KAT MARTIN
La fiamma del desiderio
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Rule's Bride MIRA Books © 2010 Kat Martin Traduzione di Graziella Reggio Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2011 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici Special gennaio 2011 I GRANDI ROMANZI STORICI SPECIAL ISSN 1124 - 5379 Periodico mensile n. 136 del 12/01/2011 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 368 del 25/06/1994 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano
Prologo Boston, 1857 La pazienza è sempre premiata. Ma era vero? Rule Dewar iniziava a dubitarne. Nel lungo corridoio di marmo di Griffin Heights, la sontuosa villa del suo principale nei dintorni di Boston, aspettava con nervosismo che l'impassibile maggiordomo bussasse alla porta dello studio. Reprimendo l'impulso di sistemare il nodo della cravatta e lisciarsi i capelli, drizzò le spalle appena sentì passi attutiti avvicinarsi dall'interno del locale. Infine il battente si spalancò e un sorriso cordiale gli diede il benvenuto. «Rule! Entrate, figliolo. Grazie per esservi presentato con un preavviso così breve.» Howard Griffin, presidente della Griffin Manufacturing, produttrice di armi di precisione, lo invitò ad accomodarsi nell'ampio locale rivestito di libri, che occupava gran parte dell'ala occidentale dell'edificio. Rule varcò la soglia. «Nessun problema. Stavo solo studiando alcune modifiche da apportare ai modelli, come mi avevate chiesto.» Griffin, sulla quarantina e alto quasi quanto Rule, aveva una corporatura robusta e capelli bruno rossicci. Aprì una coppia di sportelli scorrevoli e mise in mostra una collezione di liquori pregiati e di caraffe di cristallo, disposte su lustri vassoi d'argento. «Dunque cosa ne pensate?» domandò, prendendo due bic5
chieri sfaccettati e posandoli su un ripiano. «Concordo con voi. Credo che, col tempo, la canna liscia andrà sostituita con quella rigata. Il che significa che dovremo rivedere la percentuale di ogni tipo di fucile attualmente prodotto.» Griffin sorrise compiaciuto. Tuttavia Rule aveva l'impressione di non essere stato convocato soltanto per discutere di affari. «Gradite un whiskey?» gli propose il principale, mostrandogli una bottiglia di liquido ambrato. «O magari qualcos'altro?» A dire il vero, Rule preferiva il brandy, un po' meno alcolico, ma ormai si era abituato al gusto forte del liquore tanto apprezzato dagli americani. «Un whiskey va benissimo.» Griffin versò da bere per tutti e due, poi gli porse un bicchiere e lo guidò verso una finestra affacciata sul giardino. La primavera era appena cominciata, ma le aiuole erano già punteggiate di fiori. Il sinuoso vialetto di mattoni era tenuto in perfetto ordine. Rule bevve un sorso e, aiutato dall'alcool, iniziò a rilassarsi un poco. Senza più trattenersi, scostò dalla fronte un ciuffo corvino, spettinato dal vento. Non accadeva tutti i giorni che il ricchissimo proprietario dell'azienda lo invitasse a casa sua. Rigirando il liquore nel bicchiere, Griffin notò: «Da quando lavorate per me, Rule, vi siete dimostrato assai efficiente. Sono contento di avervi assunto». «Grazie, sir.» Sebbene avesse solo ventiquattro anni, godeva di grande fiducia e svolgeva mansioni di notevole responsabilità. A suo favore giocavano la laurea a Oxford, considerata con estremo rispetto in America, e le origini familiari. Rule non era un ingenuo: sapeva che l'appartenenza all'aristocrazia inglese lo rendeva bene accetto nell'alta società, sui due lati dell'Atlantico. Essere fratello di un duca apriva un incredibile numero di porte e lui intendeva approfittarne per agevolarsi la carriera. 6
Griffin guardò fuori dalla finestra. Qualcosa nei suoi modi contrastava con l'abituale atteggiamento dinamico. Poco lontano, una fontana di marmo spruzzava acqua tra i raggi del sole primaverile. «Immagino conosciate mia figlia Violet.» «Sì, sir. Mi è capitato di incontrarla in diverse occasioni. Una ragazza adorabile.» «Ha solo sedici anni ed è un po' monella. Tutta colpa mia: non avendo figli maschi, sono troppo indulgente con lei.» Rule seguì il suo sguardo verso un platano secolare, a destra della fontana. Sotto i grandi rami, Violet Griffin sedeva su un'altalena di corda e rideva, spingendosi sempre più in alto. L'ampia gonna e le sottovesti si gonfiavano attorno ai polpacci, coperti dalle calze bianche. Aveva volto a forma di cuore, fisico da ragazzino e capelli della stessa tonalità dei centesimi di rame appena coniati. «Come dicevo, è ancora adolescente, ma somiglia alla madre, che riposi in pace. Prevedo che col tempo diventerà molto bella.» «Ne sono sicuro.» Rule bevve un sorso. Non aveva idea di come sarebbe stata da adulta l'ossuta fanciulla e si domandava dove avrebbe condotto la conversazione. Griffin si girò e lo fissò negli occhi. «Purtroppo non avrò la possibilità di assistere alla trasformazione.» «Sir?» gli domandò lui, senza capire. «Morirò tra poco, Rule. Non esiste un modo facile per dirlo. Sono stato visitato da molti medici: tutti concordano nell'affermare che me ne andrò presto e che non è possibile salvarmi.» Il giovane rimase di sasso. Soltanto in quel momento notò il colorito giallastro e le occhiaie scure. Deglutì a fatica. «Di che... si tratta, sir? Che genere di malattia vi affligge?» Lui scosse il capo con tristezza. «Un problema di fegato, una disfunzione incurabile.» Sconvolto, Rule faticava a respirare. Conosceva pochissi7
