GRSS135_MISTERO AL CASTELLO

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DEANNA RAYBOURN

Mistero al castello


Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: The Dead Travel Fast MIRA Books © 2010 Deanna Raybourn Traduzione di Gigliola Foglia Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2010 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Historical ottobre 2010 Seconda edizione I Grandi Romanzi Storici Special novembre 2010 I GRANDI ROMANZI STORICI SPECIAL ISSN 1124 - 5379 Periodico mensile n. 135 del 24/11/2010 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 368 del 25/06/1994 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano


Dedica

I Sorrise mentre parlava, e la luce della lampada cadde su una bocca dura, con labbra molto rosse e denti dall'aria tagliente, bianchi come avorio. Uno dei miei compagni bisbigliò all'altro: «Denn die Todten reiten schnell... Perché i morti viaggiano veloci». Bram Stoker, Dracula

È con il vero amore come con i fantasmi: tutti ne parlano e pochi hanno visto. François de la Rochefoucauld


II Ogni storia come si deve inizia con le parole C'era una volta... Ma questa non è una storia come si deve: è la mia. Non ci crederete. Direte che cose simili non sono possibili. Eppure una volta, tanto tempo fa, credevate. Credevate alle streghe e ai folletti e alle oscure creature che camminavano nel buio della notte. Credevate nel "vissero per sempre felici e contenti". Credevate che l'amore può guarire ogni cosa. PerchÊ i bambini credono nelle cose impossibili. Leggete dunque il mio racconto con gli occhi di un bambino, e credete ancora una volta all'impossibile... Dedica


1 Edimburgo, 1858 «Temo che dobbiamo risolvere la questione di cosa fare con Theodora» disse mio cognato con uno stanco sospiro. Guardò dietro di me, dove mia sorella sedeva dando placida dei punti a un abitino. Era già stato portato quattro volte e aveva bisogno di essere rinfrescato. Anna alzò gli occhi dal lavoro per rivolgermi uno sguardo affettuoso. «Credo che Theodora dovrebbe avere voce in capitolo, William.» Lui arrossì lievemente. «Certo, certo.» Accennò un lieve inchino nella mia direzione. «È una donna adulta, dopotutto. Ma adesso che il professor Lestrange è stato onorevolmente accompagnato al suo eterno riposo, qui non c'è nessuno che possa prendersi cura di lei. È necessario arrivare a una decisione.» Sentendo menzionare il nonno, tornai a girarmi verso lo scaffale di cui stavo spulciando il contenuto. La sua biblioteca era piuttosto consistente, e con mio grande rammarico i debiti che aveva contratto in vita esigevano che fosse venduta insieme a tutto quello che di valore era rimasto in casa. In effetti, l'edificio stesso avrebbe dovuto essere venduto; tuttavia William sperava che la piccola, graziosa proprietà in Picardy Place avrebbe fruttato abbastanza da coprire i debiti e lasciarmi una discreta somma per il mio 9


mantenimento. Passai accuratamente i libri con un panno spruzzato di olio di piede di bue, e li misi da parte, dando l'addio a dei vecchi amici. Proprio in quel momento entrò frettolosa la governante, Mrs. Muldoon. «La posta, Miss Lestrange.» Passai in rassegna le buste, consegnando la corrispondenza amministrativa a William. Ne tenni soltanto tre per me, due formali biglietti di condoglianze e l'ultima, una bizzarra lettera in stile antiquato scritta su carta spessa, pesante e così guarnita da francobolli esotici e importanti sigilli di ceralacca che capii al volo chi doveva averla spedita. Esitai ad aprirla, pregustando il piacere di leggerla. William non mostrò alcun ritegno del genere: infilò un tagliacarte nelle sue, e ne scorse rapidamente il contenuto. «Altri debiti» disse con un sospiro. Si allungò verso il libro mastro, annotando le cifre con precisione. Era una bontà da parte sua sistemare gli affari di mio nonno con tale diligenza, ma al momento non desideravo altro che sbarazzarmi di lui con i suoi registri e le sue pressanti domande su come meglio collocare una cognata zitella di ventitré anni. Cogliendo il mio umore, Anna sorrise al marito. «Non mi sento per niente bene. Forse un po' dell'eccellente tè di zenzero di Mrs. Muldoon potrebbe aiutare.» Va detto a suo merito che William balzò in piedi, scordando ogni preoccupazione mi riguardasse. «Ma certo.» Naturalmente, nessuno dei due accennò al lieto motivo del suo malessere, e io mi chiesi con cattiveria quanto lieta fosse stata la notizia. Una quinta boccuccia da sfamare con la sua modesta rendita in una piccola parrocchia. Anna da parte sua appariva stanca, la bocca tirata. «Grazie» le dissi quando lui se ne fu andato. Mi infilai in tasca lo straccio per la polvere e presi il tagliacarte. Sembrava un atto sacrilego distruggere il sigillo, ma ero pazzamente incuriosita dal contenuto. 10


