SUSAN WIGGS
IL PROFUMO DELLE MELE ROSSE traduzione di Fabio Pacini
ISBN 978-88-6905-002-2 Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: The Apple Orchard Mira Books © 2013 Susan Wiggs Traduzione di Fabio Pacini Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Romance ottobre 2013 Questa edizione HM marzo 2015
Il profumo delle mele rosse
Parte I Sostenetemi con focacce d’uva passa, rinfrancatemi con i pomi, perché io sono malata d’amore. Cantico di Salomone, 2:5
Le mele sono iconiche e trasmettono così tanto... un senso di casa e di completezza, salute, saggezza, bellezza, semplicità, sensualità, seduzione... e peccato. Le mele Gravenstein provengono dalla zona di Grasten, nello Jutland meridionale, in Danimarca. Il loro colore varia dal giallo-verde al cremisi. Hanno un sapore aspro, che le rende perfette per essere cotte e per fare il sidro. Si tratta di una varietà effimera, che non si mantiene bene, ragion per cui andrebbe gustata fresca, direttamente dall’albero.
Prologo
Archangel, California L'aria profumava di mele e il frutteto risuonava del ronzio delle api che aleggiavano sulle casse dei frutti già raccolti. Gli alberi, in condizioni perfette, attendevano l'arrivo degli operai. I rami erano stati potati in modo da offrire facili punti di appoggio per le scale, le ultime fastidiose marmotte erano state intrappolate e portate via, le stradine tra i tronchi lisciate per evitare che i frutti venissero sballottati durante il trasporto. Una fredda foschia gravava sulla valle, ma il sole, già maturo sul profilo delle colline a oriente, prometteva bel tempo e temperature gradevoli. I raccoglitori sarebbero stati lì a momenti. Magnus Johansen salì in cima alla scala, sentendosi solido come un giovane con un quarto dei suoi anni. Isabel lo avrebbe sgridato se lo avesse visto; sua nipote gli avrebbe detto che solo a un vecchio ostinato come lui poteva venire in mente di cominciare a lavorare da solo, senza aspettare gli altri. Ma Magnus amava quella prima solitudine; gli piaceva la sensazione di avere il frutteto tutto per sé nel profondo silenzio dell'alba. Era entrato nell'ottava decade della sua vita; Dio solo sapeva quanti raccolti gli restavano da vedere. Isabel si preoccupava troppo per lui in quel periodo. Gli stava sempre addosso, come un'ape ope9
raia sugli alberi della seta che circondavano il frutteto. Non aveva motivo di crucciarsi in quel modo. Avrebbe dovuto sapere che suo nonno era già sopravvissuto a quanto di meglio e di peggio la vita aveva da offrire. A voler essere sinceri, però, era lui a preoccuparsi per Isabel molto più del contrario. Erano le cose che lei non sapeva a pesargli sulla coscienza quella mattina. Non poteva tenerla all'oscuro per sempre. La lettera che riposava sul ripiano della scrivania del suo studio aveva confermato le sue più pessimistiche previsioni... a meno di un miracolo, l'intera Bella Vista con annessi e connessi sarebbe andata persa. Magnus fece quanto in suo potere per tenere a distanza i problemi che lo angustiavano. Si era svegliato molto presto e, sapendo che quello era il giorno, aveva bevuto in fretta e furia il caffè. Nel corso degli anni, aveva imparato a riconoscere il momento della completa maturazione dei frutti. Se si coglievano troppo presto, si incontravano delle difficoltà a staccare le mele dai rami, troppo tardi, e c'era il rischio di ritrovarsi tra le mani dei frutti senescenti, più inclini a deteriorarsi. A volte, la mattina, si sentiva anche lui senescente, giù, fino nel midollo. Non quel giorno, però. Lui era infatti pieno di energia e i suoi frutti avevano raggiunto l'apice della perfezione. Ovviamente, aveva eseguito il test dell'amido iodato, ma, ancora più importante, aveva affondato i denti in una mela, riconoscendo dalla consistenza e dalla dolcezza della polpa che era giunto il momento fatidico. Nei giorni a venire, il frutteto si sarebbe trasformato in un alveare e le sue mele sarebbero partite verso i mercati di tutto il paese dentro le 10