mi uomini vitali e intelligenti come Howard Griffin, sempre attorniato da un'aura di potere e autorità, e provava per lui un grande rispetto. «Sono desolato, sir. Mi ritrovo senza parole. I dottori ne sono proprio sicuri?» «Temo di sì. E, anche se mi piacerebbe fingere altrimenti, capisco che è giunto il momento di accettare la realtà e provvedere in merito.» «Qualunque cosa vi occorra, potete contare su di me» gli assicurò, facendosi forza. Griffin abbozzò un sorrisino soddisfatto. «Speravo che lo diceste.» Tornò a guardare dalla finestra. «Anche se dubito che prevediate cosa sto per chiedervi.» Rule aspettò in silenzio. «Qualunque sorte mi attenda, sono soprattutto preoccupato per mia figlia. Voglio accertarmi che sia al sicuro, sapere che godrà di affetto e attenzioni e che avrà la casa desiderata da ogni donna. In breve, le devo trovare marito.» Lo stomaco di Rule si contrasse. Non era possibile che Howard Griffin lo ritenesse un possibile candidato per la mano della figlia. «Le piacete, Rule. Anzi, credo che abbia per voi una cotta da scolaretta.» «Non penserete...» «In verità, sì. Ma non vi spaventate: la mia proposta è un po' diversa da come forse immaginate.» «Capisco i vostri timori, Mr. Griffin. Tuttavia, come avete notato prima, vostra figlia ha soltanto sedici anni.» «Eppure, in quanto padre, ho il dovere di assicurarle un futuro, di accertarmi che si sposi bene e che sia felice. Se avessi tempo, agirei diversamente. Purtroppo il tempo è un bene che mi manca.» Rule cercò di mettersi nei suoi panni. Griffin amava la figlia e aveva appena scoperto di doverla abbandonare al suo destino. «Posso immaginare il vostro dilemma, sir, però ho paura...» 8
«Non ho molte alternative. Sono costretto a fare piani per il suo avvenire mentre, per certi versi, è ancora una bambina. Proprio per questo motivo chiedo al futuro sposo di aspettare a consumare il matrimonio finché Violet non avrà raggiunto la maturità. Dovrà avere compiuto almeno diciotto anni.» Lui scosse la testa. «Mi dispiace, sir. Con tutto il rispetto, dubito di poter acconsentire a sposare...» «Prima di darmi una risposta definitiva, prestatemi ascolto.» Griffin era malato grave: il minimo che lui potesse fare era concedergli qualche minuto di attenzione, dunque fece un cenno di assenso. Tuttavia, per quanto ammirasse il presidente dell'azienda, non voleva una moglie, soprattutto una così giovane. «Sediamoci, vi prego. Vi esporrò la mia proposta. Forse, alla fine, non mi guarderete più come se avessi smarrito il senno.» Rule riuscì a sorridere. Maledizione! Provava una sincera simpatia per Howard Griffin: non voleva che andasse incontro a una morte prematura. Peccato dovergli rifiutare un favore. In camera da letto, su un grazioso sofà di velluto, Violet sedeva accanto alla cugina e confidente Caroline Lockhart. Con gli occhi rossi di pianto, si soffiò il naso in un fazzoletto orlato di pizzo e si asciugò le guance con il dorso della mano. «Fatico ancora a crederci.» «Non è giusto» dichiarò Caroline. «Hai già perso la mamma: non meriti di restare anche senza padre.» Subito le spuntarono nuove lacrime. Violet piangeva da giorni, da quando il padre l'aveva chiamata nel suo studio per rivelarle la tremenda verità. E cioè che l'avrebbe lasciata entro un anno. «Papà sostiene che la vita non è mai giusta.» «Forse no, ma dovrebbe esserlo.» Lei fissò l'amata cugina. «V... vuole che mi sposi. Dice che 9
soltanto in questo caso potrà morire in pace.» Caroline sbarrò gli occhi celesti. Era bionda, graziosa e più alta di un pollice rispetto a Violet. Cambiò posizione, producendo un fruscio con l'abito di taffettà rosa. «Dio mio, hai soltanto sedici anni!» «Non importa.» «Con chi ti vorrebbe unire in matrimonio?» «Con l'inglese, Rule Dewar. Te lo ricordi, vero? È venuto parecchie volte a cena e un giorno a pranzo. L'hai conosciuto in quella occasione.» L'espressione di Caroline divenne sognante. «Come potrei dimenticarlo? Non avevo mai visto un uomo più attraente.» Violet confermò con un cenno del capo. «L'ho pensato anch'io, al nostro primo incontro. Ha incredibili occhi azzurri e capelli così neri da sembrare blu.» Abbassò lo sguardo in grembo, poi lo rialzò. «Pensi che lo dovrei sposare? Papà mi vuole assicurare un avvenire, prima di... di...» «Tuo padre ti ama molto» le rammentò con dolcezza la cugina. «Lo so.» Si asciugò una lacrima. «Quindi è giusto accontentarlo? Mi ha sempre chiesto così poco. In questo modo lo renderei felice.» «Credi che... Rule ti voglia in moglie?» «Non saprei. Secondo mio padre, sì.» «Strano nome Rule. Da dove proviene?» «Pare che così si chiamasse il bisnonno materno, o qualcosa del genere. Papà mi ha riferito di avere già preso accordi finanziari con lui, favorevoli a tutti e due. Mi ha anche garantito che... non saremo davvero marito e moglie finché non compirò diciotto anni.» «Insomma, non reclamerà i diritti coniugali fin quando sarai abbastanza adulta.» «A quanto pare.» Rigirò tra le dita il fazzoletto bagnato. «Nel frattempo tornerà in Inghilterra per dirigere la nostra fabbrica di Londra.» 10