Anna continuò a cucire. «Non devi essere troppo impaziente con William» mi ammonì mentre cominciavo a leggere. «Ti vuole bene, ed è animato dalle migliori intenzioni. Desidera solo vederti adeguatamente sistemata.» Borbottai una risposta mentre scorrevo la lettera, gli occhi catturati da alcune frasi. Amica mia carissima, come mi sei mancata... finalmente lui sta per prendere possesso della sua eredità... così tante cose da decidere... Anna continuò a ciarlare per qualche istante, tentando di convincermi delle ottime qualità del marito, credo. Ma io l'ascoltai a malapena. Cominciai invece a leggere la lettera una seconda volta, più lentamente, meditando su ogni parola di quel frettoloso scarabocchio. «Liberazione!» esalai, crollando su un poggiapiedi mentre i miei occhi indugiavano sull'ultima frase. Devi venire da me. «Theodora, che c'è? Hai cambiato colore. Notizie spiacevoli?» Dopo un istante, ritrovai la voce. «Al contrario! Ricordi la mia compagna di scuola, Cosmina?» Anna aggrottò la fronte. «Era la ragazza che restava con te in collegio durante le vacanze?» Un particolare che avevo dimenticato. Dopo che Anna aveva conosciuto e prontamente sposato William a sedici anni, io ero rimasta sola. Lei ci aveva lasciato per trasferirsi nella residenza del marito nel Derbyshire, e la nostra famigliola non si era mai ripresa del tutto da quella perdita. Aveva solo due anni più di me, ed essendo rimaste orfane da bambine, eravamo state il baluardo l'una dell'altra contro la solitudine di crescere nella casa di un anziano studioso. Avevo avvertito la sua perdita in modo acuto; in effetti avevo sofferto così tanto che il nonno aveva temuto per la mia salute. Credendola una cura, mi aveva mandato in un collegio per signorine in Baviera, e là avevo incontrato Cosmina. Come me, anche lei non stringeva facil11


mente amicizie, e così ci eravamo aggrappate l'una all'altra, entrambe straniere in quella terra. Eravamo serie, o così ci ritenevamo, e guardavamo dall'alto in basso le altre ragazze, ritenendole delle sciocchine che parlavano solo di cicisbei e balli e debutti. Avevamo fatto amicizia in fretta, e il nostro legame si era rinsaldato ulteriormente durante le vacanze che trascorrevamo a scuola mentre le altre educande, che avevano meno miglia da percorrere, tornavano alle loro famiglie. Solo poche delle insegnanti restavano per occuparsi di noi, e aveva sempre la meglio un'atmosfera allegra. Organizzavano dei picnic e ci era permesso sederci insieme a loro nel salottino delle maestre. Banchettavamo a pasticcini e grasse salsicce croccanti, e una volta tanto ci era concesso di mettere da parte gli interminabili lavori di cucito. No, non ci era pesato il nostro esilio, e spesso la sera trascorrevamo il tempo raccontando storie delle nostre patrie, perché le insegnanti avevano viaggiato poco ed erano curiose. Mi prendevano affettuosamente in giro a proposito degli Highlander dalle ginocchia villose e della pappa d'avena, mentre Cosmina le faceva rabbrividire con storie di vampiri e licantropi che infestavano la sua natia Transilvania. Mi ripresi dalla mia fantasticheria. «Sì, era lei. Parlava sempre in modo così intrigante della sua casa. Vive in un castello nei Carpazi, sai? È imparentata con una nobile famiglia di lì.» Brandii la lettera. «Sta per sposarsi, e mi prega di andare da lei e di trattenermi fin dopo Natale.» «Natale! Mancano mesi e mesi. Che cosa farai di te stessa per così tanto tempo in... santo cielo, non so nemmeno che paese è!» Alzai le spalle. «È un paese a sé, un principato o qualcosa del genere. Parte dell'Impero Austriaco, se ricordo giusto.» «Ma che cosa farai?» insistette Anna. Ripiegai con cura la lettera e me la infilai in tasca. La 12