cassette contrassegnate con l'etichetta della Azienda Agricola Bella Vista. Un trio di lucide Gravenstein rosso cremisi pendeva da un ramo sporgente sopra la sua testa. Di solito, i rami difficili da raggiungere venivano potati, ma quello era stato lasciato perché si capiva che sarebbe stato produttivo. Ben consapevole di quel che faceva, lui allungò il braccio al massimo della portata e le colse, facendole cadere nel cesto. Al giorno d'oggi, la maggioranza dei raccoglitori si serviva di lunghi sacchi che permettevano di lavorare con entrambe le mani, ma Magnus era della vecchia scuola. Anzi, era vecchio e basta. Tuttavia, la terra continuava a sostenerlo. C'era qualcosa, nel ritmo delle stagioni, nel rigoglio primaverile, che lo manteneva vigoroso come un uomo molto più giovane. Aveva molto per cui essere grato. Anche molto da rimpiangere. Quando cercò di afferrare le mele rimaste sul ramo, la scala oscillò leggermente. Lui colse al volo il monito e scese, abbandonandole agli spigolatori. Mentre spostava la scala su un altro albero, sentì il ronzio frenetico di un'ape in difficoltà tra gli alberi della seta. Le operaie, avide dell'abbondante nettare delle folte infiorescenze, restavano sovente intrappolate fra i petali. Gli agricoltori moderni preferivano sradicare gli alberi della seta, Magnus invece li lasciava prosperare ai confini del frutteto, creando un habitat ideale per api e farfalle, maggiolini e fringuelli. Mosso da un impulso caritatevole, liberò l'insetto inferocito dall'appiccicosa lanugine, sparpagliando in giro una manciata di semi che presero subito il vento, sorretti dai loro delicati paracadute bianchi. Ignara del fatto che tutta quella dol11
cezza poteva essere letale, l'ape tornò a tuffarsi nella siepe e ricominciò a suggere il nettare, resa avventata dalla fame. Magnus scrollò filosoficamente le spalle e passò oltre. Quando la natura attirava una delle sue creature servendosi della dolcezza, non c'era niente da fare. Mise in posizione la scala, incastrandola fra due rami, e si arrampicò fino a raggiungere un'alta forcella. Là, la testa che spuntava dalla chioma verde, si beò della gloria del mattino... la fragranza dell'aria, la qualità della luce che filtrava attraverso la nebbia, i contorni della terra e la distante fascia scura dell'oceano. Venne sommerso da un'ondata di ricordi che generarono un senso di nostalgia nel suo animo. Come se fosse il giorno prima, vide Eva china sui tini colmi di frutta, che lo guardava sorridendo mentre supervisionava il processo del raccolto... la sua sposa di guerra, felice di cominciare una nuova vita in America con lui. Avevano costruito Bella Vista insieme. Era davvero un peccato che la banca fosse in procinto di portarsela via. A dispetto dei successi e delle tragedie, dei segreti e delle menzogne, Magnus era stato ricoperto di benedizioni. Aveva vissuto insieme alla donna che amava, il che era molto più di quanto fosse stato concesso a tanti poveri disgraziati. Grazie ai loro sforzi congiunti, si erano creati un universo in miniatura, trascorrendo le loro giornate immersi nella natura, mangiando fette di pane fatto in casa sulle quali avevano spalmato il miele dei loro alveari, condividendo tutta quell'abbondanza con lavoranti e vicini... Eppure, la sua buona sorte aveva avuto un costo e il bilancio finale sarebbe stato tratto da un potere più grande di lui. Un cinguettio artificiale disturbò la quiete del 12
mattino. Isabel gli aveva comprato un cellulare, insistendo affinché lo portasse sempre con sé. Grazie a Dio, era un modello semplice, che permetteva di effettuare e ricevere chiamate, ma privo di tutte le altre funzioni che sarebbero servite soltanto a confonderlo. Mentre lo tirava fuori dal taschino della camicia di flanella, la scala oscillò di nuovo. Sullo schermo era apparso un numero che non conosceva. «Qui Magnus» disse come faceva sempre. «Sono Annelise.» Il suo cuore perse un colpo. Era la voce sottile di una persona anziana, ma, oh, così familiare, a dispetto del tempo che era passato dall'ultima volta che l'aveva sentita. Dietro il lieve tremito dell'età, lui riconobbe una donna molto più giovane, che aveva amato tantissimo, anche se in modo diverso rispetto a Eva. Le sue dita si serrarono sul telefono. «Come diavolo hai trovato questo numero?» «Presumo che tu