MHAIRI MCFARLANE
Dopo la scorsa notte
Per
Kristy, la cui passione per il look dark e i gatti buffi è pari alla mia.
But I thought in spite of dreams
You'd be sitting somewhere here with me
Being Boring, Pet Shop Boys
Dopo
La scorsa notte tu vivevi ancora.
Mi sveglio con un piccolo sussulto di consapevolezza improvvisa e rimango sdraiata al buio, la mente che arranca per ricomporre la realtà. Non era un incubo – di quelli, ne ho avuti parecchi – era solamente un altro mondo, esattamente come questo, ma con una differenza clamorosa. La tua presenza. La tua presenza, che io da vo per scontata.
In quel posto, stavamo organizzando allegramente una settimana bianca, seduti a un banco di scuola nei pressi di un'autostrada trafficata. Le auto che sfrecciavano rombando facevano tremare il tavolo, ma noi non ce ne preoccupavamo. «Che ne pensi della Svizzera?» mi proponevi. Avevamo dei progetti.
Mi immagino il nostro scambio di messaggi, mi immagino di raccontarti il sogno più tardi, nel corso della mattina, per rendere più divertente il tuo viaggio da pendolare. Mi rispondevi sempre nel giro di pochi minuti.
Haha, tu non andresti mai a sciare, Eve. "Perché dovrei chiamare vacanza un viaggio verso una meta molto fredda, per praticare un qualsiasi sport? Chi guarda una discesa ripida e ghiacciata e pensa: ho trovato, adesso mi metto ai piedi due cosi che mi faranno scivolare giù ancora più velocemente?"
Cavoli, hai ragione! Ovviamente il mio subconscio si sta prendendo gioco di me. E poi: perché i sogni sono sempre così interessanti per chi li fa e così noiosi per tutti gli altri? Forse perché noi siamo tutti contenti di essere riusciti a creare una storia mentre per chiunque altro la trama non è per nulla appassionante?
Sì, ed è doppiamente noiosa quando chi racconta il sogno si meraviglia che sia surreale, come se i sogni seguissero mai una logica. "Stavo fissando la capra ma, oddio, poi mi sono reso conto che la capra ERO IO."
A dire il vero, sembra un sogno piuttosto figo. La metamorfosi in capra batte di gran lunga la settimana bianca.
Uffa, perché non ho camminato quei due minuti in più per andare da Caffè Nero, scansafatiche che non sono altro? Da Starbucks anche il caffè macchiato diventa un milkshake per bambini di una dolcezza nauseante. Ti va una birra dopo il lavoro?
Vada per la birra!
Mi manchi.
Detesto doverti inventare, inserire le tue battute nella sceneggiatura, invece di godermi l'originale. Sono ciò che mia mamma definisce, con una certa acidità – perché sono bravissima a fare il verso al suo secondo marito – un'imitatrice nata.
Ma la facilità con cui riesco a evocarti mi sembra un incubo. Un trucco da salotto, una macabra parodia. È come ballare il valzer con un manichino.
Mi rintano sotto il calduccio delle coperte e ascolto la pioggia picchiettare sul tetto. Ho una personalità abbastanza dark da sapermi godere un bell'acquazzone – a patto di non beccarmelo – e questo è proprio un temporale coi fiocchi: violento, scrosciante, talmente intenso da inzuppare la terra. Si sentono le gocce rimbalzare sulle foglie. Solo gli insonni, i lattai, i reduci dalle discoteche e i turnisti che at-
taccano all'alba sapranno che c'è stato. È un segreto da condividere mentre il resto della città russa.
Il mio cuore manca un battito quando vedo la tenda muoversi. Roger entra dalla finestra e miagola indignato. Qualcuno gli ha rovesciato addosso acqua fredda dal cielo mentre lui se la spassava a cacciare topi.
Alla luce della lampada da comodino che mi hai regalato tu – di ceramica, a forma di fungo velenoso, il tipico fungo velenoso della Disney, con il gambo bianco e la cappella rossa maculata («Gli accessori per la casa pacchiani saranno letali come questo fungo per le tue speranze di trovarti un fidanzato»), vedo Roger accoccolarsi ai piedi del letto, il pelo modellato in creste umidicce.
