ABBY GREEN
Orgogliosa passione
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: A Shadow of Guilt Mb Sicilian Scandals © 2013 Harlequin Books S.A. Special thanks and acknowledgement are given to Abby Green for her contribution to the Sicily's Corretti Dynasty series Traduzione di Velia De Magistris Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved. © 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Collezione Harmony maggio 2014 Questo volume è stato stampato nell'aprile 2014 presso la Rotolito Lombarda - Milano COLLEZIONE HARMONY ISSN 1122 - 5450 Periodico bisettimanale n. 2889 del 16/05/2014 Direttore responsabile: Stefano Blaco Registrazione Tribunale di Milano n. 22 del 24/01/1981 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Trentacoste, 7 - 20134 Milano Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano
1 Avrebbe dovuto esserci lui in quella bara, non il suo migliore amico. Protetto dal tronco di un grande albero, Giacomo Corretti guardò il feretro mentre veniva calato lentamente nella buca scavata a pochi passi dal suo nascondiglio. Il gelo che sembrava aver assunto residenza stabile nel suo stomaco dilagò verso le estremità del corpo. Una sensazione che accettò di buon grado, e che considerò come una piccolissima punizione per la sua viltà. Il gruppetto di persone cominciò a disperdersi, l'eco della benedizione impartita dal prete che ancora aleggiava nella calda aria primaverile profumata di incenso. Non avrebbe dovuto essere una bella giornata, pensò Giacomo. Il mare non sarebbe dovuto apparire come un'infinita, tranquilla distesa che scintillava alla carezza dei raggi del sole. Desiderò che grosse nuvole nere foriere di tempesta oscurassero il cielo azzurro, che lampi e saette riducessero in cenere quel luogo. Che riducessero in cenere lui. La madre di Mario, appoggiata al braccio del marito, singhiozzò disperata. Quel suono gli penetrò nel cuore come una lama, lacerandolo. Nessuno avrebbe sofferto tanto per la sua scomparsa, si disse. Un pensiero crudele, ma che non lo indusse all'autocommiserazione. Accanto all'anziana coppia, la schiena ben dritta, la te5
sta alta, c'era Valentina, la figlia. I capelli color mogano erano stretti in una lunga treccia, una sciarpa scura le copriva il capo. Il vestito nero che indossava celava l'acerbo corpo di una diciassettenne. Gli dava le spalle, ma lui immaginava senza sforzo alcuno il suo viso. Incarnato olivastro, pelle morbida come il petalo di una rosa. Labbra piene e rosse che parlavano di una sensuale femminilità in sboccio. Occhi fantastici, color dell'ambra. Gli occhi di una tigre. Rammentava quegli occhi illuminarsi d'ira, e anche di paura, ogni qual volta lo aveva colto insieme al suo adorato fratello corteggiare quel pericolo che entrambi avevano amato tanto. Quasi avesse percepito l'intensità dello sguardo fisso su di sé, Valentina Ferranti si girò e localizzò immediatamente l'albero sotto il quale Gio era in piedi. Lo vide e socchiuse gli occhi. Era troppo tardi per fuggire. Valentina lo fissò per un lungo istante. Il bel volto pallido recava i segni dell'angoscia. Il dolore che si rifletteva nel suo sguardo era immenso, profondo, un dolore che nessuno avrebbe dovuto provare. Ed era stato lui a causarle quel dolore. Lui aveva causato quella perdita incolmabile. Le parole che le aveva rivolto con noncuranza quella maledetta sera gli risuonarono assordanti nella mente. Tranquilla, farò in modo che torni ai suoi libri prima di mezzanotte, proprio come Cenerentola... La sofferenza di Valentina lo raggiunse come una forza tangibile. E poi lei si mosse, le gambe lunghe e snelle che avanzavano svelte, i pugni stretti. Si fermò a pochi passi da lui. Era così vicina che riuscì a percepire il suo fresco profumo. Un profumo del tutto inadatto alla tragedia che si stava svolgendo. «Tu non sei il benvenuto qui, Corretti.» 6