abbia ricevuto la mia lettera» disse lei, scivolando senza rendersene conto nella loro lingua natale. «L'ho ricevuta, sì, e credo tu abbia perfettamente ragione» disse lui, lottando contro l'angoscia che gli serrava lo stomaco. «È giunto il momento di svelare tutto.» «Lo hai fatto?» chiese lei. «Non ancora, però... sai, Isabel è... non mi va di turbarla.» La sua Isabel... così preziosa e fragile, così danneggiata dalla vita in tenera età. «E a Theresa non pensi? È anche lei tua nipote. Preferisci che lo venga a sapere da te, oppure da uno sconosciuto? Gli anni passano e noi non diventiamo più giovani. Se non ti decidi, lo farò io.» 13
«Va bene, va bene.» Lui odiò il cellulare, quel piccolo intruso elettronico capace di incupire perfino la più meravigliosa delle giornate. «Me ne occuperò io. Come ho sempre fatto. E se in virtù di qualche miracolo loro dovessero perdonarci...» «Certo che ci perdoneranno. Non smettere mai di sperare nei miracoli, Magnus. Tu dovresti saperlo meglio di tutti.» «Non chiamarmi più» disse lui, il cuore che gli palpitava nel petto. «Per favore, non chiamarmi qui.» Troncò la comunicazione e mise via il telefono. Si era alzato il vento, la foschia cominciava a diradarsi e il profumo delle mele era diventato ancora più intenso. In alto, sopra la sua testa, una coppia di falchi roteava lentamente nel cielo. Uno di essi si lasciò sfuggire un richiamo lamentoso. D'istinto, senza riflettere, Magnus allungò la mano verso un'altra mela, una bellezza succosa che penzolava da un ramo alla sua sinistra, talmente lucida che poteva vedersi riflesso nella sua guancia giallo pallido.Il movimento sbilanciò la scala. Tentò di aggrapparsi a un ramo, ma mancò la presa e poi non ci fu nulla a reggerlo all'infuori dell'aria nebbiosa. A dispetto della brutale rapidità dell'incidente, Magnus sperimentò un istante di assoluta consapevolezza, come se la cosa stesse accadendo a un altro. Non ebbe paura... era troppo vecchio per perdere tempo con quel genere di emozioni e la vita gli aveva insegnato molto presto che paura e felicità non potevano coesistere.
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Parte II Milioni videro la mela cadere, ma Newton fu l’unico a chiedersi perchÊ. Bernard M. Baruch
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San Francisco Tess Delaney aveva una lista di cose da fare lunga un chilometro. Clienti in trepida attesa di sue notizie, colleghi in trepida attesa di un suo rapporto, per non parlare dell'incontro decisivo con il suo capo, il mitico signor Sheffield. L'ansia montava, ma lei la tenne a bada e si concentrò sul compito che doveva portare a termine in quel momento... restituire un tesoro alla sua legittima proprietaria. La sua missione la condusse in un piccolo appartamento stracolmo di oggetti in Alamo Square. La signorina Annelise Winther, ancora zitella a ottant'anni suonati, la fece accomodare in un grazioso salottino con le tende di pizzo alle finestre, dominato da due grandi poltrone un po' consumate e dallo stuzzicante aroma di qualcosa che cuoceva nel forno. Tess non perse tempo nel presentarle il tesoro. Le mani della signorina Winther, deformate dall'artrite, tremarono leggermente mentre prendeva l'antico pendente. Sotto lo scialle rosa lavorato all'uncinetto, le sue spalle ebbero un sussulto. «Questa collana apparteneva a mia madre» disse con voce ispessita dall'emozione. «Non la vedevo dalla primavera del 1941.» Sollevò lo sguardo 17
su Tess, seduta davanti a lei su un divanetto. Gli occhi della donna erano pieni di storie che rilucevano come facce di un diamante. «E lei me l'ha restituita. Non ho parole per ringraziarla.» «Per me è un piacere» disse Tess. «Momenti come questo... sono la parte migliore del mio lavoro.» Il senso di orgoglio e la consapevolezza di aver riannodato fili da tempo spezzati la aiutarono a ignorare l'insistente ronzio del cellulare, che segnalava l'arrivo dell'ennesimo messaggio.Annelise Winther era il tipo di cliente che Tess preferiva. Per nulla pretenziosa, di mezzi modesti, almeno a giudicare dalle condizioni del suo appartamento, situato in un'irregolare palazzina vittoriana che aveva sicuramente