HR113_SE MI BACI TI SPOSO

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Susan Andersen

Se mi baci, ti sposo


Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: That Thing Called Love HQN Books © 2012 Susan Andersen Traduzione di Sabina Di Luigi Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved. © 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Romance febbraio 2013 Questo volume è stato stampato nel gennaio 2013 presso la Mondadori Printing S.p.A. stabilimento Nuova Stampa Mondadori - Cles (Tn) HARMONY ROMANCE ISSN 1970 - 9943 Periodico mensile n. 113 dello 08/02/2013 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 72 dello 06/02/2007 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano


Prologo

23 febbraio Razor Bay, Washington «Cavoli, Jenny, se ne andranno mai a casa?» Jennifer Salazar udì in sottofondo la domanda a metà tra l'arrabbiato e il piagnucoloso mentre ascoltava i toni ora alti ora bassi delle conversazioni che provenivano dalla sala da pranzo. Fuori, folate di vento, mugghiando dal Canada, portavano pioggia dalle Olympic Mountains, passando sopra l'acqua per poi infrangersi rumorose contro la veranda della casa stile Craftsman che si ergeva sulla scogliera. Riprendendosi dalla breve pausa che si era concessa per osservare le gocce di pioggia che si rompevano in più parti cadendo sulla lanterna della veranda, Jenny rivolse lo sguardo verso il corridoio. Il tredicenne Austin stava tra lei e le porte d'ingresso alla cucina e alla sala da pranzo. Era ripiegato su se stesso, e le spalle, diventate larghe di recente, apparivano sproporzionate rispetto al resto del corpo, quasi pelle e ossa, nella giacca da adulto dell'abito nero. Con una mossa rapida, Jenny attirò a sé il ragazzo e lo abbracciò. Lui ricambiò l'abbraccio stringendola forte. «Certo che sì» lo rassicurò. «E anche abbastanza presto, immagino, visto come sta cambiando rapidamente il tempo.» Lei si staccò, fissò lo sguardo su quel viso contratto e 5


gli sorrise. «Il fatto è che Emmett era un'istituzione. La gente vuole rendergli omaggio.» Austin era per lei quanto di più vicino ci fosse a un fratello, ma negli ultimi tempi non sapeva più come comportarsi con lui. Stava male a vederlo addolorato mentre cercava di superare la perdita del nonno che l'aveva cresciuto. La morte di Emmett Pierce era arrivata a ridosso di quella della nonna di Austin, la quale aveva preceduto il marito solo di qualche mese, colpendo il ragazzino, da poco tredicenne, con una doppia batosta. Era davvero volubile in quei giorni. Un momento sembrava un ragazzo equilibrato, il momento dopo era triste e arrabbiato. E per il resto del tempo si tratteneva a stento dal lamentarsi di qualsiasi cosa. Emmett e Kathy l'avevano viziato in modo vergognoso, arrivando persino a comprargli, per il suo tredicesimo compleanno, un nuovissimo motoscafo Bayliner Bowrider, una decisione riguardo alla quale Jenny si era detta contraria. «Giuro che il prossimo che mi dice "Povero ragazzo" lo faccio fuori» borbottò Austin. «Maggie Watson, poi, mi ha dato un pizzicotto sulla guancia, neanche avessi quattro anni!» Jenny non sapeva se provare compassione per quella mancanza di sensibilità o ridere per il tono indignato della sua voce. «Forse vogliono solo esprimere il loro cordoglio ma non sanno cosa dire.» «E pensano che io sappia cosa dire? Non so, dovrei rispondere: "Va bene", o chissà cosa, quando mi dicono che il nonno ora è in un posto migliore? Perché non è così. E poi, potrei essere mai contento che queste persone che mi conoscono dalla nascita mi chiamino povero ragazzo? Per non parlare di quando mi chiedono come ci si sente ad averlo perso?» La voce si incrinò, e lui si schiarì la gola con rabbia. «Quello che provo lo so... lo so...» «Lo sai tu e nessun altro» Jenny finì la frase per lui 6