La cugina lisciò con i palmi l'abito rosa. «Dunque lo vuoi sposare?» Lei scosse la testa. «Non desidero un marito, almeno non ancora. Ma se proprio dovessi... Be', penso che sceglierei Dewar.» «Ti immagini? È fratello di un duca!» esclamò Caroline con un sorriso radioso. «Fidanzandoti con lui, susciteresti l'invidia di tutte le ragazze della Broadmoor.» La scuola di buone maniere di Mrs. Broadmoor, frequentata dalle due cugine, era l'istituto più esclusivo di Boston. Violet non si trovava molto bene. Avrebbe preferito coltivare le materie che già aveva studiato con suo padre: matematica, storia, scienze, geografia, francese, latino e greco. Tuttavia, per soddisfare i desideri paterni, intendeva diventare una signora impeccabile, quindi si impegnava ugualmente e con profitto. Anche se si fosse diplomata a pieni voti, il padre non lo avrebbe mai saputo. Trasse un respiro tremante. L'essenziale era continuare a comportarsi nel migliore dei modi. E, in quel momento, assecondare la sua volontà era più importante che mai. In quell'istante decise. «Lo farò, Carrie: mi sposerò con Rule Dewar.» Con un gridolino entusiasta, Caroline l'abbracciò. «Davvero? Stento a crederci!» Violet abbassò lo sguardo e deglutì per sciogliere il groppo che le serrava la gola. «Anch'io.» Due settimane passarono in un batter d'occhio e il giorno fatidico arrivò ancor prima del previsto. Rule sperava che la tiepida giornata primaverile fosse di buon auspicio per la monumentale decisione presa. Nel lussureggiante giardino di Griffin Heights, sotto l'arco fiorito che copriva l'altare, aspettava la futura Mrs. Rule Dewar. Violet sembrava proprio ciò che era: un'ingenua ragazzina, 11
appena uscita da scuola. Persino nel lussuoso abito da sposa, confezionato con infinite balze di pizzo bianco del Belgio, appariva come una giovinetta ossuta, un po' mascolina. Non pareva pronta per le nozze e, in ogni caso, non era la moglie che lui avrebbe scelto. A dire il vero, sposarsi era l'ultimo dei suoi desideri. Tuttavia Howard Griffin era stato molto bravo a convincerlo e, per giunta, gli aveva offerto più di quanto lui stesso avrebbe osato sognare. Infatti, dopo la sua scomparsa, e una volta consumato il matrimonio, Rule avrebbe ereditato metà del patrimonio di famiglia e metà della Griffin Manufacturing. Il resto sarebbe appartenuto a Violet. Insieme, comunque, avrebbero formato un'autentica potenza in ambito finanziario. C'era anche un altro vantaggio: oltre a diventare ricco e a possedere un'azienda fiorente, Rule avrebbe esaudito la maggiore aspirazione di suo padre. Il defunto Duca di Bransford, infatti, era convinto che legami stretti con gli americani avrebbero assicurato alla famiglia un posto di rilievo nel secolo a venire. Rule gli aveva promesso che avrebbe provveduto in merito. Un matrimonio conveniente e un'impresa attiva sulle due coste dell'Atlantico sembravano perfetti per soddisfare il desiderio paterno. Rule percorse con lo sguardo le poche file di sedie occupate da amici e parenti dei Griffin. Era una cerimonia per pochi intimi, che sarebbe stata grandiosa se Violet avesse avuto qualche anno in più e se la fretta non avesse imposto un'organizzazione rapida e sbrigativa. Si domandò quanti dei presenti fossero al corrente della situazione. Era probabile che Griff, come ormai avrebbe dovuto chiamarlo, l'avesse chiarita quasi a tutti. Immaginava che i più fossero favorevoli alla scelta, impietositi da un padre vicino alla morte, in ansia per l'unica figlia. In cima alla scalinata che scendeva dalla terrazza, Griffin 12
porse il braccio a Violet, che posò la mano inguantata sulla manica dell'elegante giacca nera, dai risvolti di raso. Rule non la ricordava così minuta e graziosa, ma aveva già notato il luminoso verde foglia dei suoi occhi. Inoltre quando, da vero cavaliere, le aveva chiesto la mano in ginocchio davanti al padre, aveva notato la spruzzatina di lentiggini sul naso. Era poco più di una bambina: l'idea di prenderla in moglie, anche se non di fatto, lo spaventava. L'impulso di scappare a gambe levate e salire a bordo della prima nave in partenza per l'Inghilterra era potente. Tuttavia il dado era stato tratto e il futuro si profilava come una pietanza appetitosa, difficile da rifiutare. Alla fine della cerimonia, Rule si sarebbe preparato a diventare ricchissimo. Innanzitutto avrebbe ricevuto uno stipendio da nababbi, in quanto direttore della filiale londinese della Griffin Manufacturing, e avrebbe abitato in città con tutti i lussi. L'organo attaccò la marcia nuziale, riportando la sua attenzione al presente. Mentre incedeva accanto al padre, Violet accennò un sorriso e lo scrutò dal fondo del vialetto. Rule rammentò a se stesso che non sarebbe stato un vero marito ancora per qualche anno e che avrebbe affrontato le relative responsabilità solo al momento opportuno. Infine, con un sorriso che sperava convincente, pensò all'avvenire, ricordò la promessa fatta e si preparò a salutare la sposa. Violet mantenne il sorriso in volto durante l'intero percorso verso l'altare. Erano stati invitati soltanto gli amici più cari e i familiari stretti. Per lei era più che sufficiente; in cuor suo, sperava solo che la giornata terminasse in fretta. L'indomani Rule si sarebbe imbarcato per Londra e la sua vita sarebbe tornata 13
