MARGARET MCPHEE
Carezze rubate
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Mistress to the Marquis Harlequin Mills & Boon Historical Romance © 2013 Margaret McPhee Traduzione di Lorenza Braga Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici aprile 2014 Questo volume è stato stampato nel marzo 2014 presso la Rotolito Lombarda - Milano I GRANDI ROMANZI STORICI ISSN 1122 - 5410 Periodico settimanale n. 917 dello 08/04/2014 Direttore responsabile: Stefano Blaco Registrazione Tribunale di Milano n. 75 dello 01/02/1992 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Trentacoste, 7 - 20134 Milano Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano
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Londra, aprile 1811 «Razeby, che sorpresa! Ti aspettavo più tardi.» Molto, molto più tardi, in effetti. In preda all'agitazione, Miss Alice Sweetly fece scivolare rapidamente il foglio di carta sul quale stava scrivendo nel cassetto e lo chiuse di scatto, ma la sua ansia improvvisa non aveva niente a che vedere con il fatto che non era preparata ad accogliere il suo protettore. In pochi secondi fu in piedi e si precipitò a raggiungere il Marchese di Razeby per distogliere l'attenzione del gentiluomo dallo scrittoio. «Mi hai colta alla sprovvista.» «Perdonami, Alice. Non intendevo spaventarti mentre eri così assorta» replicò Razeby con la sua intensa voce aristocratica. «Oh, non ero affatto assorta. Stavo solo scrivendo una lettera a un amico.» L'apprensione per quella bugia accentuò la sua lieve cadenza irlandese e le infiammò il viso di un rosso rivelatore. «Amico fortunato» commentò Razeby sorridendo 5
con il suo solito atteggiamento benevolo. Alice si irrigidì, temendo che le ponesse delle domande sulla lettera e sull'amico fittizi. Ma, come di consueto, Razeby si fidò di lei e non le chiese nulla. Non lanciò nemmeno un'occhiata al piccolo scrittoio. «Termina pure la tua lettera. Mi verserò un brandy, mentre aspetto.» «Non farò nulla del genere!» Imbarazzata, Alice arrossì ancora di più al pensiero di sedersi alla scrivania, dandogli la schiena, mentre lui la osservava. Abbassando lo sguardo sul logoro scialle di lana e sull'antiquato abito da giorno di mussola sbiadita e consunta che indossava, cambiò argomento. «Ma guarda in che stato sono! Porto questi vecchi stracci solo per non rovinare i miei vestiti eleganti.» Era un'abitudine cui non riusciva a rinunciare, essendo cresciuta con niente. «E ho un delizioso abito di seta da indossare questa sera. Meglio che vada di sopra a mettermi qualcosa di decente.» Fece per superare Razeby, ma lui le circondò la vita con un braccio, attirandola a sé e calmando la sua agitazione. «Rilassati, Alice. Sei bellissima così come sei. Come sempre.» La guardò con i suoi occhi castani, scuri e sinceri, mentre le scostava dalla guancia una ciocca di capelli con una carezza. «Non ti ho già detto che non sono i vestiti che contano, ma la donna che li indossa?» «Adulatore» lo rimproverò lei, ma gli sorrise, e il contatto con il corpo di quell'uomo alto e virile suscitò in lei un'immediata ondata di desiderio. «È la verità, e tu lo sai.» Razeby era così affasci6
