. Prologo .
Inventarmi di avere un ragazzo non è una novità per me, lo ammetto. Certa gente guarda le vetrine desiderando cose che non potrà mai permettersi. Altri guardano le foto di alberghi di lusso in cui non andranno mai. E altri immaginano di aver incontrato un ragazzo carinissimo quando invece non è così. La prima volta mi è successo in prima media. Heather B., Heather F. e Jessica A. erano le ragazze più popolari della scuola. Si mettevano il lucidalabbra e l’ombretto, avevano diari minuscoli e fighissimi e soprattutto uscivano con i ragazzi. Allora uscire con un ragazzo significava solo che, magari, ti degnava di uno sguardo quando passavi in corridoio, ma comunque 1
era uno status symbol, che io non avevo, insieme all’ombretto. Una volta Heather F. stava guardando il suo uomo, tale Joey Ames, mentre si metteva una rana nei pantaloni per ragioni note solo ai maschi di prima media, e parlava di come, forse, avrebbe rotto con Joey per uscire invece con Jason. Di colpo, senza pensar troppo alle conseguenze, mi sono trovata a dire che anch’io uscivo con qualcuno... un tipo di un’altra città. Le tre ragazze si sono girate verso di me con improvviso interesse, e io ho finito per mettermi a parlare di Tyler, che era carinissimo, intelligente ed educato. Un ragazzo più grande, di ben quattordici anni. In più, la sua famiglia possedeva una fattoria con i cavalli e volevano che scegliessi il nome del nuovo puledrino, che avrei addestrato io stessa in modo che rispondesse soltanto al mio fischio e a quello di nessun altro. Senz’altro ce lo siamo inventate tutte un ragazzo così. Giusto? 2
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Che male c’era a credere – quasi – che in qualche parte del mondo ci fosse un ragazzo come Tyler e i suoi cavalli, a controbilanciare i tipi con le rane nei pantaloni? Era quasi come credere in Dio – eri obbligato, perché in fondo che alternativa c’era? Le altre ragazze se la sono bevuta, mi hanno tempestata di domande e mi hanno guardata con un rispetto tutto nuovo. Heather B. mi ha perfino invitata alla sua festa di compleanno, e io ho accettato volentieri. Ovviamente, a quel punto ero stata costretta a dare la triste notizia che la fattoria di Tyler era bruciata e che la famiglia si era trasferita nell’Oregon, portando con sé il mio puledrino, dall’evocativo nome di “Sole a Mezzanotte”. Forse le due Heather e le altre mie compagne di classe hanno sgamato la verità, ma io mi sono resa conto che non me ne importava. Immaginarmi Tyler era stata... insomma, era stata una figata. Più tardi a quindici anni, quando dalla nostra umile cittadina di Mount Vernon, nello 3
stato di New York, ci siamo trasferiti nel ben più elegante borgo di Avon, nel Connecticut, dove tutte le ragazze avevano i capelli lisci e i denti bianchissimi, io mi sono inventata un altro fidanzatino. Jack, il ragazzo che avevo lasciato a malincuore a Mount Vernon. Ah, quant’era carino (come dimostrava la foto nel mio portafoglio, che avevo ritagliato con cura da un catalogo). Il padre di Jack aveva un magnifico ristorante di nome Le Cirque (e dai, forza, avevo solo quindici anni), e Jack e io facevamo le cose con calma... sì, ci eravamo baciati; in effetti, saremmo andati anche oltre, ma lui era così rispettoso che ci eravamo fermati lì. Volevamo aspettare di essere più grandi. Forse ci saremmo fidanzati quasi ufficialmente, e visto che i suoi mi adoravano, volevano che Jack mi comprasse un anello di Tiffany, non un brillante, ma magari uno zaffiro, come quello di Lady Diana, ma un po’ più piccolo. Mi dispiace dirvelo, ma ho rotto con Jack al secondo anno, in modo da rendermi dispo4
