Nicole Locke CUORI IMPRIGIONATI
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese: Her Honourable Mercenary
Harlequin Mills & Boon Historical Romance
© 2021 Nicole Locke
Traduzione di Federica Isola Pellegrini
Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises ULC. Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2023 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici settembre 2023
Questo volume è stato stampato nell’agosto 2023 da CPI Moravia Books
I GRANDI ROMANZI STORICI
ISSN 1122 - 5410
Periodico settimanale n. 1368 dello 02/09/2023
Direttore responsabile: Sabrina Annoni
Registrazione Tribunale di Milano n. 75 dello 01/02/1992
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Questo libro è prodotto con carta FSC® indipendente per garantire una gestione forestale responsabileAlle nuove amiche nate a causa del 2020: Taylor DeLong, Mary E. Montgomery, Isabelle Peterson, Arell Rivers, DeLisa Smith e Libby Waterford. Siete tutte la ragione per cui io e questo libro (ma soprattutto io), ce l’abbiamo fatta.
«Che cosa ne pensate, mia cara?»
Ian di Warstone puntò un dito davanti a sé. La sua postura, la voce e gli ampi gesti indicavano che esisteva una risposta adeguata, e Margery di Lyon comprese che se intendeva restare in vita le sarebbe convenuto conoscerla.
Consapevole di avere un pubblico in attesa di apprendere la sua opinione, allungò il collo per osservare i campi coltivati e i frutteti che conducevano al ripido versante di una collina e, in fondo, a un villaggio snodato attorno a una tetra, mostruosa costruzione che oscurava il limpido cielo azzurro.
La fortezza di Warstone era a dir poco… minacciosa.
Sorridendo alle guardie da cui era circondata, Margery spostò le redini da una mano all’altra nella vana speranza di far capire cosa desiderava alla giumenta che montava.
La giumenta non lo fece, così come non aveva compreso tutti gli altri incoraggiamenti che lei le aveva fornito durante il viaggio in quell’ultima settimana. Per esempio, la sua richiesta di lanciarsi al galoppo, di precipitarsi in un’altra direzione, di aiutarla a fuggire. Purtroppo, non aveva avuto una simile fortuna.
Non era colpa della cavalla, che si limitava a seguire il suo padrone, che non era lei. Neppure le vaste terre e la temibile fortezza le appartenevano. Né l’uomo, Lord Warstone. Benché non fosse la sua amante, quello era il ruolo che lui intendeva farle interpretare per tutto il tempo che avesse ritenuto opportuno.
A onor del vero, se avesse dovuto esprimere ciò che pensava in realtà delle sue terre e della sua residenza, avrebbe dichiarato che la fortezza di Warstone era più che terrificante. Che lei
temeva che dall’istante in cui fosse passata sotto la saracinesca, avrebbe potuto non vedere mai più la sua famiglia.
Quella, lo sapeva, non sarebbe stata la risposta corretta.
«È impressionante» mentì.
«Non riuscite neppure a vederla, da lì dietro» rise lui.
La giumenta infatti si rifiutava di aggirare la guardia che aveva di fronte, e con ogni probabilità non si sarebbe mossa finché non lo avesse fatto il cavallo di Warstone. Tuttavia, se pure la bestia che montava ignorava la propria sorte, Margery la conosceva fin troppo bene.
«È difficile non vederla» aggiunse. «È talmente… imponente.»
Ian posò su di lei gli occhi di un grigio molto chiaro. Lei avrebbe potuto giurare di vederlo incurvare le labbra prima che una raffica di vento gli sbattesse i capelli neri sulla guancia, celando qualsiasi accenno di ilarità.
Lo aveva divertito? Margery non era affatto sicura di desiderarlo. Adesso, però, lui si era rivolto a una guardia ed entrambi stavano conversando. Quindi la sua attenzione era…
Uno dei due uomini scoppiò in una fragorosa risata, facendola sobbalzare. A giudicare dal ghigno ironico della guardia più vicina, tutti avevano notato il suo terrore. E lei era decisamente terrorizzata.
Ian di Warstone era pericoloso.
Non era stato necessario che lui la rapisse per dargliene la certezza. Erano stati sufficienti la sua reputazione, le chiacchiere e il fatto che più di una settimana prima lo aveva sorpreso in un corridoio buio con un pugnale premuto contro la gola di una prostituta.
Lei era corsa via prima di apprendere che cosa fosse accaduto a quella povera donna, anche se non abbastanza in fretta per non essere raggiunta.