nante che avrebbe potuto convincere gli uccelli a mangiare dalla sua mano, pensò Alice. «Ma se desideri un nuovo guardaroba, lo avrai» concluse senza smettere di sorridere e stringendola a sé. «Non ho alcun desiderio di avere un nuovo guardaroba. Al piano di sopra ho abbastanza abiti da vestire metà delle donne di Londra!» «Mi piace comprarti dei regali... ti rende felice.» Le prese la mano destra con la sinistra. «E io desidero farti contenta, Alice.» Lei cercò di chiudere la mano per nascondere le dita sporche di inchiostro, ma Razeby non glielo permise. Passò il pollice sulle macchie nere. «Mmm...» I suoi occhi indugiarono sulle chiazze d'inchiostro, prima di incontrare quelli di Alice. «Credo che ci sia bisogno di un pennino nuovo» disse con aria divertita. «No.» Lei rise, ma avvampò ancora sentendo menzionare la scrittura e il prezioso pennino d'argento che le era tanto caro. «Non voglio un altro pennino. Mi piace quello che ho.» «Mi fa molto piacere» mormorò Razeby con voce roca e si premette le dita macchiate contro le labbra calde. «Sai che sono felice. Molto felice...» Alice esitò prima di aggiungere in tono sommesso: «E non per i regali che mi compri». Era la verità. Con uno strano sorriso, quasi struggente, Razeby le accarezzò la guancia e la guardò negli occhi. Non importava che lei fosse la sua amante da sei mesi e che avessero dormito insieme quasi tutte quelle notti, pensò Alice. Quando la guardava con 7
quella luce negli occhi, provava lo stesso desiderio che era divampato tra loro fin dal primo istante in cui si erano incontrati, nella stanza verde del Theatre Royal a Covent Garden. La confidenza non aveva diminuito la passione e nemmeno ciò che si era sviluppato insieme a essa, l'aveva solo accresciuta. Avvertì una stretta allo stomaco, un brivido le increspò la pelle e un calore ardente parve irradiarsi dal basso ventre al resto del corpo. Lui distolse lo sguardo, spostandolo sulla finestra con un'espressione fosca e pensierosa sul volto. «Alice...» Ma qualunque cosa avesse intenzione di dire fu dimenticata quando lei gli prese con delicatezza il viso, lo fece voltare verso di sé e scacciò con un bacio le preoccupazioni che lo offuscavano. Razeby rispose con passione, la bocca calda, avida e irresistibile come la prima sera in cui l'aveva baciata, al chiaro di luna, fuori dall'ingresso degli artisti a teatro. Interrompendo il bacio, lei gli rivolse un sorriso malizioso e gli sfiorò con una lieve carezza il rigonfiamento dei pantaloni. Lui deglutì e Alice percepì il brivido che gli percorse il corpo, lo sentì tendersi per andarle incontro e lo udì trattenere il fiato. Ma Razeby le prese la mano e gliela allontanò, gli occhi incupiti dalla passione a stento contenuta, accendendo in Alice la fiamma di un desiderio che parve ondeggiare, vibrare e danzare nel suo ventre. «Alice, sei una donna impertinente» le sussurrò con una voce di velluto che le solleticò l'orecchio e la fece fremere. 8
«Davvero molto impertinente, Razeby» ammise lei, mordendosi il labbro inferiore. «Così impertinente che dovresti prendermi sulle tue ginocchia e sculacciarmi.» «Sarei negligente se non lo facessi.» Alice colse la profonda venatura di desiderio sottesa alle sue parole. «E se si può dire una cosa di te, Razeby, è che non trascuri mai il dovere.» Le parve di vedere di nuovo un'ombra fugace nei suoi occhi, così lo stuzzicò sollevandosi le gonne e facendogli balenare davanti agli occhi una caviglia inguainata dalla calza di seta, sperando di fargli dimenticare qualunque problema lo angustiasse. Funzionò. «Fate attenzione, Miss Sweetly» la avvertì lui. «Preferisco essere impudente, James Brundell, Marchese di Razeby. In fondo, non è proprio per questo che vi piaccio?» Inarcò un sopracciglio e si slacciò i primi bottoni del corpetto con aria giocosa, permettendo al vestito di aprirsi sul tessuto trasparente della camiciola e di rivelare la rotondità dei seni. Gli occhi di Razeby si incupirono. La sua attenzione si concentrò su di lei. Deglutì, poi si inumidì le labbra. «Alice, sei una tentazione a cui non so resistere.» «Lo spero bene.» Lei rise e si tolse le forcine a una a una, finché il raffinato chignon di capelli chiari si sciolse cadendo in tutta la sua lunghezza sulle spalle. Razeby gettò l'elegante redingote scura sul divano alle proprie spalle, poi spostò le dita verso i bottoni del panciotto color pastello, slacciandolo e sfi9
