Ami Weaver
Poi sei arrivato tu
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: An Accidental Family Harlequin Mills & Boon Romance © 2013 Ami Weaver Traduzione di Donella Buonaccorsi Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved. © 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Serie Jolly aprile 2014 Questo volume è stato stampato nel marzo 2014 presso la Rotolito Lombarda - Milano HARMONY SERIE JOLLY ISSN 1122 - 5390 Periodico settimanale n. 2553 del 22/04/2014 Direttore responsabile: Stefano Blaco Registrazione Tribunale di Milano n. 56 del 13/02/1982 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Trentacoste, 7 - 20134 Milano Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano
1 Lo stick era rosa. Lainey Keeler chiuse gli occhi, alzò il test con mano tremante, poi lo sbirciò solo con l'occhio destro. Non c'erano dubbi. Era proprio rosa. Forse avrebbe dovuto ricontrollare le istruzioni per essere sicura, ma... Mio Dio! Com'era potuto accadere? In realtà, il come lo conosceva. E a dire il vero conosceva anche il quando. E il chi! Gli occhi le si riempirono di lacrime, mentre gettava il test nel cestino della pattumiera, che conteneva già altri quattro test, di quattro marche diverse, ma con lo stesso risultato. E così, quello era il prezzo da pagare per una notte di sesso mescolato a una massiccia dose di stupidità. Scivolò sul freddo pavimento piastrellato del bagno e picchiò la testa contro lo sportello del mobiletto dei trucchi. Cominciò a ridere istericamente e premette le dita contro le tempie. Incredibile! Quindici anni dopo il diploma era finalmente riuscita ad andare a letto con il quarterback più famoso della scuola. Lo stesso per cui aveva avuto una terribile cotta per tutti gli anni del liceo. E a farsi mettere incinta! 5
«E io che pensavo di avere l'influenza» disse al suo gatto, che la osservava dalla soglia. La strizzatina d'occhi con cui Panda le rispose avrebbe potuto significare qualunque cosa. «Non capisco come non mi sia venuto in mente che potevo essere incinta!» Single e incinta. Proprio adesso che aveva iniziato un nuovo lavoro e la sua vita non sarebbe potuta essere più instabile. Rabbrividì al pensiero di quello che le avrebbero detto i suoi genitori. A trentatré anni, avrebbe dovuto essere una donna realizzata dal punto di vista professionale. Invece, non aveva ancora trovato un lavoro che facesse al caso suo. Inutile farsi illusioni, pensò mordicchiandosi nervosamente il labbro inferiore. Cinque test di gravidanza non potevano sbagliarsi, anche se le sarebbe piaciuto moltissimo. Aveva bisogno di un piano. «Un piano è proprio quello che mi ci vuole» ripeté ad alta voce al gatto sulla soglia, che le rispose con un miagolio. Il guaio è che non sapeva proprio che cosa fare. Sospirando si alzò in piedi, uscì dal bagno, attraversò il piccolo corridoio ed entrò nella sua minuscola camera da letto. Le serviva un appartamento più grande, decise in preda al panico. Il delizioso monolocale sopra il suo negozio, The Lily Pad, andava benissimo per una persona e un gatto sovrappeso. Ma con un bambino... I bambini hanno bisogno di così tante cose. Posò una mano sul ventre ancora piatto. Un bambino. Mio Dio, stava per diventare madre! Chiuse gli occhi e ricacciò indietro le lacrime, chiedendosi che tipo di madre sarebbe stata. Il suo ex marito e i suoi genitori le avevano ripetuto centinaia di volte che tendeva a essere volubile e irresponsabile. E un bambino significava responsabilità e stabilità. 6