visto giorni migliori. Due gatti, che la donna le aveva presentato come Golden e Prince, sonnecchiavano sul davanzale di una finestra baciata dal sole di quel caldo pomeriggio autunnale. Alla parete, protetto da un vetro, era appeso un rettangolo di stoffa sulla quale era stato ricamato il motto Vivi il giorno. La signorina Winther si tolse gli occhiali, li pulì e li inforcò di nuovo. Lanciando un'altra occhiata al biglietto da visita di Tess, lesse: «Tess Delaney, Specialista in Ricerche e Autenticazioni, Casa d'Aste Sheffield. Be', signorina Delaney, sono molto contenta che lei sia riuscita a trovare anche me. Ha fatto un ottimo lavoro». La sua voce aveva un vago accento. «Ho visto lo speciale che History Channel ha dedicato al Museo di Cracovia. Il mese scorso lei ha ricevuto un premio in Polonia.» «Ha visto quel programma?» chiese Tess, sorpresa dal fatto che l'avesse riconosciuta. «Oh, sì. Le hanno consegnato un premio per il recupero del rosario della Regina Maria Le18
szczynska. Era stato rubato dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale e da allora non se ne sapeva più nulla.» «Be', è stata... una bella soddisfazione.» Tess si era sentita enormemente fiera di se stessa quella sera. Unico neo, il fatto che nessuno fosse stato lì a condividere il suo trionfo. Sua madre aveva promesso di venire, ma all'ultimo secondo aveva cancellato il viaggio e alla fine Tess era stata costretta ad accettare la pergamena da un ministro della cultura con le mani sudaticce davanti a una troupe televisiva. «Non appena ho visto la sua faccia, ho sentito che era la persona che faceva al caso mio. Se c'era qualcuno in grado di ritrovare il mio tesoro, questa era lei.» Le parole della signorina Winther avevano un che di sconcertante. «Sono felice che la mia previsione si sia avverata. Avevo richiesto specificatamente lei.» «Perché?» Ci fu una pausa. Il viso dell'anziana signora si ammorbidì. Forse aveva perso il filo dei pensieri. Poi disse: «Perché lei è la migliore. Ho ragione, vero?». «Be', diciamo che ci provo» si schermì Tess. Era una conversazione un po' strana, ma, in quel lavoro, non era raro imbattersi in personaggi bizzarri. «La sua collana era in un lotto di oggetti risalenti alla Seconda Guerra.» Ne aveva recuperati una quarantina, tra gioielli, pezzi d'arte e da collezione, ma buona parte di essi era rimasta in una specie di limbo, i proprietari originari defunti da tempo. Lei cercò di non pensare al terribile senso di violazione che così tante famiglie avevano subito a causa dei soldati nazisti che avevano invaso le lo19
ro case, saccheggiato i loro tesori e probabilmente mandato molti dei loro cari a morire nei campi di concentramento. Recuperare tesori perduti poteva sembrare un'attività insignificante, ma l'espressione del viso della signorina Winther era già una ricompensa.«Lei ha compiuto un vero e proprio miracolo» disse. «Proprio stamattina, parlando al telefono con un amico, gli ho detto che non si è mai troppo vecchi per apprezzare la meraviglia di un miracolo.» Tess pensò che, per essere un miracolo, aveva richiesto un sacco di fatica. Ma la gioia dell'altra donna la ripagava di tutte le ricerche, i viaggi, le interminabili pratiche burocratiche. Tess aveva anche pagato di tasca propria un esperto che aveva meticolosamente pulito e lucidato ogni maglia, ogni baguette, ogni sfaccettatura del pendente. «Questa è una copia del rapporto di provenienza.» Fece scivolare il documento attraverso il tavolo. «In pratica, qui dentro c'è registrata tutta la storia del pezzo, dalle sue origini fino al giorno d'oggi.» «È incredibile che l'abbia trovato. Quando ho contattato la sua compagnia, pensavo...» La voce dell'anziana si spense. «Come ci è riuscita?» Scorrendo all'indietro la relazione, Tess le spiegò come si era svolta la ricerca. «Il pezzo è stato rinvenuto in una collezione di oggetti pregiati rubati a Copenhagen. Il pendente è un raro topazio rosa, abbellito da una filigrana d'oro di ottima fattura. La catena e il fermaglio sono originali. A farlo è stato un orafo finlandese che rispondeva al nome di August Holmstrom e che all'epoca lavorava per la casa di Fabergé.» Le sopracciglia della signorina Winther scattarono verso l'alto. «Quel Fabergé?» 20