quando si bloccò, facendo col capo un gesto di comprensione. Lei aveva dimestichezza con quel tipo di situazione. Era stata poco più grande di lui quando il mondo le era crollato addosso. «Proprio così» biascicò lui. Scostandosi da lui per dare un po' di tregua al collo, indolenzito dallo stare piegato all'indietro per guardare Austin, Jenny premette le dita sui muscoli contratti della nuca e rivolse al ragazzo un mesto sorriso. «Devo ancora abituarmi al fatto che sei diventato più alto di me. E quanto più alto, poi, ne vogliamo parlare? L'ultima volta che ho controllato, mi superavi di una decina di centimetri. Ma oggi ho le scarpe tacco dieci, e tu sei lo stesso ben più alto di me!» Per la prima volta dalla scomparsa di Emmett, la settimana precedente, Austin le sfoggiò il sorriso di cuore che fino a poco tempo prima era stato la sua espressione fissa; un sorriso ampio e dolce che increspava i suoi occhi verde pallido e gli incideva piccole mezzelune agli angoli della bocca. «Mi spiace dovertelo dire, Jenny, ma i puffi sono molto più alti di te.» «Sentilo!» Lei gli diede uno schiaffetto sul braccio, poi insistette sull'argomento. «E tu, quand'è che sei diventato così, allora? Fino a ieri non eri tanto alto, ci giurerei.» A dire il vero, aveva temuto che il ragazzo potesse rimanere piccolo di statura come lei. Lo sapeva Iddio quanto non fosse affatto entusiasta di ritrovarsi di uno scarso metro e sessantacinque, anche in posizione più dritta possibile, e nella categoria di quelle che dovevano sempre farsi fare l'orlo ai jeans. Non poteva fare a meno di pensare che una statura modesta per un ragazzo sarebbe stata un problema anche maggiore. Ma considerato che Austin sembrava essere cresciuto di altri otto-nove centimetri, nottetempo, Jenny avrebbe forse fatto meglio a preoccuparsi di cose che davvero destavano preoccupazione. 7


Il momentaneo buonumore aveva già abbandonato Austin, che alla domanda di Jenny si limitò a stringersi nelle spalle. «E ora che ne sarà di me, Jenny?» «Be', tanto per cominciare, visto che il testamento di Emmett prevede che tu mi sia dato in affidamento temporaneo, continuerai a vivere con me al villaggio. O, se preferisci...» Jenny esitò un momento, colta dalla sua prima incertezza. «Credo che potrei trasferirmi io qui da te.» «Dio, no!» Austin scosse il capo con fare risoluto. «È stato già abbastanza pesante rimanerci quando è morta la nonna, e in qualche modo eravamo già preparati.» Era vero. L'anziana donna era stata male per un paio d'anni, prima di morire. «Ma ora il nonno...» Austin fece sparire una lacrima con il pugno senza farsi vedere, poi si accigliò quando notò che Jenny se n'era accorta. «Mi sembra di continuare a ritrovarmelo davanti agli occhi ogni volta che mi giro, sai? Preferisco stare da te.» «E allora vada per casa mia.» Anche a Jenny non sarebbe dispiaciuto sfogarsi in un pianto. Kathy ed Emmett le mancavano da morire. Erano stati così buoni con lei, e perderli uno dopo l'altro era stato un doppio colpo al cuore da togliere il fiato. Lei, però, doveva essere forte per Austin. «Sono andata dall'avvocato a parlare dell'affidamento permanente, ma lui vuole aspettare un po'. Esitò, poi ammise: «Sta facendo il possibile per contattare tuo padre». Per quanto avrebbe preferito tenere quell'informazione per sé, Austin aveva il diritto di sapere. La bocca del ragazzo divenne una linea sottile e lo sguardo si indurì. «Come se a lui gliene fregasse qualcosa.» Lei non ebbe la forza di rimproverarlo per il linguaggio, perché in tanti anni che lo conosceva non era mai successo che il padre avesse mostrato nei suoi confronti il benché 8


minimo interesse. In ogni caso... «Pare che stia facendo un servizio fotografico per il National Explorer, da qualche parte. A quanto pare, al momento, sembra che nessuno sappia dove si trovi con precisione, ma il signor Verilla dice che spera di rintracciarlo presto.» «Sicuro, vedrò di trattenere il fiato finché non si presenta.» La voce di Austin risuonava di affilato sarcasmo adolescenziale. Ma lo sguardo aveva assunto quell'espressione ferita che ritornava ogni volta che si tirava in ballo l'argomento di suo padre. E per un attimo interminabile Jenny desiderò di poter mettere le mani addosso all'uomo che negli anni aveva deluso quel ragazzo così tante volte. Non potendolo fare, si concentrò a placcare di Kate Ziegler, quando la donna si affacciò alla porta della cucina, con la sua testa ingrigita, lo sguardo concentrato, gli occhi azzurri, lucidi dal dispiacere per Austin, e disse: «Oh, povero, povero r...». Jenny a grandi passi andò a pararsi davanti a lei con tale autorità che la donna troncò la frase di netto e arretrò allarmata. «Signora Ziegler!» esclamò Jenny con calore, afferrandole il braccio per ricondurla con fare risoluto, attraverso l'ingresso, nell'affollata sala da pranzo. «Volevo proprio complimentarmi con lei per la squisita macedonia di mele Ambrosia che ha portato. Be', se non sbaglio, è stata la prima cosa a finire.» Nel momento in cui la donna si mosse per controllare sul tavolo, Jenny scoccò ad Austin un mezzo sorriso da sopra la spalla. E le si spezzò il cuore nel vedere che lui si sforzava di ricambiare, ma senza risultato.