potevo sentire attraverso le sottogonne e la crinolina, un talismano contro le angustie che mi avevano tormentata fin da quando il nonno si era ammalato. «Scriverò» risposi, ostinata. Anna imbronciò le labbra e tornò al suo lavoro di cucito. Andai a inginocchiarmi davanti a lei, prendendole le mani nelle mie, incurante della puntura dell'ago. «So che non approvi, ma ho avuto un certo successo. Mi manca solo un romanzo come si deve per ritagliarmi un posto in una carriera dove posso farmi strada da me. Ho bisogno di non dipendere da nessuno.» Lei scosse il capo. «Mia cara ragazza, devi sapere che questo non è necessario. Avrai sempre una casa da noi.» Aprii la bocca per ribattere, ma mi rimangiai le parole. Avrei potuto ferirla. Come potevo esprimerle l'orrore che una tale prospettiva mi suscitava dentro? Il pensiero di vivere nella sua casa minuscola con quattro – anzi, ora cinque! – bambini tra i piedi, troppo pochi soldi per coprire le spese, e William, sempre cortese ma che disapprovava ogni cosa. Aveva già espresso molto chiaramente i propri pensieri sulle donne scrittrici, ed erano irremovibili come pietre; lui non lasciava alcuna flessibilità sull'argomento. Scrivere eccitava le passioni e non era un'occupazione idonea per una signora. Non permetteva a mia sorella di leggere alcun romanzo che lui non avesse prima vagliato, studiandolo con attenzione e sottolineando i passaggi offensivi. Le sorelle Brontë venivano del tutto vietate con la motivazione che erano sfrenate. Doveva essere dunque questo il mio futuro? Una noiosa quotidianità domestica con un uomo che mi avrebbe negato le libertà intellettuali che tanto a lungo avevo coltivato, in favore del cucire lenzuola e pulire nasi gocciolanti? No, non era una prospettiva sopportabile. Non avrei avuto alcuna possibilità di guadagnarmi da vivere da sola se 13


avessi vissuto con loro, e il poco denaro che avrei ottenuto dalla proprietà di mio nonno non mi avrebbe sostentata a lungo. Avevo bisogno soltanto di un po' di tempo e di un posto tranquillo per scrivere un romanzo, così da costruirmi una degna carriera approfittando del modesto successo di cui avevo già goduto come autrice di racconti del mistero. Trassi un respiro per calmarmi. «Sono grata a te e a William per la vostra generosa offerta» esordii, «ma non può essere. Siamo creature differenti, Anna, diverse come il giorno e la notte, e ciò che si addice a te mi soffocherebbe, proprio come i miei sogni sconvolgerebbero e spaventerebbero te.» Con mia sorpresa, lei si limitò a sorridere. «Non mi faccio sconvolgere così facilmente, quanto a questo. Ti conosco meglio di quanto tu pensi. So che brami vivere avventure, esplorare, incontrare gente interessante e scrivere novelle eccitanti. Sei sempre stata così, fin da piccola. Ti ricordo bene, quando ti dirigevi dalle persone e tendevi la mano per presentarti. Non riconoscevi mai un estraneo, e passavi tutto il tempo a fare domande a tutti. Perché mamma aveva dato via il suo soprabito ciliegia dopo averlo indossato solo due volte? Perché non potevamo avere uno scimmiotto da chiamare per il tè?» Scrollò la testa con espressione di dolce indulgenza. «Smettevi di chiacchierare solo quando stavi dormendo. Era piuttosto sfiancante.» «Io non mi ricordo, ma sono lieta che tu me l'abbia raccontato.» Era passato un sacco di tempo da quando Anna e io avevamo condiviso confidenze da sorella a sorella. L'avevo vista così di rado dopo che si era sposata. Ma a volte, del tutto occasionalmente, sembravano di nuovo i vecchi tempi e riuscivo a dimenticare William e i bambini e il piccolo vicariato, che avevano pretese maggiori su mia sorella. «Non potevi ricordarlo. Eri piccolissima. Cambiasti, 14