alla normalità. Almeno per un certo tempo. Rifiutava di pensare ai mesi a venire e al tremendo destino che aspettava il padre. Concentrò quindi l'attenzione sull'uomo che stava per sposare. Il suo sorriso incoraggiante le fece accelerare il battito del cuore, che non rallentò per parecchi minuti. Com'era bello! Lei non aveva mai visto iridi così azzurre, incorniciate da lunghe ciglia nere. E nemmeno labbra più attraenti e sensuali. Le sopracciglia si inarcavano sugli splendidi occhi, il naso era diritto e il sorriso rivelava una fila di magnifici denti bianchi. Quando gli giunse al fianco, sentì la sua mano calda e forte prenderle le dita tremanti. Rule allargò il sorriso, formando fossette sulle guance. Santo cielo! La perfezione del suo volto era incredibile. E stava per diventare il suo consorte! L'idea le fece tremare le ginocchia. Mentre il padre l'affidava allo sposo, drizzò le spalle e si ripeté che era giusto accondiscendere al suo volere, anche se in realtà non ne era molto convinta. Per alcuni lunghi minuti rimase rigida in piedi, mentre il sacerdote pronunciava le formule di rito. Rule ripeté la solenne promessa e lei lo imitò. Alla fine, si chinò a baciarle una guancia. Violet represse una punta di delusione. Non era mai stata baciata sulla bocca e sperava di meritarsi almeno quello, da parte del legittimo sposo. «Ebbene, Mrs. Dewar» le sussurrò con dolcezza Rule, generando un lieve brivido col tepore del suo respiro, «che effetto vi fa essere sposata?» Violet lo guardò negli occhi. «Per il momento non ne ho idea. E voi?» Lui emise una risata profonda, virile. Era prevedibile che ridesse in maniera gradevole: tutto era perfetto nel giovane inglese. 14
«Avete ragione. Non saprei nemmeno io. Non mi sento diverso da prima.» «Forse ci vuole un po' di tempo.» Lui sorrise e sembrò rilassarsi. «Magari.» Violet adorava il suo accento, adatto agli abiti e alla cravatta impeccabili, alle costose scarpe di pelle. «Credo che la vostra famiglia abbia organizzato un rinfresco. Forse, ora che il peggio è passato, potremo finalmente mangiare.» Lei rise. Non si era aspettata che riuscisse a divertirla. Questo lo rendeva meno straordinario, più raggiungibile. «Muoio di fame. Avevo paura di mangiare un boccone prima, poiché temevo che l'ansia lo avrebbe reso indigesto.» Lui assentì con un sorriso, che mantenne a lungo. Possibile che quest'uomo affascinante sia davvero il mio sposo?, si domandò Violet. Si accorse di non sognare quando lo sentì prenderle la mano e posarsela sull'avambraccio. Dopo avere ringraziato gli ospiti per le felicitazioni, si avviarono insieme verso l'interno della villa. Rule la teneva stretta a sé e Violet apprezzava i suoi sforzi per sostenere il ruolo di marito premuroso. Col trascorrere delle ore, si convinse sempre più che tutto sarebbe andato per il meglio. Del resto, il padre si era sempre dimostrato assennato e meritevole di fiducia. Il pomeriggio sembrava interminabile, poi, finalmente, gli invitati iniziarono ad andarsene. Rimasero solo suo padre, Rule e zia Harriet, la sorella di sua madre, che era tra i pochi parenti stretti. Mentre conversava con il gruppetto, Violet fu sopraffatta dalla stanchezza e vacillò sulle gambe. «State bene?» le chiese subito Rule, posandole una mano dietro la vita. «Sì, grazie» lo rassicurò con un sorriso teso. «Sono solo un po' affaticata.» Lui lanciò un'occhiata all'orologio posato sulla mensola del caminetto. «Sono andati via quasi tutti e temo di doverlo 15
fare anch'io. Ho ancora qualche bagaglio da preparare, prima di dirigermi al porto.» Violet si sentì un po' smarrita. Le nozze erano appena concluse e il marito era già in partenza. Magari non si sarebbero più rivisti. D'altro lato, lei non si sentiva pronta per la vita coniugale e ignorava quando lo sarebbe stata. «Vi accompagniamo alla carrozza» propose Griffin. Il drappello si avviò all'uscita e si fermò sotto l'ampio portico della facciata. «Buon viaggio» augurò Violet, non sapendo che genere di saluto fosse adatto alle circostanze. Rule le rivolse un inchino e le sfiorò con le labbra il dorso della mano, comunicandole un piacevole calore attraverso il guanto. «Arrivederci, Violet.» Lei lo seguì con lo sguardo mentre scendeva i gradini di marmo, saliva in carrozza e infine scompariva, come se non ci fosse mai stato. Il padre le posò una mano sulla spalla. «Si prenderà cura di te, mia cara. Mi ha promesso di provvedere a tutte le tue esigenze.» Lei annuì. E l'amore?, pensò intanto. Quella parola non si era mai affacciata alla sua mente fino a quel momento e, di sicuro, non era mai stata pronunciata durante le lunghe conversazioni tra i due uomini. L'amore non era indispensabile nel matrimonio, eppure... Senza un vero motivo, sentì un groppo formarsi in gola. «Rule sarà un marito esemplare» insistette suo padre. «Quando arriverà il momento.» «Ne sono... sicura.» Guardò la carrozza oltrepassare il maestoso cancello in ferro battuto, ornato dall'emblema di famiglia: un grifone dorato, dal corpo di leone e dalle ali d'aquila. Una profonda tristezza la pervase. «Rientriamo, dolcezza» la invitò zia Harriet, una cinquantenne dai capelli d'argento, legata a lei e al padre da profondo 16
affetto. «Devi essere esausta, dopo una giornata così lunga.» Violet confermò con un cenno del capo. Era spossata e depressa. Il novello sposo l'aveva appena abbandonata e il padre l'avrebbe lasciata di lì a poco. Trattenendo a stento le lacrime. In cuor suo, pregò che niente fosse vero.