Con sgomento si chiese che cosa sarebbe successo se fosse venuto fuori che avevano ragione loro. Di sicuro, non aveva dato prova di buon senso la notte della cena con i suoi compagni del liceo. Ma non era il momento di piangersi addosso. Non quando mancavano pochi minuti all'apertura del negozio. Beth Gatica, la sua migliore amica nonché unica dipendente, era già al piano di sotto. Doveva pensare al da farsi, in fretta. Se solo avesse saputo da che parte cominciare... Ma certo! Un medico. Aveva bisogno di un medico. E visto che il suo era un amico dei suoi genitori, doveva cercarne un altro. Sentendosi un po' meglio, adesso che sapeva che cosa fare, prese l'elenco del telefono e cominciò a sfogliarlo. «Lainey!» La voce di Beth le giunse attraverso la porta chiusa che metteva in comunicazione il negozio con il monolocale. «Arrivo!» replicò lei, richiudendo l'elenco del telefono e cominciando a scendere le scale. «Bene, perché abbiamo un problema.» «Che genere di problema?» le domandò lei arrivando in fondo alle scale e aprendo la porta. «Non fa abbastanza freddo, Lainey» le fece notare Beth. «Ci sono almeno dodici gradi di più del necessario. Il più vecchio dei due refrigeratori non funziona come dovrebbe.» «Oh, no!» esclamò lei sgomenta. Aveva bisogno che quel refrigeratore continuasse a funzionare per un altro anno almeno. Così come le serviva che la batteria del furgoncino reggesse ancora per sei mesi. Le tempie cominciarono a pulsarle al pensiero del suo conto in banca quasi vuoto. Usare uno solo dei due re7
frigeratori voleva dire ridurre la quantità di fiori che potevano tenere in negozio, il che, a sua volta, significava che sarebbe stata in grado di soddisfare meno clienti e che, quindi, avrebbe guadagnato di meno. E al punto in cui era non poteva permettersi di perdere nemmeno un centesimo. Comunque, le bastò toccare il refrigeratore per capire che, purtroppo, Beth aveva ragione. «Chiama Gary della General Repair» le disse con un sospiro. «E chiedigli se può fare un salto da noi oggi stesso.» «Lo faccio subito» replicò lei precipitandosi al telefono. Rimasta sola, Lainey chiuse gli occhi e inalò il profumo dei fiori freschi. Di solito, riusciva a calmarla. Ma quel giorno non le bastava. Ci sarebbe voluto ben altro per placare le sue preoccupazioni. Preoccupazioni che avevano a che fare con refrigeratori rotti e... soprattutto... con un bambino in arrivo. Maledizione! Se solo due mesi prima fosse rimasta a casa invece di andare a quella dannata riunione dei suoi ex compagni di liceo... I guai se li era proprio andata a cercare! O forse erano i guai che erano andati a cercare lei. Ma lei non aveva fatto nulla per tirarsi indietro. «Sei pallidissima, Lainey» osservò Beth in tono preoccupato, interrompendo bruscamente il filo dei suoi pensieri. «C'è qualcosa che non va? A parte il refrigeratore guasto, intendo.» Lei esitò, chiedendosi se avrebbe dovuto o no dire la verità a Beth. Un po' si vergognava, ma era la sua migliore amica ed era anche sicura che non l'avrebbe mai presa in giro per lo sbaglio che aveva commesso con Jon. E poi sarebbe stato un tale sollievo confidarsi con qualcuno... 8
«Lainey!» insistette Beth. «Dimmi che cos'hai!» «Sono incinta» sbottò lei e scoppiò a piangere. Beth le corse accanto con tanta foga che per poco non rovesciò un vaso nel farlo. «Oh, tesoro!» esclamò abbracciandola. «Ne sei sicura?» «Ho fatto cinque test di gravidanza e tutti hanno dato lo stesso risultato» ribatté Lainey tirando su col naso. «Per avere una conferma dovrò andare dal medico, però.» «Di quanti mesi sei?» «Due, circa.» «È pazzesco! Io non... non sapevo nemmeno che tu frequentassi qualcuno.» «Be', ecco... in realtà è proprio così.» «Ma allora... Mio Dio, ho capito! La riunione con i tuoi ex compagni di liceo!» «Già» ammise Lainey distogliendo imbarazzata lo sguardo da quello della sua amica. Povero il suo bambino. Proprio non sapeva come avrebbe fatto a spiegargli... o spiegarle... le circostanze del suo concepimento. «Avanti! Dimmi chi è il padre!» «Jon Meier» mormorò lei, che faceva fatica anche solo a pronunciare il suo nome. «Noi ci siamo... ecco... trovati piuttosto bene alla riunione.» «Lo vedo» convenne Beth ridacchiando. «Scusa, non volevo» si affrettò a soggiungere. «È che è tutto talmente surreale.» «È vero, ma io... Devo dirglielo, Beth, ma vive talmente lontano. E poi è stata solo l'avventura di una notte. L'avrà già dimenticata. Non ci pensavo più nemmeno io. Avevamo preso delle precauzioni, ma evidentemente...» Lainey ebbe un attimo di esitazione, 9