La voce di Valentina era roca per il pianto e lo colpì con la violenza di uno schiaffo in pieno viso. Gio si chiese come riusciva a restare in piedi visto che l'aria aveva smesso di arrivargli ai polmoni. Ma riprese a respirare, il meccanismo innescato da un innato istinto di sopravvivenza. «Io...» Lasciò la frase in sospeso quando il familiare contrarsi delle corde vocali lo avvertì dell'imminente umiliazione. «Lo so.» Il fatto che non avesse incespicato enunciando quelle due inutili parole gli fu di ben poco conforto. Mario, il suo miglior amico, il fratello di Valentina, con tanta pazienza lo aveva aiutato a superare la balbuzie che lo aveva afflitto fino ai dodici anni. Ora ne aveva ventidue, ma il ricordo di anni di vergogna non si era affievolito. Valentina non si era mai presa gioco di lui, non lo aveva mai ridicolizzato per il suo problema, come invece avevano fatto tutti gli altri, incluso – e forse soprattutto – i suoi familiari. All'improvviso Valentina allungò il braccio, colpendolo con il pugno in pieno petto con abbastanza violenza da farlo vacillare. «Lui era tutto per noi, e grazie a te ora non c'è più» lo accusò. «Si sarebbe laureato l'anno prossimo, avrebbe avuto successo, e tu... Che cosa puoi fare tu per noi adesso? Niente. Vattene, Corretti. La tua presenza è un insulto per questo luogo!» esclamò, poi scosse la testa. «Se tu non lo avessi incoraggiato a uscire...» S'interruppe e si morsicò il labbro inferiore. «Mi dispiace» mormorò Gio. «Mi dispiace tanto.» Valentina raddrizzò la schiena. «È colpa tua» ripeté. «Io ti disprezzo, Corretti, e ti disprezzerò per sempre perché tu sei vivo e lui no.» Parole aspre e taglienti che agirono come una raspa sulla pelle di Gio. Lei lo stava guardando con una luce di odio negli occhi, quasi fosse pronta a spingerlo giù dalla 7
vicina scogliera per poi godersi lo spettacolo del suo corpo sfracellato sulle rocce. «Coraggio, Valentina, andiamo» la esortò suo padre, materializzandosi al suo fianco. «Non sono questi il posto né il momento giusti.» L'energia che l'aveva sorretta fino a quell'istante sembrò abbandonarla di colpo. Valentina chinò il capo e si lasciò condurre via dal padre. L'anziano uomo però, dopo aver mosso qualche passo, si girò e gli lanciò uno sguardo pieno di un'indicibile tristezza. Uno sguardo che gli fece più male di una qualsiasi aggressione fisica. Ma la verità era una, e indiscutibile, pensò Gio. Se non avesse stretto quell'improbabile amicizia con Mario, se non lo avesse convinto a seguirlo quella notte, il giovane sarebbe stato ancora vivo. Desiderò morire anche lui, lo desiderò con tutta l'anima. La persona che aveva amato non c'era più, e con lui era svanito tutto ciò che di buono aveva avuto nella vita. Ma il suicidio era una via di uscita troppo facile, molto più comoda del sopportare il suo strazio per ogni giorno che sarebbe seguito. Lo strazio dato dalla consapevolezza di aver distrutto una famiglia. Era quella la sua punizione, e con quella punizione avrebbe dovuto convivere. Sette anni dopo Erano le nozze del decennio. Due delle più potenti famiglie siciliane stavano per unirsi nel sacro vincolo del matrimonio. Valentina strinse le labbra in una linea di cinismo. Tutti però sapevano che non c'era amore fra Alessia Battaglia e Alessandro Corretti. Si trattava di un patto d'affari, del mezzo che avrebbe assicurato ai Corretti il potere per le generazioni a venire. E se legarsi ai rivali di sempre era quello che ci voleva per raggiungere lo scopo, allora andava bene così. 8
Si appoggiò una mano sullo stomaco. Anche solo pensare ai Corretti le dava un senso di malessere. Un malessere amplificato dal fatto che ora lavorava per loro. E per quanto avrebbe voluto rifiutare la proposta di Carmela Corretti – la madre dello sposo – proprio non poteva permettersi quel lusso. Possedeva una piccola agenzia di catering che cercava di gestire con il minimo del personale e con grande fatica. I proventi del suo lavoro erano l'unico sostegno economico per gli anziani genitori. Nonostante l'enorme ricchezza dei Corretti, Carmela era nota per la sua avarizia, in effetti era anche per questo che le aveva affidato l'incarico, per i prezzi modici che offriva ai clienti. Esageratamente modici. Ma non era il guadagno che contava di più al momento – anche se contava – bensì la visibilità che un contratto simile le avrebbe dato. Mentre sistemava le ultime tartine al caviale in un vassoio, le parole che Carmela le aveva rivolto qualche settimana prima riecheggiarono nella sua mente. «Questo dovrà essere l'evento più esclusivo degli ultimi dieci anni, signorina Ferranti. Il