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1 Londra, tre anni dopo «Rule, sono contenta che siate venuto!» lo accolse Lady Annabelle Greer, attraversando a passi leggeri il salone del palazzo dove abitava con il marito Travis. «E avete anche portato Lucas.» Puntò lo sguardo verso l'angolo della sala dove Lucas Barclay conversava con una graziosa giovane vedova. I due uomini avevano frequentato insieme Oxford ed erano grandi amici, oltre che lontani parenti, visto che Royal, fratello maggiore di Rule e attuale Duca di Bransford, aveva sposato una cugina della moglie del fratello di Luke. Rule riportò l'attenzione sulla padrona di casa. «Mi fa molto piacere vedervi, milady.» Annabelle Townsend Greer, dai capelli color miele e dagli occhi azzurri, aveva quasi trent'anni ed era madre di tre bambini, eppure conservava tutta la sua bellezza. «Mi stupisce che abbiate accettato l'invito: di solito siete troppo impegnato con gli affari.» Gli batté piano il ventaglio su una spalla. «Non sapete che per un aristocratico è sconveniente guadagnarsi da vivere come un comune borghese?» Sorrise divertita. «Del resto, nessuno di voi Dewar si è mai curato troppo delle convenzioni.» Rule ricambiò il sorriso. «Lo stesso vale per voi, milady.» Ricordava bene i pettegolezzi sorti attorno alla focosa relazione che aveva portato alle nozze tra Annabelle e Travis 18
Greer, ex ufficiale di cavalleria, scapolo convinto e migliore amico di suo fratello Reese. Anna rise. «Ammetto di essermi comportata in maniera un po' scandalosa, a volte, ma non di recente.» «Da quando vostro marito ha intrapreso l'arduo compito di tenervi a bada...» Lei sorrise a quel commento assurdo; casomai era vero il contrario. Proprio in quel momento si avvicinò Travis, un uomo robusto, con chioma biondo rossiccia e occhialini dalla montatura dorata, innamoratissimo della moglie. Era uno stimato giornalista del London Times e scriveva articoli sui conflitti nei quali era coinvolto il paese, in maniera più o meno diretta. La manica vuota della giacca testimoniava il prezzo pagato mentre combatteva al fianco di Reese. «Mi fa piacere vederti, Rule.» Travis si guardò attorno. I grandi specchi appesi alle pareti riflettevano decine di ospiti eleganti. «Quale di queste signore ha attratto la tua attenzione? Ho sentito che hai... smesso di frequentare l'affascinante Lady St. Ives.» Rule bevve un sorso di champagne. «Le notizie si diffondono in fretta.» «Immagino che tu sia di nuovo a caccia.» In effetti avrebbe voluto una nuova amante, più stimolante di Evelyn Dreyer, Viscontessa di St. Ives, con cui aveva rotto la relazione qualche settimana prima. La colpa non era di Evie. Da qualche tempo, si sentiva annoiato e irrequieto, alla ricerca di qualcosa, senza sapere di preciso cosa. Lo sguardo di Travis tornò a vagare tra gli invitati. «Oppure ti sei deciso a cercare moglie?» Lo champagne rischiò di andargli di traverso. Scosse la testa. «Non direi proprio, non adesso.» Nessuno a Londra sapeva che era sposato, nemmeno i familiari. Prima o poi avrebbe dovuto annunciarlo, però continuava a rimandare. Parlarne avrebbe reso il matrimonio rea19
le; lo avrebbe costretto ad ammettere che era ora di assumersi le proprie responsabilità, di andare a Boston a prendere la moglie. Spaventato dall'idea, si scusò con gli amici e si avvicinò al tavolo dei liquori per chiedere una bevanda più alcolica dello champagne. Luke lo raggiunse. «La folla inizia a diminuire. E se ci dirigessimo al club? Oppure potremmo andare da Crockfords a giocare d'azzardo.» Era alto quasi quanto Rule, con capelli castano scuro e acuti occhi nocciola. La cicatrice sul sopracciglio destro gli conferiva un aspetto dissoluto che riscuoteva un gran successo tra le donne. «Oppure, se sei in vena, potremmo passare da Madame Lafon» propose con un sorriso lascivo. Rule scosse la testa. In passato era stato felice di trascorrere le serate nelle accoglienti camere del bordello esclusivo, ma in quel periodo l'idea di stringere tra le braccia una bella prostituta lo attirava ben poco. «Meglio Crockfords. Negli ultimi tempi ho una certa fortuna. Magari vincerò.» Luke sorrise. «D'accordo, dunque.» Rule non aveva nessuna voglia di tornare a casa, poiché temeva di essere tormentato dai rimorsi. Avrebbe pensato al denaro ereditato da Griff, agli ottimi investimenti effettuati con il sontuoso stipendio e alla promessa non mantenuta. Pur tenendo i contatti con Violet, non era più tornato da lei dopo le nozze. Avrebbe voluto andare a Boston prima della morte del suocero, che però si era spento più in fretta del previsto, senza lasciargli il tempo di compiere la lunga traversata da Londra. Naturalmente aveva spedito a Violet una lettera di condoglianze, seguita da una missiva ogni due mesi. Quello, però, non significava assumersi il ruolo di marito. Mentre usciva dal palazzo nella fresca aria notturna, si disse che era giunto il momento di tener fede alla parola da20