Una volta qualcuno mi disse che la nascita è la cosa più ordinaria e straordinaria che ci possa capitare, e lo stesso vale per la morte. La tua morte è una verità implacabile, così banale e al tempo stesso disperatamente strana.
Sono giunta alla conclusione che lo sarà per sempre. Il dolore è permanente, bisogna prenderne atto. Ormai fa parte del mio corpo.
Continuo ad aspettare di superarlo. Di andare avanti, di assorbirlo, di accantonarlo, di razionalizzarlo, di elaborarlo. Di lasciarmelo, in qualche modo, alle spalle. E poi cosa succede?, continuo a chiedermi, provando un male allo stomaco come se me lo avessero appena squarciato. Non c'è nessun poi, stupida. È proprio quello il punto. Qualcuno se n'è andato per sempre e devi smettere di sperare che torni. Senza accorgertene, ti sei messa in stand-by, come se l'assenza di quella persona fosse transitoria.
Ecco cosa non sapevo: che ogni perdita porta con sé qualcosa. Un fardello che prima non c'era. Che non ti lasci mai alle spalle, ma ti resta accanto.
Per sempre: nelle promesse nuziali la gente pronuncia queste parole come se sapesse davvero cosa significano, ma il vero per sempre è una fottuta enormità.
Prima
«Stasera vinceremo» sentenzia Ed. «Me lo sento. Lo sto fiutando. L'aria è impregnata dell'odore della nostra vittoria imminente. Respiratelo, puttanelle mie.»
Mima il gesto di annusare l'aria, come il bambino della pubblicità della salsa gravy.
«Sei sicuro che non sia Leonard?» chiede Justin. «Per cena ha mangiato chili con carne. Si è arrampicato sul bancone della cucina e ha ficcato il muso nella pentola prima che potessi fermarlo, quel disgraziato. Da quel momento, emette alitate al profumo di manzo piccante.»
«Forse l'odore della vittoria è identico a quello della carne trita e dei fagioli che transitano per l'apparato digerente di un cagnetto di taglia molto piccola» dico io, mentre Susie fa un verso schifato.
«E comunque, come faremmo a riconoscerne l'odore? Nessuno di noi ha mai conosciuto il successo» aggiungo, rivolgendomi a Ed.
«Parla per te. Il mio medico dice che le mie sono le emorroidi più sporgenti che abbia mai visto in trent'anni di pratica.»
Sghignazzo. (Si tratta di uno schema di battuta ben collaudato, per Ed; sono sicura che nel suo sedere non ci sia niente che non vada.)
D'istinto allungo la mano per accarezzare Leonard, che occupa una seggiola tutta sua, anche se è seduto sul giac-
cone di Justin per proteggere la fodera.
Leonard è un Chorkie – l'incrocio fra un Chihuahua e uno Yorkshire Terrier. Ha due occhietti a capocchia che ti fissano da sotto una ridicola frangetta grigio-bianca, tutta ritta al centro come il taglio di capelli da mod di Paul Weller, orecchie da pipistrello e un ghigno sbilenco che sembra fatto di stuzzicadenti.
Come dice Ed, sembra «un topo da cartone animato mascherato da cane. Un roditore genio del crimine che si è infiltrato fra noi».
Leonard, un onnivoro compulsivo afflitto da un'incontinenza repentina e problematica, è uno dei grandi amori della mia vita. (Gli altri si trovano tutti attorno, e a volte anche sotto, questo tavolo.)
«Ogni settimana dici che vinceremo questo quiz, Ed» sospira Susie, tartassando il sottobicchiere fino a ridurlo in coriandoli di cartone. «E tutte le volte veniamo fottuti dagli stessi cinque tizi in giacca a vento ripiegabile.»
«Hai appena descritto la mia più bella vacanza nel Galles» commenta Justin. Justin è un sedicente «esibizionista molesto e tipico figlio di mezzo smanioso di attenzioni», nonché una delle persone più divertenti che si potrebbero mai incontrare. Ma di certo, non è un campione di finezza.