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Un paio di mesi dopo, Jake Bradshaw arrivò in città all'improvviso, alle tre meno un quarto di un ventoso, assolato pomeriggio di aprile. Non che Jenny stesse lì a prendere appunti, o chissà cosa. Insomma, chi si sognava una cosa del genere? Jenny era tutta impegnata nelle proprie incombenze, stava lavando la finestra sopra il lavandino della cucina e pensando che le imposte del Sand Dollar – il lussuoso cottage al di là del parcheggio che condivideva con il piccolo bungalow di Jenny – avrebbero avuto bisogno di una mano di vernice fresca, quando il campanello suonò. Successe che per caso diede un'occhiata all'orologio. Poi, abbassando lo sguardo su quelli che erano stati una maglietta e un jeans e ora erano due capi logori e strappati, sospirò. Perché nessuno passava mai a trovarla senza preavviso, quando era in tiro? La Legge di Murphy, suppose. Alzando le spalle, accantonò il vecchio strofinaccio che stava usando, mise in pausa l'iPod, si tolse gli auricolari e andò a vedere chi aveva suonato. L'orario di scuola era terminato; avrebbe potuto essere un amico di Austin, ma lui stesso non era ancora rientrato. Quando aprì la porta e vide l'uomo che le stava davanti non seppe più cosa supporre. Gesummaria, come poteva sbagliarsi a volte una donna... Quello non era affatto un 10


ragazzino. Era un perfetto sconosciuto, e non se ne vedevano spesso da quelle parti, in quel periodo dell'anno, diversamente da ciò che succedeva in alta stagione. Ed era un dio. Okay, non proprio. Ma decisamente la cosa migliore scendendo di un gradino. I capelli, che di primo acchito le erano sembrati biondi, erano in realtà di un castano non troppo scuro che era stato schiarito o dal sole o dal lavoro di qualche eccellente parrucchiere di grido. Jenny optò per la prima ipotesi, visto che tutti gli uomini che conosceva si sarebbero fatti castrare piuttosto che farsi sorprendere da Wacka Do con la testa piena di striscioline di carta stagnola. E per quanto non potesse dire in realtà di aver mai conosciuto un autentico metrosexual, era piuttosto sicura che non sarebbe stato quello il primo. Le sue mani abbronzate avevano un aspetto troppo vissuto, la pelle era un po' troppo segnata. Aveva spalle muscolose sotto la bella giacca grigia dal taglio classico, indossata su una felpa con cappuccio di colore verde militare e una maglietta di viscosa grigio argento. E aveva gambe robuste, fasciate da un paio di Levi's con la chiusura a bottoni che doveva avere indossato spesso. Non le riuscì di vedere gli occhi, dietro le lenti scure degli occhiali da sole, ma le labbra erano magnifiche, le più belle che avesse mai visto a un uomo, piene ma ben disegnate. Se fosse stata un'altra, in effetti, avrebbe quasi potuto immaginare quelle labbra mentre le baciav... «La mamma è in casa?» «Stai scherzando?» D'accordo, una risposta non proprio cortese. Però, diamine! Non aveva nemmeno iniziato a immaginare quello che le sue labbra potevano fare, Marvin Gaye aveva appena cominciato a canticchiarle Let's Get It On nella testa, e lui le rivolgeva la parola come se fosse una bambina: era come trascinare via la puntina da un disco di vinile, far scoppiare la bolla di sapone della sua de11


liziosa fantasia, che poi... da dove cavolo era uscita? Dopo lo sguardo sbigottito, lui la osservò un po' più da vicino. Su quelle sue labbra magnifiche si disegnò un vago sorriso. «Oh. Scusa. La corporatura minuta mi ha ingannato, per un attimo. Ma non sei una ragazzina.» «Dici?» Il sorriso si fece appena più ampio. «Non sono il primo a sbagliarmi, mi pare di capire.» Okay, sorella, datti una controllata. Cosa le importava, in fondo? Di solito non sbavava dietro agli sconosciuti. E lavorava nell'accoglienza dall'età di sedici anni, e poi, per carità, non aveva la tendenza a rispondere d'istinto alle persone facendo battute sarcastiche. Se non altro, non con le persone che non conosco. Jenny si scrollò la questione dalla mente con impazienza. Perché anche ammesso che avesse avuto l'abitudine di sbavare o di rispondere d'istinto, quel tipo avrebbe potuto essere un ospite dell'albergo, per quel che ne sapeva. Era il periodo più fiacco della bassa stagione, e perciò si era sentita piuttosto tranquilla a lasciar gestire la reception ad Abby, mentre lei si prendeva eccezionalmente un giorno di riposo. Ma Ab era ancora inesperta, e non serviva un grande sforzo per immaginare la ragazza che tracciava candidamente su una delle mappe del villaggio il percorso per aiutare un perfetto sconosciuto ad arrivare all'alloggio di Jenny, nell'area retrostante l'albergo The Brothers. Jenny si cucì addosso un'espressione cortese. «C'è qualcosa che posso fare per te?» Lui la guardò. «Sì. Mi hanno detto che qui avrei trovato una certa Jenny Salazar.» «L'hai trovata.» «Sono qui per Austin Bradshaw, riguardo alla sua tutela.» Jenny ebbe un sussulto al cuore, ma si limitò a dire: «Non sembri un avvocato». 12