prima di concludere in tono piatto: «... qualcosa è andato storto». «Già. Chissà, però, forse la notizia gli farà piacere.» «Non lo so, Beth. Erano anni che non ci vedevamo e quella sera... ecco... non abbiamo parlato molto. E poi, te l'ho detto, vive molto lontano. In California, a Los Angeles. Ha un ottimo lavoro nell'industria dello spettacolo e non ha alcuna intenzione di tornare nel Michigan.» Lainey aveva voglia di picchiare la testa contro il muro. Era stata proprio una stupida a passare la notte con Jon e si chiese con sgomento se la sua autostima fosse stata tanto danneggiata dal suo divorzio da indurla ad andare a letto con il primo uomo che le aveva fatto gli occhi dolci. Ma era una domanda a cui preferiva non rispondere. «Comunque, sono convinta che tu sarai una madre meravigliosa» affermò Beth. «Lo pensi davvero?» «Certo. Sei meravigliosa con i miei bambini e lo sarai anche di più con il tuo.» «Grazie della fiducia» replicò lei, commossa. Poi, però, pensò a come avrebbero reagito i suoi nel saperla single, incinta e quasi sul lastrico e un brivido le corse lungo la schiena. «Posso provare a ripararlo, ma non le garantisco nulla» annunciò Gary a Lainey, mentre Beth era impegnata a servire un cliente, dopo avere esaminato il refrigeratore. «E anche se dovessi riuscirci, la riparazione non durerebbe più di due o tre mesi. Dovete mettervi nell'ordine di idee di comprarne uno nuovo.» «Non era quello che speravo di sentirle dire, ma 10
faccia il possibile, la prego» replicò lei con un sospiro, prima di raggiungere Beth in negozio. «Mamma mia!» esclamò lei quando seppe come stavano le cose. «I refrigeratori costano moltissimo. I clienti non ci mancano, ma ci vorrebbero grosse ordinazioni, come quella che abbiamo ricevuto per il matrimonio degli Higgins. Forse...» S'interruppe di colpo, ma Lainey sapeva che cos'aveva intenzione di dire. «... se mia madre ci raccomandasse ai suoi amici non avremmo più problemi» concluse al suo posto. «Lo so. Sono d'accordo. E gliel'ho chiesto.» Ricevendo la prevedibile risposta che il fiorista da cui sua madre si serviva aveva molta più esperienza e non correva il rischio di chiudere i battenti da un momento all'altro. Il che significava che era convinta che Lainey avrebbe fallito... di nuovo. «Lo so che gliel'hai chiesto. E so anche che cosa ti ha risposto. Scusami se ho sollevato l'argomento.» «Non preoccuparti. Mia madre è fatta così. Non so proprio che cosa potrebbe farle cambiare idea. Non pensiamoci più e mettiamoci al lavoro.» Ma, mentre insieme a Beth preparava le composizioni floreali da consegnare ai clienti, non poté fare a meno di domandarsi se avrebbe lasciato che il negozio andasse a picco pur di non chiedere un prestito ai suoi. Glielo avrebbero concesso, ne era sicura, ma solo se avesse strisciato ai loro piedi per ottenerlo. E lei aveva aperto The Lily Pad proprio per dimostrare che poteva combinare qualcosa di buono nella vita senza il denaro dei suoi o un marito ricco. A quanto pareva si era illusa. «Io ho finito, signora Keeler» le annunciò Gary uscendo dalla porta che separava il negozio vero e pro11
prio dal retrobottega. «Sono riuscito ad aggiustare il refrigeratore, ma non so quanto durerà. Forse un mese, forse sei. Mi dispiace di non poterle dare una notizia migliore.» «Non si preoccupi» replicò lei sorridendo. «Già il fatto che adesso funzioni è un immenso sollievo per me. Grazie per essere venuto subito.» «Di nulla. Arrivederci, belle signore.» Gary uscì dal negozio e, leggendo la cifra sulla fattura che le aveva lasciato sul banco, Lainey tirò un profondo sospiro. Nel tentativo di non pensare alle sue difficoltà finanziarie, si rituffò nel lavoro e a mezzogiorno lei e Beth avevano finito di preparare tutte le composizioni floreali. Le caricarono sul furgoncino, poi Beth salì a bordo e si mise al volante. «Al mio ritorno mi fermerò alla tavola calda di Dottie a prendere due belle fette di torta al formaggio» le disse mentre avviava il motore. «Credo proprio che ce le siamo meritate, dopo