La voce del presentatore del quiz piomba su di noi, interrompendo la conversazione come se fosse la Voce di Dio: «Domanda numero DIECI. Chi è Michael Owuo? Chi è... Michael Owuo?».
Come sempre, dopo ogni domanda, cala qualche secondo di silenzio.
«È... il deputato laburista della circoscrizione elettorale di Kingston upon Hull East?» sussurra Ed tra il serio e il faceto.
«Dici davvero?» domanda Susie.
«No» sbotto io, alzando gli occhi al cielo, mentre Ed si picchietta la biro sulle labbra e mi strizza l'occhio.
«Voi tre sapete chi è, vero?» s'indigna Justin, reagendo a scoppio ritardato. «UGH. Quindi siamo davvero il cast del remake in versione millennial della sitcom Last of the Summer Wine.»
«Non era il cattivo nell'ultimo James Bond?» chiedo io, al che Ed coglie la palla al balzo.
«Sì! Il Dottor Puoi Ripetere, Prego? Quali erano le sue armi segrete?»
«Aveva degli apparecchi acustici glitterati» affermo. «E un diabolico deambulatore ricoperto di lamé.»
Ed ride. Adoro il suo modo di ridere: parte sempre dalle spalle.
«Okay, chi sta scherzando e chi no?» chiede Susie. «Anche se è ovvio che voi due ci state prendendo per il culo» aggiunge, indicando me e Ed. «Tu sai davvero chi è quel tizio, Justin?»
«È Stormzy» sibila Justin. «Dio mio, come si capisce che avete trentaquattro anni.»
«Anche tu hai trentaquattro anni, Justin» gli fa notare Susie.
«Ci sono trentaquattrenni cool e trentaquattrenni che non sanno chi è Stormzy» risponde Justin, accompagnando le ultime parole con una smorfia da vecchietto rimbambito.
«Uno Stormzy, hai detto?» gli fa Ed, imitando la voce gracchiante di un giudice della Corte Suprema. «Vada per uno Stormzy, qualunque cosa sia» dice, e scrive sul foglio Mr. Storm Zee.
Ed ha delle mani davvero belle, e io ho un debole per le belle mani. Va spesso in bici e sa aggiustare un po' di tutto, e io ormai sono abbastanza matura da apprezzare abilità pratiche di questo genere.
Susie toglie la penna di mano a Ed, cancella quello che ha scritto e scrive Stormzy correttamente.
«I tuoi alunni non ti tengono aggiornato su queste cose?» chiedo a Ed. «Sulle ultime tendenze, nonnetto?»
«Il mio compito è insegnare loro chi fosse Dickens, mentre non è compito loro insegnarmi cazzate.»
Ed è coordinatore del dipartimento di lettere in una ridente scuola gestita dalla contea. Avete presente quando si dice che certa gente ha la faccia da poliziotto? Ed ha la faccia da insegnante – l'insegnante giovane e patinato che si vede nei film o alla televisione – con la sua aria sana e conciliante e i suoi capelli biondo rame tagliati corti. In una si-
tuazione di crisi, fra tanti sconosciuti, il volto gentile e affidabile di Ed è esattamente quello che si vorrebbe vedere. È il tizio pronto a sacrificare la propria cravatta per ricavarne un laccio emostatico improvvisato.
In buona parte, il bello del nostro appuntamento settimanale per la serata quiz al pub è che mette in risalto e definisce i vari ruoli all'interno del nostro quartetto. Io e Ed facciamo i clown; Justin, con il suo humour caustico, funge da arbitro e Susie recita la parte della madre esasperata.
A volte smetto di partecipare alle discussioni solo per fischiettare di gioia fra me e me, godermi questo nostro stare insieme, apprezzare la facilità con cui trasmettiamo tutti la stessa lunghezza d'onda. Ci osservo dall'esterno.
... non ha mica sposato il cantante dei Mumford & Sons? Preferirei diventare una sposa dell'Isis. (Susie)
... questa vodka alla ciliegia che Hester ha comprato al duty free è incredibile, sembra sciroppo per la tosse per bambini. O almeno, così mi dicono i bambini. (Ed)
... era un vero pel di carota. Gli ho detto: lo sai perché la discriminazione contro i rossi di capelli è il pregiudizio meno accettabile? Perché è accettabile. (Justin, naturalmente)
«Ssh» intervengo, mentre vedo il presentatore del quiz sistemarsi gli occhiali da presbite e strizzare gli occhi per leggere da un foglio A4.
