Hl2 voglia di averti

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Jo Leigh

Voglia di averti


Titoli originali delle edizioni in lingua inglese: Scent of a Woman Sensual Secrets Harlequin Blaze © 2002 Jolie Kramer © 2002 Jolie Kramer Traduzione di Giorgia Lucchi Traduzione di Claudia Cavallaro Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2002 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Temptation luglio 2002 - dicembre 2002 Questa edizione HOTLIT febbraio 2015 Questo volume è stato stampato nel gennaio 2015 da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd) HOTLIT ISSN 2385 - 1899 Periodico mensile n. 2 del 26/02/2015 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 369 del 19/11/2014 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Trentacoste, 7 - 20134 Milano Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano


Profumo di donna


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Inutile illudersi. Comprarsi un paio di scarpe avrebbe migliorato il suo umore per un'ora, forse due. Poi sarebbe sprofondata di nuovo nella depressione. Susan Carrington distolse lo sguardo dalla vetrina e si costrinse ad allontanarsi. Anche se quei sandali rosa con il tacco a spillo sarebbero stati divini con la sua giacca di satin di Dolce & Gabbana. No, aveva fin troppe scarpe. Quel pensiero le rubò un sorriso. Come se fosse possibile possedere troppe scarpe. A ogni modo, nonostante la gioia momentanea che le dava e gli sguardi invidiosi delle sconosciute, un paio di scarpe non le avrebbe impedito di desiderare che le cose andassero diversamente. Che da qualche parte, là a Manhattan, esistesse l'uomo perfetto per lei. Il suo compagno ideale. Non riuscendo a trovarlo, Susan sarebbe stata disposta ad accontentarsi di un uomo forte, incandescente e sessualmente dotato. Era passato molto tempo dall'ultima volta in cui era stata con un uomo, e il suo corpo non era per niente contento. Era tutta la settimana che non riusciva a stare tranquilla. Voleva... qualcosa. Passione, pericolo, eccitazione. Un paio di scarpe non poteva bastare. Le ci voleva proprio un uomo. Forte e intelligente. Qualcuno capace di accenderla come un fiammifero. Non sarebbe stato male se quell'uomo pericoloso si fosse rivelato anche il suo compagno ideale. Dopotutto era solo un sogno, no? Quindi Susan poteva desiderare ciò che voleva. Mentre percorreva la Quinta Avenue, lasciò galoppare 7


l'immaginazione. Riusciva quasi a vederlo. Alto, almeno un metro e ottanta per superare il suo metro e settantadue. Capelli scuri, non biondi, perché una coppia di biondi faceva troppo Barbie e Ken per i suoi gusti. Bello, ma non troppo raffinato. Energico, ma capace di cambiare tutto con un sorriso. Occhi espressivi, mani grandi. E dal momento che si trattava del suo uomo dei sogni... anche ben dotato. Susan attraversò la strada, stupita come sempre dalla quantità di pedoni che affollava il centro. Amava il ritmo di Manhattan. Nessun altro posto al mondo era più vivo di quello, perfino quando la neve sul marciapiede era ormai ridotta a una poltiglia grigiastra, e i tassisti infierivano sui clacson come se ciò potesse cambiare qualcosa. Susan si sentiva a casa, là. Rallentò passando davanti alla vetrina di una libreria. Da quanto non entrava in una libreria? Troppo. Doveva entrare. La musica la fermò appena oltrepassata l'entrata. Lei chiuse gli occhi e ascoltò la composizione, cercando di ricordarne il nome. «Sheherazade» dichiarò infine a mezza voce, compiaciuta. Le era sempre piaciuta la musica di Rimsky Korsakov. Tra i suoi amici, probabilmente solo Peter sarebbe stato in grado d'identificare quel brano. Riaprì gli occhi e si accorse che un giovane la stava fissando. Lui arrossì e distolse lo sguardo. Le era già successo. Tante e tante volte. Quegli sguardi, le bocche spalancate. Inizialmente le era parso magnifico, ma dopo un po' aveva capito che quegli sguardi non erano tanto per lei, quanto per i suoi capelli, l'altezza, il seno, o i tratti del viso. Aveva avuto fortuna nella lotteria genetica di famiglia, ma non voleva essere solo ciò che appariva. S'incamminò verso gli scaffali. La musica la seguì, riportando i suoi pensieri a Sheherazade. La donna che aveva salvato la propria vita raccontando le fiabe delle Mille e una notte. Ali Babà e i quaranta ladroni. Sinbad il Marinaio. Aladino e la lampada magica. Susan sapeva molto bene cos'avrebbe chiesto al genio della lampada. Le sarebbe bastato un solo e unico desiderio. 8