la mattinata che abbiamo passato.» «Hai perfettamente ragione» convenne lei. «E ho già l'acquolina in bocca.» Dottie faceva la miglior torta al formaggio della città e alle calorie che conteneva Lainey non voleva nemmeno pensarci. Trattenne il fiato finché non vide il vecchio furgoncino allontanarsi, poi tirò un sospiro di sollievo. Per come le stavano andando le cose aveva temuto che si sarebbe rotto anche quello. «Essere pessimisti porta male!» rammentò a se stessa ritornando in negozio. Pochi minuti dopo il campanello sopra la porta trillò annunciando l'arrivo di un cliente. Si trattava di una giovane donna che voleva regala12
re un mazzo di fiori a un'amica che aveva appena avuto un bambino e lei si mise subito all'opera. Era questo il genere di ordinazioni di cui aveva bisogno. Fiori per festeggiare occasioni felici come... Neonati. Donne incinte. All'improvviso, ebbe un giramento di testa e dovette aggrapparsi al bordo del banco per mantenere l'equilibrio e non cadere. Aveva solo sette mesi di tempo per far decollare il negozio e prepararsi a diventare madre. Una ragazza madre. Sette mesi. Nessuno avrebbe mai potuto accusarla di scegliere la via più facile per fare le cose. Ben Lawless si fermò nel vialetto d'accesso alla vecchia fattoria di sua nonna e fissò l'edificio. I muri bianchi e le imposte scure erano identici a come li ricordava. Sul portico due sedie a dondolo avevano preso il posto del grande dondolo della sua infanzia. I due maestosi aceri del cortile avevano perso gran parte delle loro foglie. Strano come, anche se non ci tornava da anni, lì si sentisse a casa. Si accigliò nel vedere l'utilitaria parcheggiata dietro la vecchia Buick di sua nonna. L'ultima cosa al mondo che voleva era dover parlare con qualcuno che non fosse sua nonna, affrontare domande cordiali e ben intenzionate. Comportarsi in modo normale era un tormento per lui. Aprì la portiera del camioncino, scese e si guardò intorno. Di posto per una rampa ce n'era un mucchio, anche se bisognava togliere parte della ringhiera del portico e una delle aiuole. Diede un calcio alle foglie 13
che coprivano il selciato. Il cemento irregolare avrebbe creato dei problemi anche a una persona in perfetta salute. Dio solo sapeva perché sua nonna non avesse mai ammesso di avere bisogno di aiuto. E perché lui avesse dato per scontato che non ne avesse bisogno. Aveva appena formulato quel pensiero quando la porta d'ingresso si aprì e sulla soglia comparve sua nonna, seduta su una sedia a rotelle. Gli sorrideva e lui cercò di non farle capire quanto vederla in quelle condizioni lo turbasse. Era sempre stata una donna forte e adesso sembrava così fragile! «Nonna!» esclamò correndole incontro. «Come stai?» le chiese stringendola in un abbraccio un po' goffo per paura di farle male. «Bene» gli assicurò lei ricambiandolo con fermezza. «Tu, piuttosto. Hai l'aria stanca. C'è qualcosa che non va?» «No» mentì Ben raddrizzandosi, per niente stupito dalla sua domanda. Sua nonna aveva sempre avuto un grande spirito d'osservazione, specialmente quando si trattava del suo nipote preferito. Lei lo guardò con aria scettica, ma decise di lasciar cadere l'argomento e lo esortò: «Dai, entra! Voglio presentarti una mia cara amica». Ben si fece coraggio e la seguì attraverso il familiare soggiorno fino in cucina. Era convinto che la cara amica di sua nonna fosse una sua coetanea e trasalì quando si trovò di fronte una donna giovane e molto bella, con i capelli biondi e gli occhi azzurri. «Ben, ti presento Lainey Keeler» disse sua nonna. «Lainey, questo è Ben Lawless, mio nipote. Fa il vigile del fuoco a Grand Rapids.» L'orgoglio con cui pronunciò quelle parole lo fece star male. «Lai14