dopo che papà morì, diventasti silenziosa e chiusa. Perdesti la capacità di farti degli amici. Ma io ricordo ancora la bambina che eri, le tue astute moine. Papà era solito ridere dicendo che avrebbe dovuto chiamarti Theodore, perché eri temeraria come un maschio.» «Davvero lo diceva? Non mi ricordo quasi più di lui. O di mamma. Siamo state solo noi per così tanto tempo.» «E il nonno» disse lei con un sorriso di dolce affetto. «Raccontami del funerale. Mi è dispiaciuto così tanto dover restare a casa.» William non aveva ritenuto idoneo per una signora in stato interessante comparire al funerale, anche se Anna non aveva ancora dovuto allentare il corsetto. Ma come sempre, lei aveva obbedito ai suoi desideri, ed ero stata io, in qualità di ultima rimasta dei Lestrange, a dare l'addio all'amabile vecchio gentiluomo che ci aveva preso in casa, due bambine piccole rimaste senza amici in un freddo mondo. Tenendo le mani intrecciate con le sue, le raccontai del funerale, riferendo l'encomio e i commenti del celebrante sull'eccellente carattere del nonno, la sua fama di studioso, la sua generosità. Anna dissimulò una lieve risata. «Povero nonno. La sua generosità è la ragione per cui le tue prospettive sono così limitate» disse con tristezza. Non potei contestarlo. Se fosse stato un tantino meno disponibile a prestare denaro a un amico squattrinato o ad acquistare un libro da uno studioso caduto in ristrettezze, sarebbe rimasto molto di più nei suoi forzieri. Non esisteva una sola persona a Edimburgo che non sapesse di potersi rivolgere al professor Mungo Lestrange, se era uomo di lettere e di scarsi mezzi. «Mr. Beecroft c'era?» chiese lei, cauta. Ritrasse le mani dalle mie e riprese a cucire. Io cercai qualcosa da fare con le mie mani, e trovai che 15


il fuoco aveva bisogno di essere attizzato. Mi affaccendai con attizzatoio e paletta mentre rispondevo. «Sì.» «È stato molto gentile da parte sua, venire.» «È il mio editore, e la sua società pubblicava i lavori del nonno. È stata una cortesia professionale» ribattei con freddezza. «Direi piuttosto personale» replicò lei, con voce perfettamente piatta. Ma non per niente eravamo sorelle da così tanto tempo. Individuai la lieve nota di speranza nel suo tono, e decisi di schiantarla. «Mi ha chiesto di sposarlo» annunciai. «L'ho rifiutato.» Lei sobbalzò ed emise una breve esclamazione quando si punse. Si ficcò un dito in bocca e lo succhiò, poi l'avvolse in un fazzoletto. «Theodora, perché? È un brav'uomo, un partito eccellente. E se esiste marito che potrebbe essere comprensivo verso una moglie armata di penna, quello è un editore!» Attizzai lentamente i carboni, osservando le calde braci rosee accendersi di rosso ardente. «È un brav'uomo davvero, e un eccellente editore. È benestante e istruito, e con una mentalità liberale che faticherei a trovare anche tra un migliaio di uomini.» «Allora perché l'hai rifiutato?» Riposi l'attizzatoio e mi voltai a fronteggiarla. «Perché non lo amo. Mi piace. Gli sono affezionata. Lo stimo enormemente. Tuttavia non lo amo, e questo è un argomento che tu non puoi sollevare, perché tu non ti sei sposata senza amore e non puoi proprio aspettartelo da me.» La sua espressione si addolcì. «Certo capisco. Ma non è possibile che con un uomo di tale temperamento, di tali possibilità, l'amore poi cresca? Ha tutto ciò che gli serve per fiorire: suolo, semi e acqua. Gli occorre solo tempo e una conoscenza più intima.» «E se non crescesse?» domandai. «Vorresti farmi ri16


