Il figlio del duca

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Lorraine HeatH Il figlio del duca

Immagine di copertina: © Lee Avison / Trevillion Images

Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: The Return of the Duke Avon Books

An Imprint of HarperCollinsPublisher © 2022 Jan Nowasky Traduzione di Graziella Reggio

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con HarperCollinsPublisher

Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.

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© 2023 HarperCollins Italia S.p.A., Milano

Prima edizione I Grandi Romanzi Storici Special maggio 2023

Questo volume è stato stampato nell'aprile 2023 da CPI Moravia Books

I GRANDI ROMANZI STORICI SPECIAL

ISSN 1124 - 5379

Periodico mensile n. 338S del 19/05/2023

Direttore responsabile: Sabrina Annoni

Registrazione Tribunale di Milano n. 368 del 25/06/1994

Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA

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HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano

Nell'amorevole ricordo di Dora, che ci rapiva il cuore con la sua dolcezza e adesso rincorre coniglietti dall'altro lato del ponte dell'arcobaleno.

Londra, settembre 1874

C'era un tempo in cui Marcus Stanwick era il legittimo erede del prestigioso, illustre e potente Ducato di Wolfford. La sua era una famiglia tra le più vicine ai reali sin dall'epoca di Guglielmo il Conquistatore.

Un tempo in cui era circondato da amici con i quali si divertiva a gozzovigliare, bere i liquori più pregiati e scommettere sui cavalli più veloci. Era rispettato nel suo ambiente, così come in quello del padre, e considerato un ottimo partito dalle giovani gentildonne del ton, che si contendevano le sue attenzioni. Adorato, ammirato e destinato, così si pensava, a un'esistenza agiata e appagante.

In quei giorni a Marcus non mancava nulla e lui dava per scontata la propria buona sorte, come se gli spettasse di diritto.

Tutto questo, però, era prima della congiura che sconvolse la sua vita. Prima che la Corona spogliasse senza pietà la sua famiglia di ogni bene, compreso il suo buon nome, e la condannasse a lottare per la propria sopravvivenza, usando nient'altro che l'ingegno, il coraggio e la determinazione.

Questo avvenne prima dell'estate del 1873. Prima che quel padre che lui aveva sempre cercato di compiacere, fu impiccato per alto tradimento, portando la tanto amata madre a morire poco dopo, per l'insopportabile vergogna e l'enorme dolore di vedere il marito colpevole di aver tramato per assassinare la Regina Vittoria.

Prima che Marcus si trasformasse in un uomo che lui stesso stentava a riconoscere, divorato dalla furia, dall'odio

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e dal desiderio di riscatto, animato da propositi molto più oscuri delle frivolezze giovanili a cui era avvezzo. Un uomo che bruciava dalla brama di vendetta.

Erano questi terribili intenti a tenerlo sveglio. E ad averlo condotto, nel cuore della notte, davanti alla grande finestra con modanature del raffinato salotto di un'elegante casa a schiera. Marcus si sforzava di non fare l’inventario dei morbidi tappeti che non sembravano mai stati calpestati, del pregevole buffet di palissandro privo di graffi, e dei dipinti di buon gusto appesi ai muri. Fece fatica a non domandarsi quanto, di tutto ciò, fosse stato acquistato per la sua ignobile amante da quel padre senza onore, sperperando il denaro proveniente dai forzieri di famiglia, quando ancora traboccavano. Prima che venissero svuotati dell'oro e dell'argento. Prima che il loro contenuto, insieme a ogni oggetto di valore, venisse requisito dalla Corona.

Per più di un anno Marcus aveva evitato di recarsi presso quella dimora, di affrontare lei. Ma infine la disperazione l'aveva spinto a bussare alla sua porta. Un maggiordomo composto e dal fisico imponente, con il naso un po' storto che faceva pensare a una lotta nella quale era stato sconfitto, l'aveva ricevuto. E l’aveva informato che era troppo tardi per ricevere visite, ma Marcus si era limitato a sbuffare con disdegno. La poco di buono che abitava tra quelle mura era senza dubbio abituata ai gentiluomini che arrivavano in qualunque momento venissero colti dalla voglia, non contava quanto la mezzanotte fosse vicina. Proprio per questo, Marcus aveva rivolto al domestico un'occhiata di fuoco, insieme alle parole: Andate a chiamare la signora, pronunciate con un tono che non ammetteva repliche, adatto a un uomo destinato a diventare duca. Lo stesso tenore che usava un tempo, quando gli si prospettava un avvenire sicuro e conosceva di preciso la meta verso cui correre. Anche se ormai non esisteva più niente di tutto ciò, le vecchie abitudini erano difficili da abbandonare.