landoselo con una scrollata di spalle. Al collo aveva ancora il fazzoletto legato accuratamente con un nodo alla moda e Alice allungò una mano e ne tirò un'estremità, sciogliendolo e lasciandolo cadere sullo schienale del divano. Attraverso la fine batista della camicia, riusciva a intravedere un accenno della sua pelle e della peluria che la ombreggiava. Spostò gli occhi più in basso, sulla pelle scamosciata delle brache che gli fasciava le cosce lunghe e muscolose, celando a malapena le dimensioni della sua eccitazione. E ancora più in basso, sui lucidi stivali neri da equitazione che erano coperti di polvere per la cavalcata dalla sua dimora di città, in Leicester Square, fino a quella che teneva per lei, lì in Hart Street. Alice conosceva intimamente il corpo sotto quei vestiti, ogni palmo di quella pelle color miele, ogni muscolo solido e compatto. Conosceva la curva delle natiche sode e l'ampiezza del petto, la morbidezza della pelle e sapeva che dopo aver fatto l'amore gli batteva forte il cuore. Conosceva il suo odore, il suo tocco, il suo sapore e il modo in cui le faceva scoppiare il cuore di una tenerezza appassionata che la spingeva a desiderarlo ancora di più. Si voltò e, sporgendo il fondoschiena, lo dimenò per provocarlo. «Stai giocando col fuoco, Alice.» «Stai per cedere?» ribatté lei voltando il capo per guardarlo da sopra la spalla. Razeby avanzò verso di lei. Alice si spostò in modo da mettere il divano tra loro, come se fossero avversari ai lati opposti di una barriera. 10
«Quando ti prendo, Alice...» «Se mi prendi...» Sorrise e inarcò un sopracciglio. «Che cosa mi farai?» gli chiese, tanto eccitata quanto lo era lui dal gioco che aveva iniziato. «Ti tirerò su le gonne.» «Oh, sì...» mormorò lei. «E ti rovescerò sulle mie ginocchia.» «E poi...?» Le mancò il respiro all'idea. Lui si avvicinò al divano, abbassando la voce a poco più di un sussurro roco. «Sai che c'è un solo modo in cui può finire, Alice.» «Davvero? E quale sarebbe, milord?» Lui si allungò sopra il divano per prenderla. Alice lo schivò, correndo verso la porta del salotto. «Devi essere più veloce di così, Razeby!» Riuscì a raggiungere il primo pianerottolo delle scale prima che lui la agguantasse, stringendole le braccia intorno alla vita e attirandola a sé. Lei emise un grido e una risatina. «Civetta» le bisbigliò all'orecchio mentre le baciava il collo, dove il sangue le pulsava rapido e forte. La sollevò come se non pesasse niente. Lei aveva il respiro affannato mentre quello di Razeby era ancora normale. Nonostante i suoi strilli di protesta, lui se la gettò su una spalla, come un uomo delle caverne che rapiva la sua donna, e salì i gradini restanti. «Razeby!» strillò Alice, contorcendosi, ma tutto ciò che ottenne fu uno sculaccione prima di essere gettata sul letto, dopo che lui ebbe aperto la porta della camera da letto con un calcio. «Ora, donna» esordì lui, «abbiamo un conto in 11
