J2414_RIPOSO_E_DOLCI_COCCOLE

Ristorante Bella Rosa Romanticismo, rivalità e una famiglia ritrovata, questi gli ingredienti principali.

Care lettrici, il pranzo è servito!

Per anni la rivalità tra i fratelli Lisa Casali e Luca Casali ha scosso la tranquilla cittadina italiana di Monte Correnti, così come i loro due ristoranti hanno diviso la piazza del mercato.

Adesso che le chiavi dei locali sono passate ai figli di Lisa e Luca, la storia si ripeterà?

Riuscirà la nuova generazione a dimenticare gli errori dei genitori, a riconciliare le famiglie e a unire i due ristoranti?

O ci saranno nuovi segreti da svelare?

Legenda:

Alessandro/ Alex Casali

Matrimonio legale Relazione Figlio Figlio illegittimo

Angelo/ Angel Casali

Cindy Daniels

William Valentine

Isabella Casali

Luca Casali

Cristiano Casali

Violetta D’Alonso

Rosa Firenzi (Nata Casali)

Valentino Casali

Elizabeth (Lizzie) Green

Lisa Firenzi

Jackie Patterson

Scarlett Gibson

1. Heath Green 2. George Patterson 3. Brad Gibson

Roberto Firenzi

Barbara Hannay

RIPOSO E DOLCI COCCOLE

Rebecca Winters

L'AMORE RITROVATO

Titoli originali delle edizioni in lingua inglese: Executive: Expecting Tiny Twins Miracle for the Girl Next Door Harlequin Mills & Boon Romance © 2010 Harlequin Books S.A. © 2010 Harlequin Books S.A. Traduzione di Elisabette Motta Traduzione di Maria Cristina Aiezza Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma.

Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.

Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.

Harmony è un marchio registrato di proprietà Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved. © 2011 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Serie Jolly maggio 2011 Questo volume è stato impresso nell'aprile 2011 presso la Rotolito Lombarda - Milano HARMONY SERIE JOLLY ISSN 1122 - 5390 Periodico bisettimanale n. 2414 dello 03/05/2011 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 56 del 13/02/1982 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano

Questo mese eccovi la ricetta degli

SPAGHETTI ALLA CARBONARA SPECIALE Cominciate a mettere sul fuoco la pentola con l'acqua e aspettate che bolla. Nel frattempo preparate il sugo alla carbonara. Prendete del buon guanciale, se non ne avete va benissimo anche della pancetta affumicata. Tagliate a dadini e mettetela a soffriggere con dell'olio extra vergine d'oliva e un po' di pepe. Quando ben rosolata aggiungete del buon vino rosso, fate andare un po' di modo che la pancetta prenda il sapore del vino, ma non fatelo asciugare troppo, altrimenti non riuscirete a condire bene gli spaghetti.

Quando l'acqua bolle mettere il sale e buttare gli spaghetti.

Appena cotti, scolarli aggiungere due tuorli d'uovo mescolare bene e poi introdurre il sugo di pancetta e vino. Amalgamare il tutto di modo che la pasta prenda un bel colorino rosato, se necessario rimettere un po' sul fuoco qualora gli spaghetti risultassero troppo acquosi. Servire subito.

BUON APPETITO!

Riposo e dolci coccole

1 Era vestita tutta di bianco.

Jack Lewis sorrise mentre l'elegante figura scendeva dal piccolo aereo. Nuvole di polvere rossa si posavano lentamente sulla pista d'atterraggio; la stessa sabbia ricopriva il suo fuoristrada, gli stivali da cowboy che indossava e, praticamente, ogni cosa lì attorno, eppure la senatrice Elizabeth Green aveva scelto di arrivare a Savannah abbigliata da capo a piedi di un candore immacolato.

Gli eleganti sandali ai suoi piedi erano bianchi, come i pantaloni inamidati, la camicia di lino e il cappello dalla tesa floscia. Uniche eccezioni gli occhiali neri, all'ultima moda, e la valigetta a tracolla in pelle color verde chiaro che conteneva un computer portatile.

Quella donna pensava forse di essere arrivata nell'elegante riviera italiana?

Jack non riuscì a contenere una debole imprecazione, udita solo da Cobber, il cane da mandria accucciato ai suoi piedi. «Credo sia meglio andare a salutare.»