«Proprio lui.» Tirando fuori la sua lente monoculare, Tess indicò un puntino sul retro del castone del topazio. «Questo è il marchio di Holmstrom, le sue iniziali inserite attorno a un'aquila imperiale a due teste. Lo aveva disegnato così per evitare le contraffazioni. Questo pendente viene menzionato per la prima volta nel suo catalogo del 1916. Era stato prodotto per una rinomata gioielleria di San Pietroburgo, dove venne acquistato da un membro del corpo diplomatico danese.» «Mio padre. Tornò da un viaggio di lavoro in Russia con la collana e la regalò a mia madre, che non se la toglieva quasi mai. A parte l'anello di fidanzamento e la fede, era il suo gioiello preferito. Gliela regalò per festeggiare la mia nascita. Anche se nessuno me lo disse, sospetto che, dopo di me, lei non abbia più potuto avere figli.» Gli occhi della donna assunsero un'espressione remota e Tess si domandò cosa stesse vedendo... il volto sorridente del suo munifico padre? Sua madre con il topazio premuto sul cuore? Le storie legate ai tesori erano sempre avvincenti, anche se spesso agrodolci. Quelle tristi erano particolarmente difficili da reggere. A volte, gli esseri umani erano capaci di crudeltà inconcepibili per le persone normali. La signorina Winther doveva essere stata una bambina quando il suo mondo era andato a pezzi. Dio solo sapeva di cosa era stata testimone. «Mi sarebbe piaciuto fare di più che recuperare questo oggetto» disse Tess. «Era finito insieme ad altri pezzi in un deposito nelle cantine di un palazzo governativo abbandonato. Ho trascorso un anno a frugare negli archivi. La versione ufficiale della Gestapo era che li tenevano lì per custodirli. Sempre il solito trucco. Comunque, avevano fatto 21
un meticoloso inventario di tutti gli oggetti che venivano sequestrati, il che per noi si è rivelato molto utile.» Era a quel punto che la faccenda si faceva delicata. Di quante informazioni aveva bisogno la signorina Winther? Era necessario dirle anche che fine avevano fatto i suoi genitori? C'erano particolari che Tess non aveva alcuna intenzione di condividere, come per esempio le prove che indicavano che Hilde Winther era stata arrestata senza autorizzazione da un ufficiale corrotto, il quale doveva averla usata come una schiava sessuale per poi mandarla a morte. Era questo il problema quando si andava a scavare nei misteri del passato. A volte saltavano fuori cose che sarebbe stato meglio lasciare sepolte. La verità andava rivelata a qualunque costo, oppure era più giusto proteggere le persone da orrori ai quali ormai non era più possibile porre rimedio? «Il pendente venne requisito quando i nazisti arrestarono sua madre, sospettandola di nascondere spie, sabotatori e partigiani all'Ospedale di Bispebjerg. Secondo le accuse mosse nei suoi confronti, fingeva che i suoi pazienti fossero gravemente malati e li curava finché, molto convenientemente, essi non svanivano nel nulla.» L'anziana donna serrò le labbra e annuì. «Mia madre sarebbe stata capace di farlo. Era incredibilmente coraggiosa. A me raccontava che andava all'ospedale per aiutare i sofferenti, ma io ho sempre avuto la sensazione che stesse facendo qualcosa di importante.» Sotto gli occhiali, nei suoi occhi grigi balenò un lampo di collera. «La portarono via in un meraviglioso pomeriggio di primavera. Io ero lì e vidi tutto.» Tess sperimentò un moto di empatia per la ra22
gazzina che la signorina Winther era stata allora. «Mi dispiace moltissimo. I bambini non dovrebbero essere testimoni di certe cose.» La signorina Winther sollevò la collana, le faccette del grande topazio rosa che riflettevano la luce. «Potrebbe... aiutarmi a metterlo?» chiese. «Naturalmente.» Tess si portò dietro di lei e agganciò il fermaglio. Mentre lo faceva, sentì la fragile struttura ossea del suo collo. I suoi capelli sapevano di lavanda e il vestito che portava sotto lo scialle era liso e consunto. Un'emozione senza nome le bloccò la gola. Quel ritrovamento avrebbe cambiato la vita della signorina Winther. Con una singola transazione, la dolce vecchietta avrebbe