schiare la mia futura felicità sul potrebbe? No, non è cosa affidabile. Ammetto che col tempo potrebbe crearsi un attaccamento più stretto, ma se non accade? Non ho mai bramato la vita domestica, Anna. Non ho mai desiderato una casa e un focolare e dei bambini miei, e tuttavia questo dovrà essere il mio destino se mi sposo. Perché allora dovrei assumermi quei fardelli, a meno che io non abbia la compensazione dell'amore? Della passione?» Lei sollevò un dito ammonitore. «Non includere la passione nell'equazione. È un nemico pericoloso, Theodora, come tenere un leone in giardino. Per quanto sicuro possa sembrare, il rischio che ti distrugga è altissimo. No, non anelare alla passione. Chiedi invece di accontentarti, di essere soddisfatta di ciò che hai. Quelle sono cose da desiderare.» «Sono i tuoi desideri» le rammentai. «Io voglio cose molto diverse. E se devo trovarle, non posso seguire la tua strada.» Ci guardammo per un lungo momento, entrambe consapevoli che benché fossimo sorelle, nate dallo stesso sangue e dalla stessa carne, era come se parlassimo dialetti diversi della stessa lingua, a stento in grado di intenderci a vicenda. Non c'era alcuna perfetta intesa tra noi, e credo che ciò l'addolorasse profondamente quanto me. Alla fine lei sorrise, le lacrime impigliate tra le ciglia. Tirò su col naso e assunse un'aria concentrata. «Allora suppongo dovresti raccontarmi della Transilvania.» Il resto di quella giornata non fu pacifico. William si oppose con fermezza all'idea del mio soggiorno nei Carpazi, e ci vollero tutte le considerevoli capacità di persuasione di Anna perfino per portare l'argomento nel regno della possibilità. Non avevo bisogno del permesso di William – lui non aveva alcuna tutela legale su di me – ma volevo pace tra di noi. Alla fine mi ritirai dalla biblioteca, lascian17


doli a parlare da soli e pertanto più liberamente. Avevo pochi dubbi che Anna non potesse convincerlo dei pregi del mio progetto. Non aveva che da sottolineare le ristrettezze del vicariato e la nobile condizione di chi mi avrebbe ospitato, perché William aveva in sé un po' del leccapiedi. Tuttavia, dava una ben misera impressione di me quale donna indipendente il fatto che anche solo mi curassi della sua opinione, mi dissi con una certa irritazione. Presi le mie cose e informai Mrs. Muldoon che intendevo fare una passeggiata prima di cena... cosa non insolita, perché camminare era sempre stato il mio sistema preferito per scacciare malinconia o collera. Mi diressi verso Holyroodhouse e la mole incombente di Arthur's Seat. Arrampicarmi fino in cima alla collina avrebbe bandito l'inquietudine che si era impadronita di me con la morte del nonno. L'esercizio fisico e il vento frizzante erano proprio quello che ci voleva per rinfrescarmi le idee, e mentre salivo sentii il peso delle buie giornate precedenti scivolarmi di dosso. La vista era spettacolare, spaziando dalle grigie propaggini del fiordo fino al castello accovacciato al termine del Miglio Regale. Potevo vedere gli scuri edifici della città vecchia, ammassati l'uno sull'altro in una conversazione bisbigliata sopra gli angusti cortili brulicanti di ladri, l'atmosfera densa di segreti e malattia. A ovest si innalzavano le bianche piazze eleganti della Città Nuova, linde e tranquille. E io stavo appollaiata al di sopra di tutto quanto, a respirare l'aria fresca che odorava d'erba e di mare e di infinite possibilità. «Immaginavo che vi avrei trovata qui.» Mi voltai e vidi comparire Charles Beecroft, il respiro affannato, il viso arrossato. «Sono passato da casa vostra, e Mrs. Muldoon è stata così gentile da indirizzarmi qui.» Salì gli ultimi gradini, contando sul cortese sostegno del suo bastone da passeggio. Non era anziano, anche se riconosceva di avere una quindicina d'anni più di me, ma la 18