Senza ulteriori indugi, era passato oltre il maggiordomo stupefatto e si era appostato davanti alla finestra del salotto. Intendeva conoscere l'amante del padre. Non se ne sarebbe andato finché non fosse riuscito a estorcerle ogni briciolo d'informazione in suo possesso che potesse rivelarsi utile per lui.

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L'aveva scorta soltanto una volta da lontano, mentre l'ormai defunto duca l'aiutava a salire in carrozza. In groppa allo stallone nero che non possedeva più, Marcus aveva seguito il veicolo per le vie trafficate di Londra. L'aveva vista entrare in quella stessa dimora e in seguito, quand'aveva interrogato il padre in proposito, quel farabutto gli aveva risposto che, in effetti, la signora aveva avuto un ruolo preminente nella sua piacevole serata.

Nacque lì il disprezzo di Marcus per quella donna, che aveva contribuito ad aggravare la gelida ostilità che caratterizzava il rapporto tra i suoi genitori. Dopo essere stato sfidato dall'erede, infatti, il Duca di Wolfford aveva smesso di tenere segreta la propria infedeltà. Ben presto l'intera Londra aveva appreso che se la spassava con una ragazza abbastanza giovane da poter essere sua figlia. A quanto ne sapeva Marcus, il padre non aveva mai mancato di onorare i voti coniugali, finché non si era lasciato irretire da quella giovane sfrontata.

In quel preciso istante l'oggetto del suo odio entrò con grazia nel locale e ne prese subito possesso. Con la chioma rosso fiamma raccolta ad arte sul capo da dei pettinini di madreperla, qualche ciocca libera che accarezzava il lungo collo da cigno, faceva senza dubbio colpo. Era più alta di quanto non gli fosse sembrata, soltanto pochi pollici meno dei suoi sei piedi e due. La sua figura voluttuosa era valorizzata dall'abito cremisi, che lasciava generosamente esposta la scollatura, abbracciava il busto, cingeva la vita snella e scivolava sui fianchi in un drappeggio fluido che suggeriva la mancanza di sottogonne. Un uomo avrebbe potuto possedere una donna simile con veemenza e passione, in fretta, e lei avrebbe accolto le sue ardenti attenzioni ricambiando il favore.

Lo indispettiva riuscire a comprendere come fosse riuscita a sedurre il padre. Quella donna avrebbe risvegliato l'interesse di qualunque maschio che avesse del sangue nelle vene da far ribollire. Maledizione! Il suo membro virile aveva reagito con tanta prontezza che, per un breve istante, gli era girata la testa.

Marcus aveva voglia di sferrare un pugno al muro per l'inatteso tradimento del proprio corpo. Un impulso animale, ecco cos'era, non di certo desiderio, né autentica attrazione.

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Sin da quand'era caduto in disgrazia, non aveva il tempo né la disposizione d'animo per le avventure tra le lenzuola. Inoltre, il genere di femmine disposte ad abbassarsi al livello del figlio di un traditore non esercitava su di lui il minimo richiamo. Purtroppo, quella poco di buono sì. Consapevole del proprio fascino, lo esibiva, e non dimostrava alcuna timidezza nel dare l'impressione di sapere come comportarsi con un corpo maschile.

Lo attraversò da capo a piedi con lo sguardo, con lentezza e attenzione, come per stimare il suo valore. Il gesto indusse Marcus a raddrizzare la schiena, fu infastidito all'idea che lei potesse giudicarlo carente per qualche aspetto. Poi si diresse al raffinato buffet di palissandro, che ospitava parecchie caraffe di cristallo e un assortimento di bicchieri. «Marcus Stanwick. Credo che voi beviate lo scotch.»

Che andasse al diavolo! Lei sapeva di preciso chi era lui e conosceva persino quella piccola verità sul suo conto. Comunque, quella donna sarebbe potuta tornargli utile, poiché se il genitore le aveva rivelato dettagli così personali riguardo il suo erede, magari le aveva anche confidato informazioni specifiche sui propri piani criminosi.

Versò il liquido ambrato in due bicchieri da whisky, due tumbler, si avvicinò a passi leggeri, quasi avesse camminato sulle nuvole, e gliene porse uno. «Vi aspettavo prima.»