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nibile per i ragazzi del posto. La mia strategia si è però ritorta contro di me... i ragazzi del posto non è che fossero poi tanto interessati. A mia sorella maggiore senz’altro... Margaret veniva a prendermi a scuola qualche volta quando tornava a casa dal college, e i ragazzi restavano a bocca aperta solo a vederla, così bella e di classe. Perfino mia sorella minore, che all’epoca faceva la seconda media, mostrava già i segni che sarebbe diventata una gran bellezza. Mentre io me ne restavo sola come un cane, pentendomi di essermi lasciata con il mio ragazzo inventato, e sentendo la mancanza della gioia che mi dava immaginarmi di piacere a un ragazzo come lui. Poi al college è arrivato Jean-Philippe, che ho inventato per tenere alla larga un ragazzo che mi si era appiccicato come una cozza. Uno specializzando in chimica che, ripensandoci adesso, probabilmente soffriva di un disturbo che gli impediva di capire le mie non troppo velate allusioni. Anziché dirgli chiaro e tondo che non mi 5
piaceva, infatti – mi sembrava troppo crudele – avevo dato istruzioni alla mia compagna di stanza di scrivermi dei messaggi e attaccarmeli alla porta per far vedere a tutti che: “Grace – ha di nuovo chiamato J-P, e ti vuole a Parigi nelle vacanze. Chiamalo tout de suite”. Ah, quanto amavo Jean-Philippe, quanto amavo immaginarmi che un elegantissimo francesino avesse una cotta per me! Che passeggiasse sui ponti di Parigi, guardando con occhi malinconici la Senna, sentendo la mia mancanza e sospirando tutto triste mentre mangiava dei croissant al cioccolato e beveva del buon vino. Eh sì, per secoli ho avuto una cotta per Jean-Philippe, seconda solo al mio amore per Rhett Butler di Via col Vento, che avevo scoperto a tredici anni e che non avevo mai lasciato. Ovviamente alludo al Rhett Butler del libro. Per quanto adori la saga di Via col Vento, che avrò letto almeno una quindicina di volte, non ho mai voluto vedere il tanto osannato film, perché temevo la delusione. E anche se sono l’unica al mondo, continuo con 6
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questa linea di condotta ogni volta che ripassa in televisione. Sì, so essere tenace nelle mie decisioni. In ogni caso, per tutti i miei vent’anni, fino ad arrivare adesso ai trenta, inventarmi un ragazzo è stata una strategia di sopravvivenza. Qualche tempo fa Florence, una delle vecchiette del Villaggio per Anziani Ai prati dorati, mi ha offerto suo nipote alla lezione di ballo in cui collaboro con un mio amico insegnante di danza. «Tesoro, Bertie ti piacerebbe un sacco!» ha cinguettato Florence, mentre cercavo di farla girare a destra durante un cha cha cha. «Posso dargli il tuo numero? È un medico, un podologo per la precisione. Ma ha un problemino. Oggi le ragazze sono troppo pignole, mentre ai miei tempi se avevi trent’anni e non eri ancora sposata, eri praticamente morta. Solo perché Bertie ha un po’ di seno, cosa vuoi che sia? Anche sua madre era bella prosperosa, mamma mia quant’era tettona...» Ed ecco di nuovo spuntare il mio ragazzo immaginario. «Ti ringrazio, Flo... ma esco già 7
con un altro, purtroppo. E non faccio cosÏ solo quando parlo con gli altri, lo ammetto. Uso il ragazzo d’emergenza come... insomma, diciamo come espediente per affrontare meglio la vita. Come per esempio qualche settimana fa, quando mi è scoppiata una gomma sulla superstrada mentre pensavo al mio ex Andrew e alla sua nuova lei. Cercando di non finire fuori strada, come capita sempre quando ti vedi la morte in faccia, mi sono venuti tremila pensieri. Primo, non avevo niente da mettermi al mio funerale. Secondo, se avessero scelto la bara aperta, speravo di non avere i capelli crespi nella morte come li avevo sempre avuti in vita. Le mie sorelle sarebbero state addoloratissime, per non parlare dei miei genitori, almeno quel giorno. E quanto si sarebbe sentito in colpa Andrew! Per tutta la vita avrebbe avuto i rimorsi di coscienza per avermi lasciato. Quando finalmente ho rimesso la macchina 8
