Sylvia Z. Summers
Il profumo dell’anima
© 2010 Sylvia Z. Summers Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2010 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici Special luglio 2010 I GRANDI ROMANZI STORICI SPECIAL ISSN 1124 - 5379 Periodico mensile n. 129 del 14/7/2010 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 368 del 25/6/1994 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano
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Londra, maggio 1851 L'odore di Londra gli penetrò nelle narici con sfacciata prepotenza, ma anziché storcere il naso per il nauseante mescolarsi di vapore e fuliggine, sudore e miasmi della città, Frederick Grenville raddrizzò le spalle e chiuse gli occhi, assaporandolo con un profondo respiro. Era tornato a casa. Il viaggio non era stato lungo: Oxford non era molto distante dalla capitale, e con la nuova North Western Railway, che dal '38 correva fino a Liverpool alla velocità di sessanta miglia orarie, viaggiare sulla tratta era diventato facile come andare in visita a un vicino. Tuttavia nemmeno le grandi locomotive, che pure facevano sembrare tutto a portata di mano, riuscivano a colmare la distanza tra la vita della capitale e quella delle altre città della Gran Bretagna, molte delle quali conoscevano in quegli anni una forte espansione grazie al nascere di nuove, moderne industrie. La sua vita, in particolare, non sarebbe stata più la stessa dall'istante in cui avrebbe messo piede giù dal treno, e mai come in quel momento aveva avuto la sensazione che il mondo severo ma protetto dell'università si stesse chiudendo inesorabilmente alle sue spalle, spingendolo verso quella che sarebbe stata la sua nuova vita. Negli ultimi tempi era stato sempre più impaziente di prendere in mano le redini della propria esistenza. Fino a quel momento ci avevano pensato i prefetti, i professori e il rettore a decidere per lui, a tracciare una linea tra il bene e il male, tra ciò che si poteva fare e quello che era proibito. Ma dalle lettere che gli aveva scritto il cugino Alfred gli era parso di capire, malgrado il tono leggero, che dopo l'università tutto sarebbe stato diverso: il 5
mondo avrebbe girato più in fretta, in un certo senso, e la velocità sarebbe dipesa dalle sue forze. Si sentiva come un corridore sulla linea di partenza, con i muscoli tesi, le ginocchia piegate e le dita che sfioravano il terreno, pronto a disputare quella grande corsa in linea retta che sarebbe stata la sua vita. Il fischio del capostazione. Lo stridio dei freni. Il fumo pesante e acre della locomotiva; l'odore di metallo surriscaldato. Frederick gonfiò il petto, cercando dentro di sé una sicurezza che ancora non sentiva ma che era certo avrebbe trovato di lì a poco, forse solo mettendo un piede sulla banchina; poi si girò per fare un cenno al facchino che doveva scaricare i bagagli. In quell'istante, qualcosa lo colpì alla nuca facendogli volare via il cappello. «Bentornato, cugino!» esclamò qualcuno alle sue spalle. «Alfred!» Il nome gli uscì di bocca in un singhiozzo, perché il cugino gli aveva già bloccato la testa sotto il braccio e gliela stava strofinando, scompigliandogli i ricci biondi come fosse un bambino. «Smettila immediatamente!» gli intimò. «Ci stanno guardando tutti.» L'irruenza di Alfred si trasformò in una risata. «Che importa se gli altri guardano! Non ti vedo da sei mesi, lascia che ti faccia le feste come un bravo cagnolino!» «Sono passati soltanto cinque mesi, dato che ci siamo visti a Natale» precisò Frederick. «E io sono stanco morto. Da bravo, fa' la cuccia! Le feste me le farai dopo che mi sarò fatto un bel bagno» aggiunse rassettandosi la giacca e spingendosi i ricci dietro le orecchie. «Dopo che saremo andati dal Generale Piagnisteo, vorrai dire» ribatté Alfred afferrando una delle borse. «Il gene...? Significa che andremo da zia Clothilde? Perché?» Alfred si strinse nelle spalle. «Non saprei... Forse perché sei tornato in famiglia. Vorrà festeggiare il suo cocco.» «Non sono il suo cocco.» Ma Freddy sapeva che la zia aveva sempre preferito lui ad Alfred. Probabilmente perché aveva capelli biondi e occhi chiari, mentre quelli di suo cugino erano scuri e aveva la carnagione olivastra. "Come uno zingaro" diceva a volte zia Clothilde, in tono non troppo scherzoso. Suo cugino non sembrava crucciarsi di non occupare il primo 6