sospeso... una certa dose di sculacciate, mi sembra.» «Oh, dici davvero?» Lei rise e, girandosi sulla pancia, iniziò a trascinarsi in fretta sul letto per sfuggirgli. «Non ti permetterò di scappare» la minacciò lui con voce severa mentre le serrava le dita intorno alla caviglia e la tirava indietro. Le gonne rimasero bloccate dalle coperte e le risalirono sulle gambe. Alice era ancora distesa bocconi, con le calze in mostra. Lui le sollevò ulteriormente le gonne per esporle del tutto le cosce nude e il fondoschiena. «Ecco uno spettacolo da ricordare» mormorò Razeby e lei trattenne il fiato mentre con le dita le percorreva la curva del fianco. Il materasso si abbassò quando lui si sedette e Alice gemette nel sentirsi tirare indietro fino a ritrovarsi sdraiata di traverso sulle gambe del marchese, con le gonne attorcigliate intorno ai fianchi, le natiche scoperte alla mercé di qualunque punizione lui avesse deciso di infliggerle. «Pietà, milord, vi imploro» supplicò, ma stava sorridendo e la voce era colma di aspettativa. «Ti garantisco, mia cara, che quando si tratta di te non ho alcuna pietà... né resistenza.» Le accarezzò con la mano le natiche sode e tonde, poi le sculacciò con lievi colpi che erano poco più di carezze. Risero entrambi, mentre lui la faceva girare tra le sue braccia e la cullava, baciandola sulla bocca. Alice gli circondò il collo, ricambiando il bacio con tutta la passione che la consumava. Razeby la fece stendere sul letto e lei lo tirò verso il basso, accarezzandogli il viso e infilandogli le dita tra i capelli. 12
«Alice» sussurrò lui sfiorandole la guancia. Nei suoi occhi, scuri e limpidi, ardevano al tempo stesso tenerezza e desiderio mentre la guardava. «Razeby» rispose lei sottovoce. I loro sguardi rimasero allacciati mentre lui coglieva un singolo bacio intimo e profondo dalle sue labbra. Poi si alzò il tempo necessario per sfilarsi la camicia, slacciarsi le brache e togliersi la biancheria intima. Alice stava ancora armeggiando con i bottoncini del corpetto quando tornò da lei. «Permettimi di aiutarti» si offrì, e poi, con una mossa che avrebbe reso giustizia a qualunque guerriero vichingo nel bel mezzo di un saccheggio, le afferrò la scollatura e lacerò il corpetto, strappandolo per tutta la lunghezza. «Che impazienza, milord» lo rimproverò lei. «Sei tu che mi riduci in questo stato, donna.» «Poi mi legherai al letto.» Lui alzò lo sguardo sui cordoni di seta nera che pendevano dalla testiera. «Conserviamo quel gioco per più tardi.» «Se insistete, Lord Razeby.» «Insisto, Miss Sweetly.» Lei sorrise a quella proposta e, all'idea, sentì un calore umido in mezzo alle cosce. Lui emise un gemito roco mentre scostava la leggera tela strappata e la mussola a fiori, esponendo la nudità della giovane al proprio sguardo affamato. «Lo sai cosa mi fai?» Alice riusciva a percepire la tensione nella sua voce, la vedeva sul suo viso. Lui la sfiorò con tocco 13
leggero, lasciandole scorrere le dita sul seno, facendole indurire i capezzoli fino a renderli sensibili in maniera insopportabile. «Posso azzardare una risposta» mormorò lei mentre lui abbassava il viso, senza mai smettere di guardarla negli occhi, e faceva guizzare la lingua per assaporarla. Quando le sfuggì un gemito, forte e voluttuoso, la tortura di Razeby divenne ancora più squisita. Alice si inarcò, offrendo i seni alla sua bocca avida, animata da un desiderio insaziabile. Gli insinuò le dita tra i capelli scuri, attirandolo a sé, bramando tutto ciò che le stava facendo e altro ancora. Lui la accarezzò con la lingua, stuzzicò i capezzoli rosei finché non divennero così turgidi e sensibili che Alice fu sul punto di arrivare al culmine persino prima che lui la toccasse tra le gambe, e allora cercò di tirarsi indietro, di procrastinare il momento della resa finale. Vedendo quanto era vicina al limite, Razeby sorrise. «Nessuna pietà, Alice» mormorò con la sua voce sensuale e vellutata, poi la sua lingua tornò ad accarezzarla con tale maestria da rendere vano ogni tentativo di resistere. Alice si abbandonò alle sensazioni e il suo mondo esplose in un'estasi accecante e dirompente che la fece fremere e rabbrividire mentre il piacere, assoluto e devastante, la pervadeva dalla testa ai piedi e le strappava un grido di stupore. Il suo corpo stava ancora pulsando, quando il viso del marchese tornò davanti al suo. «Razeby» sussurrò. 14