Ignorando la fastidiosa sensazione di martirio che lo accompagnava, attraversò la striscia di polvere, muovendosi con evidente disinvoltura, seguito dal suo fedele amico a quattro zampe.

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Jack era arrabbiato con se stesso per avere permesso al suo capo, un'anziana signora vedova da otto anni, di averlo costretto a ospitare quella persona. Kate Burton aveva l'abitudine di testare la pazienza di Jack, organizzando i propri affari attraverso telefonate a lunga distanza dalla sua lussuosa casa di riposo a Melbourne.

«Devo un favore a Lizzie» gli aveva annunciato candidamente. «Non ti darà alcun problema, Jack.

Vuole solo riposarsi e respirare aria di campagna e poi ha bisogno anche di stare lontana dai media per un po'. Capisci, vero?»

Abituata ormai da qualche anno a non essere contraddetta, Kate non aveva nemmeno dato la possibilità a Jack di protestare e di dirle di no, che non capiva, che gestiva un'azienda d'allevamento non un albergo e, adesso che era il periodo di transumanza delle mandrie, aveva programmato di unirsi alla squadra.

Da parte sua, Kate si era risparmiata lo sforzo di spiegare perché una senatrice di alto profilo, personaggio di punta dei giornalisti di Canberra, avesse all'improvviso scelto di rifugiarsi in un luogo così lontano, nell'estremo nord del Queensland.

Kate non aveva lasciato a Jake altra scelta se non quella di rinunciare ai suoi impegni in fattoria per occuparsi della sua ospite. Quella mattina aveva radunato i cavalli che pascolavano in quel recinto e spianato il formicaio che era spuntato sulla pista d'atterraggio dall'ultima volta che vi aveva atterrato un aereo leggero.

E adesso, mentre si avvicinava, lei aveva raddrizzato le spalle e sollevato il mento, in una posa che denotava autorità e determinazione.

Il cappello bianco e gli occhiali scuri nascondevano parte del volto della donna, ma Jack percepì la sua 10

sorpresa, come se lei si aspettasse di vedere una persona diversa.

Stessa sensazione per Jack. Da vicino, la senatrice Elizabeth Green era una donna di una bellezza straordinaria.

Certo, aveva visto alcune sue fotografie sui giornali e aveva ammirato l'avvenenza fisica, ma la versione reale lo aveva davvero colpito. Di sicuro, la senatrice Green appariva troppo dolce e seducente per essere un'autorità del governo federale.

Notò le sue generose curve sotto l'abbigliamento di lino bianco.

I capelli scuri erano raccolti nel cappello e alcune ciocche setose che le scendevano sulla nuca, guidarono la sua attenzione sulla pelle liscia, luminosa, leggermente ambrata, tipica della bellezza mediterranea.

E la bocca...

Diamine! Era piena, carnosa, tumida. La più sensuale che Jack avesse mai visto.

Poi le labbra si mossero. «Signor Lewis?»

Ci volle qualche secondo prima che lui riuscisse a rimettere in funzione il cervello.

«Buongiorno, senatrice.» Scandì le parole ad alta voce. «Benvenuta a Savannah.»

Si chiese se gli avrebbe offerto la mano. Il grande cappello e gli occhiali nascondevano così tanto del volto di quella donna che gli risultò difficile raccogliere indizi, ma percepì che lo stava ancora studiando nel tentativo di formulare supposizioni il più corrette possibile.

Alla fine lei gli porse una mano fredda, magra, ma dalla stretta ben ferma.

«Ho dei bagagli.» A dispetto delle sue origini italiane, la senatrice rivelò un inconfondibile accento americano.

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Jack fece un cenno al pilota. «Prendo io i bagagli, Jim.» Nella stiva, trovò due valigie uguali, Louis Vuitton naturalmente, e una borsa della stessa griffe colma di libri. Quando lui issò la tracolla sulla spalla, notò che i volumi pesavano una tonnellata.

«Vedo che ha intenzione di leggere molto» osservò regalandole un sorriso.

La senatrice scrollò leggermente le spalle, come se fosse scontato che avrebbe avuto ben poco da fare lì, eccetto tenere in allenamento la mente.