«Domanda numero UNDICI. La parola CRONOFAGO viene dal greco antico e indica quella che adesso è un'espressione idiomatica inglese. Ma cosa significa? Vi do un indizio: potrebbe trattarsi di qualcosa che fa il vostro cellulare. Ma giù le mani dai telefoni, hahaha!»
Il presentatore soffia aria dalle narici con tale forza da far frusciare il microfono.
L'espressione dei nostri arcirivali in tenuta da trekking lascia intendere che su questa risposta si sentono molto più preparati che su quella riguardante Mr. Stormzy.
«Crono significa tempo» bisbiglia Ed. «Il cronografo è un tipo di orologio.»
«Cronologico» gli dà manforte Susie. «In ordine di tempo.»
«Fago» dico io. «Mmh. Coprofago è uno che mangia la cacca. Sono abbastanza sicura che copro significhi cacca, quindi fago vuol dire mangiare.»
«Eve!» esclama Susie con una patatina agli scampi già per metà in bocca. «Come diavolo fai a saperlo?»
«Ho vissuto una vita piena.»
«Ho assistito a buona parte di quella vita, quindi so benissimo che non è vero. Piena per un quarto, al massimo.»
«Mangiare il tempo?» ipotizza Justin. «Deve significare mangiare il tempo. È quel che fa il telefono. Tombola. Scrivilo.»
Ed obbedisce.
Veniamo al Gladstone ogni giovedì. Potrei anche dire ogni singolo giovedì, se non fossimo degli ultratrentenni con una vita, un lavoro, altri amici e – in alcuni casi – una dolce metà, quindi a volte saltiamo il giro. Ma le presenze superano nettamente le assenze.
«Domanda numero DODICI, prima di una breve pausa. Cosa hanno in comune Marcus Garvey, Rudyard Kipling, Ernest Hemingway e Alice Cooper? Vi darò un aiutino. Ha qualcosa a che fare con un errore.»
Restiamo a fissarci perplessi. Le Giacche a Vento Ripiegabili si scambiano sussurri concitati invece di scrivere o fare la faccia da saputelli; ciò significa che nemmeno loro ne sono tanto sicuri.
«Un errore nello scegliersi la prima moglie? Cioè, ne hanno tutti avuta più di una?» tenta Ed.
«Ormai non si definisce più un errore la persona da cui si divorzia» obietta Susie.
«Mia mamma lo fa» osservo io.
«Ricordi quando il nostro insegnante di religione ha detto: "Oggi la gente divorzia troppo velocemente" e tu hai risposto: "Secondo me ci mette fin troppo tempo" e ti sei beccata una nota?» chiede Susie, e io sogghigno.
«Ah, eccola!» esclama Ed quando la porta si apre ed entra Hester, la sua ragazza, che subito storce il naso disgustata nel cogliere un lieve sentore di ascella sudata.
Il cuore mi si stringe un tantino, ma io lo ignoro e mi stampo in faccia un sorriso radioso e accogliente.
A essere onesti, il buon vecchio Gladdy a volte è invaso da un certo aroma, forse anche per via del pavimento appiccicoso, ma fa parte del suo fascino. È il tipico pub dove si gioca a freccette, frequentato da irriducibili aficionados.
Io lo adoro tutto l'anno, con il suo patio in cemento e le uscite di sicurezza bloccate da grosse fioriere. Credo che l'intenzione sia stata quella di ricreare una verdeggiante oasi urbana in un cortile che puzza di birra e di fumo. Ma è in autunno e in inverno che il locale dà il meglio di sé, quando fuori dai vetri appannati si scorge un tappeto di foglie coperte di brina e un cielo scuro illuminato di stelle. Mentre da questa parte della finestra regna un'atmosfera decisamente hygge.
Be', quasi sempre.