«No, infatti non lo sono. Ma il signor Verilla ha detto che sei tu la persona con la quale devo parlare.» Lei sospirò e si fece indietro. «Allora credo che faresti meglio a entrare. Dovrai scusarmi per il disordine» disse, facendolo accomodare. «Mi hai preso nel bel mezzo del giorno delle pulizie.» Jenny abitava in un cottage impermeabilizzato di meno di sessanta metri quadri, per cui ci vollero in tutto cinque secondi per arrivare al centro del soggiorno. Voltandosi a guardarlo, Jenny vide che si era tolto gli occhiali e stava infilando l'asticella al collo della maglietta. Alzando lo sguardo dalla sua gola abbronzata, Jenny incontrò i suoi occhi per la prima volta. Fu scossa dall'emozione. Oh, Dio. C'era solo un'altra persona al mondo che aveva occhi di un verde così pallido... la stessa gradazione che aveva d'estate l'acqua poco profonda del fiordo, l'Hood Canal. Austin. La rabbia fu immediata e viscerale. E la fece raddrizzare in tutta la sua, si fa per dire, massima altezza. «Fammi indovinare» insinuò lei in tono gelido. «Tu devi essere Jake Bradshaw.» Riguardandolo ora, Jenny non vide più quel viso irresistibile o quell'esagerato sex appeal. Le vennero in mente, invece, tutte le volte in cui Austin aveva creduto che suo padre avesse potuto chiamare da un momento all'altro, o farsi vivo, e la sua delusione enorme ogni volta che, puntualmente, non era successo. Lo sdegno incontenibile le fece contorcere le labbra. «Davvero magnifico da parte tua deciderti finalmente a dedicare a tuo figlio un minuto del tuo prezioso tempo.» Per più di un decennio Jake aveva avuto a che fare con persone di ogni genere. Da molto tempo aveva perfezionato l'arte di lasciarsi scivolare le cose addosso. Eppure, per 13


qualche ragione, quella piccoletta che emanava disprezzo nei suoi confronti gli stava facendo letteralmente saltare i nervi. Non aveva un minimo di senso. Quella donna non superava il metro e un pezzetto, santiddio, e i capelli neri lucidi, raccolti in due trecce da bambina, con lunghi ciuffi che fuoriuscivano da quella di sinistra, non davano proprio la sensazione di un'adulta. Aveva forme poco procaci, carnagione olivastra ma luminosa e occhi di un marrone così scuro da far sembrare il bianco dell'occhio azzurrino. Sopra gli occhi, come due ali spiegate, aveva sopracciglia scure, e il naso era sottile con una gobbetta. All'attaccatura del naso di Jake, invece, le sopracciglia si erano aggrottate. «Chi diavolo pensi di essere, signorina?» Certo, non era proprio quello che intendeva dire. Ma ritrovarsi a Razor Bay, il posto in cui aveva trascorso tutta l'adolescenza progettando di vederlo per l'ultima volta dallo specchietto retrovisore... be', lo faceva sentire nervoso. E poi, dopo un viaggio di trentadue ore dalla penisola di Minahasa, attraverso Davao, Manila, Vancouver e Seattle fino a lì, era così a pezzi da non capire più niente. Per non parlare di quanto fosse teso al pensiero di rivedere suo figlio dopo tutti quegli anni. Di averne tutta la responsabilità per la prima volta. Perciò, va bene, non avrebbe dovuto reagire con tanta stizza al tono dispregiativo di lei, ma possibile che ci fosse ancora qualcun altro che pensava di poter decidere per lui riguardo a suo figlio? Tuttavia, reprimendo i sentimenti negativi che emergevano, cercò di moderare il tono quando le domandò: «Pensi di avere il diritto di giudicarmi... perché?». Lo sapeva il cielo se non si era già giudicato abbastanza da solo. Non c'era bisogno che ci si mettesse anche una mezza cartuccia qualsiasi a condannarlo. 14