ta. Si ripromise quindi di partire per Boston entro un paio di settimane. Aveva lasciato passare fin troppo tempo: doveva ricongiungersi alla sua sposa. Preferì ignorare la stretta che avvertì alla bocca dello stomaco, dopo aver preso quella decisione. Violet discese dal clipper Courageous, contenta di mettere i piedi sulla terraferma. Era a Londra. Strinse le dita sulla borsetta a rete, appesa al polso, e studiò l'ambiente. Il porto ferveva di attività: marinai che scaricavano mercantili, passeggeri che sbarcavano dai velieri allineati lungo la banchina, venditori ambulanti che decantavano le merci a ingenui nuovi arrivati. Le rauche grida dei gabbiani si mescolavano allo scricchiolio degli scafi e al cigolio delle attrezzature, rumori cui lei si era abituata al punto di non notarli. «Non è entusiasmante?» Caroline le si affiancò, seguita da Mrs. Cummins, una signora dalle referenze impeccabili, assunta per accompagnare in viaggio le due giovani cugine. «È piuttosto diverso da come immaginavo» fu il commento di Violet. Scrutò gli alti campanili e il disordinato insieme di tetti e comignoli che si stagliava contro il cielo. «Sembra tutto vecchio, ma questo ne aumenta il fascino.» La zona del porto non era certo la migliore della città. Le case erano fatiscenti e bisognose di riparazioni e, a parte i viaggiatori, i passanti erano quasi tutti vestiti miseramente. «Cerco una carrozza pubblica» si offrì Mrs. Cummins, robusta e dai capelli grigio ferro. Si sarebbero separate presto, all'arrivo di Violet alla residenza del marito. Marito. La parola suonava stonata. Lei non aveva più visto Rule Dewar dal giorno delle nozze, tre anni prima. Sì, aveva ricevuto dei messaggi, ma non vi aveva colto la disponibilità ad assolvere i propri doveri coniugali. E ne era molto contenta. 21
Quando si erano conosciuti, era ancora una ragazzina e si era lasciata colpire dal fascino del gentiluomo inglese. Inoltre era in pena per il padre malato, prossimo alla morte. Era stata disposta a fare qualunque cosa per accontentarlo, persino unirsi in matrimonio con un estraneo. «Ecco, ragazze, ci siamo.» Mrs. Cummins le condusse verso una vettura sgangherata, trainata da due ronzini esausti. Il cocchiere salutò sfiorandosi il cappello, poi saltò a terra e iniziò a caricare i bauli sul retro del veicolo. Coscienziosa come sempre, la signora seguì l'operazione con sguardo attento. Aveva scortato le due cugine al posto di zia Harriet, poiché questa impallidiva al semplice pensiero di trascorrere quattro lunghe settimane in mare. A Violet non dispiaceva. Dopo il decesso del padre infatti, si era abituata a una notevole indipendenza. Per evitare di trascorrere le giornate in preda alla tristezza e al dolore, aveva cominciato a interessarsi alla fabbrica di armi appena ereditata. Da ragazza vi aveva trascorso parecchio tempo e aveva imparato molto sulla produzione di fucili e pistole. Intanto aveva goduto della compagnia del padre, che la trattava come se fosse un figlio maschio. «Presto, ragazze» le esortò Mrs. Cummins. «Saliamo in carrozza. Non è una buona zona per gironzolare.» Il vetturino tenne aperta la portiera e attese che prendessero posto nell'abitacolo, rivestito di pelle consunta. Violet si sedette, sistemò le pieghe del discreto abito da viaggio blu scuro e strinse sotto il mento i nastri del cappellino in tinta. I suoi pensieri, però, erano ancora rivolti al padre. All'inizio Griff dubitava che gli affari fossero adatti a una giovane donna, poi aveva compreso che Violet si entusiasmava di più nel far soldi che nel recitare la parte della signorina viziata. Sei mesi dopo la sua scomparsa, Mr. Haskell, direttore 22
della fabbrica di Boston, si era ammalato all'improvviso ed era stato costretto a ritirarsi. Zia Harry aveva quasi avuto un colpo apoplettico quando la nipote aveva manifestato l'intenzione di sostituirlo. Violet, però, le aveva promesso di mantenere il proprio ruolo segreto e, col tempo, era riuscita a persuaderla. Il tono inquieto di Mrs. Cummins attrasse la sua attenzione. «Santo cielo, dov'è finito l'indirizzo?» si stava domandando, mentre frugava in borsetta con le dita grassocce. «Non riesco a trovare il foglio su cui era scritto.» «Portman Square numero 6» la informò Violet, che lo conosceva a memoria. Lo aveva visto stampato in oro sulla carta da lettere di Rule, nelle poche missive ricevute in tre anni. Mrs. Cummins bussò sul tettuccio della carrozza. «Vetturino, avete sentito?» «Sì, madam: Portman 6. È un po' lontano, ma vi porterò laggiù sane e salve.» «Spero che non ci voglia troppo tempo» sospirò Caroline. «Non vedo l'ora di levarmi le scarpe e mettere i piedi in aria.» Aveva diciannove