potuto terminare i suoi giorni nel lusso. Ora sollevò le mani, premendosi il gioiello sul petto. «La mia mamma ce l'aveva addosso anche quel giorno. Mentre la trascinavano via, mi ordinò di scappare e io obbedii. Fui molto fortunata, anche se penso che ci fosse stata una soffiata. Un ragazzo che faceva parte dell'Holger Danske... la Resistenza danese... mi portò al sicuro. Era un vero eroe, come la Primula Rossa della Rivoluzione Francese. Se non ci fosse stato lui, oggi non sarei qui. Nessuno di noi sarebbe qui.» Nessuno di noi...? Tess si domandò a chi si riferisse. Fantasmi del suo triste passato, probabilmente. Era curiosa, ma non chiese nulla. Aveva un sacco di cose da fare e si era già fermata troppo. Inoltre, quelle storie, la consapevolezza della caducità dell'esistenza, la facevano sentire vulnerabile. Vedendo l'espressione nostalgica che apparve sul viso dell'anziana signora mentre toccava il gioiello, si commosse. Siamo entrambe sole, tu e io, pensò, trattenendo una smorfia. E temo che per me sarà sempre così, 23
anche se sono molto più giovane.«Be', sono davvero felice che lei sia qui» disse la signorina Winther a bassa voce, con un sorriso stranamente intimo. «Questa è la valutazione del pezzo. Credo che resterà molto soddisfatta.» L'altra donna fissò il documento che le aveva consegnato. «Qui c'è scritto che il pendente di mia madre vale ottocentomila dollari.» «È una stima. A seconda dell'andamento dell'asta, il prezzo può variare di un dieci per cento, in più o in meno.» La signorina Winther si servì del foglio per farsi vento. «Ma è una fortuna!» esclamò. «Più soldi di quanto avrei mai potuto sognare di possedere.» «Non bastano a ricompensarla dell'enormità della sua perdita, però sì, è un bel ritrovamento. Sono molto contenta per lei.» Tess avvertì una sensazione di calore al centro del petto. Entro breve, quella vecchietta dall'aria dimessa sarebbe diventata una donna ricca e il merito era suo. L'emozione di quel momento la ripagava di un anno di lavoro massacrante. Con pochi, rapidi gesti, allargò sul tavolo i fogli del contratto e, sorridendo, aggiunse: «Qui ci sono i termini dell'accordo con la Casa d'Aste Sheffield, la mia compagnia. È un contratto standard, ma le consiglio di farlo vedere a un esperto». Un timer tintinnò e la signorina Winther si alzò. «I pasticcini sono pronti. I miei preferiti... fatti con lo zucchero di lavanda, seguendo una vecchia ricetta danese. Resti seduta, cara, intanto che preparo il tè.» Tess serrò la mascella e si impose di non mostrarsi impaziente, anche se aveva altri due appuntamenti e una marea di cose da sbrigare in ufficio. In tutta onestà, non aveva voglia di mangia24
re pasticcini, con o senza zucchero di lavanda. E nemmeno del tè. Caffè e sigarette erano più il suo stile, si adattavano meglio al ritmo frenetico delle sue giornate. Aveva cominciato a correre sin da quando era uscita a vele spiegate dal corso di specializzazione, cinque anni prima, e da allora non aveva mai smesso. Andava sempre di fretta. Quel giorno persino più del solito, perché prima avesse portato in sede il contratto firmato, prima avrebbe ricevuto il suo bonus e si sarebbe potuta dedicare alla transazione successiva. Tuttavia, la natura della professione che aveva scelto richiedeva spesso l'esercizio della sopportazione. Le persone si attaccavano alle proprie cose e avevano bisogno di tempo per lasciarle andare. La signorina Winther si era presa il disturbo di preparare i pasticcini. Sapendo quello che sapeva della sua famiglia, Tess si domandò cosa provasse l'altra donna quando sfogliava l'album dei ricordi... privazione e paura? Oppure la spensierata felicità dell'infanzia, prima di venire separata dai suoi genitori? Mentre trafficava nella cucina, la signorina Winther approfittava di ogni occasione per fermarsi davanti al piccolo specchio appeso al muro accanto alla porta, guardando la collana con aria trasognata. Cosa ci vedeva... la sua adorata mamma, una giovane donna innocente del tutto ignara della tragedia che incombeva sul suo capo? «Mi parli di quello che fa» disse all'improvviso la signorina Winther, versando il tè in due tazze di porcellana. «Sono curiosa di sapere qualcosa della sua vita.» «Immagino di poter dire che andare a caccia di tesori fa parte del mio DNA.» L'anziana signora ebbe un sussulto, come se 25