La vide incrociare le braccia e alzare il mento. «Be', vediamo» disse lei con freddezza. «Forse perché sono la donna che è stata accanto ad Austin negli ultimi undici anni, e questa è la prima volta che ti vedo.» Jake avrebbe voluto dire a gran voce quanto fosse ingiusta la sua accusa. Ma... aveva proprio torto? Durante quell'interminabile viaggio si era messo più volte la mano sulla coscienza e aveva fatto mea culpa, e doveva ammettere che da molto tempo ormai vedeva i propri doveri di padre sotto un'ottica piuttosto deformata. Ammissione che faceva non tanto per giustificarsi con quella donna, quanto per una semplice questione di orgoglio, per una radicata riluttanza a perorare la propria causa con una sconosciuta. In tutta coscienza, non poteva macchiare la memoria dei nonni di Austin. Non solo sarebbe stato un gesto troppo simile a ciò che avrebbe fatto suo padre – pensare solo a se stesso fregandosene del bene che quel ragazzo aveva voluto alle persone di cui avrebbe parlato male – ma tutto quel dannato esame di coscienza gli aveva fatto capire che aveva sprecato troppi anni a dare la colpa a Emmett e Kathy per avere fatto ciò a cui lui stesso aveva rinunciato. Avevano protetto Austin. E se lo feriva nel profondo che avessero ritenuto necessario proteggerlo da lui... be', sono cavoli tuoi, campione. Quando si era trovato dalle parti di Midway Island aveva lasciato cadere le difese e riconosciuto che erano stati molto più tolleranti con lui di quanto avesse meritato, prima di arrivare ad abbattere la scure su di lui e bandirlo dalla vita di Austin. Ma non era quella la questione fondamentale, almeno non in quel momento. Piuttosto, il punto era che alla fine stava compiendo il passo che avrebbe dovuto compiere molto tempo prima: farsi avanti. E allora, forza. Tuttavia la donna che gli stava di fronte non smetteva di 15


irritarlo. Le si avvicinò, d'istinto. «Resta il fatto che sono il padre di Austin e ora sono qui.» A quanto pareva, non era quello che lei si aspettava di sentire, visto il modo rallentato in cui fece un unico battito di palpebre, abbassando e alzando le lunghe, folte ciglia nere sugli occhi a mandorla. Il gesto durò al massimo un paio di secondi, ma abbastanza perché Jake si accorgesse di trovarsi molto più vicino a lei di quanto non volesse. Si accorse anche del fatto che, battito di ciglia a parte, era completamente ferma. Aveva forse visto che lui covava rabbia? Jake si raddrizzò piano. Per carità. Non poteva aver pensato che stesse per colpirla. Lui arretrò e infilò le mani nelle tasche dei jeans. In quel momento di silenzio, la porta sul retro si spalancò facendo rumore, e dal modo in cui lei si irrigidì, Jake capì subito chi era entrato. Con il cuore che aveva preso a martellargli nel petto, puntò lo sguardo sull'ingresso della cucina. «Ciao, Jenny» salutò una voce maschile dall'altra stanza. «Sono tornato.» Si sentì la porta del frigo aprirsi e poi chiudersi, e il coperchio di qualcosa sbattere su una superficie dura. «Ehi, lasciami un biscotto.» «Faccio a cambio con il cartone di latte» ribatté la voce acerba. «Vedi di usare il bicchiere!» lo mise in guardia Jenny, alzando la voce. «Se trovo tracce di biscotti nel mio latte sei morto, capito?» Si sentì il vetro tintinnare e l'anta della credenza chiudersi. Il silenzio regnò ancora per qualche secondo, prima di essere bruscamente interrotto dal rumore di passi precipitosi. Due ragazzini irruppero dall'ingresso ad arco. Quello che stava davanti era un moretto allampanato che – oh Madonna santa! – aveva la stessa identica corpo16


ratura da tredicenne tutt'ossa e niente carne di Jake a quell'età. Dio mio. La salivazione gli si azzerò, e il suo abituale, totale controllo di tutto ciò che gli stava intorno – affinato da anni di consapevolezza del fatto che altrimenti sarebbe stato morso da un serpente, punto da un insetto o straziato da qualche bestia con più stazza, forza e denti di lui – andò in fumo. L'ambiente piccolo e accogliente intorno a lui, e tutto ciò che conteneva, sparì dalle sue percezioni e non rimase che suo figlio. Suo. Figlio. Inondato da gioia, terrore e una quantità di dolore e rimpianto, Jake continuò a guardare. Un'emozione che non aveva mai provato prima gli pervase il petto, mentre il panico gli serrava lo stomaco. Santo cielo, stava tremando. Non immaginava che gli sarebbe importato così tanto, non si aspettava di esserne stravolto a tal punto. Era quello l'amore? Il pensiero lo ridestò subito. Diavolo, no. Non poteva essere. A: lui era un Bradshaw e la declinazione di amore con la A maiuscola a casa Bradshaw era così andata a male da avere rovinato la reputazione al sentimento. E, B: un uomo doveva conoscere veramente a fondo una persona prima di distribuire quella parola in giro. Jake trasse un respiro profondo. Forse si trattava solo della sorpresa di vedere che si era fatto già così grande. Aveva in testa l'immagine di Austin a due anni, a quattro. Diamine, perfino a sei, l'età che aveva nell'ultima foto che gli aveva spedito Kathy. Ma quello non era più un bambino, era un ometto. Non che Jake non sapesse quanti anni avesse, chiaro. Solo che non aveva in mente un'immagine precisa di lui a quell'età. Già da parecchio tempo si era convinto che stava facen17