Riducendo il sorriso a un'espressione rassegnata, Jack salutò con la mano il pilota, poi sollevò le valigie. A giudicare dal loro volume, sembrava che la donna avesse programmato di restare a Savannah per sei mesi. O anche più a lungo. Kate Burton era stata vaga sulla durata della sua permanenza.

«Sarà meglio andare prima che Jim decolli e ci investa con un'altra nube di polvere.» Jack annuì in direzione del fuoristrada. «La limousine è là.»

Di nuovo la senatrice Green ignorò l'umorismo di Jack. Al contrario, osservò il veicolo ricoperto di sottilissima sabbia, poi si guardò addosso, notando le macchie rosse miste a fili d'erba e, in ultimo, alzò gli occhi verso il cielo, terso e limpido. Sconfinato.

Solo il grido di una cornacchia rompeva il silenzio.

Guardando con attenzione la sua ospite, Jack la vide emettere un sospiro, come se si cimentasse a sostenere una dura prova. A lui non interessavano i problemi di quella donna o perché fosse venuta lì eppure, suo malgrado, provò una punta di compassione per lei.

Incominciarono a camminare e, dopo avere percorso la breve distanza che li separava dal fuoristrada, non più di una sessantina di metri, i sandali della se12

natrice Green si ricoprirono di sabbia, la stessa che andò a depositarsi sull'orlo dei suoi pantaloni immacolati, formando una striscia rossa.

Lei strinse le labbra in un'espressione di disappunto mentre Jack sistemava i bagagli accanto ai grossi rotoli di filo spinato per la recinzione, nel vano posteriore del suo vecchio SUV. «Spero che non si aspetti niente di lussuoso.» Aprì la portiera del passeggero, notò i peli del cane sul sedile e, a dispetto del desiderio di lasciarli lì, sbatté la tesa del cappello per rimuoverli.

«Grazie» disse la senatrice in un tono altezzoso che gli ricordò quello di una principessa rivolta al proprio lacchè.

Jack si sforzò di ignorare il fastidio che provò. «È lontana la fattoria?» chiese poi.

«Non molto. Un paio di chilometri.»

«Salta dietro, Cobber» ordinò Jack e il cane obbedì, prendendo posto accanto alle valigie. «È meglio che si allacci la cintura» suggerì poi sistemandosi dietro al volante. «La strada è abbastanza sconnessa.»

Lizzie sedeva in un mesto silenzio mentre il fuoristrada percorreva l'impervio tragitto. Era grata che lui non cercasse di intavolare una conversazione. In tal caso avrebbe dovuto usare un tono alto di voce per sovrastare il rumore del motore. Sembrava abbastanza rilassato alla guida, mentre lei stringeva la maniglia di sostegno al di sopra della sua testa, più nel tentativo di calmare i nervi che per contrastare gli scossoni.

Aveva bisogno di allontanare la fastidiosa agitazione da scolaretta che l'aveva pervasa da quando aveva posato gli occhi su Jack Lewis.

Santo cielo! Era ridicolo. Non aveva quella reazio13

ne a un uomo da quasi dieci anni e la trovava assolutamente ingiustificata.

Era assurdo e stressante, alla soglia dei quarant'anni, sentire il sangue esploderle nelle vene come dei fuochi d'artificio. Ma forse tutto ciò era imputabile alla sorpresa, cercò di convincersi. Si aspettava che Jack Lewis fosse più vecchio di parecchi anni.

Dopo la conversazione con Kate Burton, si era costruita un'immagine dell'allevatore di Savannah che corrispondeva a quella di un fattore di mezz'età, dall'aria paterna e gentile e i capelli brizzolati. Una figura po' schiva e riservata, come possono esserlo le persone di campagna.

Lizzie non poteva essersi allontanata di più dalla realtà.

Jack era giovane, di sicuro più di lei, ed era uno stupendo esemplare di maschio: fisico atletico, alto, muscoloso e sembrava scoppiare di salute. Quell'uomo dalle ciocche schiarite dal sole, luminosi occhi verdi e un sorriso che avrebbe sciolto il ghiaccio, era maledettamente bello e pericoloso.