L'amore. Quello vero. Quello che dura per sempre. Sfortunatamente ci sarebbe voluta proprio una lampada magica perché quel desiderio si avverasse. Lei e l'amore non andavano molto d'accordo. Il suo unico tentativo serio era naufragato miseramente, quando Susan aveva scoperto che l'uomo al quale aveva dato il proprio cuore non era minimamente interessato a lei, ma solo al suo denaro. Sospirando, sfogliò un paio di libri, senza riuscire a concentrarsi. Incontrare Katy e Lee a pranzo l'aveva turbata. Le due amiche si erano lamentate di sentirsi terribili e di non vedere l'ora che la gravidanza finisse. Susan aveva riso con loro, ma dentro di lei aveva sentito snodarsi le spire della gelosia. Amava Katy e Lee e i loro mariti, Ben e Trevor. Insieme con Peter erano i suoi migliori amici. La sua famiglia. Si conoscevano dai tempi del college e avevano superato insieme le tribolazioni di lavoro, amore e crepacuore. Tuttavia, dopo che le due donne erano rimaste incinte, lei si era sentita tagliata fuori. Susan aveva cercato di non darlo a vedere, ma detestava la propria situazione. Voleva sentire crescere un bambino dentro di sé. Voleva un marito che l'amasse per lei stessa. Invece di curiosare tra i libri, sarebbe dovuta andare a comprarsi una lampada magica. Vista la sua fortuna con gli uomini, la magia era forse la sua unica speranza. Il dottor David Levinson fissò perplesso la serie di scialli e sciarpe esposta sugli scaffali di fronte a sé. Non sapeva un accidente di abbigliamento femminile. La sua segretaria gli aveva assicurato che sua sorella lo avrebbe adorato se le avesse regalato una sciarpa per il suo compleanno, ma forse un paio di CD e un DVD sarebbero andati bene ugualmente. Si avvicinò e sollevò un foulard di seta, allargandolo per controllarne il decoro. Troppo severo per Karen. Controllò l'etichetta con il prezzo e si affrettò a piegare e riporre l'accessorio. Ottocento dollari per un foulard? Non avrebbe mai creduto che quegli indumenti potessero costare tanto. Non che sua sorella non valesse quella cifra, ma ottocento 9