budget per l'acquisto delle materie prime è illimitato, ovviamente. Se non si dimostrerà all'altezza, stia pur certa che non avrà più la possibilità di lavorare in Sicilia.» Lei aveva cercato di restare impassibile mentre invece era stata divorata dal panico. La possibilità di trasferirsi altrove, lasciando i genitori sull'isola, non era nemmeno da prendere in considerazione. Tuttavia Carmela non si era sbagliata. Con un insuccesso di quella portata, sarebbe stata fortunata se qualcuno le avesse offerto un posto di cameriera in una pizzeria. «Certo, signora Corretti, sono consapevole della delicatezza di questo compito» aveva replicato, esibendo una sicurezza che era ben lungi dal provare. 9
E ora lei e i suoi dipendenti avrebbero ricevuto un compenso ridicolo per creare il più ricco buffet di tutti i tempi. Valentina ricordò con un brivido il momento in cui aveva sottoposto il menu a Carmela Corretti – uno dei momenti più terribili in tutta la sua carriera – che la donna poi aveva approvato con un annoiato gesto della mano dalla perfetta manicure. Ovviamente, il salmone era stato ordinato direttamente in Scozia, la carne per la pietanza principale in Irlanda e il caviale in Russia. Lo champagne dal prezzo astronomico riservato al tavolo degli sposi e dei loro familiari datava 1907. Per gli ospiti invece erano state acquistate decine di casse di Bollinger. No, il denaro non era un problema se il punto era esibire la ricchezza, ma il discorso cambiava quando si trattava di corrispondere il dovuto ai dipendenti. Valentina soffiò per scostare una ciocca di capelli che le era ricaduta sul viso accaldato e arretrò. «Sono dei piccoli capolavori» sentenziò Franco, uno dei suoi due aiutanti, indicando i vassoi di antipasti. «Questa volta ti sei superata.» Valentina sorrise. «Non basta l'aspetto, noi vogliamo che siano anche buoni.» Doveva ammettere però che i canapè di salmone e caviale avevano un'aria davvero appetitosa. Sollevò lo sguardo verso l'orologio appeso alla parete e sussultò, poi si strappò il grembiule di dosso. «Franco, assicurati che i cuochi stiano preparando la portata principale» disse mentre cercava il borsone nel quale aveva riposto la sua uniforme. «E, Sara, accertati che i camerieri siano pronti per iniziare a portare i vassoi degli antipasti in sala. Manda qualcuno di sopra per controllare se tutte le bottiglie sono nei cestelli e per sostituire il ghiaccio, nel caso si fosse sciolto.» Detto ciò, corse fuori, lieta che il ricevimento fosse stato organizzato nell'albergo più lussuoso della catena 10
Corretti – situato proprio accanto all'antica basilica dove sarebbe stato celebrato il matrimonio – poiché nel ristorante a cinque stelle lavoravano i migliori cuochi della città. Il suo compito consisteva fondamentalmente nel supervisionare il loro operato ma, alla fine, era comunque lei la responsabile della buona riuscita del buffet. Entrò in uno degli spogliatoi riservati al personale, si tolse i jeans e la maglietta e indossò un semplice tailleur nero completo di camicetta di seta bianca. Carmela era troppo scaltra per esporre il nome dei Corretti, nel caso in cui il ricevimento fosse stato meno che perfetto, ragionò. Meglio addossare la responsabilità a un catering esterno. Tuttavia, quella restava la grande occasione della sua vita, si disse, e per trarne il maggiore beneficio doveva soltanto accertarsi che tutto filasse liscio come l'olio. Più semplice di così... Lanciò uno sguardo alla sua immagine riflessa nello specchio e notò le ombre scure che le cerchiavano gli occhi. Prese dal borsone la trousse del trucco e, con mani tremanti per l'ansia, fece del suo meglio per nascondere i segni delle tante notti insonni. Notti popolate da incubi durante i quali gli ospiti si soffocavano con i canapè, o restavano vittime di un avvelenamento da cibo avariato. Biasimandosi per la sua troppo fervida immaginazione, Valentina scosse la testa, costrinse i capelli in un complicato chignon e controllò di nuovo lo specchio. Niente gioielli, un filo di trucco, un aspetto studiato per apparire il meno possibile e confondersi nello sfondo. Ripose le proprie cose nel borsone, e calzò un paio di decolleté dal tacco medio. Fu solo mentre tornava verso le cucine che il pensiero si materializzò nella sua mente. E se ci fosse stato anche lui fra gli ospiti? No, non era possibile, tentò di rassicurarsi, avvertendo i primi sintomi del panico. Perché sarebbe dovuto intervenire quando tut11