La cosa scioccante era che Lizzie aveva conosciuto una gran quantità di uomini affascinanti senza sentire le ginocchia molli, ma c'era qualcosa di diverso in lui, qualcosa di indefinibile.

Forse era il modo lento e disinvolto in cui si muoveva. Ripensò al passo sciolto e tranquillo quando le si era avvicinato e al modo in cui aveva sollevato senza sforzo le valigie, come se contenessero fazzoletti di carta. Anche il suo atteggiamento alla guida era rilassato e naturale; teneva il volante con una mano e l'altra sulla leva del cambio.

Jack Lewis aveva sex appeal da vendere.

E lei era sicura che tutte le giovani donne della zona fossero innamorate di lui.

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Santo cielo! Doveva smetterla di pensare a quelle cose. Subito!

Jack Lewis non era il suo tipo. Nemmeno lontanamente. Lei era una senatrice federale, un personaggio importante, impegnato, molto impegnato. Tutto in Jack, il sorriso conturbante, il linguaggio disinvolto del suo corpo, dimostravano che il suo stile di vita era diverso da quello di Lizzie.

Certo, lei sapeva bene che non avrebbe dovuto reagire a una superficiale apparenza. La carriera le aveva insegnato che conoscere le persone significava andare oltre le apparenze. L'immagine spesso inganna; la verità è sempre nascosta.

Era cosciente anche di avere la pessima abitudine di innamorarsi dell'uomo sbagliato. Due volte nella vita aveva incontrato qualcuno che, al primo impatto, aveva trovato attraente e, tutte e due le volte, era rimasta scottata, ridotta quasi in cenere.

Mai più. Quei due buoni motivi, erano stati sufficienti a farle prendere la saggia decisione di tenere gli uomini alla larga.

Ma era contenta di evitare le relazioni finalizzate al matrimonio e stentava a credere che avesse perso tanti anni a cercare disperatamente la sua anima gemella.

Aveva assaporato la libertà di essere sola, come sua madre.

Il fuoristrada sobbalzò su un fossato e Lizzie si portò d'istinto una mano sul ventre, in un gesto di protezione.

Il suo bambino.

Suo, soltanto suo.

Gli ultimi tre mesi erano trascorsi velocemente e, secondo i libri sulla gravidanza che aveva studiato a fondo, la sua creatura doveva avere la grandezza di una mezza banana.

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«Tutto bene?» Jack le rivolse una fugace occhiata di preoccupazione.

«Sì, grazie.» La sua voce risuonò brusca. La tensione la rendeva nervosa e si affrettò a sollevare la mano per infilare una ciocca di capelli sotto al cappello.

L'ultima cosa che voleva era attirare l'attenzione sul bambino che le stava crescendo in grembo. Kate Burton le aveva promesso di tacere la sua gravidanza a Jack e Lizzie, di sicuro, non aveva intenzione di confidargli quel segreto, almeno fino a quando non lo avesse conosciuto meglio.

A pensarci bene, non riusciva a immaginare di entrare con lui in un rapporto tale da aprirsi a certe confidenze. Doveva esserci un'altra persona alla fattoria, magari una gentile governante che sarebbe stata ben contenta di scambiare quattro chiacchiere con lei davanti a una tazza di tè.

Mentre guardava le sconfinate distese pianeggianti rosse, Lizzie sentì il suo umore crollare. Aveva programmato di trascorrere almeno un mese in quel posto isolato dal resto del mondo. Aveva bisogno di riposo, per il bene del bambino e anche suo e, di sicuro, le serviva anche fuggire dai tutti quei cani della stampa.

Se ricevessero una soffiata di Jack, sarei nei guai, pensò.

Quel periodo di isolamento l'avrebbe tenuta al sicuro, lontana dallo stress e da occhi indiscreti.

Certo, aveva intenzione di tenersi impegnata, mantenendo i contatti con il suo ufficio a Brisbane e i colleghi parlamentari di Canberra via Internet e per telefono, il cui numero era conosciuto da una ristretta cerchia di persone fidate.

Avrebbe dedicato il tempo libero alla lettura dei li16

bri che aveva portato con sé. Si lamentava di non riuscire più ad aprire un volume per diletto, anche se una volta adorava perdersi tra le pagine di un buon romanzo.