quell'affermazione l'avesse colta di sorpresa. «Sul serio? Come mai?» «Mia madre è un'esperta di acquisizioni che collabora con diversi musei. E mia nonna aveva un negozio di antiquariato a Dublino.» «Quindi lei discende da un lignaggio di donne indipendenti.» Bel modo di dirlo, pensò Tess, spostando lo sguardo in direzione della finestra. Non era tipo da entrare in confidenza con una cliente solo per concludere un affare, ma provava una genuina simpatia nei confronti della signorina Winther. «Né mia madre né mia nonna si sono mai sposate» spiegò. «E io comincio ad avere il sospetto di essere destinata a portare avanti la tradizione di famiglia.» Cavolo, Tess, ma ascoltati, pensò. Continua a ripeterlo e finirai per crederci davvero. «Oh, be'. È normale dire così fin quando non arriva la persona giusta. Una bella ragazza come lei, con quella criniera di capelli rossi. Mi meraviglia proprio che non abbia ancora incontrato un uomo capace di farle girare la testa.» Tess sorrise educatamente. «Ho la testa ben piantata sulle spalle.» «Non mi sono sposata nemmeno io.» La nostalgia le fece inumidire gli occhi. «Subito dopo la guerra ero innamorata di un uomo, ma lui sposò un'altra.» Si fermò davanti allo specchio, ammirando ancora una volta il topazio. «Deve essere molto eccitante andare a caccia di tesori.» «C'è bisogno di un lungo lavoro di ricerca, che la maggioranza delle persone troverebbe molto noioso. Un'infinità di vicoli ciechi e delusioni» disse Tess. «Trascorro gran parte del mio tempo a scartabellare archivi, vecchi registri e cataloghi. Però, quando riesco a fare una restituzione come que26
sta, penso che ne sia valsa la pena. Inoltre, c'è sempre la segreta speranza di trovare una vecchia crosta in una soffitta e scoprirci sotto un capolavoro di Vermeer. O di recuperare una pentola di monete d'oro nella stalla di un pastore da qualche parte nel mondo. Alcuni ritrovamenti possono essere un po' macabri. So di tesori rinvenuti all'interno di bare.» La signorina Winther rabbrividì. «Ma è raccapricciante!» «Quando qualcuno ha qualcosa da nascondere, cerca di metterla dove a nessuno verrebbe in mente di guardare. Il suo pezzo, invece, ha una storia diversa: era catalogato con tanto di cartellino insieme a decine di altri oggetti depredati dai nazisti.» L'anziana signora annuì e, dopo aver disposto i pasticcini in un piatto, li portò a tavola. Per mostrarsi cortese, Tess ne prese uno. «Mi sembra che lei ami il suo lavoro» disse l'altra donna. «Mi piace moltissimo. È tutto per me.» Mentre lo diceva, Tess venne scossa da un fremito. Era un lavoro imprevedibile, ogni giorno poteva portare una scarica di adrenalina... oppure la più cocente delle delusioni. Lei stava avendo un anno fantastico. I risultati che aveva conseguito l'avevano portata molto vicina a due cose alle quali attribuiva un'importanza capitale: riconoscimento e sicurezza economica. «Sono lieta di sentirglielo dire. Sono convinta che riuscirà a raggiungere i suoi obiettivi.» «A volte, in questo ramo, non è facile individuarli con precisione, gli obiettivi.» Tess saettò un'altra occhiata in direzione dell'orologio sulla parete. La signorina Winther se ne accorse. 27
«Il tempo di finire il tè ce l'ha.» Tess sorrise, divertita dalla sua gentile franchezza. «Ha ragione. Allora, vuole che le lasci qualche giorno per studiare il contratto, oppure...» «Non è necessario» disse la vecchietta, sfiorando il topazio con la punta delle dita. «Non lo venderò.» Tess batté le ciglia, convinta di aver sentito male. «Prego?» «Il pendente di mia madre.» La signorina Winther se lo premette sul petto. «Non è in vendita.» Tess ebbe un tuffo al cuore. «Con i proventi di questo pezzo, potrebbe vivere nell'agio per il resto dei suoi giorni.» «Tutta la sicurezza che ho mai avuto mi è stata strappata via dai nazisti» le fece notare l'anziana signora. «Ciò nonostante, sono sopravvissuta. E lei mi ha appena restituito un oggetto al quale la mia mamma teneva moltissimo.» «Come