Fingendo di stiracchiarsi, Margery si sforzò di rallentare il ritmo affrettato del respiro. Quell’ansito non era causato che dal nervosismo. Doveva limitarsi a considerare quella situazione come tutte le altre in cui si era trovata in vita sua. Senza dubbio, Lord Warstone costituiva una sfida più rischiosa dei suoi avversari precedenti, sebbene non si trattasse di un problema
che lei avrebbe potuto risolvere. Era ancora viva, il che se non altro significava che lo era rimasta più a lungo di quanto avesse previsto.
«Va tutto bene?» domandò Ian. «Il palafreno non vi dà del filo da torcere, non è vero?»
Non per i motivi a cui alludeva lui.
Margery accarezzò il collo della giumenta. «È incantevole. Sono ansiosa di vedere la vostra dimora, tutto qui.»
Lui le rivolse un sorriso indulgente. «Ovviamente.»
Che intenzioni aveva davvero nei suoi confronti? Lei non aveva desiderato sentirlo parlare con quella donna di una missiva che doveva essere consegnata più di quanto lui avesse desiderato che lei lo udisse. Margery non aveva certo voluto leggere il terrore negli occhi di quella donna. In effetti, non aveva mai desiderato che la sua vita prendesse quella piega, ma non poteva incolpare nessuno all’infuori di se stessa e della povertà.
I suoi fratelli coltivavano i campi, la sorella maggiore aveva lasciato il villaggio per guadagnare del denaro con un altro impiego, e lei…?
Lei aveva accettato la proposta di Josse di Tavel di diventare la sua amante. Poi, a causa delle sue ingenti perdite al gioco, Josse l’aveva venduta a Roul. E vivere nella casa del depravato Roul l’aveva indotta a imbattersi in Ian di Warstone in un corridoio in piena notte.
Per molti mesi aveva evitato tutti coloro che abitavano nella casa di Roul senza mai rivolgere loro la parola, consumando i pasti nella sua stanza o, quando ciò non era stato possibile, sgattaiolando in cucina nel cuore della notte. Stava appunto andando in cerca di cibo quando Ian l’aveva catturata. Nessuno avrebbe dovuto essere in piedi, a quell’ora. Avrebbe dovuto essere al sicuro.
Nondimeno, se era crudele come si diceva, perché Ian non le aveva tagliato la gola? Invece, l’aveva spinta e imprigionata in un angolo rischiarato da un’unica candela, e un lampo gli era saettato sul viso dai lineamenti marcati e nello strano sguardo. Un lampo che lei aveva temuto preludesse a qualcosa di peggio di una morte rapida. Quel lampo aveva contenuto qualcosa che l’aveva perseguitata per tutta la vita: interesse.
Perfino da bambina aveva notato le occhiate che le scoccava la gente. Sua sorella Biedeluue le aveva raccontato che quando era ancora in fasce gli abitanti del villaggio l’avevano spesso sollevata per poterla tenere fra le braccia e guardarla.
Lei sapeva che quell’attenzione non aveva avuto nulla a che fare con la sua indole e il suo comportamento, che in così tenera età non consisteva che nel mangiare e dormire, e che era dipeso dal color lavanda dei suoi occhi, dai suoi capelli del colore del lino essiccato, e forse dalle sue labbra rosse come le bacche, o di qualsiasi altro colore le avevano detto che fossero quando era nata.
Né aveva nulla a che spartire con le azioni che aveva compiuto, solo con quello che le era toccato in sorte, una cosa che lei detestava con tutto il cuore. Non aveva procurato che sofferenze a lei e alla sua famiglia.
«Vogliamo andare?» Ian spronò il suo cavallo, e anche le guardie e il palafreno balzarono in avanti.
A quell’improvviso movimento lei scivolò da un lato. La giumenta non avvertì la sua mancanza di equilibrio né la stretta che lei aveva rafforzato attorno alle redini, limitandosi ad avanzare, passo dopo passo, imitando gli altri cavalli. Benché Margery avesse visto molti animali docili in vita sua, quello sembrava praticamente dormire anche quando era sveglio. Come avrebbe voluto placare i suoi pensieri in subbuglio con altrettanta facilità...
Oltrepassarono i frutteti e percorsero dei sentieri molto stretti che parvero chiudersi sempre di più attorno a lei a mano a mano che proseguivano.
Che cosa voleva Ian?