Aveva anche immaginato di concedersi delle lunghe passeggiate, ma quel paesaggio piatto e brullo non sembrava particolarmente invitante.

«Ecco la fattoria» annunciò Jack fermandosi davanti a un cancello e puntando il dito davanti a sé, attraverso il polveroso parabrezza.

Era una costruzione in legno, lunga e bassa, dipinta di bianco, sulla cui sommità spiccava un tetto verde scuro, circondata da case più piccole.

Jack la guardò e lei realizzò che aspettava che dicesse qualcosa. Ma che cosa?

Non c'era un giardino da ammirare, anche se file curve di pietre cementate tra loro indicavano che in passato dovevano esserci state delle aiuole. Di sicuro, sarebbe stata una permanenza rilassante lì, ma anche noiosa e solitaria, visto che l'azienda agricola sorgeva in mezzo al nulla.

«La casa sembra... molto... graziosa.»

Una luce d'impazienza era ben visibile nel suo sguardo.

«Pensa di poter aprire il cancello?» chiese Jack in tono gentile.

«Uh... il cancello.» Lizzie rise per nascondere lo shock. A Canberra utilizzava una carta elettronica con cui spalancava le porte o i cancelli in un secondo, oppure era il suo staff a farle strada. «Vuole che lo apra io?»

Lui le indirizzò un sorriso asciutto. «È una sorta di tradizione, come quella del vischio. Il guidatore resta al volante. Il passeggero apre il cancello. Così, se non è un problema per lei...»

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Ma quel cancello si rivelò un problema.

Prima Lizzie dovette armeggiare con la maniglia della portiera di quel vecchio fuoristrada, poi, quando riuscì a scendere dall'abitacolo, finì con i piedi nella sottile polvere rossa che ancora una volta le ricoprì i sandali e si insinuò tra le dita nude. Finalmente, raggiunse il cardine e incominciò a brigare con un pesante gancio di metallo e un pezzo di filo di ferro arrugginito e tutto storto.

L'orgoglio le impedì di arrendersi, ma non aveva la più pallida idea di come aprire quell'accidenti.

Una sonora risata la fece girare. Jack Lewis, sceso dal veicolo, era fermo dietro di lei. Le sorrideva.

«Credo sia meglio che le faccia vedere come funziona.»

«Già» sbottò. «È la chiusura più rudimentale che abbia mai visto. Perché non c'è un normale chiavistello?»

«Il bestiame potrebbe uscire facilmente.»

Lei emise uno sbuffo di sdegno in risposta e lo guardò con labbra strette mentre Jack, con la massima abilità, sfilò il gancio.

Poi le strizzò un occhio. «Ha capito?»

«Certo» rispose di ghiaccio, non volendo ammettere che non era completamente sicura di come avesse fatto.

«Bene. Entro con il fuoristrada mentre lei richiude il cancello dietro di me.»

«Aspetti!» ordinò Lizzie mentre Jack stava raggiungendo il veicolo.

Lui si voltò con la solita calma, gli occhi accesi da un sorriso ambiguo.

Irrigidì le spalle e sollevò il mento. «Non me l'ha fatto vedere da vicino.»

Scrollando la testa, ritornò indietro con passo tran18

quillo mentre lei non sapeva decidere se il suo sorriso fosse derisorio o amichevole.

Per sua sfortuna, lui era troppo vicino mentre sganciava la catena e Lizzie si scoprì distratta dal gioco dei suoi muscoli che guizzavano sugli avambracci abbronzati e dal movimento svelto delle dita.

«Deve piegarlo nella posizione delle lancette di un orologio che segnano le due» le spiegò ripetendo il passaggio due volte. «Adesso provi lei.»

Le loro mani si sfiorarono e quel fugace contatto la fece arrossire, ma finalmente ci riuscì e si rivelò più facile di quanto immaginasse.

Il fuoristrada avanzò con violenti scossoni finché non si arrestò davanti ai gradini del portico. Jack prese i bagagli di Lizzie con la stessa economia di movimenti che lei trovava sorprendente. Questa volta si sforzò di guardare altrove.

In cima alle scale lui si voltò. «Immagino che vorrà vedere prima la sua stanza.»

«Grazie.»