Che convinzione nel tono, quanta sicurezza! Non era certo il tipo da lasciarsi intimorire da lui né da fornirgli tutte le risposte che gli occorrevano e che lui esigeva. Marcus doveva modificare la strategia che aveva previsto di adottare quando credeva di poterla impressionare, e magari spaventare un po', con il suo prestigio di un tempo. Inoltre, aveva immaginato che lei si sarebbe mostrata più guardinga di fronte al suo sguardo, che esprimeva cos'era diventato: un uomo pronto a prendere ciò che voleva, senza vergogna né rimorsi. Quando camminava per strada, i passanti lo evitavano quasi avesse al collo un cartello con la scritta: Avvicinatevi a vostro rischio e pericolo. Ma anche se quella donna fosse stata consapevole di tutto ciò, era ben determinata a ignorarlo.

Era meno giovane del previsto; si spingeva appena oltre il limite dei trent'anni. Marcus aveva appena compiuto il trentesimo anno di età. Con un certo fastidio per la sua bellez-

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za, nonché disgusto verso se stesso per averla notata, accettò l'offerta, bene attento a non lasciar trapelare le emozioni e a mantenere un tono di voce piatto e noncurante. «Sono in svantaggio, poiché non conosco il vostro nome.»

«Esme è sufficiente.»

La donna alzò il bicchiere, bevve un sorso, poi si leccò le labbra piene e voluttuose, concepite per donare piacere a un uomo. Gli volse quindi la schiena e, dondolando i fianchi in maniera provocante, si diresse verso un'ampia poltrona blu vicino al caminetto, per poi prendervi posto. Marcus la immaginò mentre, con la medesima disinvoltura, scivolava su delle lenzuola, sulle ginocchia o sul membro di un uomo. Il suo membro!

Con la stessa mano elegante che reggeva il bicchiere, gli indicò la poltrona di fronte. Lui avrebbe dovuto rimanere dov'era, riaffermare la propria superiorità, dominarla come aveva fatto con quel maledetto maggiordomo. Ma, un passo dopo l'altro, lei si era lasciata dietro una scia impossibile da non cogliere: un sentore di fresco e pulito, con una nota prominente di rose appena sbocciate. Fragranze, quelle, che mancavano tristemente dalla vita di Marcus da quasi un anno. Non aveva tempo per passeggiare nei giardini e non gli interessava baciare colli profumati. Quindi seguì il suo invito e si lasciò cadere senza cerimonie sul cuscino, da rozzo mostro qual era divenuto.

Si sforzò di non provare imbarazzo a causa dello stato pietoso del suo abbigliamento, logoro e consunto. Prima di presentarsi lì, aveva speso qualche moneta preziosa per lavarsi e radersi in un bagno pubblico, poi però durante il tragitto aveva assorbito il cattivo odore della strada. Dubitava che quella donna fosse mai stata maleodorante.

Bevve un sorso di whisky e quasi gemette per il sapore familiare. Proveniva dalla migliore distilleria scozzese ed era sempre stato il suo preferito. A quanto pareva, la padrona di casa aveva gusti costosi in tutto.

«Al piano di sopra c'è un uomo che aspetta il vostro ritorno?» le domandò sprezzante, senza curarsi di celare lo sdegno per le sue scelte di vita.

«Non vedo come il mio letto vi possa riguardare.»

«Scusatemi. Non mi riguarda, infatti.»

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Marcus sospirò, ricordando un'epoca in cui non sarebbe rimasto là seduto a giudicare e avrebbe invece accolto tra le braccia una donna così, grato che non rispettasse i dettami della buona società. Prima fosse andato al punto, prima avrebbe potuto andarsene da quella casa e dimenticarla.

«Un tempo eravate l'amante di mio padre. Vi rivelò mai qualcosa riguardo ai suoi piani... ai suoi complici... a quelle infide serpi? Qualche informazione che potrebbe aiutarmi a rintracciarli?»

Per la prima volta lei parve colta alla sprovvista e gli occhi bruno dorati sussultarono appena. Inclinò lievemente la testa da un lato, come per soppesarlo di nuovo, al pari di un cucciolo abituato a essere preso a calci, che trova all'improvviso una mano pronta ad accarezzarlo.

«State cercando gli altri uomini coinvolti nel complotto per assassinare la Regina Vittoria? A quale scopo?»

«Per ripristinare, almeno in parte, l'onore della mia famiglia» dichiarò lui, laconico.

O, per lo meno, il proprio buon nome, sperando di riguadagnare un po' del rispetto che gli era stato sottratto dalle malefatte paterne. Essere associato a un traditore non gli giovava affatto.

«Voglio che vengano processati e impiccati come mio padre, per consentire al regno di sbarazzarsene.»