sua era stata una vita sedentaria con pochi impegni fuori dall'opera o dagli uffici e nessun inseguimento campagnolo degno di tale nome. Era un animale di città, più avvezzo alla sala studio che ai campi. «Non occorreva che faceste tutta questa strada, Charles» dissi, sorridendo un po' per togliere il pungiglione alle mie parole. «So quanto vi dispiaccia l'aria fresca.» Lui rise, sapendo che non intendevo offenderlo. «Ma mi piacete voi, e questo mi spinge.» Non era da lui fare il galante. Mi corazzai, sospettando cosa sarebbe venuto poi. Si fermò accanto a me, e rimanemmo entrambi concentrati sul panorama per un lungo momento. Si infilò la mano in tasca e ne estrasse alcuni dolcetti. Me ne offrì uno, ma lo rifiutai. Charles si portava sempre in tasca una scorta di dolciumi. Era un'abitudine che me lo rendeva caro, perché dava a quell'uomo serio e solido un'aria da ragazzo. Chiunque avrebbe potuto esaminarlo con attenzione, dai capelli ordinatamente lisciati con crema al cedro fino alle punte delle scarpe splendidamente lucidate, e si sarebbe aspettato che odorasse di soldi e di libri. Invece odorava di miele e zucchero d'orzo. Era una delle cose che mi piacevano di più in lui. «Dunque» disse infine, «Transilvania.» Non era una domanda. L'aveva accettato, pensai. Avvertii un'istantanea sensazione di sollievo. Mi ero aspettata che Charles sollevasse difficoltà, mettesse ostacoli sulla mia strada. Ma sia pure in modo assai occasionale, aveva dimostrato una comprensione piuttosto acuta del mio carattere. Sapeva fino a che punto potevo essere imbrigliata prima che spezzassi le redini del tutto. «Avete incontrato mia sorella» dissi. «Vostro cognato è stato così cortese da presentarmi. Una donna adorabile, vostra sorella.» «Sì, è sempre stata Anna la bellezza della famiglia.» Lui succhiò la caramella. «Sottovalutate il vostro fasci19


no, Theodora. Ora, so che intendete partire e che io non ho alcuna autorità per fermarvi. Tuttavia, vi chiederò ancora una volta di prendere in considerazione la mia proposta.» Aprii la bocca, ma con mio grande stupore lui mi afferrò per le braccia e mi fece girare verso di sé. Charles non si era mai preso fisicamente certe libertà con me, e confesso che mi sentii abbastanza inebriata da quel cambiamento. «Charles» mormorai. I suoi occhi, di un morbido marrone dorato, erano intensi come di rado li avevo visti, e la sua presa sulle mie braccia salda in modo quasi doloroso. «So che mi avete rifiutato, ma non intendo lasciar cadere l'idea così facilmente. Voglio che ci pensiate di nuovo, e non per un momento. Voglio che ci riflettiate su durante i mesi in cui sarete lontana. Pensate a me, pensate ai modi in cui potrei farvi felice. Pensate a cosa potrebbe essere la nostra vita insieme. E poi, quando avrete avuto quel tempo, soltanto allora accetterò la vostra risposta. Volete fare questo per me?» Lo guardai in viso, quel viso piacevole, buono, e cercai qualcosa... non sapevo che cosa, ma sapevo che quando mi aveva afferrato tra le braccia avevo percepito una scintilla, qualcosa di men che civilizzato, qualcosa che gli ribolliva nel sangue. Ma era svanito, in fretta com'era venuto, e io mi chiesi se fossi stata folle a cercare vera passione in lui. Era capace di una simile emozione? «Baciatemi, Charles» dissi all'improvviso. Lui esitò solo un istante, poi posò le labbra sulle mie. Il suo bacio fu educato, rispettoso. La sua bocca era calda e gradevole, ma proprio quando stavo per mettergli le braccia al collo in un silenzioso invito, lui arretrò, lasciando cadere le mani lungo i fianchi. Aveva il colorito acceso, lo sguardo distante. Le sue labbra avevano il sapore del miele, ed ero sorpresa di quanto fossi stata eccitata dal suo bacio. Oppure l'avrebbe fatto il bacio di qualunque uomo? «Mi dispiace» dissi, raddrizzandomi il cappellino. «Non 20