«Affaccia su questa veranda.»

Il cane si accucciò in un angolo assolato del patio, mentre Lizzie seguì Jack che trasportava le valigie e non poté fare a meno di ammirare da dietro le sue larghe spalle che si delineavano sotto la camicia di cotone blu e i jeans sbiaditi leggermente scesi sui fianchi stretti.

Santo cielo, Lizzie. Guarda da un'altra parte!

Lui varcò una porta a vetri che si apriva su un'ampia stanza ariosa e posò i bagagli sul pavimento ricoperto di parquet, accanto al grande letto in ottone su cui era distesa una soffice trapunta floreale. Guardò Lizzie che stava osservando le pareti rosa pallido e le tende a pois bianchi.

«Questa è la camera che usa Kate quando viene a 19

Savannah» la informò Jack, prima che lei ponesse il quesito.

Lizzie annuì. «Lo credo bene. È come lei, confortevole, rilassante ed essenziale.» Guardò il dipinto sul letto, un acquerello che ritraeva uno stormo di uccelli in volo su uno sfondo di un cielo rosa all'alba.

«Kate ha pensato che le sarebbe piaciuta.» «È molto gentile da parte sua permettermi di usare la sua stanza. Lo apprezzo molto.»

Bene. Il primo ostacolo è superato, pensò Jack soddisfatto.

Ma poi due linee verticali incresparono la fronte di Lizzie. «C'è il bagno?»

Lui scosse la testa e provò quasi piacere nel rispondere: «È in fondo al corridoio».

«Oh, va bene.» Lizzie scostò la morbida ruche che ornava la scollatura della sua camicetta. «Immagino che non ci sia l'aria condizionata, vero?»

«Le pale a soffitto sono più che sufficienti. Non è estate. Starà bene.» Indicò il grande tavolo in legno di quercia accanto alla finestra che affacciava sul recinto. «Kate mi ha detto che ha bisogno di una scrivania, così ho sistemato qui questo per lei.»

«Grazie.» Si guardò ancora una volta attorno, fece scivolare la tracolla della ventiquattrore dalla spalla e la posò sul tavolo, poi diede un'affettuosa pacca sulla borsa, come se fosse la sua migliore amica.

Si sfilò gli occhiali da sole e li poggiò accanto alla valigetta, poi si tolse anche il grande cappello bianco.

Ma non avrebbe dovuto farlo.

Il corpo di Jack reagì come se Lizzie si fosse lanciata in uno striptease.

La senatrice rimosse per sbaglio anche le forcine tra i capelli che, pesanti, folti, lucenti e neri come un cielo di mezzanotte, le ricaddero sulle spalle. Di col20

po, lui ebbe difficoltà a inalare aria nei polmoni.

E forse fu meglio. Se fosse stato capace di respirare avrebbe parlato, avrebbe detto qualcosa di insensato, come confessarle che la trovava la donna più attraente che avesse mai visto.

E, dannazione, lo era! Lizzie aveva una bellezza straordinaria. I suoi occhi azzurri si accendevano di riflessi verdi e il volto era incorniciato da quei capelli neri che sembravano di seta...

Jack sentì i muscoli della sua gola lavorare per tutto il tempo mentre era lì, a fissarla.

Poi un'espressione preoccupata le incupì il viso. Le sembrò nervosa.

Così emise un respiro profondo e si sforzò di spostare lo sguardo sul tavolo e di concentrare la mente sugli affari. «Io... credo che lei abbia bisogno della connessione Internet?»

«Sì.» Anche lei sospirò e si allentò di nuovo il colletto della camicia. «Ho... una chiavetta per il collegamento senza fili.»

«Perfetto.» «È un sistema comodo quando si viaggia.»

Emise un altro sospiro, lento e profondo, poi incominciò ad attorcigliare i capelli in un austero chignon da vecchia zitella.

Jack affondò le mani nelle tasche dei suoi jeans sforzandosi di guardare ovunque, tranne lei. «Allora che cosa preferisce fare? Sistemarsi in camera o dare un'occhiata al resto della casa?»

Lizzie esitò, irritata dal fatto che la sua mente fosse in difficoltà a prendere una decisione così semplice.

Vista la mole di lavoro che l'aspettava, scelse di tirare fuori il computer e iniziare immediatamente.