Margery si era rivolta incessantemente quella domanda senza mai trovare una risposta. Quando aveva osato chiederlo, lui si era limitato a sorridere e ordinarle di allontanarsi. Durante il viaggio, ogniqualvolta era giunta l’ora di coricarsi, si era spogliata per lui, che però aveva aggrottato la fronte e l’aveva ignorata. Sebbene si fosse aggirata spesso nell’accampamento in cerca di una via di fuga, i mercenari di Ian le avevano ogni volta bloccato la strada. Lui non dava l’impressione di desiderarla come l’avevano desiderata Josse e Roul, né le aveva premuto un
pugnale contro la gola, anche se si rifiutava di lasciarla andare. La minacciava, ma non le faceva mai del male.
E pensare che era stata terrorizzata dall’indulgente Josse e dal crudele Roul. Loro, se non altro, l’avevano concupita come tutti gli altri uomini. Ian non la guardava mai come un uomo avrebbe guardato una donna. Stava facendo un gioco di sua invenzione, di cui lei ignorava le regole.
«Un’espressione così corrucciata sul vostro viso» dichiarò Ian. «C’è qualcosa che non va nelle strade di questo villaggio?»
Quell’uomo era un acuto osservatore. Quando aveva vissuto con Roul, un uomo passivamente malevolo, era stato di vitale importanza non lasciar mai trapelare le proprie emozioni, un sistema che aveva funzionato. Roul non si era mai accorto dei suoi stati d’animo. Di certo, l’aveva aiutata il fatto che lui trascorresse la maggior parte del suo tempo a ubriacarsi e fornicare. Lei, tuttavia, sapeva di possedere una notevole capacità di distrarre gli uomini.
Sgranò gli occhi e gli rivolse un luminoso sorriso. «Questo villaggio è delizioso.»
«Diverso da Pérouges?»
Pérouges. Il villaggio che lei aveva menzionato quando lui le aveva chiesto da dove veniva. Non era lì che era cresciuta, naturalmente. Tuttavia, era abbastanza vicino a casa sua da consentirle di fornirgli dei particolari se lui glieli avesse chiesti, e abbastanza lontano dai suoi congiunti per accertarsi che fossero al sicuro.
Ian aveva dei congiunti? Poteva darsi che si trovassero nella corte del castello in quel medesimo istante. Forse aveva una famiglia che teneva a lui…
La sua teneva a lei, moltissimo, e lei ne sentiva la mancanza in maniera terribile. L’ironia della sorte era che la sua famiglia aveva tentato di proteggerla proprio da una situazione del genere. Da un rapimento. Dagli uomini che la concupivano. E lei vi ci si era ritrovata. Benché, in realtà, non avesse la più pallida idea per quanto tempo i suoi congiunti sarebbero stati in grado di proteggerla se fosse rimasta con loro.
La sua famiglia era povera e lei era andata contro ogni loro desiderio accettando di essere pagata da uomini come Josse,
come Roul. Non aveva mai rimpianto la decisione di andare con Josse, anche se la noncuranza con cui lui l’aveva ceduta a Roul l’aveva ferita. Nondimeno, niente di tutto questo reggeva il confronto con l’angoscia che le procurava quel viaggio con Ian di Warstone.
«Il vostro villaggio è molto diverso dal mio» replicò. «Pérouges è circondato da tutte quelle mura opprimenti. Questo è… arioso.»
Lui le frugò il viso con lo sguardo, senza dubbio in cerca della verità, prima di voltarsi e fissare il paesaggio.
Lasciando andare il fiato che aveva trattenuto, Margery distolse lo sguardo dal suo rapitore e lo portò su tre cani e sui bambini che correvano fra loro. Alle loro spalle, un bambino molto più piccolo arrancava faticosamente per tentare di raggiungerli. Ian, e perfino la guardia che l’affiancava, rallentarono per accorciare la distanza fra loro.
Quello era uno dei villaggi più curati che lei avesse mai visto. Non c’erano molte case, dal momento che probabilmente la maggior parte dei suoi abitanti viveva all’interno del castello, ma i campi e le terre erano tenuti in modo perfetto.
Benché i Warstone fossero oltremodo facoltosi, l’esperienza le aveva insegnato che non sempre le persone ricche si prendevano la briga di mantenere in buone condizioni i loro possedimenti. La tenuta di Josse era oltremodo redditizia, ma i suoi fittavoli erano vestiti di stracci. E sebbene Roul non fosse parso propenso a sorvegliarli, i suoi servi si ritiravano negli angoli e sbrigavano le loro faccende in modo da passare inosservati.