ti sapevano che era andato via da casa a sedici anni, interrompendo ogni contatto con la famiglia? Il successo che poi aveva avuto come allevatore e addestratore di cavalli da corsa lo aveva ulteriormente estraniato dalle aziende Corretti. No, lui non sarebbe stato presente, si disse di nuovo con maggiore convinzione. Perché, in caso contrario... Fu travolta da un dolore mai sedato, il ricordo troppo vivo di una sofferenza senza fine, e anche dalla rabbia e da un sentimento ancora più allarmante ma di difficile definizione. No, non poteva esserci. Era un momento per lei troppo delicato, troppo importante, e proprio non aveva la forza per affrontare Giacomo Corretti. Sarebbe bastato l'odio che provava per lui a tenerlo lontano, pensò. Ciò nonostante, il cuore prese a batterle più velocemente mentre tornava al suo lavoro. Gio infilò le dita nel collo della camicia nel tentativo di alleviare la sensazione di mancanza d'aria. Allentò appena il nodo della cravatta, sbuffò e abbassò il braccio. Il problema era l'oppressione che gli gravava sul petto, e che non aveva nulla a che fare con la cravatta. Scosse la testa e, per l'ennesima volta, desiderò essere dall'altra parte dell'isola, vestito come sempre in jeans e stivali, in compagnia dei suoi adorati purosangue. Vide gli ospiti riversarsi nella piazza che separava la chiesa dall'albergo. Il rito nuziale doveva essere terminato, dunque il ricevimento stava per iniziare. Aveva sperato di arrivare in ritardo anche per quello. Era lì solo perché sua madre lo aveva supplicato di andare. «Gio, non vedi mai i tuoi fratelli, non vedi mai nessuno dei tuoi parenti» aveva argomentato. «Non puoi isolarti così. Ti prego, vieni.» 12
A stento si era trattenuto dal replicare di non essere affatto interessato a quel tipo di frequentazioni. Ma era stato costretto a reprimere la frustrazione, soprattutto perché il rapporto con sua madre era fragile. Da bambino aveva assistito alle fasi alterne del traballante matrimonio dei genitori, aveva osservato impotente la madre diventare sempre più insicura, e cercare sempre più disperatamente di ottenere l'attenzione del suo infedele marito, ora scomparso. Sfortunatamente l'instabilità psicologica della madre aveva segnato la sua adolescenza, e dunque, anche se l'affetto era sopravvissuto, non esisteva fra loro alcuna intimità. Ora però era adulto e si assumeva la piena responsabilità delle sue azioni. Era inutile rimuginare sul passato. Se sua madre desiderava riunire tutti i figli in occasione del matrimonio del loro cugino, non sarebbe stato poi un sacrificio così grande accontentarla. Così adesso era lì, in piedi ai margini della piazza. Un sorriso amaro gli curvò le labbra. Era rimasto ai margini della famiglia da quando riusciva a ricordare. Il più giovane maschio della dinastia Corretti. Il più giovane del suo nucleo familiare, dominato da due fratelli maggiori che lottavano per la supremazia, e da un padre estremamente esigente. Ovviamente, era stato lui a deluderlo in ogni modo possibile, manifestando fragilità caratteriali inaccettabili per un Corretti. Con determinazione, mise da parte quei ricordi che ancora gli facevano mancare il respiro e incollò al viso la maschera glaciale che ormai da anni esibiva in pubblico. Si passò una mano fra i capelli ribelli, consapevole che forse avrebbe dovuto radersi il viso prima di uscire da casa, poi si avviò verso l'albergo. Valentina guardò attonita le smagliature che le rovina13