Lei lo fissò con intensità, quasi avesse potuto scrutare dentro il suo cuore nero, ormai marcio e avvizzito, indurito al punto da fargli temere che nessuna azione sarebbe mai bastata per riportarlo com'era né per renderlo l'uomo che un tempo era destinato a diventare.

«Vostro padre non si rivolgeva a me per conversare.»

Marcus protese il busto in avanti, puntando i gomiti sulle cosce e stringendo il bicchiere tra le mani. Quella donna incarnava la sua ultima speranza per ottenere una resa dei conti, per provare che lui non aveva avuto alcun ruolo nel tentativo insensato del padre di mettere sul trono un'altra persona. Al presente, fatta eccezione per il fratello e la sorella, veniva evitato da chiunque avesse mai conosciuto o frequentato in passato. Gli altri parenti, vicini o lontani, così come coloro che un tempo aveva considerato amici, non

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volevano avere niente a che fare con lui. Era considerato un reietto, tenuto alla larga a ogni costo. Persino lei lo trattava con freddo disdegno, quasi l'avesse giudicato inferiore. Marcus sentì la mascella contrarsi. Inferiore a una donna simile, senza alcuna morale.

«Magari gli capitò di accennare qualcosa che non riguardava in maniera esplicita la congiura, una parola innocua, un nome, una frase in apparenza priva di senso o fuori contesto. Nella vostra graziosa testolina saranno di sicuro custoditi frammenti d'informazioni che potrebbero almeno indirizzarmi sulla pista giusta. Davvero trascorrevate ogni momento insieme rotolandovi tra le lenzuola? Dovevate pur scambiare qualche parola. Ragionate, donna.»

« Ragionate? Come siete arrogante a credere che non abbia già dedicato ampie riflessioni a ogni sillaba pronunciata da vostro padre.»

Si alzò dalla poltrona in un impeto di sacrosanta indignazione e lo squadrò dall'alto in basso, facendolo sentire indegno come mai nella vita.

«Voi e vostro fratello veniste trascinati alla Torre. Io fui condotta a Whitehall e lanciata in pasto agli agenti più abili e spietati di Scotland Yard. Interrogata, minacciata, accusata. Poi mi rinchiusero per un periodo nel carcere di Newgate, nella speranza di piegarmi e convincermi a confessare che avevo partecipato anch'io a quest'assurda congiura. Da allora un'ombra grava sulla mia reputazione. Il legame con vostro padre mi ha rovinato l'esistenza.»

Lui si levò in piedi e, con fare intimidatorio, avanzò di un passo. «Eppure abitate in questa lussuosa dimora, mentre io vivo nello squallore.»

Travolto da un vortice di emozioni, ma deciso a non farle trapelare a quella donna, salì i gradini del camino e puntò lo sguardo sul focolare vuoto, che ben rispecchiava la sterilità della sua vita.

Marcus non era disposto ad accettare che la sua ricerca fosse una perdita di tempo e di energie. Non avrebbe mai recuperato ciò che possedeva in passato, però, per Dio, poteva almeno garantire che la generazione successiva non dovesse chinare il capo per la vergogna, che le malefatte paterne venissero messe in ombra dai suoi atti eroici.

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«Perché adesso?» sussurrò lei con una certa dolcezza, benché desse l'impressione di non possedere nemmeno un'oncia di tenerezza. «Per quale motivo v'interessa tanto trovare i colpevoli proprio ora?»

Marcus trangugiò lo scotch prima di ammettere: «Ho tentato di scovarli sin dal principio».

A causa dei pericoli legati alla sua missione, era stato costretto ad abbandonare il fratello e la sorella minori, fornendo loro un po' di denaro quando riusciva a procurarlo, ma lasciando per la maggior parte che se la cavassero da soli. Althea aveva lavorato – lavorato – in una taverna, nel nome del cielo. Finché non aveva incrociato nel suo percorso Benedict Trewlove, che le aveva offerto un impiego diverso. In seguito, l'aveva sposato e, a quanto Marcus aveva appreso, era felice e contenta.

Prima di entrare sotto l'ala protettiva di Trewlove, abitava insieme a Griff, che si prendeva cura di lei e sgobbava al porto. Una volta sollevato dalla responsabilità nei confronti della sorella, Griff si era unito a Marcus e aveva preso parte alle sue imprese.

In realtà, aveva resistito poco. Griff non era adatto a vivere nell'ombra e non aveva nemmeno la pazienza per attendere una soluzione che tardava ad arrivare. Aveva abbandonato quella strada per dedicarsi a un obiettivo suo che lo aveva portato a diventare il proprietario di un club, nonché un marito.