do la cosa giusta, che Austin stava meglio con i nonni, in grado di offrirgli la vita stabile e regolare che lui non poteva dargli. E aveva avuto ragione. Però, in quella circostanza – faccia a faccia con ciò che non solo si era lasciato sfuggire dalle mani ma che lui stesso aveva gettato al vento, meditando la decisione a cuor leggero – il rimorso per avere trascurato il figlio si fece dilaniante. Ignaro dei pensieri e dei sentimenti che rischiavano di sommergere Jake, il ragazzino passò davanti a lui per andare dritto da Jenny, senza nemmeno guardare dalla sua parte. «Posso restare a dormire da Nolan?» chiese. «Sua mamma ha detto che va bene.» Rivolse lo sguardo indifferente a Jake, poi di nuovo a Jenny. «Prende le pizze da Bella T, e poi Nolan ha un gioco nuovo per la playstation che vogliamo prov...» A scoppio ritardato, Austin lanciò una rapida occhiata di stupore a Jake, per poi tornare a fissare lo sguardo nei suoi occhi. Si avvicinò a lui, facendogli balzare in gola il cuore già gonfio. Austin si tirò su dritto e il suo viso acerbo assunse l'espressione Sai quanto me ne frega di te. Guardò Jake con gli occhi socchiusi, attraverso le ciglia nerissime. «Chi cavolo sei?» domandò, anche se dal suo sguardo sospettoso chiunque avrebbe capito che lo sapeva. Jake deglutì, sforzandosi di sembrare tranquillo nonostante quella maledetta giostra di emozioni che aveva preso a girargli dentro. D'istinto gli andò incontro: «Tuo padre. Io...». Il ragazzino emise un verso come a dire Risposta sbagliata che bloccò Jake sui suoi passi. «Neanche per sogno! Nel caso non lo sapessi... e credo proprio di no, perché è la prima volta che ti vedo in vita mia, ho tredici anni» disse, ogni parola carica di disprezzo. «Un padre non mi serve e 18


non lo voglio.» Si voltò poi verso Jenny, trafiggendola con lo sguardo pieno di rabbia. «Allora, posso restare a dormire da Nolan, o no?» Jake vide Jenny allungare la mano per fare ad Austin una carezza sulla guancia, e poi ritrarla, controllandosi, ben sapendo che il ragazzo non avrebbe gradito quella palese dimostrazione di affetto. Infine annuì. «Certo.» Senza aggiungere altro – o almeno niente più di una sbirciatina in direzione di Jake – il ragazzino voltò le spalle e sparì dal soggiorno con il suo amico per andare in un'altra stanza. Quando ricomparve, meno di un minuto dopo, si stava infilando uno spazzolino da denti nella tasca dei jeans. Con l'altra mano teneva stretti i pantaloni di un pigiama di flanella. «Ti servono i soldi per la pizza?» domandò Jenny. «No» intervenne l'altro ragazzino. «Ci pensa mia madre.» Continuando a ignorare Jake, Austin andò verso la cucina, con Nolan sempre alle calcagna. «Ehi, aspettate un attimo!» Jake andò verso di loro, ma i due amici avevano già spalancato la porta sul retro per andarsene. Non sapeva se fosse delusione o sollievo la sensazione forte che provò. Di qualunque cosa si trattasse, mancava poco che lo mettesse in ginocchio. Dio santo, si era immaginato quel primo incontro forse un centinaio di volte da quando aveva saputo della morte di Kathy ed Emmett, e prefigurato altrettanti scenari nella mente. Ma nemmeno per un momento aveva previsto quello che era successo. Si era preparato alla rabbia di suo figlio, a una raffica di domande pungenti alle quali magari non avrebbe saputo rispondere in modo convincente. Ma come avrebbe potuto prepararsi a essere del tutto... scaricato? Si voltò verso Jenny. «Scherziamo? L'hai lasciato andare via così?» 19