dice lei, si tratta di un oggetto. Vendendolo, avrebbe una garanzia di serenità per tutto il tempo che le resta da vivere.» «Mi sento serena anche adesso. E se lei non crede che i ricordi valgano più del denaro, significa che quelli che ha raccolto finora non erano davvero importanti.» La signorina Winther accompagnò queste ultime parole con uno sguardo colmo di umana comprensione. Tess si impose di non pensare alle lunghe ore che aveva trascorso a spulciare tra i registri dell'anagrafe storica di Copenhagen per effettuare quella restituzione. Se l'avesse fatto, si sarebbe strappata i capelli per la frustrazione. Quanto ai ricordi... sì, cercava di non darvi un'eccessiva importanza, perché a suo modo di vedere rendevano le persone vulnerabili. 28
«Immagino che mi consideri una stupida vecchia sentimentale.» La signorina Winther annuì. «È vero, lo sono. È un privilegio dell'età. Non ho debiti, non ho responsabilità. Siamo solo io e i gatti, e la vita che facciamo ci piace così com'è.» Nel tentativo di prendere tempo, Tess bevve un sorso di tè, ma era talmente amaro che per poco non lo sputò di nuovo nella tazza. «Oh, cielo. Mi sono dimenticata lo zucchero» disse la sua ospite con aria contrita. «La zuccheriera è nella credenza. Le dispiace prenderla, cara?» La credenza conteneva una collezione di barattoli impolverati e di utensili da cucina che sembravano appartenere a un'altra epoca. «È là, a destra» aggiunse l'anziana signora. «Sullo scaffale delle spezie.» Tess prese la piccola coppa, munita di piedini a zampa di leone. Quasi immediatamente, un brivido le scivolò lungo la schiena. Una delle prime cose che aveva imparato della sua professione era l'importanza di sintonizzarsi con quello che veniva definito il feeling di ogni singolo pezzo. Un oggetto autentico aveva una sostanza diversa da un falso, o da un'imitazione. Posò la coppetta ossidata sul tavolo e, mantenendo una faccia da poker, cominciò a studiarla. La curva dei manici e dei fianchi, la pulizia di linee del design erano inconfondibili. Nemmeno la patina nerastra accumulata nel corso degli anni riusciva a celare il fatto che si trattava di un oggetto di argento massiccio, non placcato. «Mi parli di questa zuccheriera» disse in tono casuale, usando le pinzette per prendere una zolletta. Pinzette da zucchero. Erano ancora più rare della coppa in sé. «È carina, vero?» disse la signorina Winther. 29
«Ma è terribile da tenere pulita. L'ho presa a una vendita di beneficenza organizzata da una chiesa. Evidentemente quel giorno non badavo molto alla praticità. È passato un sacco di tempo. Almeno quarant'anni, direi. Ho sempre avuto un debole per le vendite di beneficenza. Il guaio è che, a lungo andare, mi sono riempita la casa di cianfrusaglie belle da guardare, ma di scarsa o nessuna utilità.» «Be', questo è stato un bel colpo» disse Tess, sollevando la zuccheriera per controllare il fondo, dove vide il marchio che si era aspettata di trovare. «In che senso?» Possibile che non sapesse? «Signorina Winther, questa coppa è un Tiffany, e sembra autentica.» «Sul serio? Incredibile.» «C'è uno stile noto come lo stile Impero, molto raro, prodotto in un numero limitato di edizioni. Dovrò effettuare delle ricerche, ma, a prima vista, credo che siamo in presenza di un oggetto di un grande valore.» Non che questo facesse una differenza per la vecchietta, che teneva più alle sue cose che ai soldi. «In ogni caso, è un pezzo molto bello» concesse. «Certo che il suo lavoro è davvero pieno di sorprese» disse la signorina Winther, battendo le mani come una bambina. «Può capitarle di imbattersi in un tesoro anche quando cerca qualcosa di completamente diverso.» «È proprio questo che lo rende avvincente.» Tess osservò la zolletta che si scioglieva nella tazza. «Mi dica, la sua compagnia potrebbe essere interessata a vendere un oggetto di questo genere?» chiese l'altra donna. 30
«È possibile, tuttavia, anche con le pinzette, un singolo oggetto...» «Non intendevo solo la zuccheriera, ma il set completo.» Tess si lasciò sfuggire dalle dita il cucchiaio e strabuzzò gli occhi. «Lei ha tutto il set?»
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