Malgrado le ripetute offerte di finanziamento da parte del fratello, Marcus non si sentiva di accettare più di quanto non avesse già ricevuto.

Prese di nuovo posto sulla poltrona, posò il bicchiere vuoto sul tavolino accanto e aspettò che lei si risedesse. «Mio padre ha mai accennato a Lucifer?»

«Nel senso del diavolo?»

«Forse.» Marcus emise un lungo sospiro, carico di frustrazione. «Lo ignoro. Un uomo, una donna, un luogo, un oggetto. È un nome che spunta fuori di tanto in tanto.»

«In che modo? Dove avete svolto le vostre ricerche?»

Non avrebbe dovuto fidarsi di lei, ma in fondo, che cosa rischiava? Che male c'era? Lui ne avrebbe solo guadagnato se fosse riuscito a richiamarle alla mente una frase detta dal padre.

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«C'erano di sicuro altre persone coinvolte. A mio padre mancava l'acume per elaborare strategie. Era un gregario, non un capo. Esiste dunque una possibilità che i congiurati si preparino ancora a colpire. È tenendo questo a mente che ho cercato di cogliere dicerie riguardo a un nuovo tentativo. Ho iniziato spiando gli amici di mio padre nell'ambiente dell'aristocrazia. Nessun risultato. A quel punto mi sono reso conto che, se un altro nobile avesse partecipato al complotto, non avrebbe certo agito di persona, ma assoldando un criminale esperto, con una scia di delitti alle spalle. Quindi mi sono inoltrato nei recessi più oscuri di Londra, diffondendo persino la voce che Wolf, il lupo, era disposto a vendere i propri servizi, nella speranza che i cospiratori mi contattassero.»

Lei inarcò un sottile sopracciglio ramato. «Wolf? »

«Un omaggio al titolo che mi spettava.»

Il Duca di Wolfford.

Soltanto in seguito Marcus si era reso conto che il soprannome non gli calzava. I lupi, infatti, si spostavano in branchi, facevano parte di un gruppo, una famiglia, mentre lui andava a caccia da solo.

«Ho il sospetto di essermi avvicinato a una scoperta importante. Sono stato costretto a immergermi nell'ombra ancora più fitta per sfuggire a chi intendeva porre fine alla mia capacità di respirare.»

La maggior parte delle donne sarebbe trasalita, impallidita, o comunque sarebbe rimasta impressionata. Lei, invece, si limitò a sorseggiare il whisky, mantenendo lo sguardo fermo. «Siete stato aggredito?»

«Numerose volte.»

«Eppure siete qui.»

«Esatto» rispose lui.

Si era allontanato da Londra per un po'. Solo di recente aveva avvisato Griff di essere tornato, però non aveva mai messo al corrente Althea sulle proprie attività. Anche se Trewlove, suo cognato, conosceva bene le zone malfamate della città, al momento aveva questioni più pressanti di cui occuparsi, poiché aveva scoperto da poco di essere lui stesso erede di un ducato.

«A quanto pare, siete bravissimo a schivare i pericoli.»

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«Ho appreso un paio di cose, ma non abbastanza. Lucifer. Il nome non vi suggerisce nulla?»

«Temo di no.»

«Non ricordate nulla che mio padre potrebbe essersi fatto sfuggire mentre era travolto dalla passione?»

«In genere venire a letto con me lascia gli uomini senza parole.»

Marcus storse le labbra per quell’affermazione così diretta. Anche se era stato lui a dare a quel colloquio un tono conflittuale, in quel momento se ne pentì. «Me lo sono meritato.»

«Sì, infatti. Ho la tendenza a dare agli uomini ciò che meritano.»

Un sorriso appena accennato le incurvò le labbra, a indicare che si riferiva al piacere, oltre che al giusto benservito. E in quel momento, Marcus fu attraversato da un pensiero assurdo. Gli sarebbe piaciuto conoscerla prima del padre.

«Scusate, ma non vi posso aiutare» aggiunse dispiaciuta.

«Ebbene, in effetti è passato più di un anno. Forse avrei dovuto venire prima.»

«Come mai non l'avete fatto?»

Perché pensare a voi, o peggio ancora vedervi, mi riusciva insopportabile, pensò lui.

«Speravo di risparmiarvi l'incomodo» rispose invece.

Si alzò in piedi e lei lo imitò all'istante, con infinita grazia. Era chiaro che, in un qualche momento della sua vita, era stata educata alle buone maniere.