«Scostumata» le disse lui sorridendo. Alice gli tracciò il contorno delle spalle con le mani, lasciandole poi scivolare lungo i muscoli delle braccia. La scherma, l'equitazione e il pugilato avevano reso quel corpo forte e asciutto. Era così diverso dal suo, così grande e virile... «È tutta colpa tua» ribatté. «Mi dichiaro colpevole» ammise il marchese, fissandola con occhi ardenti come braci. Le tempestò di baci il collo, il profilo del viso, il mento, e lei sentì il desiderio accendersi di nuovo e pulsare tra le cosce. Gli graffiò la pelle nuda della spalla con i denti, lo leccò, lo succhiò mentre con una mano scivolava in basso per accarezzargli la vistosa erezione. Sentì l'involontaria contrazione dei suoi muscoli, lo udì trattenere il fiato mentre lo sfiorava. «Alice...» Lei sorrise e gli morse la spalla. Razeby si impadronì della sua bocca, esplorandola con sensuale maestria mentre lei lo circondava con le gambe per accoglierlo dentro di sé. Si mossero insieme in una danza antica come il tempo, un uomo e la sua donna che si univano, condividendo tutto ciò che era possibile condividere in quel viaggio che aveva una sola destinazione per entrambi. Dopo, come sempre, Razeby la tenne stretta tra le sue braccia forti, circondandola con il proprio corpo come se volesse proteggerla dal mondo intero. Alice assaporò la sensazione del suo respiro caldo che le solleticava i capelli e delle sue mani pos15
sessive intorno ai seni, la vitalità di quel solido corpo virile che impediva al proprio di raffreddarsi e di perdere lo splendore rosato dell'amore. Quando le sfiorò il capo con le labbra, il cuore di Alice danzò di gioia e felicità immensa. Gli si accoccolò più vicino e si crogiolò nell'appagamento del loro amplesso. Ma quando aprì gli occhi per guardare nei suoi, scorse di nuovo l'ombra pensierosa che aveva visto in salotto. Gli fece scorrere le dita sulla guancia. «Cosa c'è che non va, Razeby?» Era diverso dal solito. Non era stato del tutto se stesso nelle ultime settimane. «Qualcosa ti turba, è evidente.» Pregò Dio che non avesse nulla a che fare con ciò che lei stava scrivendo poco prima. Se le avesse rivolto delle domande in proposito, non sapeva cosa gli avrebbe risposto. Razeby la guardò negli occhi, li studiò, e per un attimo, un solo istante, Alice pensò che le avrebbe detto cosa lo affliggeva. Poi quell'espressione svanì, sostituita da uno di quei sorrisi che la facevano sciogliere dentro. «Niente che non possa aspettare ancora un po'» le assicurò, scostandole le dita dalla guancia e premendosele contro le labbra. Quel gesto tuttavia non bastò a rassicurarla. Un lieve fremito di inquietudine le percorse la spina dorsale. «Razeby...» iniziò, ma lui la fece voltare sulla schiena e rotolò sopra di lei, coprendola con il proprio corpo, senza mai smettere di guardarla negli occhi. «Per favore, non ora» le disse, e suonò quasi co16
me una preghiera; poi mise a tacere ogni ulteriore protesta con un bacio. E a quel bacio ne seguĂŹ un altro e poi un altro ancora, finchĂŠ la passione che li consumava non fece svanire tutto il resto.
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