vano le calze. E le calze si erano smagliate quando era stata praticamente travolta da Alessandro Corretti, lo sposo. Invece di una coppia felice e sorridente subito dopo il rito nuziale, solo lo sposo aveva fatto irruzione nel grande salone con la furia di un tornado. Lei, con in mano un vassoio pieno di delicati canapè, per caso si era trovata sulla sua strada ed era finita gambe all'aria. Alessandro, inconsapevole del caos che aveva creato, aveva continuato la sua corsa verso l'uscita. Sara era accorsa per aiutarla a recuperare le tartine prima che qualcuno notasse l'accaduto. «Il matrimonio non è stato celebrato» le aveva spiegato. «La sposa è fuggita un attimo prima di arrivare all'altare.» Un crampo le aveva contratto lo stomaco, poi aveva sentito voci e sconcertati sussurri. Gli ospiti stavano per entrare nella sala. Ancora prima di avere la possibilità di riflettere, Carmela era apparsa, il viso tempestoso. «Il matrimonio è stato cancellato, ma il ricevimento si svolgerà ugualmente, sono stata chiara?» l'aveva apostrofata, afferrandola per un braccio. «Ma poiché le persone saranno meno del previsto, non pagherò per un servizio diverso da quello che era stato stabilito.» Valentina aveva impiegato qualche istante per capire il senso di quelle parole. «Ma... ma non è...» «Non ho intenzione di discutere di questo» l'aveva interrotta Carmela. «Ora faccia in modo che gli invitati abbiano il meglio. Che nessuno possa dire che l'ospitalità dei Corretti sia stata meno che perfetta.» Attonita, Valentina aveva obbedito, troppo consapevole dell'influenza che Carmela aveva nella società che contava per opporsi a lei. Ma un forte tremito l'aveva scossa così, per non correre il rischio di versare champagne sull'abito di uno degli invitati, si era ritirata in un angolo e aveva lasciato che i camerieri si prendessero cura di tutto. 14
Non solo Carmela non le avrebbe corrisposto il pattuito, aveva pensato avvilita, ma chi avrebbe assunto un'agenzia di catering collegata allo scandalo di maggiore risonanza dell'anno? Gio prese un'altra coppa di champagne dal vassoio di un cameriere che passava lì accanto. Aveva perso il conto di quante ne aveva già bevute, ma l'alcol stava operando un piacevole effetto anestetizzante sul suo cervello. Aveva appena messo piede nella débâcle del secolo. Era entrato nel salone aspettandosi di trovare la famiglia di suo cugino entusiasta per l'ulteriore potere acquisito con il matrimonio, e invece aveva visto sparuti gruppi di invitati, tutti intenti a commentare con fare eccitato la fuga della sposa. Lo scandalo era di tale risonanza da fargli dimenticare il fastidio che provava al pensiero di interagire con i parenti. Aveva scorto la sua sorellastra, Lia, nata dal primo matrimonio del padre, ma aveva evitato di avvicinarla poiché non era mai stato molto legato a quell'alta, severa donna che era cresciuta nella casa dei nonni dopo la morte della madre. Decidendo di non essere più obbligato a prolungare la sua permanenza, vuotò il bicchiere, lo appoggiò su una mensola, e uscì dallo splendido salone. Si incamminò lungo un corridoio e oltrepassò una stanza dove alcuni musicisti stavano provando i loro strumenti. Gio scosse la testa. Probabilmente nessuno li aveva avvisati del fallimento del matrimonio, ipotizzò, o forse zia Carmela non riteneva che la mancanza della sposa dovesse impedire ai suoi ospiti di ballare fino a notte fonda. Riprese a camminare, ma dopo pochi passi si fermò. Ora era accanto a un'altra stanza, un deposito forse, e con la coda dell'occhio colse la figura di una donna seduta in un angolo, circondata da scatoloni e da sedie impilate l'u15
na sull'altra. Aveva il capo chino, e scintillanti capelli color mogano raccolti in uno chignon. Gambe lunghe e snelle spuntavano da una corta gonna nera. Indossava una giacca scura e una camicia bianca. Le mani erano intrecciate. Quasi la donna avesse percepito il suo sguardo, sollevò la testa. La sensazione di aver già vissuto quel momento fu così violenta da farlo arretrare. No!, pensò Gio. Non poteva essere lei. Non poteva essere lì, in quell'albergo. Ma era sempre presente nei suoi incubi per rivolgergli dolorose accuse in piedi accanto alla bara del fratello. Però quegli occhi da tigre che mandavano lampi erano i suoi, senza dubbio. Avvertì come un'esplosione dentro di sé, conseguenza di un evento che aveva aspettato – e paventato – per sette anni. Il viso di lei sbiancò. Un viso che aveva perso la rotondità tipica dell'adolescenza, diventando bellissimo. Ed era anche più alta di come la ricordasse, notò quando lei si alzò, più snella ma dotata di curve generose. La promessa celata nell'acerbo corpo di ragazzina era stata pienamente rispettata. Tanti pensieri gli affollarono la mente, ma lui li respinse tutti. Non poteva vacillare adesso. Non poteva concedersi quel lusso. Mosse qualche passo verso di lei. «Valentina» esordì. «È bello rivederti.» «Non dovresti essere qui» affermò Valentina in stato di shock. Uno shock che si aggiungeva a quello già subito. Qualcosa di simile a un sorriso gli curvò gli angoli della bocca. «Bene, mio cugino è... era lo sposo» sottolineò Gio, «dunque la mia presenza è ovvia. E invece tu perché sei qui?» Apparentemente il suo cervello aveva smesso di fun16