«Vi chiedo scusa per avervi scombussolato la serata» disse Marcus.

«Non avevo impegni pressanti. Nel caso rammentassi qualcosa di utile, dove vi potrei trovare?»

«Da nessuna parte. Ma se avete un messaggio, potete affidarlo a mio fratello, al Fair Ladies' and Spare Gentlemen's Club.» Griff era il proprietario di un club nel quale uomini e donne non sposati cercavano compagnia. «Provvederà lui a recapitarmelo.»

«Ah, sì, ho sentito parlare del Fair and Spare. A quanto ho inteso, è un posto scandaloso. Vostro fratello collabora con voi, dunque?»

«No, però sa come contattarmi.»

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Una lampada accesa a una finestra dell'ultimo piano segnalava quando Griff lasciava un messaggio nascosto dietro un mattone allentato, sul retro dell'edificio.

«Ora vado. Buona notte.»

«Vi accompagno alla porta.»

«Non è necessario.»

«Che genere di padrona di casa sarei, se vi lasciassi andare via così?»

Marcus fu tentato di chiederle come avesse conosciuto suo padre, in che modo fossero diventati intimi, perché si fosse legata a un uomo anziano. Ma a giudicare dal suo stile di vita, era stata aiutata dal vecchio duca, oppure da qualcun altro. Al presente aveva un amante? Una donna del suo stampo non rimaneva a lungo senza qualcuno che provvedesse a lei.

Prima di cedere alla curiosità, si diresse a grandi passi verso l'uscita. Lei lo seguì senza difficoltà, il vantaggio di una donna con le gambe lunghe. Marcus si sforzò di non immaginarle avvinghiate attorno i propri fianchi. Lo faceva infuriare scoprirsi così attratto da quella svergognata.

Aprì la porta, uscì sotto il portico e, quando si preparò a tirare il battente, si accorse che lei si era infilata nell'apertura.

«Prendetevi cura di voi, Marcus Stanwick» gli raccomandò in un sussurro, eppure risuonava come un ordine.

Lui si chiese da dove traesse tanta sicurezza e desiderò di essere andato lì per motivi diversi, motivi che gli avrebbero permesso di perdersi in lei come avrebbe desiderato. Le rivolse un rapido cenno prima di scendere a balzi i gradini, superare il cancelletto in ferro battuto e sparire nella notte.

Dopo essere tornata alla poltrona accanto al camino, nel salotto d'ingresso, Esme Lancaster venne raggiunta da una compagnia molto più piacevole: Laddie, il cocker spaniel bianco e nero. Lo prese in grembo e si concesse il lusso di far vagare i pensieri sull'uomo appena uscito.

Senza dubbio Marcus Stanwick era molto più avvenente del padre. I capelli neri come la notte erano stati spuntati da poco. Gli occhi erano di un profondo blu, ma quando lui si era avvicinato con una furia che li aveva scuriti ancora di più, lei aveva notato le iridi screziate di grigio. Lo rendevano

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più affascinante di quanto non fosse opportuno. Le piaceva essere costretta a inclinare un po' la testa all'indietro per sostenere il suo sguardo. A differenza del padre, l'età non l'aveva ancora appesantito, anche se, con ogni probabilità, non correva questo rischio. Malgrado gli indumenti malmessi, non adatti alla sua figura, si capiva che al di sotto si celavano muscoli tonici e gran vigore. Di sicuro non aveva oziato da quand'era stato sbattuto per strada.

Era anche evidente che la disprezzava, e come dargli torto? L'aver frequentato il padre la bollava come donna dalla dubbia moralità, un ruolo che Esme aveva dovuto abbracciare, senza possibilità di scelta. Si era adoperata oltre ogni modo per ingraziarsi il duca, ammaliarlo e assicurarsi che volesse passare tempo in sua compagnia.

Con suo profondo rammarico, il loro rapporto era stato esibito in pubblico per quasi l'intero periodo trascorso insieme, poco più di due mesi.

La maggior parte degli uomini sposati preferiva tenere segrete le relazioni, invece, per qualche motivo, Wolfford aveva provato l'esigenza di vantarsene. Forse perché si stava avvicinando alla ragguardevole età di sessant'anni e desiderava rendere noto che era ancora in grado di suscitare l'interesse di una donna molto più giovane.

Si era pavoneggiato scortandola a passeggio per Londra come se non avesse avuto una moglie e tre figli adulti, che avrebbe messo in grave imbarazzo.