«Che ti aspettavi?» Il tono di Jenny era freddo, lo sguardo ancora di più. «Austin ha appena scoperto che il suo padre biologico, l'uomo che non è mai stato presente quando lui lo desiderava più di ogni altra cosa, si è finalmente fatto vivo. Non credi che abbia bisogno di un po' di tempo per elaborare la cosa?» Sì. Jake credeva di sì. Austin stesso l'aveva detto: aveva tredici anni, non ne mancavano molti alla maggiore età. Jake aveva perso la sua occasione di fare il padre. No. Raddrizzò le spalle. Al diavolo. Mancavano ben cinque anni prima che diventasse niente più che maggiorenne, il che era ben lontano dall'essere davvero maturo. D'accordo, era arrivato tardi, ma quella era l'occasione per fare la parte dell'uomo che avrebbe dovuto essere. E il primo punto all'ordine del giorno era instaurare un rapporto con suo figlio. Considerata la reazione di Austin, però, ovvio che non sarebbe stato facile. Sì, erano cavoli suoi. Ma lui non aveva paura delle difficoltà. A ogni modo... che razza di sfortuna che sia già grande per regalargli un pony! Scacciò quei pensieri e rivolse l'attenzione a Jenny. «Hai ragione, gli serve tempo per elaborare. Però, voglio essere chiaro. Ho parlato con il mio avvocato e lui sta lavorando per farmi riavere la patria potestà.» «No.» Lei lo fissò come se fosse stato la persona più crudele del mondo. «È così. In questo momento il mio legale sta preparando i documenti. Non devo far altro che firmarli quando rientro a Manhattan. Una volta depositati, Austin starà con chi deve stare. Con me.» Va bene, forse non era stata una mossa proprio astuta dirle ogni cosa; quella donna dava l'idea di poter arrivare addirittura a inscenare un incidente, prima che le cose andassero in porto. Però, in fondo, no. Non era istinto omicida quello nei 20


suoi occhi; sembrava... annichilita. Derelitta. Avvilita. E poiché lui sapeva bene come ci si sentiva, decise di addolcire il tono. «Senti, non ho intenzione di prendere Austin e scappare.» D'accordo, all'inizio, quando aveva saputo che i Pierce erano morti entrambi, la sua idea era stata proprio quella: tornare lì, ordinare ad Austin di fare le valigie e riportarsi il ragazzino nel posto in cui si era rifatto una vita, almeno per la parte dell'anno in cui non si trovava all'estero. Ma non era in quel modo che si sarebbe comportato. Non avrebbe fatto come suo padre. «Non sono qui per sradicarlo di colpo. So che ha bisogno di tempo per adattarsi, per conoscermi.» Jenny si rilassò, visibilmente sollevata, e lui ebbe un senso di fastidio di fronte a quell'empatia con lei che lo induceva a tranquillizzarla. Sarebbe stato meglio per tutte le persone coinvolte che nessuno alimentasse delle false speranze. «Sia ben chiaro» spiegò lui in tono gelido «la mia vita è a New York, ed è lì che andremo a stare. Rimarrò qui per dare tempo a mio figlio di abituarsi all'idea. Intanto, vedrò di capire se c'è qualcosa da fare riguardo alla proprietà di Emmett.» Gli occhi di lei si fecero sospettosi, e lui reagì socchiudendo i propri. «Non pensarlo nemmeno. I soldi di Austin non mi interessano, ne ho già in abbondanza.» «E perché dovrei crederti?» Dio santo! Perché quello sguardo e quel tono gli facevano venire voglia di sovrastarla, di andarle vicinissimo, invadere il suo spazio e vedere poi come se la sarebbe cavata? Fu un po' sconvolto da quell'urgenza, anche perché, davvero, da dove diavolo saltava fuori? Non aveva mai maltrattato o minacciato una donna in vita sua. Intento a guardare quel visetto fiero, perse quasi la pa21


zienza. Wonder Woman tascabile di certo avrebbe chiamato lo sceriffo se lui avesse minimamente dato l'impressione di voler compiere un passo falso. E a ragione, visto che era sola in casa con lui, un estraneo di cui non sapeva quasi nulla, e quel poco che pensava di sapere non lo faceva passare per uno raccomandabile. Oh, quella sarebbe stata proprio la ciliegina sulla torta, se Max, il fratellastro di Jake, si fosse presentato lì ad arrestarlo. Figurarsi se non sarebbe stata una soddisfazione, per quel bastardo, sbatterlo in prigione. Jake respirò a fondo. «Non pretendo che tu mi creda, ma, in nome della correttezza, eccoti accontentata.» Dalla tasca posteriore dei pantaloni tirò fuori il portafogli, ne estrasse un biglietto da visita e lo porse a Jenny. «Questa è la mia assistente. Chiamala, e le dirò di mandarti via fax il mio ultimo estratto conto.» La guardò diritto negli occhi. «Abbiamo problemi veri da affrontare. Che io possa derubare mio figlio non è tra questi.» Lei incrociò le braccia sotto il seno minuto. «Che cosa vuoi da me?» Il tono ragionevole di lei allentò la tensione di Jake. «Si vede benissimo che Austin tiene a te. Voglio che tu faccia da intermediaria tra noi.» Lei gli rise in faccia. «E che cosa mai ti fa pensare che voglia farlo?» «Perché se è vero che sono disposto a restare qui per un paio di mesi, o per il tempo che ci vorrà, affinché lui finisca l'anno scolastico, io e lui alla fine ci trasferiremo a Manhattan.» Si passò le mani tra i capelli. «Lo allontanerò da tutto ciò che gli è familiare, e non mi illudo che la decisione venga accolta con entusiasmo. Se tieni a lui, farai in modo di aiutarlo ad affrontare questo cambiamento. Oppure, puoi continuare ad avere il tuo atteggiamento insensato con me e rendergli tutto più difficile. Sta a te decidere.» Lei lo guardò a lungo. «Va bene. Ci penserò.» Poi ab22