posto nel cuore dell'anziana signora. Freddy tuttavia era sicuro che zio Toby, il padre di Alfred, non fosse altrettanto spensierato sull'argomento. Lady Clothilde Archer – che i nipoti avevano soprannominato scherzosamente Generale Piagnisteo perché riusciva a comandare tutta la famiglia a bacchetta lamentandosi in continuazione – non aveva infatti eredi diretti cui lasciare titolo e patrimonio, e di conseguenza sarebbe stato uno dei suoi nipoti a beneficiare della cospicua eredità. E la gentildonna ne aveva soltanto due: Alfred e Frederick. «Sbrighiamoci: ho lasciato Todd e la carrozza in doppia fila» lo esortò Alfred passando attraverso uno degli archi che immettevano nella Grand Hall, lo spettacolare atrio alto sessanta piedi e lungo centoventicinque che faceva di Euston Station una delle meraviglie della Londra moderna. Al suo interno i viaggiatori sembravano un esercito di formiche, pensò Frederick ammirandone le possenti colonne decorate in marmo rosso, gli ampi finestroni, il soffitto a cassettoni e gli enormi quadri raffiguranti le principali città già raggiunte dalla linea nord. Gli girava la testa. «Mi sembra ci sia ancora più gente dell'ultima volta» disse facendosi largo tra la folla. «È così, infatti» annuì il cugino, facendogli strada verso il portico dove le vetture potevano ripararsi dalle pestifere intemperie londinesi. «La città rigurgita di persone venute per la Grande Esposizione voluta dal Principe Alberto. Devi vederla, è ospitata in un palazzo tutto di vetro immerso in Hyde Park! E dentro sembra di fare il giro del mondo. Fatto sta, che a Londra c'è talmente tanto traffico che ci metteremo un'ora ad arrivare a Belgrave Square.» Alfred si girò verso di lui. «Anzi, almeno un'ora» sottolineò facendogli l'occhiolino, «visto che ci fermeremo a berci una bella birra. L'ultima da uomo libero» aggiunse. «Ti consiglio di gustartela fino in fondo.» Freddy non capì l'affermazione di Alfred finché non mise piede nel salotto di Wilton Crescent, il regno di Lady Archer. Non appena il glaciale maggiordomo spalancò la porta, si trovò di fronte la corte di zia Clothilde al gran completo: Zio Toby, il padre di Alfred, che lo guardava accigliato dalla sua postazione accanto ai liquori; sua moglie, zia Sarah, eternamente preoccupata che il fi7
glio se ne uscisse con qualche frase irriverente; e sua madre, Maria Grenville, che non fece in tempo a muovere un passo nella sua direzione prima di essere bloccata dalla zia, sprofondata in una poltrona imponente come un trono. «Frederick!» esclamò l'anziana gentildonna, il petto che le sobbalzava fino quasi a toccare il mento. «Finalmente.» Scoccò un'occhiataccia ad Alfred. «Avete bighellonato per la città, vero?» domandò ostentando finta indulgenza. «Cosa dite, zietta... Il treno era in ritardo» mentì Alfred sfoggiando un sorriso sornione. «E poi abbiamo trovato molto traffico. Il povero Todd non ce la faceva più, ve l'assicuro. Sapete anche voi che da quando è iniziata l'Esposizione circolare è impossibile.» E il povero Todd non ce la faceva più davvero, pensò Freddy, visto che si era scolato ben tre birre, pagate da Alfred insieme al suo silenzio. Lady Archer lo liquidò sbuffando esasperata, dopodiché tese le braccia grassocce. «Vieni a dare un bacio alla tua zietta» disse sporgendosi in avanti, senza tuttavia accennare ad alzarsi in piedi, dal momento che per ragioni di anzianità e di rango toccava agli altri andare da lei. Dopo i saluti di rito, Frederick fu sottoposto a un interrogatorio serrato sui meriti che aveva acquisito a Oxford, e la zia insistette anche per leggere ai presenti l'encomio che lui aveva ricevuto dal professore di geografia. «Bisognerà inviarlo a Mr. Willard» dichiarò infine la gentildonna, brandendo il foglio. «Mr. Willard?» chiese Frederick voltandosi verso la madre, che però abbassò rapidamente gli occhi sulle proprie mani. «Dello studio Willard & Weston, caro!» esclamò la zia sbottando in una risata comprensiva. «Io... mamma vi avrà certamente parlato della mia intenzione...» Frederick sentiva che il mondo ancora non gli apparteneva, che sfuggiva alla sua comprensione, così come la sua vita. Per questo motivo, durante tutto l'ultimo anno a Oxford, aveva progettato di fare un lungo viaggio nel Continente e di spingersi forse fino in India. Sentiva che solo così sarebbe riuscito a comprendere se stesso e ciò che lo circondava. «Lo studio Willard & Weston è assai prestigioso» lo zittì sua madre. «Clothilde e io pensiamo sia meglio che inizi subito a la8