avrei dovuto azzardarmi a chiedervi questo.» «Niente affatto» replicò lui, leggero. Si schiarì la gola. «Mi date motivo di sperare. Prenderete in considerazione la mia proposta?» incalzò. Annuii. Era il minimo che potessi fare per lui. «Eccellente. Adesso ditemi della Transilvania. Il piano non mi piace affatto, sia chiaro, ma vostra sorella mi dice che intendete scrivere un romanzo. Questo non può dispiacermi.» Mi offrì il braccio e cominciammo a scendere la collina, camminando piano mentre parlavamo. Gli raccontai di Cosmina e dei suoi meravigliosi racconti di vampiri e lupi mannari, e di come avesse terrorizzato le insegnanti a scuola con i suoi avvincenti tormenti. «Ci si sarebbe aspettati che loro fossero più sensate» osservò. «Ma è proprio questo il punto. Erano sensate, e moltissimo. Le istitutrici tedesche non hanno immaginazione, vi assicuro. E tuttavia queste storie erano così vivide, così piene di dettagli raccapriccianti, che avrebbero ghiacciato il sangue all'uomo più coraggioso. Là queste cose esistono.» Lui si arrestò, il divertimento scritto in faccia. «Non potete essere seria!» «Completamente. Il popolino su quelle montagne crede che vampiri e lupi mannari se ne vadano in giro nella notte. Cosmina era irremovibile sull'argomento.» «Devono essere proprio matti. Il vostro piccolo progetto comincia a dispiacermi ancora di più» commentò mentre ricominciavamo a scendere. Mi guidò attorno a un angusto affioramento di roccia mentre mi sforzavo di spiegare. «Non sono diversi dagli Highlander che lasciano del latte fuori casa per le fate o piantano il sorbo per proteggersi dalle streghe» insistetti. «E riuscite a immaginare che esca sarebbe per l'immaginazione? Sapere che simili cose non 21


solo vengono raccontate nelle leggende, ma vengono credute reali ancor oggi? Il romanzo si scriverà da solo» dissi, godendo al pensiero di infinite ore felici trascorse a far scorrere la penna sulle pagine, tessendo qualche grandiosa avventura. «Farà la mia fortuna.» «Intendete, la fortuna di T. Lestrange» mi corresse lui. Fino ad allora avevo pubblicato solo sotto quel nome, celando il mio sesso a coloro che avrebbero criticato i sensazionali frutti della mia penna per il solo fatto che erano opera di una donna. Era stato anche il desiderio del nonno, perché aveva vissuto un'esistenza ritirata, e benché godesse di ampie conoscenze preferiva tenersi in contatto con i suoi amici per corrispondenza. Di rado si era avventurato all'estero, e ancor meno di frequente aveva invitato i suoi amici a casa nostra. La mia era stata una vita forzatamente tranquilla, ma alle parole di Charles cominciai a interrogarmi. Come sarebbe stato pubblicare sotto il mio vero nome? Andare a Londra? Essere presentata al bel mondo? Essere un personaggio letterario di diritto? Era un'idea seducente, e su cui senza dubbio avrei riflettuto molto mentre ero in Transilvania, meditai. «Come intendete viaggiare?» domandò Charles, richiamandomi alla nostra conversazione. «Cosmina dice che la ferrovia arriva fino a un posto chiamato Hermannstadt. Dopodiché dovrò percorrere un certo tratto con una vettura privata.» «Non intenderete andare sola?» «Non vedo alternativa» risposi, cercando di smussare la sua disapprovazione. Lui non disse niente, ma lo conoscevo abbastanza bene per sapere che l'aggrottarsi della fronte significava che stava tessendo un piano di qualche tipo. «Raccontatemi della famiglia che vi ospiterà» richiese. «Cosmina è una parente povera della famiglia, una specie di nipote, credo, per la Contessa Dragulescu. La con22


tessa pagava per la sua educazione e probabilmente si aspettava che Cosmina sposasse suo figlio. Lui era sempre lontano da casa quando noi eravamo in collegio... a Parigi, credo. Adesso suo padre è morto e lui sta per tornare. Verrà decisa la data del matrimonio, e Cosmina ha espresso il desiderio che ci sia anche io, visto che sono la sua più vecchia amica.» «Perché non vi ho mai sentito parlare di lei?» Alzai le spalle. «Non ci siamo più viste da quando abbiamo lasciato la scuola. Ho ricevuto solo biglietti natalizi da lei. Non è mai stata il tipo da scrivere.» «Come mai non è mai venuta a farvi visita?» Feci uno sforzo per soffocare l'esasperazione. Charles sarebbe stato un inquisitore ammirevole. «Perché è una parente povera» gli ricordai. «Non ha avuto mai il denaro per viaggiare, né il permesso. Ha sempre accudito sua zia. La contessa è in pratica un'invalida, e conducono un'esistenza molto tranquilla al castello. Cosmina ha avuto ben pochi piaceri in vita sua. Ma mi vuole e io intendo esserci» conclusi con fermezza. Charles si fermò di nuovo e mi prese entrambe le mani nelle proprie. «Lo so. E so che non posso fermarvi, anche se darei il mondo intero per trattenervi qui. Tuttavia dovete promettermi questo: se mai aveste bisogno di me, per un qualsiasi motivo, avete solo da mandarmi a chiamare. Verrò.» Diedi alle sue mani un'amichevole stretta. «Questo è gentile, Charles. E prometto di farvi sapere se avrò bisogno di voi. Ma che cosa potrebbe mai succedermi in Transilvania?»