Lì, non si scorgeva terrore negli occhi della gente e i bambini avevano delle scarpe. Suscitare compassione in uno degli abitanti per persuaderlo a proteggerla dal loro spregevole signore sembrava quindi improbabile, dato che tutti coloro che erano usciti in strada si mostravano riservati, ma rispettosi.
Il che le faceva sorgere la domanda: quale malvagità celava Ian di Warstone? Riservava la sua perfidia ai corridoi fiocamente illuminati e a delle misteriose missive? Quella gente non lo conosceva che alla luce del giorno?
«Sono lieto che troviate di vostro gradimento il mio…» Ian si interruppe e assunse un’espressione remota, quasi malinco-
nica, prima di scuotere la testa. «Non vorrei che la mia amante credesse che trascuro i miei fittavoli.»
Si trattava di una sua abitudine. Lasciava le frasi in sospeso quando parlava di argomenti insignificanti, e poi portava lo sguardo in lontananza. All’inizio, quando era stata costretta a seguirlo, lei si era sforzata di non dare nell’occhio. E quando lui non le aveva fatto subito del male, si era resa conto che avrebbe potuto continuare a vivere. Poi si era chiesta se avrebbe avuto l’opportunità di fuggire nelle occasioni in cui lui borbottava fra sé e si allontanava, come se avesse avuto intenzione di fare qualcosa ma avesse dimenticato di che cosa si trattava. Lui però tornava sempre in sé prima che lei fosse riuscita a mettere insieme il coraggio di scappare.
Ignorava chi temesse di più. Se la versione di quell’uomo che talvolta non sembrava in possesso di tutte le sue facoltà mentali o quella fredda e crudele che aveva premuto un pugnale contro la gola di una donna.
Avevano ormai raggiunto i portoni spalancati, ma la giumenta si era fermata. Solo adesso aveva deciso di prestare ascolto ai suoi suggerimenti? Era troppo tardi per questo, e troppo tardi per cancellare ciò che lei aveva fatto prima di lasciare la dimora di Roul.
Mentre ero imprigionata e sorvegliata a vista da lui, Ian si era allontanato una sola volta. Lei aveva supposto che lo avesse fatto per negoziare con l’uomo che l’aveva vinta al gioco. Era ancora ignara della sua incredibile astuzia e della sua propensione a distrarsi. Non era stata a conoscenza che della sua arroganza e del fatto che lui avrebbe potuto ucciderla.
Perciò aveva rubato un pezzo di pergamena lacerata, l’aveva di nuovo strappato e si era affrettata a scrivere due messaggi. Uno destinato ai suoi fratelli per avvertirli che era in pericolo, l’altro alla sorella per comunicarle che stava bene e conduceva una piacevole esistenza con un uomo affascinante.
Sua sorella avrebbe ricevuto la missiva che avrebbe dovuto tenerla lontana? I suoi fratelli avrebbero ricevuto la loro, in cui li supplicava di accorrere in suo aiuto?
Margery si spostò sulla sella per sollecitare la giumenta ad avanzare. Quella non si mosse. Il sudore le bagnò le ascelle. Era
troppo tardi ormai per consentire alla cavalla di indietreggiare. Troppo tardi per pentirsi di aver inviato quei messaggi.
Le guardie stavano entrando nella fortezza, e Margery rimase a osservare mentre Ian si rendeva conto che lei non si trovava dietro di lui. Lo vide aggrottare la fronte e ne notò lo sguardo glaciale, prima che facesse girare il cavallo e tornasse ad affiancarla.
«Che cosa c’è? Non vi tratto con la massima benevolenza? Avrei potuto limitarmi a uccidervi.»
Lei si sentì assalire di nuovo dal terrore al pensiero di godere della sua benevolenza. «Si tratta della mia cavalcatura…» farfugliò attraverso il nodo che le serrava la gola.
«Avrei dovuto uccidervi» continuò lui come se non l’avesse udita. «Vi ho perfino lasciata sola mentre mi occupavo…» Si interruppe. «Di sgradevoli circostanze… sciocche circostanze.»
Era stato sciocco da parte sua chiedere ai suoi fratelli di soccorrerla? Stava cominciando a crederlo. Forse i suoi fratelli non avrebbero ricevuto il messaggio. Forse Biedeluue non sarebbe stata così protettiva e non si sarebbe presa la briga di precipitarsi nella tenuta di Roul per controllare se lei fosse stata sincera.
Non erano che congetture, si rese conto. Il massimo che poteva augurarsi era che i messaggi non fossero giunti a destinazione. I suoi fratelli accorrevano sempre in suo aiuto e Biedeluue era la peggiore… o la migliore.