Hester si è trasferita a Nottingham per Ed, un fatto che lei non esita a rinfacciargli almeno una volta al mese.
Sembra il personaggio di un film a colori capitato per sbaglio in una pellicola neorealista in bianco e nero, con la sua pelle di pesca e i suoi fulgidi capelli biondo champagne. È la versione umana di un Bellini.
Tiene i pugni chiusi affondati nelle tasche del giaccone, un Barbour con il colletto di velluto beige, come il pistolero di un film western che entra nel saloon pronto a sfoderare le armi. Non che Hester mi sia antipatica, per carità...
«Siete già tutti ubriachi?» ci domanda in tono bellicoso. Poi guarda me. «Eve sembra senz'altro ubriaca.»
Oh, ma che senso ha fingere? Hester mi sta proprio antipatica.
«Ripeto la domanda in caso qualcuno non l'abbia sentita!
Cosa hanno in comune Marcus Garvey, Rudyard Kipling, Ernest Hemingway e Alice Cooper? Riguarda un errore. Un errore. Uno sbaglio. A tra poco!»
«Hemingway fu coinvolto in un incidente aereo, forse è capitato anche agli altri?» sussurro.
«Non è un po' azzardato definire un incidente aereo un errore?» replica Ed sempre sottovoce. Mi stringo nelle spalle e annuisco per dargli ragione.
«E Rudyard Kipling è vissuto un po' troppo tempo fa per
aver viaggiato in aereo, no?» osserva Justin. «Non ce lo vedo a registrare una storia su Instagram mentre sorseggia un Prosecco nel bar dell'aeroporto.»
Mima il gesto di scattare una foto alla sua pinta di birra e Susie ridacchia.
«Hanno tutti ricevuto per errore un premio che poi è stato ritirato» afferma Hester lasciandosi scivolare il soprabito giù dalle spalle. «Dov'è la biro?»
Justin fa una faccia scettica mentre Ed le consegna la penna, sforzandosi di assumere un'espressione convincentemente neutrale. Il suo senso dell'umorismo non evapora proprio del tutto in presenza di Hester, però il suo atteggiamento diventa formale e leggermente ossequioso.
Stasera Hester ci ha raggiunto tardi perché è andata a mangiare tapas con le amiche e, comprensibilmente, visto che le altre hanno tutte un paio di figli a testa, l'uscita si è conclusa entro le nove. E comunque Hester si unisce a noi per la serata quiz del Gladdy solo saltuariamente. «A volte diventa stancante, con tutte quelle vostre battutine in codice che mi fanno sentire esclusa» sostiene. Anche se, come ragazza di Ed, ci conosce tutti da così tanto tempo che dubito ci sia ancora qualcosa da cui possa sentirsi esclusa.
«Ne sei sicura?» le chiede Susie.
«Sì, ne sono sicura» ribatte Hester. Il che in pratica equivale a dire: hai forse una proposta migliore?
«Sei sicura sicura o sicura nel senso che ti sei scolata quattro Prosecchi e non abbiamo una risposta migliore?» insiste Susie, con un sorriso da regina cattiva che brandisce una mela rossa.
Sa sfidare Hester in un modo che io non oserei mai fare. Susie sfida quasi tutti. E quasi tutti non osano tenerle testa.
Susie ha folti capelli biondo-castano che porta legati in una lunga coda di cavallo o raccolti con una sciarpa come Barbra Streisand in un film degli anni Settanta. Ha la bocca carnosa, con un labbro superiore pronunciato che sembra virare verso l'alto per effetto del suo naso all'insù.
«Che premio ha ricevuto Marcus Garvey?» domanda Justin.
«Sedere dell'Anno?» ipotizzo io, strappando una risata a
Ed. Hester non la prende affatto bene, lo so.
«Okay, allora non datemi retta!» esclama Hester. «Scusate tanto per aver provato a partecipare.»
«No, no! Va bene! Credo che tu abbia ragione» si affretta a dirle Ed. «E comunque nessuno ha una risposta migliore. Scrivila.»
Ho grande rispetto per la galanteria con cui Ed interviene sempre in difesa di Hester, anche se vorrei tanto che lo facesse per qualcuno di più meritevole.