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al sicuro sul ciglio della strada, ho cercato di calmarmi e ho preso il cellulare per chiamare il carro attrezzi. Come volevasi dimostrare, in quel tratto il cellulare non prendeva e così sono dovuta ricorrere alla seconda opzione: quella di cambiare io stessa la gomma sotto la pioggerellina di marzo. Che non era tanto pioggerellina, a dire il vero. Per farla breve, sono scesa dalla macchina, mi sono armata di pazienza e, bagnata come un pulcino, rompendomi un’unghia e rovinandomi le scarpe, oltre a sporcarmi di fango e di grasso, ho cambiato la gomma. E si fosse fermato qualcuno ad aiutarmi! Non un’anima. Non uno che abbia anche soltanto frenato. A quel punto, più o meno fiera di me stessa per aver cambiato la gomma da sola, sono risalita in macchina e mi sono rimessa in marcia, non vedendo l’ora di arrivare a casa a farmi un bel bagno, e poi un film in DVD con una cioccolata calda fumante. E invece a casa mi aspettava il disastro. A giudicare dall’evidenza dei fatti, il mio 9
West Highland White Terrier, Angus, aveva vomitato il tacchino andato a male che avevo buttato nel cassonetto davanti a casa mia la sera prima, e che Angus era riuscito chissà come a recuperare rovesciando peraltro anche il cassonetto in questione. Fatto sta che mi sono trovata le pareti della cucina chiazzate di vomito giallo-verde, senza contare una bella scia di cacca sul tappeto orientale color pastello appena uscito dalla tintoria. Il tutto mentre Angus mi guardava con i suoi occhioni tristi agitando colpevole la coda. Insomma, niente bagno, niente film in DVD e niente cioccolata calda. Voi mi chiederete cos’abbia a che fare tutto questo con il ragazzo immaginario. Be’, mentre strofinavo il tappeto e cercavo di preparare psicologicamente Angus alla supposta che mi aveva prescritto il veterinario per le sue coliche, mi sono trovata a immaginare quanto segue. Stavo tornando a casa in macchina e mi è scoppiata una gomma. Al che mi sono fer10
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mata e ho tirato fuori il cellulare dalla borsetta per chiamare il carro attrezzi, ma ovviamente non prendeva. A quel punto, però, una macchina si è fermata accanto alla mia, e un buon samaritano in veste di trentacinquenne alto e slanciato si è avvicinato al mio finestrino. Mi è bastato uno sguardo e ho capito che era l’uomo della mia vita. Ho accettato l’aiuto del buon samaritano in questione, e dieci minuti dopo aver cambiato la gomma con maschia risolutezza, lui mi ha dato il suo biglietto da visita. Wyatt tal dei tali, medico chirurgo, Ospedale Pediatrico bla bla bla. Ah, però. «Mi chiami quando arriva a casa, così so che è andato tutto bene, d’accordo?» mi ha detto il bel dottorino con un gran sorriso mentre mi scriveva sul biglietto da visita il numero di casa sua e io gli lumavo le invitanti fossette e le ciglia lunghe un chilometro. Questa fantasia mi ha aiutato a pulire il vomito con un po’ più di entusiasmo. 11
Ovviamente sapevo benissimo che la gomma non me l’aveva cambiata il bel dottorino gentile. Era solo una pia illusione, ahimè. Non c’era nessun Wyatt – mi è sempre piaciuto questo nome, autorevole e nobile – e purtroppo un ragazzo così sarebbe troppo bello per essere vero. E non sono certo andata a raccontare in giro del pediatra che mi ha cambiato la gomma, certo che no. Me lo sono tenuta per me come strategia di sopravvivenza, come ho già detto prima. Erano anni che non fingevo pubblicamente di avere un ragazzo. Fino a quel venerdì, cioè.