Il suo comportamento l'aveva sempre lasciata perplessa, ma proprio grazie a questo il figlio maggiore si era presentato alla sua porta. Lei aveva tirato a indovinare affermando che lui preferisse lo scotch, e ne aveva avuto conferma dal lampo d'irritazione sul suo volto.

Quanto altro sarebbe riuscita a scoprire su di lui, se gliene fosse stata data l'opportunità?

Saper comprendere le persone era uno dei suoi talenti, sin da bambina.

Aveva trascorso buona parte della sua infanzia prendendosi frustate dalla madre, convinta di scacciare via in quel modo il maligno dalla piccola.

Ma Esme non aveva mai capito davvero cosa avesse fatto per meritare un simile castigo.

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Aveva cominciato a sospettare che fosse il modo in cui la madre si sforzava di dare un senso al mondo, la tendenza a concentrarsi su chiunque o qualunque cosa giudicasse anomala, finché non riusciva a stabilire una parvenza di ordine che desse una risposta a ogni sua domanda.

Un parroco che veniva a trovare la madre troppo spesso quando il padre di Esme era lontano; un pasticcere che prestava molta più attenzione ai ragazzi che alle ragazze; un numero straordinario di bambini del villaggio che somigliava al figlio maggiore del padrone del maniero che sorgeva sulla collina.

Era stato il padre a insegnarle a osservare con attenzione. Quando non era altrove a combattere per la regina e il Paese, l'accompagnava in lunghe passeggiate e, di tanto in tanto, la interrogava riguardo all'ambiente circostante. Di che colore era l'abito della ragazzina bionda con i boccoli appena entrata dal fornaio insieme alla madre? Quanti bambini stavano accovacciati a giocare a biglie nel vicolo che avevano superato un minuto prima?

Una volta, quando Esme aveva otto anni, i genitori l'avevano portata in un negozio di giocattoli di Londra per comprarle una bambola. Incantata dall'ampia possibilità di scelta, lei si era innamorata di una in porcellana. Poi il padre, all'improvviso, si era inginocchiato al suo fianco per sussurrarle: Il negozio è in fiamme. Si sono tutti accalcati vicino alla porta e adesso sono bloccati. Come facciamo a uscire?

Non erano in pericolo. Non c'erano fiamme, eppure l'urgenza espressa dal tono le aveva fatto palpitare il cuore. Suo padre si aspettava da Esme una risposta, e lei non voleva deludere quell'uomo, un eroe della patria e, ancora più importante, il suo.

Da una finestra. Se è chiusa, buttiamo qualcosa contro il vetro per romperlo e poi ci caliamo giù.

E se ci tagliamo?

Meglio che bruciare vivi.

Con un largo sorriso, lui le aveva accarezzato la testa. Allora quale bambola preferisci?

La bambolina con lo sfarzoso vestito rosa e il cappello largo, adorno di fiori, l'aveva seguita ovunque nel corso de -

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gli anni e in quel momento sedeva su un angolo del tavolo da toilette. Stava lì per rammentarle che occorreva sempre un piano di fuga, in caso di pericolo.

E il pericolo si era appena profilato nelle vesti di Marcus Stanwick.

Tuttavia, mentre erano insieme nel salotto, quello di scappare era stato l'ultimo dei suoi pensieri.

Passi leggeri risuonarono un attimo prima che il maggiordomo entrasse nel locale e si soffermasse appena oltre la soglia. «L'ho perso di vista.»

«Quanto a lungo vi ha permesso di pedinarlo?»

«Non l'ha permesso.»

«E invece l'ha fatto, Brewster. L'avete perso non appena si è stancato di giocare con voi.»

Il suo assistente, più che domestico, era molto abile negli inseguimenti, tuttavia non aveva mai avuto un gran talento nel dissimulare il disappunto quando Esme dimostrava di avere ragione.

«Soltanto per un paio di miglia. Diamine, se camminava in fretta. Mi ha stremato. Dopo essermelo lasciato sfuggire, ho fermato una carrozza per tornare indietro.»

«Mmh. Si è fatto seguire più a lungo di quanto non pensassi.» Anche se forse Stanwick l'aveva fatto per dispetto. «Suppongo non vi abbia offerto alcun indizio su dove fosse diretto.»

«Spesso girava in tondo o tornava sui propri passi. Per un po' ho creduto che si fosse smarrito.»

Un uomo come Marcus Stanwick non si smarriva mai. Esme era pronta a scommetterci la sua intera fortuna. «Che intenzioni avete con lui?» s'informò Brewster.

«Non ho ancora deciso.»