anni come la cugina. Per molti versi si somigliavano: erano tutte e due spontanee e desiderose di agire di testa loro, caratteristiche male accettate nella buona società. Tuttavia Violet era più brava a mascherare la propria vera natura rispetto alla cugina, che non si curava affatto del giudizio degli altri. Guardò fuori dal finestrino per controllare la posizione del sole. Il pomeriggio volgeva al termine ed erano tutte e tre stanche morte. Anche lei, come Caroline, era impaziente di arrivare a destinazione. Tornò a pensare al presunto marito e provò un improvviso fremito di collera. Rule Dewar aveva avuto l'impudenza di sposarla e poi di abbandonarla a se stessa, pur avendo promesso a suo padre di prendersi cura di lei. A Violet non mancavano di certo il denaro e neppure gli agi, ma sapeva 23
che Griff aveva espresso desideri diversi. E lei, di sicuro, non era soddisfatta. Desiderava infatti uno sposo amorevole, su cui contare in ogni momento. Voleva crearsi una famiglia, avere dei figli. Si era lasciata ingannare una volta da Rule Dewar: non sarebbe più accaduto. Un sorrisino amaro le incurvò le labbra. Dewar stava per ricevere la meritata punizione. Avrebbe conservato la somma lasciatagli da Griff, ma avrebbe perso la sua quota di interessi della Griffin Manufacturing. Violet moriva dalla voglia di vedere come avrebbe reagito alla notizia che gli portava. Era infatti venuta a chiedere l'annullamento. Il tragitto parve interminabile, ma infine giunsero davanti alla dimora londinese di Rule Dewar, uno stretto edificio di mattoni alto quattro piani, con tetto a due spioventi. Si trovava in mezzo a una fila di costruzioni simili, che attorniavano un piccolo parco adorno di fiori e recinto da una cancellata in ferro battuto. Sembrava un quartiere esclusivo, adatto alla posizione sociale del gentiluomo, che era fratello di un duca. L'idea irritò Violet. Che assurdità sposare un uomo per le sue origini nobiliari! E pensare che Rule non si era nemmeno dimostrato abbastanza onesto da mantenere la parola. Tanto diverso da Jeffrey, pensò, ricordando il bel volto del giovanotto biondo dai teneri occhi castani e dal sorriso sincero. Jeffrey Burnett aveva ventotto anni, nove più di lei. Si erano conosciuti a una festa organizzata da un'amica di zia Harriet. Era un avvocato piuttosto benestante, impegnato soprattutto nel campo delle spedizioni marittime. Poiché la Griffin inviava armamenti nel mondo intero, non mancavano gli interessi comuni. Quando erano diventati amici, Violet gli aveva confidato la verità sul frettoloso e assurdo matrimonio. Poche set24
timane dopo, lui le aveva confessato di provare per lei una forte attrazione e di desiderarla in moglie. Al momento, tutto restava in sospeso. Intanto bisognava ottenere l'annullamento, che, tra l'altro, avrebbe reso realizzabile il secondo obiettivo di Violet a Londra. E cioè vendere la Griffin Manufacturing. Il cocchiere saltò giù di cassetta e aprì la portiera, riportando la giovane al presente. «Eccoci arrivati, signore.» Mrs. Cummins lo guardò con serietà. «Ci dovrete aspettare finché verifichiamo che sia l'indirizzo giusto. In questo caso, avrò ancora bisogno dei vostri servizi.» «Sì, madam.» Secondo i programmi, la signora avrebbe lasciato a casa Dewar le due cugine, ma esisteva sempre il rischio che non venissero accolte. Non si sapeva come avrebbe reagito Rule all'arrivo imprevisto della moglie. Dopo aver salito i gradini d'ingresso, Violet attese con ansia accanto a Caroline, mentre Mrs. Cummins batteva il lustro batacchio di bronzo. Un maggiordomo dai folti capelli grigi aprì quasi subito. Squadrò perplesso le nuove arrivate, come se non riuscisse a immaginare per quale strano motivo tre signore si presentassero alla porta. «Vi posso aiutare?» Fu Violet a rispondere. In fondo era la legittima sposa di Rule. «Sono Mrs. Violet Dewar. Desidero parlare con mio marito.» Il domestico aggrottò la fronte. «Scusate, ma temo di non capire.» «Dunque permettetemi di spiegarvi» intervenne Mrs. Cummins, protendendo in avanti il petto prosperoso. «Questa è Mrs. Dewar. Ha attraversato l'oceano per vedere il consorte. Vi prego di andare ad avvisarlo che siamo qui.» Il maggiordomo iniziò a scuotere il capo, aprendo e ri25