vorare.» Sorrise, fingendo di non notare il suo disappunto. «Sono sicura che ti troverai bene, e potrai aiutare tuo cugino Alfred, visto che non ha potuto finire gli studi.» «Alfred non ha alcun bisogno di essere aiutato» intervenne zio Toby. «Ci mancherebbe! Se ben ricordi, Maria cara, ha un anno più di Frederick, ed è probabile che accadrà proprio il contrario.» «Via, Toby, Maria non voleva essere offensiva» intervenne Clothilde. «Willard mi ha detto che Alfred è molto capace.» Rivolse al nipote un'occhiata di sfida. «Peccato... quell'espulsione a pochi mesi dalla laurea proprio non ci voleva.» Alfred fece spallucce. «Io... ehm... conoscendo meglio il mondo, sono sicuro che potrei essere più utile alla società» proseguì Freddy, anche per distogliere l'attenzione da Alfred, che quella storia non l'aveva ancora digerita. «Ma lo sarai, caro» chiocciò la zia. «Da Willard & Weston.» Freddy scoccò un'occhiata al cugino, come per cercare aiuto, comprensione, o forse entrambe le cose, ma Alfred era sprofondato in una delle poltrone e sembrava molto occupato a gingillarsi con una delle statuette di porcellana Lowestoft della zia, che aveva preso dal tavolino lì accanto. «Se iniziassi subito a lavorare per Mr. Willard, non avrei modo di capire nulla del mondo. E io voglio essere d'aiuto davvero, non in senso generale, distante. Non voglio fare un viaggio per ammirare opere d'arte e rovine di antiche civiltà, bensì per conoscere altre culture, rendermi conto di cosa pensa la gente, delle sue miserie e delle sue necessità. In seguito potrei anche fare l'avvocato, certo, tuttavia vorrei difendere tutti coloro che ne avessero bisogno, senza distinzione di ceto» continuò, accalorandosi, mentre Alfred veniva colto da un violento accesso di tosse. «Mio Dio, ragazzo» sbottò zio Toby, scandalizzato «non sarai diventato un rivoluzionario?» Non riuscì a trattenere un sorrisetto esultante mentre guardava la sorella, pietrificata nel suo piccolo trono imbottito. «Hai sentito, Clothilde? Pare che Frederick sia diventato un Whig... se non peggio...» «Tutto il mondo è a Londra, in questo momento. Al Crystal Palace. Non c'è bisogno di viaggiare» intervenne secca Maria Grenville, scoccando un'occhiata carica d'apprensione alla sorella 9
maggiore, il cui volto cambiava colore dal rosa al rosso acceso, passando per alcune strane tonalità di verde. Freddy inghiottì quello che avrebbe voluto rispondere e si voltò verso il cugino. Ma forse Alfred, con gli occhi fissi sulla statuetta, stava ancora meditando sulle disgraziate circostanze che l'avevano allontanato da Oxford anzitempo. Poi gli parve di vederli guizzare brevemente nella sua direzione, un istante prima che la preziosa statuetta gli sfuggisse dalle mani e finisse sul tappeto che, per fortuna, ne attutì la caduta. Il mento di zia Clothilde toccò di nuovo la scollatura, tanto le si era spalancata la bocca. «Alfred!» esclamò. «Devi stare più attento!» Ritornò a respirare solo quando ebbe la certezza che il suo prezioso pastorello non si era rotto. «Sei sempre così irruento. Quando ti deciderai a mettere la testa a posto? Hai venticinque anni, ormai! Ricordo ancora quando hai rotto il mio servizio Royal Worcester...» «Era solo una teiera» sbuffò Alfred posando bruscamente sul tavolo il pastorello. «Ed è successo almeno quindici anni fa» aggiunse voltandosi verso Freddy e strizzandogli l'occhio. Freddy avrebbe voluto sprofondare: era stato lui a far cadere quella teiera, e per proteggerlo Alfred, che aveva un anno più di lui, se ne era assunto la responsabilità sopportando con spavalderia tutti i rimproveri; e non glielo aveva mai rinfacciato. All'improvviso il Generale si alzò dalla poltrona in un fruscio di seta inamidata e crinoline, facendo guaire i cani e sobbalzare i più anziani dei suoi ospiti, che non erano abituati a vederla muoversi con tanta rapidità. Raggiunse il tavolino ricoperto di porcellane, afferrò il pastorello e lo rimise al suo posto. «Vedi?» sibilò ad Alfred. «Non puoi mettere un pastore accanto a una dama. Il suo posto è qui, insieme alla pastorella e alle pecore.» Alfred sbuffò, stringendosi nelle spalle, e guadagnandosi una sonora schiarita di gola da parte del padre. «Perdonatemi, zia. Avete ragione... come sempre.» In quel momento Lloyd, il maggiordomo, entrò per annunciare: «Lady Lagrange e Miss Kathrine, milady». Freddy non conosceva le nuove arrivate, ma non mancò di notare le espressioni dei presenti nell'udire i loro nomi. Zio Toby e zia Sarah sembravano ancora più tesi di prima; sua madre gli lan10