zionare, ragionò Valentina, perché non riusciva a concentrarsi su altro se non sull'uomo che aveva davanti. «Sono la responsabile del catering» replicò distratta. Era più alto e più massiccio adesso, notò. L'adolescente un po' goffo era sparito per lasciare il posto a un uomo forte, tutto muscoli e forza virile. La giacca dal taglio perfetto enfatizzava l'ampiezza delle spalle. La camicia bianca metteva in risalto il colorito olivastro della pelle. I capelli però erano arruffati come sempre, e gli occhi verdi erano ancora punteggiati da quelle pagliuzze dorate che lei rammentava così bene. Mille ricordi le affollarono la mente. Suo fratello e Gio impegnati in pericolose gare a cavallo o in sella a biciclette da cross, biciclette presto sostituite da potenti moto, affascinati da quelle assurde sfide al pericolo. E poi lei, emozionata nel rivederlo dopo quattro anni, perché Gio aveva trascorso un lungo periodo all'estero, in Francia, dove aveva costruito il suo personale impero economico. Era tornato come un eroe, un milionario che si era fatto da solo, portando con sé la sua scuderia di purosangue dal valore inestimabile. Ma il successo negli affari non aveva avuto nulla a che fare con la sua reazione a lui. Brividi di piacere le avevano increspato la pelle, e poi quella strana sensazione, come di farfalle che svolazzavano nello stomaco, così violenta da farla stare male. Aveva accompagnato il fratello ogni volta che si era recato a far visita a Gio nella nuova casa che quest'ultimo aveva acquistato nei pressi di Siracusa, più che altro un castello, nel cui parco aveva fatto costruire una fattoria, modernissime stalle e ogni attrezzatura per l'allevamento dei cavalli, completo di un ippodromo nelle immediate vicinanze dove ancora ogni anno si organizzava la Corretti Cup, una prestigiosa gara internazionale di galoppo. Una volta Gio l'aveva colta nell'atto di fissarlo, e fiamme di mortificazione le erano salite al volto. 17
Per settimane aveva continuato a ripensare a come lui avesse sostenuto il suo sguardo per lunghi istanti, e poi aveva sorriso, come se fra loro si fosse stabilita una sorta di comunicazione illecita e segreta, una sensazione umiliante ed esaltante nello stesso tempo. Gio le puntò un dito contro. «Cosa hai fra i capelli?» chiese. I ricordi si frantumarono e Valentina tornò al presente. Lui stava indicando il suo orecchio destro. Sollevò la mano e sfiorò qualcosa di umido e molle, un pezzetto di salmone, si rese conto quando abbassò la mano. E a quel punto, la realtà fece irruzione con violenza nella sua mente offuscata. All'improvviso ricordò dove fossero, e chi fosse lui, uno scavezzacollo, un amante del pericolo che aveva influenzato suo fratello al punto da portarlo alla morte. Per qualche istante, si era innescato in lei un innato meccanismo di protezione che aveva cancellato una verità innegabile, cioè che l'uomo che aveva davanti era il responsabile di una giovane vita spezzata, e di sette lunghi, continui anni di sofferenza per lei e per i suoi genitori. E osava rivolgerle la parola, quasi non fosse successo niente! Come se quell'atteggiamento civile potesse cancellare i loro tremendi trascorsi. La rabbia le serpeggiò nelle vene e, a testa ben alta, in mano i resti di quello che era stato un canapè, avanzò di qualche passo. «Fatti da parte, Corretti.» Gio sussultò, quasi avesse ricevuto uno schiaffo in pieno viso. Sussultò come aveva sussultato quel giorno al cimitero, quando lei gli aveva sferrato un pugno. Per pochi, fugaci minuti, si era illuso che il tempo avesse guarito le sue ferite. Si era sbagliato. Quella che riluceva negli occhi di Valentina era una luce di odio, puro e sconfinato. «Ho detto: fatti da parte, Corretti» ripeté lei. 18
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