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Orgoglio e passione KAT MARTIN Inghilterra, 1855 - Reese Dewar è tornato dalla Guerra di Crimea ferito e con l'umore a terra per essere stato costretto ad abbandonare una promettente carriera militare. A questo si aggiungono la poco allettante prospettiva di doversi occupare della tenuta di famiglia e il timore di rivedere Elizabeth Clemens, la donna che gli ha spezzato il cuore sparendo dalla sua vita senza una parola di spiegazione. Lui, ferito nell'orgoglio oltre che nel cuore, ha giurato a se stesso che non l'avrebbe mai perdonata. Ma quando scopre che la timida, fragile Elizabeth è da poco rimasta vedova e ha un disperato bisogno di aiuto per sé e per il figlioletto Jared, improvvisamente la sua determinazione inizia a vacillare.

Mistero al castello DEANNA RAYBOURN Scozia - Transilvania, 1858 - Quando un'amica la invita in Transilvania per le sue nozze, Theodora Lestrange non esita a lasciarsi alle spalle Edimburgo e un pretendente che non ama, sperando di trovare ispirazione per il suo nuovo romanzo nelle cupe leggende che permeano quei luoghi. Le sue aspettative non vengono deluse: nel castello dei Dragulescu, di cui è ospite, si respira aria di mistero e il padrone di casa è un personaggio enigmatico, che risveglia la sua immaginazione e accende in lei una passione incontenibile. Poi una serie di tragici eventi getta una luce ancor più sinistra sul castello e Theodora si rende conto che diventare preda del desiderio non è l'unico rischio che corre, né il più pericoloso.


La fiamma del desiderio KAT MARTIN Londra, 1860 - Rule Dewar ha lasciato gli Stati Uniti dopo aver sposato per mero interesse Violet Griffin, erede di un'immensa fortuna, ed è tornato in Inghilterra e alla sua vita di sempre cancellando dalla propria mente la giovanissima moglie. Tre anni dopo Violet, che si è trasformata in una donna bellissima e sofisticata, si presenta alla residenza londinese di Rule decisa a ottenere l'annullamento. Tutto a un tratto l'idea di adempiere ai propri doveri coniugali acquista per l'impenitente libertino un fascino tutto nuovo. Eppure, malgrado l'attrazione che divampa tra loro, bruciante e incontenibile, convincere l'intraprendente americana a dare una possibilità al loro matrimonio non si rivela facile come Rule aveva sperato. Qualcuno, infatti, trama per separare i due amanti, e per farlo è disposto a ricorrere a qualunque mezzo.

Strategie d'amore KASEY MICHAELS Inghilterra, 1816 - Profondamente segnata dalla morte del fidanzato, Lady Lydia Daughtry è convinta che non potrà amare nessun altro. Finché un delizioso, attraente duca non risveglia in lei sentimenti e sensazioni di cui non sospettava nemmeno l'esistenza. Eppure, come può essere innamorata di Tanner Blake, l'uomo che le ricorda costantemente ciò che ha perso e che non potrà avere mai più?. Analoghi dubbi tormentano anche il giovane Duca di Malvern: come può ambire alla mano della fanciulla che il suo più caro amico gli ha affidato in punto di morte? Tanto più che è già fidanzato... L'unica soluzione che gli viene in mente è trovare a Lydia un marito adeguato, e subito! Ma quando le loro vite vengono improvvisamente travolte da un turbine di pericoli e misteri, Tanner capisce di non poter rinunciare all'unico vero amore della sua vita, e cambia strategia.

Dal 12 gennaio


Questo volume è stato stampato nel settembre 2010 presso la Mondadori Printing S.p.A. stabilimento Nuova Stampa Mondadori - Cles (Tn)


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