ciò un'occhiata di sottecchi; e il Generale sfoggiò un sorriso soddisfatto. Solo Alfred mantenne un'espressione imperturbata, anche se si ritirò tra tende e poltrona, come se quella visita non gli fosse gradita. «Adelaide, cara!» esclamò zia Clothilde vedendo l'amica. «Clothilde, tesoro!» rispose Lady Lagrange. «E la tua bellissima Kitty! Oh, sono proprio felice che tu l'abbia portata con te» proseguì la zia, avvicinandosi al nipote e posandogli la mano paffuta sul braccio. «Questo è il mio Frederick... appena giunto da Oxford, dove si è laureato con il massimo dei voti.» Gli occhi scuri e intensi della dama appena arrivata lo scrutarono da capo a piedi, poi lei annuì la propria approvazione. «Lieto di conoscervi, Lady Lagrange» disse Frederick, mentre il suo sguardo si posava brevemente sulla ragazzina che le stava accanto, una bambolina dal visetto lievemente arrossato che teneva gli occhi timidamente abbassati. «E anche voi, Miss Kathrine.» «Kitty» mormorò la fanciulla, sollevando per un attimo lo sguardo, per poi tornare a fissare il pavimento. «Tutti mi chiamano Kitty.» Arrossì di nuovo, e rimase rigida e immobile finché la madre non le indicò una sedia. «Ci dispiace di aver interrotto una riunione di famiglia» disse Lady Lagrange. «Oh, Adelaide cara» cinguettò Clothilde. «Sai bene che nel mio cuore anche tu e Kitty siete della famiglia.» Freddy era sconcertato. Gli sembrava strano che il Generale mostrasse un così palese attaccamento a persone che lui non aveva mai neppure sentito nominare. Un'occhiata a sua madre e al resto della famiglia, tuttavia, bastò a fargli intuire che nessun altro in quella stanza condivideva il suo stupore. Evidentemente erano più aggiornati di lui sulle preferenze affettive dell'anziana signora, pensò mentre la conversazione proseguiva, come prescritto dall'etichetta, davanti a una tazza di Earl Grey. «Non è strano che vi siate scordato di me, Mr. Grenville» proseguì Lady Lagrange. «L'ultima volta che vi ho visto eravate ancora un bimbetto. Forse mi ricordate come Mrs. Patterson, visto che ho sposato Lord Lagrange in seconde nozze» aggiunse, e in effetti quel nome evocò nella mente di Frederick lontane memo11
rie. «Io e la cara Clothilde eravamo molto legate finché non mi trasferii nel Lincolnshire con il mio attuale marito.» «La piccola Kitty, infatti, è la mia figlioccia» chiosò la zia. «Proprio non ti ricordi di lei?» «Veramente no...» mormorò Freddy, rivolgendo un sorriso di scuse alla ragazza. «Ci siamo già conosciuti?» Kitty lo fissò, smarrita. Per un istante, il suo sguardo si posò su Alfred, indurendosi. «Io...» «Oh, certo che no!» rispose per lei Lady Lagrange. «Kitty non era mai stata a Londra, prima. Siamo in città per il suo debutto. Abbiamo già incontrato la regina a St. James Palace e, pensate, nonostante il mio defunto marito, Mr. Patterson, non avesse alcun titolo, per intercessione di Lord Lagrange Kitty non si è dovuta chinare a baciarle la mano ma ha potuto ricevere un bacio sulla fronte come la figlia di un Pari! Del resto, ora suo padre è davvero un Pari del Regno...» sospirò estasiata. «Siete cresciuta nel Lincolnshire?» domandò Freddy alla fanciulla, osservando la sua pettinatura rigorosa ed elegante. «Sì, ma come una vera signorina londinese» precisò Lady Lagrange. «Ho insistito perché tutti i nostri domestici e le istitutrici venissero da Londra.» Si guardò attorno per raccogliere consensi. «Non avrei mai permesso che la mia bambina parlasse con il volgare accento di una contadina. Su, Kitty, di' qualcosa a Mr. Grenville.» La fanciulla strinse le dita sulla tazzina di porcellana che teneva tra le mani. «Io... mi domandavo se... se anche a voi Londra faccia l'effetto che fa a me... è una città così grande, caotica e...» Il suo accento era perfetto. «Ma che domande, Kitty! Mr. Grenville è un uomo di mondo e di certo Londra lo affascina, non lo spaventa.» Kitty smise subito di parlare e i suoi occhi castani tornarono a fissare il contenuto della tazza. Zia Clothilde, invece, scoppiò in una risata affabile. «Perché non ci reciti una poesia, tesoro?» A Lady Lagrange bastò un cenno secco del capo perché la figlia si alzasse dalla poltrona e iniziasse a declamare: «Tu, ancora inviolata sposa della quiete, figlia adottiva del tempo lento e del silenzio». La tazzina le vibrava leggermente tra le mani, e Freddy 12
intuì che quella era per lei una prova durissima, anche se né sua madre, né tanto meno zia Clothilde sembravano averlo notato. «Sì, le melodie ascoltate sono dolci; ma più dolci ancora sono quelle inascoltate...» Ironia della sorte, Kitty stava recitando l'Ode su un'urna greca di Keats, che decantava la fredda ed eterna bellezza di un oggetto inanimato in confronto alla caducità delle passioni umane, e a lui faceva lo stesso effetto. Non che lei fosse inanimata, tuttavia gli sembrava di avere di fronte un bellissimo involucro vuoto. Quella freschezza, quella ricercata innocenza erano artificiali; la quintessenza di tutto ciò che si pensava una donna dovesse incarnare, e che madri, zie e nonne si sforzavano di inculcare nelle fanciulle con la stessa serafica violenza con cui loro stesse erano state indottrinate. Immaginò dei fili invisibili che facevano muovere le braccia, gli occhi, la bocca e tutto il corpo della