«Gradirebbe qualcosa da bere prima?» suggerì Jack, quasi riluttante.

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Doveva di sicuro esserci una domestica in cucina.

Qualcuno che avrebbe fatto da rassicurante cuscinetto tra Lizzie e quell'uomo così attraente, anche se inadeguato per lei.

«Un tè sarebbe perfetto, grazie» si riscoprì a rispondere.

Seguì di nuovo Jack, questa volta lungo uno stretto corridoio, poi attraversarono un ampio soggiorno arredato con poltrone e tavolini, fino ad arrivare a una porta a vetri scorrevole che si apriva su una veranda.

Lizzie lanciò una fugace occhiata nella stanza, cogliendone un'impressione di trascuratezza e disordine.

Una pila di cuscini era ammucchiata a un'estremità del divano, evidentemente per il conforto della persona che vi si era adagiata a guardare la televisione.

Giornali sportivi e tazze sporche di caffè erano abbandonati ovunque e una lattina di birra aperta giaceva sul pavimento, accanto al divano. La domestica doveva essere sciatta quanto Jack, decise Lizzie.

Pensò al suo appartamento minimalista dei primi anni venti e alla sua super efficiente governante e sospirò.

Raggiunsero la cucina.

«Si accomodi.» Jack indicò una delle sedie, tutte diverse, raccolte attorno a un grande tavolo rotondo in pino che, da una parte, era sgombro, mentre dall'altra era cosparso di giornali e riviste. Lizzie notò anche un mucchio di corrispondenza, un martello, dei chiodi e un pezzo di cuoio con una fibbia che doveva essere stato parte della briglia di un cavallo.

Con sua sorpresa, lui andò al lavello per riempire un bollitore che mise sul fornello.

Dov'era la cordiale domestica dalle gote rosee pronta con la teiera fumante e un vassoio di scones appena sfornati?

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«È il giorno libero della governante, Jack?»

Lui aggrottò la fronte. «Che cosa vuole dire?»

Strinse gli occhi, facendo vagare lo sguardo nella vecchia cucina. «C'è qualcosa che non va?»

Con crescente sgomento, Lizzie lo guardò raggiungere con la mano una mensola sui fornelli per prendere un barattolo di tè, un gesto che fece automaticamente, con disinvoltura, dandole la precisa sensazione di averlo fatto centinaia di volte. «Lei ha una cameriera, vero?»

Jack scosse la testa. «Non ne ho bisogno. Sono solo io nella casa principale.» Le indirizzò un sorriso asciutto. «Kate mi ha detto che desiderava un posto per rilassarsi. Non mi ha parlato di lusso.»

«Non voglio il lusso.»

Lui inarcò un sopracciglio, ma parlò tranquillamente. «Allora va bene.»

Versò un po' di acqua calda nella teiera, la rigirò e poi la rovesciò nel lavello prima di aggiungere le foglie di tè. Ancora una volta Lizzie guardò le sue mani, forti, grandi e capaci.

Dannazione. Non avrebbe dovuto guardare le mani di Jack Lewis. Aveva chiuso con gli uomini, per sempre. E poi, Jack era molto più giovane e lei era venuta lì per rilassarsi, per stare in pace: condizioni ottimali per portare avanti una gravidanza serena. Ma già si sentiva agitata ed era colpa di Jack. No, era colpa sua.

Doveva solo controllare le sue reazioni.

Certo, se avesse detto a Jack che era incinta, avrebbe subito fatto chiarezza sulla situazione. Una simile notizia avrebbe spento quella luce sexy nei suoi occhi.

Aprì la bocca, già assaporando le parole: Jack, sono incinta.

Ma all'improvviso sapeva che non le avrebbe mai 23

pronunciate. Era venuta in quel posto per evitare di fornire spiegazioni a un branco di giornalisti affamati.

Non doveva dirlo a Jack. Non ancora.

Forse pi첫 tardi.

Forse mai. Lui era un estraneo, dopotutto, e la sua condizione di donna incinta non lo riguardava.

Molto presto, i suoi ormoni si sarebbero stabilizzati e quella sensazione inappropriata di attrazione verso quell'uomo sarebbe svanita.

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