Hester scribacchia la risposta mentre io, Justin e Susie evitiamo di guardarci.
«Un altro giro? Voi cosa prendete?» chiede Justin alzandosi per andare al bar.
Io devo andare in bagno e, dopo aver tirato lo sciacquone, mi accorgo che Susie mi ha mandato un SMS. (Non un messaggio su WhatsApp, perché c'è il rischio che compaia sulla schermata di blocco. Che mossa astuta.)
Quando lo apro, vedo che lo ha mandato a me e a Justin. Mi immagino benissimo il loro schema di triangolazione, là fuori, con Justin che guarda il cellulare con aria incurante mentre aspetta che lo servano e Susie che finge di controllare la posta girandosi leggermente per nascondere alla coppietta lo schermo del telefono.
Susie: PERCHÉ DEVE SEMPRE FARE LA STRONZA ARROGANTE?
Justin: Tesoro mio, con quelle tette strepitose riesce a farsi perdonare tutto
Susie: Anche io ho delle belle tette, eppure la mia personalità non ne risente. Quella risposta è COSÌ PALESEMENTE SBAGLIATA. E perché Ed fa tanto il mollaccione? Oh, sì, scrivi pure quella gran cazzata, mio piccolo, adorabile fagottino velenoso. BLEAH
Justin: Ripeto, è per via delle tette
Eve: I fagottini avvelenati
Susie: Scommetto che lo sa che la risposta è sbagliata e lo fa apposta per fregarci
Mi appoggio alla parete del gabinetto, piacevolmente fresca, e mi metto a digitare con un sogghigno sulle labbra. Essendo lucidamente innamorata della dolce metà di Hester da quasi un ventennio, non riesco mai a capire fino a che punto la mia antipatia sia pura e semplice invidia. Susie e Justin mi rassicurano continuamente – e inavvertitamente, visto che ne sono del tutto all'oscuro – del fatto che l'avrei trovata antipatica comunque. Spesso, quando si parla di Hester, recito apposta la parte del poliziotto buono, tanto per gettare fumo negli occhi a tutti.
Eve: Aspetta, magari ha ragione lei e ci darà una bella lezione
Susie: Non ha ragione, non sa nemmeno chi fosse Marcus Garvey, si capiva benissimo quando Justin l'ha messa all'angolo
Justin: Probabilmente crede che abbia vinto il premio per Miglior Video ai Grammy del 2007
Susie: Haha. E ci tengo a farvi notare che il suggerimento di Eve non è stato nemmeno considerato, ma lei non se l'è mica presa
Eve: Significa forse che i miei seni hanno qualcosa che non va?
Susie: Significa solo che non li usi per compensare un'immensa stronzaggine
Justin: Sigh. Non ci resta che sbronzarci
LA FINE DEL TEMPO di Paullina Simons
Julian ha perso quello che ha sempre amato ed è ormai quasi fuori dal tempo. La sua vita e la sua lotta contro il destino gli offrono un'ultima occasione di fare l'impossibile e salvare la donna a cui è indissolubilmente legato. Insieme, Julian e Josephine combattono contro un'implacabile forza oscura che minaccia di distruggerli. Sarà una lotta che porterà via loro tutto ciò che sono e tutto ciò che hanno, mentre cercano ancora una volta di restituirsi reciprocamente le loro vite. Il tempo sembra esaurirsi per i due amanti, ma Julian è disposto a qualunque cosa per Josephine...
DOPO LA SCORSA NOTTE di Mhairi McFarlane
Eve, Justin, Susie e Ed sono amici da quando avevano diciotto anni. Ora ne hanno trenta, sono uniti come allora, la serata quiz del giovedì sera resta intoccabile e Eve è ancora segretamente innamorata di Ed. Ormai avrebbe dovuto andare avanti, ma non riesce a smettere di chiedersi come sarebbe potuta andare. E sa che anche Ed a volte ci pensa. Poi, una notte, in un solo istante, le loro vite cambiano per sempre. E mentre Eve scopre di non conoscere i suoi amici quanto pensava, scopre anche di non essere l'unica ad avere segreti...