povera Kitty come una miserabile marionetta senza volontà. «Credo che Keats sia ampiamente sopravvalutato» sbottò tutto a un tratto Alfred, interrompendola. «Voi non lo trovate noioso?» Si esibì in uno sbadiglio, poi guardò la pendola. «Caspita, che tardi. Credo di dovervi rapire il mio caro cugino, ora, perché se non lo riporto subito a casa, non sarà mai pronto per le otto, per accompagnarmi a Cremorne.» Se non fosse stato per il rumore, Freddy avrebbe potuto chiudere gli occhi e pensare di essere su uno dei prati di Oxford. Il profumo dell'erba tagliata di fresco si mescolava all'odore di terra bagnata dalla pioggia, evocando in lui il ricordo dei pomeriggi passati a studiare all'aperto, del lento scorrere delle giornate. Ora tutto era diverso. Per prima cosa, non si trovava a Oxford ma a Londra, e l'edificio che gli si parava dinanzi, e che lo colmava di meraviglia, non era la torre dell'università nella sua storica imponenza, bensì l'esaltante, esuberante e modernissima follia del Principe Alberto, il Crystal Palace. E poi c'era gente. Moltissima gente. Sembrava che il mondo avesse deciso di riversarsi a Hyde Park per accaparrarsi un biglietto della Grande Esposizione. Il prato di fronte alla serra progettata da Joseph Paxton, una scintillante costruzione d'acciaio e 13
vetro di proporzioni gigantesche, era gremito di persone di diverse età, ceto e nazionalità. Neppure Alfred era riuscito a rimanere impassibile di fronte a quello spettacolo e, quando lo aveva accompagnato lì qualche giorno prima, non aveva fatto altro che corrergli intorno, entusiasta come un bambino di fronte ai regali di Natale. Ma se Alfred trovava elettrizzante la maestosità dell'edificio, Freddy ne ammirava la tecnica di costruzione. Nonostante la mole schiacciante e la sua quasi spaventosa altezza, infatti, il palazzo era composto quasi per intero da moduli uguali, tecnica che aveva consentito di terminarlo in meno di quattro mesi, e che gli avrebbe permesso di essere smontato e ricostruito altrove con la stessa facilità. Giunto all'ingresso, Freddy sorrise sollevando il naso per aria, per poi scostarsi e lasciar passare una famiglia vestita in modo misero, seppur ordinato e pulito. Da quel giorno il biglietto costava un solo scellino, e il modico prezzo aveva richiamato visitatori degli strati sociali più umili. La regina in persona aveva deciso quella tariffa, in modo che tutti potessero partecipare della gloria e magnificenza della Corona. Un'ombra gli passò sul volto pensando alle lacrime di sua madre quando, tornati a casa dopo il colloquio con la zia, lui aveva provato a insistere per fare di testa propria. Lei era così fragile... Da quando suo padre era morto, si era ritirata sempre di più in se stessa, al punto che ormai assomigliava a un povero ramo rinsecchito. Freddy si era odiato per averla fatta piangere, per essersi reso complice del tempo nello scavarle dei solchi intorno ai begli occhi chiari. E aveva ceduto. Willard & Weston lo aspettavano nel loro ufficio entro tre giorni. Dopotutto, si era detto mentre rincuorava la madre stringendola tra le braccia, ci sarebbe stato tempo in seguito per viaggiare. Ogni pensiero gli si cancellò dalla mente non appena mise piede all'interno del Crystal Palace. L'edificio era così alto che non era stato necessario abbattere gli alberi, che ora troneggiavano sotto l'enorme volta di vetro, circondati da statue e da una fontana che pareva fatta di cristallo. Vagabondò senza meta per i grandi corridoi costeggiati da panche imbottite di calicò rosso, mentre davanti ai suoi occhi si susseguivano oggetti tra i più stravaganti, artistici e moderni, che avesse mai visto. Tutto quello spazio, tutti 14
quei paesi che esponevano prodotti esotici, presentati da personale che indossava abiti tradizionali altrettanto inconsueti, tutti quei colori, quelle forme, quegli odori, lo indussero a riflettere su quanto piccolo e insignificante fosse, su quanto poco poteva fare per il mondo, e sulla forza che avrebbe dovuto avere per affrontare la vita. Le ore trascorsero senza che se ne rendesse conto, tra i banchi del tè di Celyon accarezzati dalle mani dipinte di bellissime donne con la carnagione olivastra, le sale di rievocazione storica, classica e medievale, e i macchinari che testimoniavano l'avvento di una nuova era industriale, come la mietitrice McCormick, giunta appositamente dall'America, i battelli a vapore e le imbarcazioni di diporto. Antico, moderno e diverso convivevano l'uno accanto all'altro, lasciandolo a bocca aperta per la meraviglia. Quando i raggi del sole smisero di dardeggiare attraverso i pannelli di vetro e furono sostituiti dall'illuminazione a gas, Freddy