bassò lo sguardo finché i suoi occhi, dietro le ciglia lunghe e folte, non furono altro che due piccoli bagliori color caffè. «Per il bene di Austin» sottolineò. «Qualunque cosa deciderò, non sarà per te.» «Ma va?» mormorò lui, ma tese la mano verso di lei per suggellare l'accordo. Jake avvertì sul palmo della mano le sue dita sottili e calde, poi la stretta decisa. Fu colto di sorpresa dall'energia che quel contatto gli aveva trasmesso. Ma soffocò ogni reazione, neutralizzandola con il suo sorriso beffardo adatto a tutte le occasioni. «Credimi, non ho pensato neanche per un momento che potessi farlo per me.»

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Se mi baci, ti sposo di Susan Andersen Quando Jenny Salazar viene a sapere che l'irresistibile e irresponsabile Jake Bradshaw sta per tornare nella tranquilla Razor Bay, teme due cose. La prima è che Jake voglia portarsi via il figlio, di cui pare essersi ricordato tutto d'un tratto e a cui lei è affezionata come se fosse suo. La seconda è di cedere all'attrazione che prova per lui. E il fatto che l'attrazione sia reciproca non fa altro che rendere più complicata la situazione. Ma Jake, magari, potrebbe scoprire che anche Razor Bay è un buon posto per mettere radici, in fondo casa è dove vive chi amiamo.

Un'eredità a Virgin River di Robyn Carr Clay Tahoma, assunto come assistente alla clinica veterinaria del paese, lo accettano tutti con gioia a parte Lilly Yazhig, che a causa di una brutta esperienza passata reagisce con rifiuto all'attrazione che prova per lui. Intanto su Virgin River piove un'inaspettata eredità, che sulle prime crea un po' di scompiglio. La magia dell'amicizia, dell'amore e del rispetto, che fanno di questo posto tra i monti un paradiso in terra, aiuta come sempre a superare incomprensioni, difficoltà e paure.


Magnolie a mezzanotte di Sherryl Woods Ogni matrimonio ha le sue incomprensioni, anche quando l'amore non viene messo in discussione. Sono passati ormai due anni dall'unione tra Elliott Cruz e Karen Ames e scoprire per caso che il marito ha in progetto di aprire una palestra non è affatto incoraggiante per lei. Anzi, improvvisamente si sente spaventata, sia per il timore di perdere tutto sia per il fatto di essere stata esclusa da una decisione tanto importante. Quando però scopre che la cognata Adelia ha problemi coniugali, i suoi disaccordi con Elliott perdono d'un tratto importanza. L'amore aiuta a superare qualsiasi ostacolo. O no? Soprattutto se si ha il sostegno di amiche sincere.

Il colore del fuoco di Diana Palmer 1902. Noelle Brown ha perso tutto nell'inondazione che ha devastato la sua città, Galveston, ed è stata accolta dalla nonna dell'affascinante e irresistibile Jared Dunn, fratellastro del suo benefattore Andrew Paige. Tra Noelle e Jared si crea subito un forte attrito, che nasconde un'intensa attrazione. Quando Noelle rifiuta l'invito di Andrew a un ballo, con la motivazione di non possedere abiti adeguati, lui scommette di riuscire a trasformarla in una vera dama di società. La rivalità tra i fratellastri aumenta ogni giorno di più, finché, per evitare uno scandalo, Jared impone a Noelle il matrimonio. Finalmente la passione che li tormenta trova libero sfogo, ma il fuoco che li divora alimenta le incomprensioni che rischiano di dividerli.

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Cosa succede quando una stressatissima donna in carriera incontra un muscoloso massaggiatore, esperto di sesso tantrico? Un nuovo irresistibile romanzo della serie SEX 4 THE CITY, le quattro amiche più frizzanti e sexy di tutta Vancuover. Tutte le fan di Sex & the City lo adoreranno.

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