dollari erano ottocento dollari! Si avvicinò a un altro scaffale. Pashmina. Non ne aveva mai sentito parlare. Gli scialli erano intessuti e sembravano incredibilmente morbidi. Sullo scaffale vicino erano esposti degli scialli di cachemire. Non gli sembrava fossero molto diversi. Gli scialli pashmina, però, erano più costosi. «Chiudi gli occhi.» David trasalì udendo quella voce femminile, vicina, dietro la propria spalla. Fece per girarsi, ma una mano lo fermò. «Coraggio. Chiudi gli occhi.» La voce sembrava morbida come il cachemire. Sensuale come seta. «Non avere paura» gli sussurrò ancora questa voce, tanto vicina che lui sentì un alito caldo sulla nuca. Ubbidì. La sentì muoversi, resistendo alla tentazione di sbirciare dietro di sé. Era alta, quasi quanto lui, a giudicare dal respiro che gli aveva lambito il collo. Qualcosa gli sfiorò la guancia e David sussultò. La mano di lei, sulla sua spalla, lo trattenne ancora. «Non pensare, non analizzare. Concentrati unicamente sulle sensazioni» gli sussurrò lei. Il tessuto gli accarezzò il viso, delicato, soffice, lussureggiante come la pelle dell'interno coscia di una donna. Poi, la carezza s'interruppe. David stava per protestare, quando un tessuto diverso gli toccò fuggevolmente l'altra guancia. Più fresco. Leggermente più grossolano. Un profumo più intenso. Mentre il tessuto gli sfiorava il viso, lui si accorse dell'effetto che quel contatto stava esercitando su un'altra parte del suo corpo. Era eccitato. Tra la sensazione trasmessagli dal tessuto e il mistero della donna alle sue spalle, si sentiva sempre più a disagio. La stoffa fu allontanata. Lui esitò, chiedendosi se ci fosse altro. «Puoi riaprire gli occhi, adesso.» Di nuovo, David ubbidì. Lei era ferma di fronte a lui, gli sorrideva timidamente con labbra perfette. Non si era sbagliato, era alta. Ma la sua immaginazione non sarebbe mai riuscita a prevedere il resto. 10


Capelli biondo chiaro raccolti da un fermaglio color tartaruga. Grandi occhi azzurri sotto sottili sopracciglia arcuate. Stupefacente. «Quale preferisci?» David sbatté le palpebre. «La guancia destra o la sinistra?» Il suo sorriso si allargò, rivelando gli ordinati denti bianchi. «La sinistra» rispose lui. «Il pashmina. La lana viene dalle capre himalaiane, è più leggera e fine del cachemire» spiegò lei, muovendo la mano in cui reggeva uno scialle nero. I pantaloni di David stavano diventando sempre più stretti. Lo sguardo di lei dardeggiò verso la sua mano sinistra, poi tornò a fissarsi sul viso. «Per tua moglie?» «Mia sorella.» «Che pensiero gentile.» «È una brava ragazza.» La donna annuì lentamente, senza mai staccare gli occhi dai suoi. Un gesto inequivocabilmente sensuale, lei sapeva bene quale effetto stesse esercitando il suo sguardo su di lui. «Allora quale sarà?» «Mi scusi?» Lei alzò la mano sinistra. «Pashmina?» Poi alzò la destra. «Oppure cachemire?» «È molto brava nel suo lavoro. Spero per lei che abbia una percentuale sul venduto.» «Io non lavoro qui.» Lo aveva sorpreso di nuovo. Non gli succedeva spesso. Lavorare come psichiatra a New York tendeva a rendere una persona imperturbabile. «Eppure conosce le capre himalaiane.» Lei rise, incrementando il calore che torturava David. Intenzionalmente? Sì. «Sono una fonte inesauribile di dati insignificanti.» Lui tese il braccio e le tolse il pashmina di mano, sfiorandole le dita con le proprie. Errore. La temperatura aumentò improvvisamente, facendolo avvampare. Gli capitava raramente di prendere fuoco. Usò lo scialle per nascondere il 11