chiudendo la bocca come un pesce fuor d'acqua. Violet prese l'iniziativa di entrare. «Dove si trova?» chiese con determinazione. Mentre il maggiordomo si guardava attorno in cerca di aiuto, le altre due donne si introdussero all'interno. «Temo... Mi dispiace, ma Lord Rule non è in casa.» Violet scambiò un'occhiata con Caroline, che aveva sbarrato gli occhi al termine lord e che intervenne per la prima volta, chiedendo: «Quando rientra?». «Dopo cena, forse piuttosto tardi. Di solito Lord Rule non mi tiene informato sui suoi orari.» «Io e mia cugina abbiamo bisogno di una camera a testa. Per favore, preparatele» dichiarò Violet. «Ma... non posso...» Lei lo fulminò con lo sguardo. «Perché no?» «Perché... perché...» «Ricordatevi che, in quanto moglie di Lord Rule, esigo, d'ora in poi, la vostra obbedienza. Spero che non intendiate partire col piede sbagliato.» L'uomo sbarrò i pallidi occhi azzurri e, per parecchi minuti, non disse niente. Caroline sussurrò: «A quanto pare, ignora che Dewar è sposato». Anche Violet se n'era resa conto. «Il che renderà l'annullamento ancora più semplice» mormorò di rimando. «Sto aspettando» insistette a voce alta. L'anziano domestico si schiarì la gola. «Chiederò a Mrs. Digby, la governante, di accompagnarvi di sopra.» Violet sorrise, poi si rivolse a Mrs. Cummins. «Avete svolto un ottimo lavoro e ve ne sono grata. Io e Caroline siamo arrivate sane e salve a destinazione, come avevate promesso. Dunque avete portato a termine il vostro compito.» Estrasse dalla borsetta l'assegno che aveva preparato per l'ultimo pagamento, da consegnare all'arrivo. La signora sembrava dubbiosa. «Non saprei. Non avete 26
ancora parlato con il vostro sposo. E, a quanto pare, il maggiordomo non ha idea di chi siate.» Lei si sforzò di sorridere. «Mio marito è sempre stato molto riservato. Comunque potete stare certa che sarà felice di vedermi.» Una bugia bella e buona. Con una certa esitazione, Mrs. Cummins accettò l'assegno. «Potrei restare con voi ancora per qualche giorno, se preferite.» «No! Voglio dire: non sarà necessario, grazie. Caroline rimarrà con me finché non mi sarò sistemata. Andate pure a godervi la vostra famiglia. Non è forse il motivo per cui siete venuta a Londra?» «Be', se siete sicura...» Sorrise. «Certo. Grazie ancora di tutto.» «Avete l'indirizzo a cui potete trovarmi, in caso di necessità.» Violet tastò la borsetta a rete. «Ce l'ho qui.» «D'accordo, allora. Immagino che farò come suggerite. Non vedo l'ora di abbracciare mia madre e gli altri familiari.» Agitando la mano in segno di saluto, Mrs. Cummins uscì a passi pesanti. Subito un lacchè si occupò di scaricare i bagagli. Pochi minuti dopo si presentò una donna molto simile a Mrs. Cummins: capelli grigi, petto fiorente e fianchi larghi. «Sono Mrs. Digby, milady. Vi prego di seguirmi al piano di sopra, insieme a vostra cugina.» Milady? A quanto pareva, il matrimonio col fratello di un duca le aveva procurato un titolo. Santo cielo! Violet non se l'era aspettato. «Grazie.» I bauli vennero depositati nelle camere. Appena lei chiuse la porta, sentì bussare piano e vide Caroline che entrava di corsa. «Milady! Non ci posso credere. Pensavo che solo suo fratello fosse aristocratico.» «È così, infatti. Non so come funzioni da queste parti. Ru27
le non me ne aveva mai fatto cenno, quando abitava a Boston.» «Mi domando dove sia.» «Non ne ho idea.» Con un sorrisino, Violet aggiunse: «Ma di sicuro resterà sorpreso quando arriverà a casa». Caroline sorrise divertita. «Non c'è dubbio.»
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La fiamma del desiderio KAT MARTIN Londra, 1860 - Rule Dewar ha lasciato gli Stati Uniti dopo aver sposato per mero interesse Violet Griffin, erede di un'immensa fortuna, ed è tornato in Inghilterra e alla sua vita di sempre cancellando dalla propria mente la giovanissima moglie. Tre anni dopo Violet, che nel frattempo si è trasformata in una donna bellissima e sofisticata, si presenta alla residenza londinese di Rule decisa a ottenere l'annullamento. Tutto a un tratto l'idea di adempiere ai propri doveri coniugali acquista per l'impenitente libertino un fascino tutto nuovo. Eppure, malgrado l'attrazione che divampa tra loro, bruciante e incontenibile, convincere l'intraprendente americana a dare una possibilità al loro matrimonio non si rivela facile come Rule aveva sperato. Qualcuno, infatti, trama per separare i due amanti, e per farlo è disposto a ricorrere a qualunque mezzo.
Strategie d'amore KASEY MICHAELS Inghilterra, 1816 - Profondamente segnata dalla morte del fidanzato, Lady Lydia Daughtry è convinta che non potrà amare nessun altro. Finché un delizioso, attraente duca non risveglia in lei sentimenti e sensazioni di cui non sospettava nemmeno l'esistenza. Eppure, come può essere innamorata di Tanner Blake, l'uomo che le ha dato la notizia più dolorosa della sua vita e che le ricorda costantemente ciò che ha perso e non potrà avere mai più? Analoghi dubbi tormentano anche il giovane Duca di Malvern: come può ambire alla mano della fanciulla che un caro amico gli ha affidato in punto di morte? L'unica soluzione che gli viene in mente è trovare a Lydia un marito adeguato, e subito! Ma quando le loro vite vengono improvvisamente travolte da un turbine di pericoli e misteri, Tanner capisce di non poter rinunciare all'unico vero amore della sua vita, e cambia strategia.