Ma di una cosa era certa. Quella non era l'ultima volta che si sarebbero rivisti.

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«Ieri sera si è presentato da me Marcus Stanwick.»

«Perché?»

La voce incorporea proveniva dalle ombre più profonde dell'angolo opposto dello spazio male illuminato. Era un gioco che gli piaceva, come se evitare di mostrarsi lo rendesse più temibile e minaccioso. Esme sospettava ci fosse qualche relazione col fatto che le arrivava appena alla spalla con la testa. Oppure era a causa della gobba. Che creature suscettibili sapevano essere gli uomini. In particolare quell'uomo.

Si presentava sotto vari nomi, ma lei lo chiamava O.

«Desiderava sapere se suo padre si fosse mai confidato con me riguardo al previsto attentato, se conoscessi qualche informazione utile per aiutarlo a rintracciare le persone coinvolte nella congiura.»

«Cos'avete risposto?»

«Che ero all'oscuro di tutto.»

«Bene. Non abbiamo certo bisogno che scombini i nostri piani.»

«Potrebbe essere troppo tardi per impedirlo. Mi ha domandato se il nome Lucifer mi diceva qualcosa.»

«Che vada al diavolo.»

Nell'agitazione, l’uomo si espose in parte alla luce tremula delle torce, collocate nei sostegni di ferro fissati alle pareti.

Il locale segreto, uno dei tanti nella rete di tunnel che correva sotto la città, contava ben poche comodità. Nascosto com'era, però, ben si prestava agli incontri clandestini, soprattutto a quelli che riguardavano complotti efferati per porre fine al regno di una sovrana.

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«Cosa gli avete raccontato?»

Esme sospirò d'impazienza. Perché seguitava a interrogarla anche quando la risposta era ovvia? Collaboravano da quasi due anni. Ormai avrebbe dovuto essergli chiaro che lei sapeva il fatto suo.

«Cosa pensate che gli abbia detto? Niente.»

«E vi ha creduta?»

«Perché non avrebbe dovuto?»

Lui le rivolse un sorriso che avrebbe fatto avvizzire il fiore più delicato, ma Esme era immune a questo tipo di reazioni.

Lei non aveva sentimenti di alcun genere.

La chiamavano la mercenaria senza cuore, sempre che si degnassero a chiamarla in qualche modo coloro che si ritenevano superiori a lei. Anche se, mentre stava seduta di fronte a Marcus Stanwick, aveva provato qualcosa di sconcertante. Come se si fosse svegliato un aspetto della sua persona che aveva creduto sepolto da tempo.

«Mi domando se avvicinarmi un po' a lui potrebbe rivelarsi vantaggioso per noi» azzardò.

Lo disse nel tono più neutro possibile, anche se l‘idea di rivedere Marcus Stanwick le accelerava il battito del cuore e le faceva fremere lo stomaco, come se avesse ospitato all'improvviso un gruppo di acrobati che saltavano qua e là.

«Per scoprire tutto quello che sa» aggiunse lei, «oppure sospetta.»

«È una figura irrilevante e comunque siamo più vicini che mai a raggiungere l'obiettivo.»

Si diresse verso un tavolo, di sicuro vecchio di duecento anni, e lo fece traballare un poco nel prendere il biglietto che vi era posato sopra.

«Mercoledì prossimo ci sarà una... serata da Lord Podmore. Vi ho procurato un invito. Non verranno chiesti nomi e tutti indosseranno una maschera. La nostra speranza è che troviate un'occasione per ispezionare il suo studio, e magari trovare quanto ci occorre nella sua biblioteca.»

«Se c'è, lo scoverò.»

Esme avrebbe dovuto chiudere il discorso e andarsene in quel momento, ma non riusciva a scacciare la percezio -

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ne che Marcus Stanwick avrebbe potuto rivelarsi pericoloso, poiché interferiva con i loro piani.

«Stanwick è convinto che il complotto per assassinare Vittoria sia ancora in piedi.»

Di nuovo quel sorriso scaltro. «Presto gli dimostreremo che ha ragione.»

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Il ritratto della seduzione

EVIE DUNMORE

Londra, 1880 - Come ha fatto Hattie Greenfield, ambiziosa ereditiera, suffragista e studentessa di Oxford, a ritrovarsi davanti all'altare con l'attraente, ma rozzo scozzese Lucian Blackstone, tanto temuto nell'alta società di Londra? Solo un viaggio improvviso in Scozia le consentirà di vedere il marito sotto una luce diversa.

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Dal 13 luglio

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