proprio imbarazzo. Lei poteva avere intuito di averlo eccitato, ma non era il caso di lasciarle vedere quanto. «Immagino che ne conosca moltissimi, signora.» Lei aprì la bocca per rispondergli, poi si fermò. Lo studiò per un momento carico di consapevolezza. Quindi gli sorrise di nuovo, con una punta di malizia. «Sheherazade.» «Ti chiami davvero Sheherazade?» Lei si strinse nelle spalle e quel movimento attirò l'attenzione di David sullo scialle che indossava. Durante il resto della conversazione, lui non l'aveva nemmeno notato. Era grigio scuro, e David capì senza bisogno di toccarlo che si trattava di un pashmina. Lei non avrebbe mai scelto di meno. «E io, chi dovrei essere? Sinbad? Aladino?» Lei avanzò di un passo, invadendo il suo spazio personale. Ciò non gli dispiacque, pur creandogli qualche problema nel respirare. «Chi vorresti essere?» «In questo momento, potrei voler essere solamente me stesso.» «Ottima risposta.» «E gli amici, come ti chiamano? Sher?» «No, ma se ti piace...» David stava per commentare, quando un dito gli toccò le labbra. Un gesto incredibilmente intimo, da amanti. Non il gesto che si sarebbe potuto aspettare da una sconosciuta. Non da una donna tanto dolorosamente bella. Lei si chinò in avanti, le labbra tanto vicine all'orecchio di David che lui sentì di nuovo il tepore del suo respiro. «Perché non ne parliamo mercoledì sera? Al bar dell'hotel Versailles. Alle otto.» Poi compì un'azione inaudita. Gli morse il lobo dell'orecchio. Solo per un secondo. Fu l'esperienza più erotica che lui avesse mai vissuto. Quando riuscì a espirare, lei se n'era già andata. David si voltò in tempo per vederla uscire dalla boutique. Era successo davvero? Il mercoledì sera, lui cenava sempre in compagnia dei suoi amici Charley e Jane. La coppia gli piaceva, la loro cena in12


sieme rappresentava il punto focale della sua settimana. Non mancava mai all'appuntamento. Si strofinò lo scialle tra le mani. Charley e Jane avrebbero capito. Cinque isolati dopo essere uscita dalla boutique, Susan entrò in una caffetteria e trovò un tavolo libero. Il cuore le aveva pompato nel corpo tanta adrenalina, da poter ricaricare una pila esaurita. Che diavolo le era saltato in mente? Okay, lui era davvero affascinante, ma ciò non bastava per spiegare il suo comportamento scandaloso. A Manhattan si potevano trovare decine di uomini affascinanti. Forse era stata colpa del suo labbro inferiore, pieno al punto giusto. Scandalosamente da baci. Degli occhi. Nocciola con una punta di verde. Occhi da camera da letto. Per non parlare delle splendide mani affusolate. Ma non era proprio lei a voler essere considerata per più delle proprie singole parti? Eppure non aveva appena abbordato un uomo solo perché le era sembrato carino? No. Il suo fascino era un bonus, non la motivazione che l'aveva indotta ad avvicinarlo. Susan non avrebbe saputo definire l'impulso che l'aveva spinta. Appena aveva posato gli occhi su di lui, aveva provato... qualcosa. Una cameriera le si avvicinò per prendere l'ordinazione, poi la lasciò nuovamente sola. Lei estrasse il cellulare dalla borsa e premette il tasto per la chiamata rapida. «Pronto?» «Lee, sono io.» «Ciao.» Susan aprì la bocca per raccontare all'amica che cosa fosse appena successo. Ma non articolò alcun suono. Perché esitava? Raccontava tutto alle sue amiche. Dettagliatamente. Qual era il problema? «Susan? Tutto a posto?» Il tono preoccupato dell'amica la svegliò da quella sorta di trance. «Sì, mi ero solo distratta un attimo. Tu come ti senti?» «Enorme.» «Coraggio, passerà presto.» 13