era solo a metà del corridoio del secondo piano, chino sugli intarsi di alcune scimitarre, e non si accorse che la gente iniziava a defluire verso l'uscita. E se ne curò ancora meno quando si trovò davanti a un'altra meraviglia. La luce giallognola dei lampioni donava bagliori fatati alla serra, che riproduceva le fattezze del Crystal Palace come un figlio nel suo ventre. E ancor più stupefacenti erano le piante al suo interno, con grandi foglie color smeraldo e fiori dai colori vivaci, una foresta tropicale imprigionata in una specie di palla di vetro. Come sarebbe stato farsi accarezzare da quelle foglie?, si domandò Frederick. Si sarebbe sentito un esploratore della Royal Society a camminare lì in mezzo, in quel pezzetto di mondo sconosciuto, trapiantato nel centro di Londra per il divertimento della regina? Chiese il permesso di entrare, e l'usciere tirò fuori l'orologio dal taschino. «Non più di dieci minuti, sir.» Lui rispose che gli sarebbero bastati, convinto che all'interno della serra il tempo si sarebbe magicamente dilatato per lui. E così fu. Iniziò la sua perlustrazione con la meticolosa attenzione di uno studente, leggendo ogni cartellino e facendo attenzione alle descrizioni. Bombax malabaricum, Alocasia macrorrhiza, Passiflora quadrangularis... Ma erano nomi troppo freddi, troppo scienti15
fici perché potesse comprenderli o farli propri, e ben presto fu distratto dai colori, dalle fogge e dai profumi di quel piccolo mondo umido e caldo, che lo indusse ad allentare la cravatta. Era sorpreso dalla sinfonia di odori di quell'esercito vegetale, sbalordito di quanto fosse insolito e gradevolissimo. E dal senso di intimità che quel posto gli faceva provare. Rapido, il suo sguardo corse oltre uno spiraglio tra le foglie, verso il vetro un po' appannato della serra, per controllare che nessuno lo stesse spiando. Una sensazione calda, di imbarazzante sensualità, gli scaldò il ventre mentre pensava alla possibilità che fosse una donna a guardarlo... Poi venne distratto da un fruscio. In quel piccolo universo immobile e pieno di fiori gli parve di intuire il volo ineguale di una farfalla. Strizzò gli occhi, piegandosi in avanti. Lesse: Tetrapanax Papyriferum. Che nome assurdo! Eppure oltre le grandi foglie allungate qualcosa si muoveva. Non poteva trattarsi davvero di una farfalla. Guardò meglio. Quella che gli era parsa un'ala colorata, in effetti era una mano inguantata e apparteneva a una persona tutta intera. Una donna. Le sue mani si muovevano con una grazia particolare, accarezzando foglie e fiori. Sembravano davvero delle farfalle inquiete che spiccassero il volo da una corolla all'altra. Si era tolta il cappellino, allacciandolo alla borsetta, così Freddy poté vedere il suo viso, delicato e bellissimo: la fronte alta, il naso dritto degno di una statua... e gli occhi chiusi. Sentì una strana fitta alla bocca dello stomaco, mentre il pensiero di poter non scoprire mai com'erano fatti quegli occhi lo colpiva in modo fastidioso. Perché la donna li teneva chiusi mentre le sue mani sembravano tanto smaniose di tastare, esplorare, scoprire? Rendendosi conto che stava trattenendo il fiato, si obbligò a respirare. La fragranza della pianta davanti a lui, terrosa e fresca, lo riportò alla realtà. La donna si sporse verso un fiore, mentre le sue mani inquiete lo accarezzavano facendolo dondolare. E Freddy capì cosa stava facendo: annusava. Era come se riuscisse a vedere senza bisogno degli occhi; come se quelle piante, con i loro odori, tracciassero una strada. Poi sparì. O, meglio, scomparve dalla visuale di Freddy dietro la cornice di fogliame; e all'improvviso la serra non gli parve altro 16
che una campana di vetro che imprigionava delle piante. Dov'era finita la magia? Proseguì facendosi strada tra gli arbusti e accarezzandoli senza rendersene conto. Alcune foglie frusciavano morbidamente tra le sue dita, come un gatto che fa le fusa. E la trovò. Gli dava la schiena, ma le era talmente vicino che la sentiva respirare. Un lembo dello scialle a fiori le era scivolato dalla spalla e cadeva dimenticato verso terra. Poi, all'improvviso, lei si voltò. Freddy rimase immobile, pietrificato dal timore che aprisse gli occhi e pensasse che era un malintenzionato. Aveva il viso più delicato che avesse mai visto. La pelle chiara, le sopracciglia arcuate di un colore ramato appena più scuro dei capelli, e sottili rughe agli angoli degli occhi che guizzavano sotto le palpebre serrate. Dopo un istante in cui pensò che il suo cuore avrebbe smesso di battere, Frederick sentì il sangue infiammargli le guance e il resto del corpo. Una delle manine-farfalla svolazzò fino a posarsi su una foglia