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«E così, con questo semplice atto, Lincoln ha cambiato la storia americana. Se all’epoca era uno dei personaggi più disprezzati, è riuscito invece a salvaguardare l’Unione ed è oggi considerato uno dei più grandi presidenti che il nostro paese abbia mai avuto. E che probabilmente avremo mai...» Mi interruppi di colpo, guardandomi attorno in aula e strabuzzando gli occhi... avevamo appena iniziato la lezione sulla Guerra di Secessione, e quella era la mia classe preferita, ma purtroppo i miei ragazzi dell’ultimo anno erano nel classico coma del venerdì pomeriggio. Tommy Michener, di solito il più bravo e attento della classe, stava guardando con occhi languidi Kerry Blake, che nel frattempo lo snobbava per guardare con 13
occhi languidi Hunter Graystone IV. Il tutto sotto gli occhi languidi di Emma Kirk, una ragazza dolce e carina, che aveva una cotta per Tommy pur sapendo benissimo che era innamorato di Kerry. Peggio di una telenovela brasiliana, insomma. «Allora, chi di voi mi sa dire quali sono state le cause scatenanti della Guerra di Secessione?» domandai alla platea tutta speranzosa. Silenzio di tomba. «Vi do qualche indizio» continuai guardando le loro facce assenti. «Diritti degli stati singoli anziché controllo federale. Unione anziché secessione. Schiavitù o non schiavitù. Vi viene in mente qualcosa?» In quel momento squillò la campanella, e i miei studenti comatosi ripresero immediatamente vita schizzando come razzi fuori dall’aula. Cercai di non prendermela: i ragazzi avevano avuto una settimana davvero dura, fra prove e verifiche, e quella sera c’era un ballo. Li capivo benissimo. Soprattutto perché di solito anch’io non 14
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vedevo l’ora che fosse venerdì pomeriggio per potermene andare a casa a godermi il fine settimana. Ma non quel venerdì. Quel venerdì avrei preferito di gran lunga restarmene a scuola a fare lezioni di danza o a insegnare lacrosse. Anche a pulire i cessi, guarda un po’, piuttosto di fare quello che mi toccava. «Ciao, Grace» mi disse Kiki, la mia amica insegnante d’inglese, entrando nell’aula vuota mentre stavo raccogliendo le mie cose. «Allora, hai trovato un accompagnatore per stasera?» Feci una smorfia di sconforto. «No. per niente, Kiki. E non sarà per niente una cosa carina, te lo dico io.» «Oh, merda» ribatté lei. «Mi dispiace tantissimo, Grace.» «Vabbé, non è poi la fine del mondo, sopravvivrò anche a questo» mormorai facendomi coraggio. «Ne sei sicura?» Come me, Kiki era single. E nessuno sa meglio di una trentenne single quale inferno sia andare a un matrimonio da sole. Di 15
lì a qualche ora quell’antipatica di mia cugina Kitty, che una volta, da ragazzine, mi aveva tagliato tutti i capelli fino alle radici, una notte che dormivo a casa sua, si sarebbe sposata. Per la terza volta. E con un vestito alla Lady D, maledizione a lei. «Oh, guarda, c’è Eric» sbottò Kiki, indicando la finestra sul lato est. «Grazie a Dio!» Eric era il ragazzo che lavava le finestre a scuola ogni autunno e primavera. Anche se eravamo solo ai primi di aprile, il pomeriggio era piuttosto caldo ed Eric era a torso nudo. Ci fece un gran sorriso, ben consapevole della sua maschia bellezza. «Chiedilo a lui!» propose Kiky mentre lo guardavamo ammirate. «Potrebbe accompagnarti lui al matrimonio, sai che figurone faresti!» «Eric è sposato» risposi io, senza staccargli gli occhi di dosso. Mangiarmi un uomo con gli occhi era in pratica la cosa più audace che avevo fatto con un esemplare di sesso maschile negli ultimi tempi. Questo per dirvi come mi ero ridotta. «Sposato felicemente?» 16