Ogni volta in cui lei si era strappata l’orlo della veste con un ramoscello, Biedeluue l’aveva sollevata fra le braccia per impedire che subisse qualsiasi danno. Lei l’amava per questo e comprendeva per quale motivo la sorella si era sempre comportata in quel modo. Quando Margery era bambina, un minuto era al sicuro nella sua cesta e quello dopo Biedeluue non aveva idea di dove fosse finita. Questo non le impediva di trovare la sorella maggiore soffocante.
Per una volta Margery avrebbe voluto evitare che i suoi fratelli si cacciassero nei guai. Era per questo che aveva seguito Josse. Ed era per questo che adesso stava tentando di sfuggire a Ian senza il loro aiuto.
Lui la fissò con gli occhi stretti, come se le avesse letto nel
pensiero. «Non avrei dovuto perdervi di vista. Potete ringraziare il cielo se i miei uomini mi hanno riferito che avete solo parlato con dei servi che si trovavano già lì e che lì sarebbero rimasti.»
In effetti, lei aveva chiesto a un giovane di non consegnare i messaggi finché non fossero partiti. La moneta che lei gli aveva dato sarebbe stata sufficiente per recapitare venti messaggi e benché questo la confortasse, non poteva avere la certezza che lui lo avesse fatto.
Non li avrebbe mandati se avesse saputo quanto folle eppure scaltro fosse Ian. Da quanto le risultava, aveva lasciato un uomo a casa di Roul per sorvegliare eventuali messaggeri e lei aveva messo a repentaglio la vita di quel povero giovane.
«Adesso vi rifiutate di entrare in casa mia mentre la mia gente vi sta osservando?» sibilò lui. «Forse avrei dovuto darvi una breve tregua, ma dato che avete abusato della libertà che vi ho concesso, non lo farò più! Resterete nel mio appartamento privato. Non vedete mai nessun altro. Non uscirete mai più. Sì, lo trovo gratificante. Una punizione adeguata per avermi offeso, non trovate?»
Margery percepì su di sé lo sguardo di tutti i mercenari. Si aspettavano un atto di violenza. Come se lei fosse rinchiusa in una trappola o in attesa di essere frustata.
«Si tratta della cavalcatura» ripeté in tono quasi supplichevole. «Si rifiuta di muoversi. Non è colpa mia!»
Ian fece passare lo sguardo dal palafreno a lei e quindi ai suoi uomini. Lo riportò su di lei e si batté una mano sulla coscia, quindi scoppiò in una fragorosa risata.
Delle macchie scure le apparvero davanti agli occhi e il cuore prese a batterle così debolmente da farle pensare che avrebbe perduto i sensi. Non era abituata a essere sempre spaventata, non era abituata a essere minacciata. La risata di Ian era raccapricciante.
«Perché non me lo avete detto?» Ian scoppiò in un’altra risata, come se stessero sorseggiando la migliore delle birre e raccontandosi degli aneddoti piccanti.
No, Ian non era distratto, era folle.
Togliendole dalla mano le redini, lui tirò la giumenta. Mar-
gery percepì quello strattone come se fosse davvero condotta verso la corte per essere frustata in pubblico, e mentre passava sotto la saracinesca ebbe la certezza di stare entrando in un posto in cui sarebbe stata punita, forse anche uccisa. Non seppe impedirsi di desiderare di non aver avuto fame quella notte, o di essere stata in grado di correre a una maggiore velocità per evitare di essere raggiunta. Rimpianse di aver inviato quei messaggi, che avrebbero potuto nuocere ai suoi fratelli se fossero venuti, e nello stesso tempo si augurò che giungessero il più presto possibile per salvarla.
Evrart intuì che Ian di Warstone stava tornando alla fortezza prima ancora che fosse fatto l’annuncio.
Non furono le grida di saluto delle varie sentinelle appostate lungo il sentiero, né il modo frenetico in cui il castaldo stava impartendo istruzioni alla servitù. Né fu il vecchio guardiano che attraversava zoppicando la corte per aprire le porte. Non furono nemmeno i bambini del villaggio che di solito correvano giù dalla piccola altura, tentando di essere i primi a informarlo, dal momento che ricevevano sempre un premio, del cibo o un gingillo del quale si sarebbero vantati durante le settimane o i mesi a venire.
Furono i capelli che gli si drizzarono sulla nuca ad avvertirlo. Un quasi impercettibile cambiamento nell’aria.