a meno di un palmo dalla sua guancia, e l'accarezzò con un movimento sinuoso, mentre il nasino si sporgeva verso di lui, insieme al resto del viso e a quelle labbra rosee e perfette. Se fosse stato un altro, più spavaldo – come Alfred, per esempio – le avrebbe rubato un bacio. Si chinò un poco verso di lei. Ma non era quel tipo di persona. Alfred lo aveva spesso preso in giro per la sua serietà. Più di una volta lo aveva invitato a seguirlo in qualche casa di piacere, ma Freddy, per principio e per timore, aveva sempre rifiutato. Tuttavia non era la paura a frenarlo in quel momento. Era impossibile analizzare le emozioni che provava mentre le dita di lei gli sfioravano la fronte, gli accarezzavano un sopracciglio e... «Si chiude!» gridò una voce profonda e terribile da qualche parte, lontano da loro. «Accomodatevi fuori, signori, prego!» La donna aprì gli occhi e, trovandoselo lì a meno di un palmo dal naso, fece un salto indietro, portandosi una mano alla bocca. Se avesse potuto, Freddy si sarebbe trasformato in un lauro, com'era successo a Dafne, ma purtroppo rimase fatto di carne e sangue, e gli toccò dare una spiegazione. «Mi dispiace, signora... non avevo intenzione di...» La donna raddrizzò la schiena e sollevò il mento con decisione. 17
«Vi dispiace di essere stato scoperto, questo è poco ma sicuro» sbottò nervosa. «Diamine, ma non avete niente di meglio da fare che importunare le signore? Le signore per bene, dico!» inveì, puntandogli l'indice contro il petto. Un velo di rossore le aveva colorato le guance e i magnifici occhi verdi brillavano d'ira. Si calò in testa il cappellino con furia. «Non avevo cattive intenzioni. Avete frainteso... Eravate così intenta a... studiare le piante... che mi dispiaceva disturbarvi.» Per un attimo, lo sguardo acquamarina della giovane era scomparso sotto la tesa del cappellino. Non appena Freddy terminò la frase, però, lei sollevò il mento. «Mi stavate spiando?» Gli sembrava un'idea così assurda. Non aveva avuto la benché minima intenzione di nuocerle... se non per rubarle un bacio. Di fronte al suo silenzio imbarazzato, la donna sembrò perdere parte del suo slancio e si ricompose. «Lasciamo perdere.» Freddy si sentì sfiorare le gambe dalla crinolina dell'abito, mentre lo oltrepassava veloce e raggiungeva l'uscita. Rammaricandosi per quell'ingiusto rimprovero, Freddy uscì dalla serra e si stupì nel ritrovarsi solo in quell'ala ormai deserta dell'edificio. Solo la luce dei lampioni rischiarava il grande ambiente e oltre le pareti di vetro della costruzione si vedeva solo il cielo infiammato dal tramonto. Freddy indugiò quanto bastava perché una delle guardie gli facesse fretta con un trillo di fischietto. «Me ne vado, me ne vado...» assicurò al custode sollevando le mani per poi sprofondarle nelle tasche dei calzoni e procedere tra i banchi ricoperti da teli. Che strano pomeriggio era stato; gli aveva lasciato addosso una vaga euforia che non riusciva a spiegarsi. Ripensò alle mani della donna e a come le aveva viste danzare sulle piante. Le mille e una notte... Chissà perché, era convinto che anche Sherazade avrebbe potuto muoverle così mentre raccontava le sue storie per incantare il sultano. Si passò una mano tra i capelli e diede un paio di colpetti alla bombetta, prima di calcarsela in testa. Non ne aveva molta voglia, ma era ancora in tempo per raggiungere Alfred al Garrick's. Dopotutto, pensò, l'alternativa era cenare con sua madre, la quale non avrebbe fatto altro che parlare di zia Clothilde, e di Lady Lagrange e sua figlia. Ripensandoci, una serata tra uomini era quello che gli serviva per chiarirsi le idee e togliersi di dosso il torpore di 18
sogno che il Crystal Palace gli aveva lasciato. Anche se gli sarebbe toccato fumare un sigaro, e lui non era mai riuscito a tirare più che qualche boccata prima di essere colto da un accesso di tosse. Doveva esercitarsi, si disse uscendo all'aperto e inspirando a pieni polmoni l'aria della sera; tutti i gentiluomini apprezzavano un buon sigaro. Il Garrick's Club, amato soprattutto dai frequentatori dei teatri, si trovava tra St. James e Pall Mall, e Freddy decise di andarci a piedi, godendosi la passeggiata. Proprio mentre varcava Cumberland Gate, che divideva la quiete campestre di Hyde Park dal caos cittadino di Oxford Street, rivide la sua Sherazade. Sorrise notando che gli era venuto subito in mente quel nomignolo, come se lei fosse una vecchia amica, poi si accorse che la donna aveva perso almeno in parte la sua aria battagliera ed era spaventata o preoccupata, o tutte e due le cose insieme. Si tastava l'abito e si torceva le mani, nervosa, mentre camminava avanti e indietro sul