Lee sospirò. «Quando?» «Tra un paio di mesi.» «Susan, che c'è? Mi sembri diversa dal solito.» «Ho appena ignorato un paio di sandali di Jimmy Choo. Non li ho nemmeno provati.» «Ah. Ora capisco. Sei stata davvero brava. Sono fiera di te.» In quel momento, la cameriera tornò con il caffè ordinato da Susan. «Ti devo salutare, il mio pranzo è arrivato» spiegò lei. «Ci sentiamo più tardi.» Terminata la telefonata, Susan rimase a fissare il cellulare per qualche secondo. Strano. Non aveva mai accampato scuse per interrompere una telefonata con Lee. Tuttavia, non riusciva a smettere di pensare all'uomo con il soprabito color cammello. Alto, snello, spalle ampie, folti capelli castani che le mani di lei avrebbero voluto toccare. Susan si portò la tazza alle labbra, poi sussultò, rischiando di rovesciarne il contenuto sul tavolo. Gli aveva morso un lobo dell'orecchio! Era un perfetto sconosciuto. Non un amante, né tanto meno un amico. E lei lo aveva morso. Lui doveva aver pensato che fosse pazza. Oppure una squillo. A ogni modo, niente di buono. Gli aveva dato appuntamento. Praticamente gli si era offerta su un piatto d'argento. Inconcepibile. Non si sarebbe mai potuta presentare al Versailles il mercoledì seguente. La verità era che il sesso non era la risposta ai suoi problemi. Susan tendeva a confonderlo con l'amore e a uscirne con il cuore a pezzi. L'esperienza avrebbe dovuto insegnarle a evitare un rischio del genere. Era uno sconosciuto. Affascinante, ma pur sempre uno sconosciuto. Sarebbe potuto essere una spia. Oppure un ladro di banche. O un venditore di auto usate. Susan sorrise, pensando al nome che gli aveva detto. Sheherazade. Colpa della musica ascoltata nella libreria. Eppure l'idea di essere qualcun altro aveva il suo fascino. Larry l'avrebbe corteggiata con tanto impegno, se non avesse 14


saputo che lei era l'erede della fortuna dei Carrington? Sicuramente no. La sua eredità aveva decretato la fine di ogni relazione intrapresa da Susan fin dai tempi del college. Perfino quando era stata con uomini facoltosi, il denaro era sempre diventato un problema. Rifuggiva come la peste i party dell'alta società. I suoi amici erano tutti persone normali, fra loro non c'era un solo multimilionario. Ma ciò non aveva importanza. Appena un uomo scopriva chi era Susan, cominciavano i problemi, come se il suo cervello fosse ottenebrato dal denaro. Le uniche persone con le quali lei si sentisse a proprio agio erano i suoi amici. Ma Ben era sposato con Katy e Trevor con Lee, e Peter era gay e aveva già un partner. Nessuna speranza, quindi, di trovare tra loro l'uomo della sua vita. Per la verità, loro avevano cercato di sistemarla, ripetutamente, ma non aveva mai funzionato. A ventisette anni, Susan si considerava senza speranze. Una volta, Lee le aveva chiesto perché, se il denaro le creava davvero tanti problemi, non se ne liberava. Susan le aveva risposto con una battuta e aveva cambiato argomento. La verità era che per lei il denaro era una benedizione e una maledizione allo stesso tempo. Non aveva idea di chi sarebbe stata, senza. E pensarci la spaventava. In fondo, anche i ricchi si sposavano in continuazione. Si sposavano e avevano figli... proprio come il resto della gente. Susan pensò a tutte le coppie ricche e felici che conosceva. Doveva esistere almeno una coppia ricca e felice, no? La cameriera le portò il panino che aveva ordinato. Susan lo mangiò tutto, poi bevve un'altra tazza di caffè, ma non riuscì a trovare una sola unione felice tra i suoi pari. Come se non bastasse, erano relazioni quasi incestuose. Le persone di un certo ceto tendevano a sposarsi sempre con persone della medesima classe. L'uomo nella boutique, invece, era un estraneo. Il che era un bene. Inoltre, lui non aveva idea di chi fosse Susan. Altro lato positivo. Lei sorrise. Perché non sarebbe potuta essere Sheherazade? Almeno per una notte. Forse, come la donna delle Mille e una 15


notte, avrebbe potuto intessere un incanto con la magia di una storia. Insomma, voleva rivederlo. Non le interessava conoscere il suo lavoro. Voleva di nuovo ciò che aveva vissuto in quei pochi minuti all'interno della boutique. Quando lui le aveva sfiorato le dita, Susan si era sentita attraversare da una scossa elettrica. Una vampata puramente sensuale. Forse lui non si sarebbe presentato all'appuntamento. Ma forse sÏ.

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