risposta a quella domanda. Senza alzare gli occhi, si rivolse a chi aveva parlato. «La mia padrona mi ha mandata al convento, signore.» Sperava di lusingare i soldati comuni chiamandoli a quel modo. Mentre parlava, chinò ancor più il capo. «Sta calando la sera» notò il guerriero alle sue spalle. «Venite con noi: sarete più al sicuro nel nostro campo.» Una pecora poteva stare tranquilla, se a proteggerla erano i lupi? Gillian non ne era affatto convinta, anche perché li vedeva quasi sbavare mentre la guardavano. Scosse la testa per declinare l'invito. «Le suore mi attendono, mio signore. Anzi, mi debbo affrettare. La mia padrona si arrabbierà, se non mi presenterò al monastero.» Spinse l'omone che le stava di fronte, ma non riuscì nemmeno a smuoverlo. Tentò di nuovo, ma senza ottenere il minimo risultato. Prima che provasse ancora, due normanni l'afferrarono per le braccia e la portarono via. Fu inutile dibattersi e scalciare: niente allentava la loro presa ferrea. Il cuore di Gillian impazzì, facendo18
le girare la testa. Prima ancora di rendersene conto, si ritrovò in mezzo all'accampamento militare, senza avere più alcuna possibilità di fuga. Continuò a opporsi con tutte le sue forze, ma non riuscì nemmeno a rallentare il passo dei due che la trascinavano. Le dolevano le braccia e, di certo, il mattino dopo avrebbe avuto numerosi lividi, ammesso di sopravvivere fino ad allora... Dai sussurri adirati e frettolosi che i guerrieri si scambiavano, comprese che qualcosa non andava. Decise di approfittarne. Battendo il piede con energia, colpì la caviglia di quello alle sue spalle, poi lo spinse con i fianchi nel tentativo di fargli perdere l'equilibrio. Non funzionò. Ne ricavò soltanto un dolore al piede, che la costrinse a zoppicare mentre proseguivano inesorabilmente. Infine si fermarono e Gillian colse l'occasione per liberarsi e correre via. Un soldato l'agguantò per il mantello, che le cadde dalle spalle quando si spezzarono i lacci. Aveva appena fatto altri due passi, con grande fatica, quando un braccio coperto dalla maglia metallica la prese per la vita e la spinse contro la superficie più dura che lei avesse mai sentito. Così dura da strapparle il fiato dai polmoni e da farle quasi perdere i sensi per l'urto violento del capo contro la corazza. «Dove state andando, donzella? Avete deciso di non concederci il piacere della vostra presenza, per questa notte?» Nel riconoscere la voce del cavaliere che la ser19
rava al petto, Gillian fu sopraffatta dal terrore. Non poteva fuggire e temeva che intendessero sottoporla a ogni genere di atti immorali. Ascoltò le risate dei presenti e si augurò di svenire. Invece rimase vigile e sussultò mentre il gigante normanno le cingeva il busto, stringendola in un abbraccio indecente. Lo sentì quindi abbassare il capo fino ad accarezzarle il collo con il tepore del fiato. «Spiegatemi cosa desiderate, dolcezza» le sussurrò in inglese. «Cercherò di accontentarvi, per quanto mi sarà possibile.»
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