marciapiede. «Posso aiutarvi, madam?» «Voi!» A Freddy bastò quella parola per capire che la sua offerta non era gradita. «Non intendevo importunarvi, ma mi è parso che foste difficoltà...» Gli occhi verdi della donna lo tennero immobilizzato dov'era. «Non sono...» Si voltò verso Park Lane, da dove proveniva un omnibus. «Oh, al diavolo!» Freddy si morse le labbra per trattenere un sorriso nel sentirla imprecare con tanta disinvoltura. «Ho perso... Non trovo...» L'omnibus si fermò a pochi passi da loro. «Cumberland Gate!» gridò il conducente. Alcuni viaggiatori sgusciarono fuori dal veicolo. La donna lanciò uno sguardo disperato verso il mezzo. «Dovete salire, madam?» domandò il vetturino. Lei sospirò. «Temo di essere stata derubata...» Era il momento di comportarsi come un gentiluomo, si disse Freddy, frugandosi in tasca. «Permettete, signora...» disse porgendole qualche scellino per la corsa. «Cosa vi salta in mente?» esclamò lei stizzita. Come aveva potuto pensare di offrire del denaro a una signora per la strada? L'aveva offesa. «Vi prego di perdonarmi...» Il conducente, a quel punto, si strinse nelle spalle, spronò i ca19
valli e e ripartì. La donna fece per attraversare la strada. Freddy la inseguì. «Dove andate?» «Volete lasciarmi in pace, signore?» sibilò lei. «Non vi pare di aver fatto abbastanza?» Saltò giù dal marciapiede, senza rendersi conto del traffico, e Freddy l'afferrò per un braccio appena prima che gli zoccoli di un cavallo la investissero. «Ehi, state attenta!» gridò il cavaliere, senza fermarsi. «Oddio...» Le erano caduti di mano alcuni fogli, che si erano sparsi su tutto il marciapiede. Vi erano disegnati dei fiori, accanto ai quali erano riportate delle annotazioni vergate in una grafia minuta e nervosa. Freddy cercò di decifrarne uno, mentre si chinava per aiutarla a raccoglierli. Quando glieli consegnò si accorse che lei era indecisa se ringraziarlo o insultarlo ancora. Stranamente, non si sentì irritato da quel contrasto. «Grazie...» Contento di averle strappato almeno quella parola gentile, Freddy si toccò il cappello con un po' troppa forza, facendolo sobbalzare. Lei sorrise guardando il ricciolo che era sfuggito da sotto la bombetta e penzolava ribelle sulla punta del naso. «Non c'è di che...» replicò lui, rimettendosi in ordine. La guardò allontanarsi a piedi. Di certo sarebbe stato buio quando fosse giunta a casa. Le strade di Londra, soprattutto nei sobborghi, erano poco raccomandabili per una signora sola, ma non poteva certo proporsi come scorta, visto che non la conosceva neppure. Poi gli venne una brillante idea. «Ehi, aspettate» esclamò, lanciando un penny appena oltre il marciapiede. La donna sospirò, voltandosi. «Cosa volete ancora, signore?» «Guardate.» Lei fissò il punto in cui si trovava la moneta e poi lui, strizzando gli occhi sospettosa. «È un penny.» Freddy annuì. «E l'avete trovato voi» sottolineò con orgoglio. «Credo che sia sufficiente per prendere il prossimo omnibus.»
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Prossima uscita La fidanzata del duca Kat Martin Inghilterra, 1855 - Royal Dewar, VII Duca di Bransford, ha promesso al padre morente di sposare la ricchissima Jocelyn Caulfield per salvare le proprietà di famiglia dalla rovina. Tuttavia non è la bellissima ereditiera a fargli battere forte il cuore, bensì la sua dama di compagnia, la timida e discreta Lily Moran. Dotata di un fascino sottile e sensuale, Lily non è né nobile né ricca, e dunque il matrimonio è fuori discussione. Eppure è proprio lei a offrire a Royal la chiave per recuperare almeno in parte le fortune dei Bransford. E via via che l’elaborato piano prende forma e la passione cresce, i due giovani si ritrovano uniti nell’inseguire proprio ciò che li separa: il denaro.
Fascino segreto Nicole Jordan Madeline Ellis è ben decisa a mantenere intatto il proprio orgoglio. Un conto è permettere a Rayne Kenyon, Conte di Haviland, di aiutarla in una situazione imbarazzante. Può persino accettare che lui le trovi un lavoro, dal momento che può ricambiare il favore dandogli una mano a recuperare delle lettere compromettenti. Ma proprio non può acconsentire a sposarlo, visto che lui afferma di non amarla! Il diabolico Rayne, tuttavia, è più insistente che mai, e ben presto, complice l’attrazione che divampa tra loro, riesce a convincerla che un matrimonio di convenienza presenta notevoli vantaggi per entrambi. E a quel punto a Madeline non resta che ricorrere alle più sottili arti di seduzione per conquistare il cuore del marito.
Dall’8 settembre
Questo volume è stato stampato nel giugno 2010 presso la Mondadori Printing S.p.A. stabilimento Nuova Stampa Mondadori - Cles (Tn)