Era sempre un momento problematico quello in cui Lord Warstone tornava da una delle sue missioni, dopo aver lasciato lui a difendere il castello, ma non lo era mai stato quanto quello presente, dato che lui non si trovava nella corte, ma nel lago dietro di essa, intento a lavar via il fango, il sudore e il sangue.
Fare un bagno a metà giornata poteva essere giudicata una negligenza da parte sua, una negligenza che non sarebbe sfuggita allo sguardo vigile di Ian. Non aveva importanza che quel mattino avesse addestrato per ore i suoi mercenari, battendosi con loro. Non aveva importanza che non desiderava che essere pulito. Avrebbe avuto importanza che lui non fosse stato presente all’arrivo del suo signore. Le apparenze erano tutto per Ian di Warstone.
Immergendosi nel lago per eliminare il resto del sapone dal corpo, Evrart scosse la testa per liberare i capelli dall’eccesso di acqua. Il lago era situato fuori dalle mura della fortezza, a una certa distanza dalla porta posteriore, anche se non così
vicino da essere un varco di facile accesso. Avrebbe impiegato diverso tempo a rientrare nella corte e occupare la sua posizione.
Afferrando il piccolo panno che aveva posato su un masso, se lo strofinò lungo le membra. Aveva un fattore a suo vantaggio. Ian preferiva sempre arrivare adagio per ottenere una maggiore attenzione. Lui poteva solo augurarsi che lo facesse anche quel giorno. Dopotutto, i Warstone erano una delle famiglie più potenti e temibili della Francia e dell’Inghilterra, benché non avessero acquistato la loro fama con degli atti eroici né il loro patrimonio con la fortuna.
Gettando a terra il panno bagnato, Evrart indossò la calzamaglia e le brache. No, i Warstone e i loro quattro figli, dei quali Ian era il maggiore, non erano rispettati a causa della loro bontà. Nei dieci anni in cui lui era stato la guardia personale di Ian, non si era mai abituato alla loro perfidia. E ogni volta che aveva pensato di aver visto abbastanza orrore e intrighi, loro avevano continuato a stupirlo.
Il che lo spingeva a chiedersi: perché non lasciava la sua posizione di guardia personale di Ian e non cercava un lavoro altrove?
Si infilò la tunica dalla testa, si affibbiò la cintura e si sedette sul masso più grande per allacciarsi gli stivali. Evrart non era di sangue nobile né aveva delle conoscenze altolocate. Non era che il terzogenito di una famiglia povera ed era stato intento ad arare un campo alla periferia dell’abbazia di St. Martial quando Ian lo aveva notato.
Tutti i suoi fratelli venivano spesso notati, dato che erano di una statura di gran lunga superiore alla media, come il loro padre e la loro madre e persino sua sorella adolescente. Purtroppo per le sue orecchie, e per la sua tranquillità di spirito, l’ultima volta in cui l’aveva vista Peronelle era già stata più alta delle proprie amiche, una cosa di cui si era lagnata a ogni occasione.
Evrart si diresse verso il castello. Le sentinelle che si trovavano sui bastioni si stavano già allineando lungo le mura. Lui cominciò a correre.
Questa era la sua vita adesso. Spade e castelli. Bastioni e saloni. Ma le uniche cose che lui davvero desiderava erano un
aratro e un paio di buoi. Un solido tetto sopra la testa e le fiamme che crepitavano nel focolare.
Ian era stato via molto più a lungo di quanto li aveva informati. Qualunque cosa fuori dal prestabilito facesse Ian era preoccupante. Durante i dieci anni in cui era stato la sua guardia personale, Evrart aveva assistito a numerosi cambiamenti, anche se non come quelli che si erano verificati nell’ultimo anno.
Da quando suo fratello Guy era morto, Ian da glaciale era diventato terrorizzante. Con sempre maggior frequenza, partiva per compiere delle misteriose missioni, lasciando lui a udire le chiacchiere su leggende, tesori e tradimenti. Ultimamente, Evrart si era convinto che Ian avesse tentato di far assassinare il proprio fratello, Balthus, e ancora più di recente, aveva guardato il castaldo in un modo che non lasciava presagire nulla di buono per l’anziano servitore. Parlava sempre più spesso della moglie e dei figli, del fatto che si erano smarriti ed erano stati salvati.
E di qualcosa che riguardava un pugnale, che era stato perduto, ritrovato e di nuovo perduto. Un argomento che suscitava le ire di Ian al punto che Evrart era stato costretto a intervenire in un paio di occasioni per impedirgli di colpire un servo. Giorno dopo giorno, Ian sembrava diventare sempre meno ragionevole, il che rendeva le sue assenze tanto più inquietanti. Adesso, quando fosse arrivato, lo avrebbe accusato di aver trascurato le proprie mansioni, e forse avrebbe spiegato per quale motivo aveva modificato i suoi progetti. Il che poteva preludere a festeggiamenti o a punizioni. Queste ultime erano assai più probabili. Di conseguenza, se lui non si fosse trovato nella posizione che doveva occupare, Ian avrebbe sfogato la sua collera su di lui.
Non sarebbe stata la prima volta. Questa sarebbe stata la sua esistenza fino all’ultimo dei suoi giorni. E non perché desiderava del denaro, un’elevata posizione sociale e tantomeno il potere.
Oh, aveva accumulato un notevole patrimonio mentre era stato al servizio di Lord Warstone, dopo che questi lo aveva addestrato per trasformarlo nella sua guardia personale. Evrart
non desiderava possedere una maggiore quantità di denaro. A differenza dei suoi due fratelli maggiori, Yter e Guiot, sarebbe stato ben contento di restare al villaggio, di aiutare la madre e la sorella minore.
Non era la lealtà a impedirgli di recarsi altrove. Era il timore che Ian attuasse la minaccia di uccidere brutalmente sua madre e sua sorella se lui lo avesse tradito. Perciò, per quanto detestasse ogni istante del compito che gli era stato assegnato, lo svolgeva. Lo svolgeva e avrebbe continuato a farlo finché non fosse marcito in una tomba senza nome.
Precipitandosi al di là della porta posteriore, aggirò la torre meridionale ed entrò nella corte. Il portone principale era già spalancato. Era arrivato in ritardo.
Ian era già smontato, al pari degli uomini che lo circondavano, i cavalli che venivano condotti via dai mozzi di stalla. Alcuni uomini indossavano i colori dei Warstone, alcuni no, uomini che Evrart non riconobbe. Tuttavia, non furono questi a catturare la sua attenzione. Non fu neppure Ian, sebbene lui avesse notato la distanza che li separava con un sopracciglio inarcato.
No, a richiamare la sua attenzione fu la bambina in sella al palafreno. Il mantello che indossava, probabilmente uno di quelli di Ian, inghiottiva la povera creatura.
Ian aveva una moglie e due figli maschi, che erano stati portati via sei anni prima. Non erano mai tornati. Correva voce che sua moglie avesse preso i bambini e li avesse condotti in un luogo imprecisato in cui Ian non li avrebbe mai rintracciati.
Quella creatura era troppo piccola per essere sua moglie, anche se non sbirciava al di là del cappuccio con la curiosità tipica di una bambina. Chiunque fosse, avrebbe dovuto essere insignificante per lui. Non influire minimamente sull’abilità con cui vibrava la spada. Chiunque fosse in sella a quel cavallo non avrebbe dovuto avere importanza per lui… ma l’aveva. Forse perché era stata portata lì da Ian di Warstone, e Ian non portava mai al castello qualcuno che non fosse una guardia o un mercenario, qualcuno che non fosse destinato a combattere, morire o servirgli del vino.
Indicando la minuscola sagoma, Ian incurvò le labbra in un
sorriso che indicava quanto il sole della sua follia fosse al massimo dello splendore.
Qualcosa di vigile e oscuro gli filtrò nelle ossa, ed Evrart fendette la folla per raggiungere coloro che circondavano Ian. Era la guardia di Lord Warstone, doveva stargli vicino. Intuiva però che chiunque montasse il palafreno non era pericoloso… né si trovava in pericolo.
Ian afferrò la creatura alla vita, separando i due lembi del mantello e rivelando una veste sottostante. Quando i piedi di lei toccarono il suolo di terra battuta, il cappuccio le scivolò sulle spalle. Sentendosi vacillare, Evrart divaricò le gambe. Ian aveva portato con sé una donna, che però non era sua moglie. Aveva i capelli chiari, gli occhi limpidi, innocenti. Se non apparteneva a Ian, a chi apparteneva?
Ian tese il braccio e lei vi posò sopra la mano, scostando l’enorme mantello dal suo corpo e lasciando in mostra un seno piccolo e piacevolmente arrotondato, una vita minuscola al di sopra dell’ampiezza dei fianchi. Una donna esile, delicata, dalla figura perfetta. Ma innocente? Non poteva esserlo, non se si trovava lì.
C’era qualcosa che non andava. Entrambi apparivano imbarazzati l’uno con l’altra. Un comportamento che travalicava l’atteggiamento formale di Ian e non aveva nulla a che fare con il modo in cui lei aveva reagito, irrigidendo la schiena. Anche se lei stava sorridendo, al pari di Ian, entrambi i sorrisi erano forzati, come se tutti e due stessero recitando una parte. Si trattava indubbiamente di un altro gioco. Forse lei era innocente, forse lui l’aveva trascinata lì con la forza, anche se non fu questo a far scattare Evrart sulla difensiva.
In realtà, qualcosa si era allentato in lui nel momento in cui si era accorto che la loro ospite era una donna e non una bambina. Sembrava essere incapace di scrollarsi di dosso l’impulso di proteggerla. Tuttavia, quella sensazione sarebbe scomparsa quando il suo arrivo non avesse più costituito una novità.
Ian stava parlando adesso, presentandola come la sua amante. Margery.
In quei dieci anni non aveva mai avuto una donna, mai un’amante, e non aveva mai giaciuto con una delle serve della corte.
Un altro intrigo, dunque… e nel suo castello. Anche se lei doveva essere una potente alleata, Evrart non ne riconobbe il nome. Dato che i suoi indumenti erano confezionati con un ottimo tessuto, poteva darsi che appartenesse a una famiglia aristocratica, anche se lui non l’aveva mai vista in una dimora signorile o in un castello.
Nondimeno, aveva l’impressione che tutti fossero a conoscenza di qualcosa che lui ignorava.
Poi comprese che cosa c’era che non andava. Era la gente, che aveva un’espressione estasiata. Come se stesse assistendo a un avvincente spettacolo. Si trattava di nuovo della donna? Ma perché? I suoi lineamenti erano finemente cesellati, con una quasi perfetta simmetria fra il naso, la bocca e gli occhi. Possedeva due braccia, due gambe, due mani…
A un tratto, qualcuno boccheggiò e indicò un punto. Un bambino batté le mani e alcune sentinelle di guardia alle porte si dettero di gomito e la fissarono con uno sguardo eloquente.
Era l’ambiente povero da cui lui proveniva il motivo per cui non l’aveva riconosciuta? O si trattava di qualcosa di più vecchio, qualcosa che era accaduto prima del decennio che lui aveva trascorso lì?
Era possibile.
Tuttavia, il fatto che due bambine la osservassero ridendo, prontamente zittite dalla loro madre, non aveva senso. Sebbene non potessero sapere chi era, sembravano felici della sua comparsa. Era per questo che Ian aveva portato la donna con sé, per suscitare una simile reazione? Un’altra possibilità, dal momento che era sempre stato fedele alla moglie, Séverine. Quelle eventualità, però, non erano che congetture. Non c’era niente che avrebbe dovuto causargli preoccupazione, anche se era ciò che provava. I capelli che gli si erano drizzati sulla nuca si rifiutavano di abbassarsi.
Evrart si guardò intorno, osservando i bastioni, gli edifici costruiti a ridosso delle mura e il giardino della cappella. Tutto era come doveva essere.
La folla si era dispersa adesso e Ian stava conversando con la donna. Lei stava facendo passare lo sguardo da un uomo all’al-
tro, da lui al calzolaio che lo affiancava al bambino che si trovava accanto alla dispensa.
Evrart attese che tornasse a posarlo su di lui. Tutti lo stavano fissando. Poi l’espressione di lei si addolcì mentre osservava il gattino che un bambino teneva fra le braccia. Lui continuò ad aspettare e la situazione si modificò ancora una volta. Divenne più tranquilla, permeata da un’aria di aspettativa. Evrart distolse lo sguardo da quella donna, quella Margery, e lo portò su Warstone, che lo stava studiando attentamente. Si rese conto che gli aveva rivolto una domanda e che lui avrebbe dovuto rispondere.
Quando non lo fece, il sorriso di Ian si accentuò. «Vedete, mia cara? Evrart è silenzioso come le mura del mio castello. Non vi accorgerete nemmeno che sarà la vostra guardia durante le mie assenze.»
La sua guardia durante le assenze di Ian?
Era lì, proprio di fronte a lui, che si trovava il pericolo che aveva intuito.
Questo mese
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Prossimo mese
Una principessa in fuga
charis Michaels
londra, 1803 - Sfuggita anni prima alla Rivoluzione francese, la Principessa Regine d’Orleans viene affidata a Killian Crewes, il Sistematore Reale, perché la distragga...
Alleanza con la nemica
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