ney ha qualche anno meno di te, Ben.» Impossibile! La ragazza che gli stava davanti non poteva essere un'amica di sua nonna! Ed era proprio uno schianto. Aveva lunghi capelli biondo scuro raccolti in una coda di cavallo e qualche ciocca ribelle che le circondava un viso a forma di cuore. Occhi azzurri chiarissimi e una pelle color crema, liscia e priva di imperfezioni. Un bel seno messo in risalto dalla Tshirt aderente che indossava. «Lieto di conoscerti» riuscì a dire chinando impercettibilmente la testa. «Il piacere è tutto mio» gli fece eco lei con un sorriso che non le arrivò agli occhi. «Rose mi ha raccontato un mucchio di cose sul tuo conto.» «Ah!» Nell'udire quelle parole Ben s'irrigidì, ma poi s'impose di rilassarsi. Probabilmente, erano solo un modo di dire e quella Lainey non sapeva nulla d'importante su di lui. Posò una mano sulla spalla di sua nonna e le annunciò: «Vado a prendere la mia roba, nonnina». «Esco con te» dichiarò Lainey. «Ci vediamo fra un paio di giorni, Rose» soggiunse chinandosi a dare un bacio sulla guancia a sua nonna. «Non lavorare troppo, tesoro» le raccomandò Rose e Ben trattenne a stento una risata. Se ricordava bene, nessuno dei Keeler aveva mai dovuto lavorare. Avevano sempre avuto tutto quello di cui avevano bisogno servito sul proverbiale piatto d'argento. Mentre lo precedeva all'esterno, alle narici di Ben arrivò la scia del suo profumo. Sapeva di fiori e insinuava un po' di primavera nell'aria fredda di quel tardo pomeriggio d'ottobre. Non appena arrivarono sul portico, lei si voltò e os15
servò guardandolo accigliata: «Rose è contenta che tu sia qui». «E tu invece non lo sei.» «Be', diciamo che non ne sono certa» convenne Lainey socchiudendo i suoi occhioni azzurri. «Sono mesi che sta male e mi domando dove tu sia stato fino a questo momento.» Un moto di stizza attraversò Ben nell'udire il tono di accusa con cui lei aveva pronunciato quelle parole. Si era già sentito abbastanza in colpa quando aveva scoperto di quanto aiuto sua nonna avesse bisogno. Ci mancavano solo i suoi rimproveri! E il fatto che la persona che glieli faceva fosse uno schianto non aveva alcuna importanza. «Non è facile per lei ammettere di avere bisogno di aiuto» bofonchiò alla fine. Un tratto di carattere che lui aveva senz'altro ereditato. «Ha ottant'anni, per l'amor del cielo!» sbuffò lei. «Avresti potuto venire a trovarla più spesso, per vedere come stava.» «Senti, al telefono mi ha sempre detto che stava bene» replicò Ben bruscamente, chiedendosi come mai gli desse tanto fastidio che quella donna appena conosciuta lo giudicasse un verme. «E comunque, adesso sono qui.» «Ciò non toglie che saresti dovuto venire prima» affermò Lainey scrollando le spalle. «Abiti vicino e Rose è così orgogliosa di te. Ma tu non ti fai mai vivo.» «Adesso sono qui» ribadì lui notando, anche nella penombra, la luce bellicosa che le illuminava lo sguardo. Era proprio arrabbiata, dannazione! Be', lui non lo era di meno! 16
«Certo, finché non te ne andrai di nuovo» sibilò Lainey a denti stretti. «E allora dimmi che ne sarà di lei.» Poi girò sui tacchi e se ne andò, senza dargli il tempo di replicare. Aveva proprio un bel didietro, non poté fare a meno di pensare Ben, vergognandosi come un ladro, seguendola con lo sguardo mentre attraversava il cortile, saliva a bordo della sua utilitaria, sbatteva la portiera e si allontanava rombando. Fantastico, pensò ironicamente. Era riuscito a inimicarsi la giovane e bellissima amica di sua nonna. Ma in fondo non era poi tanto grave, decise mentre andava a tirar fuori le valigie dal portabagagli del suo camioncino. Aveva fatto ben di peggio! Il suo migliore amico era morto a causa sua e quello che Lainey Keeler pensava di lui non era nulla al confronto. «Allora, che ne dici di Lainey?» gli domandò sua nonna non appena rientrò in casa. «Io... ecco... non mi sarei mai immaginato di trovarla qui. Non sapevo che foste amiche.» «Lo siamo, invece. Alcuni mesi fa è venuta a trovarmi in qualità di volontaria del Servizio di Assistenza per gli Anziani e ci siamo subito piaciute. Da allora, viene a trovarmi tutti i mercoledì e anche più spesso se può. Non sapevo che tu la conoscessi.» «Non la conoscevo, ma avevo sentito parlare di lei. Dopotutto, abbiamo frequentato la stessa scuola, anche se ha qualche anno meno di me, come tu stessa mi hai ricordato. Ma parliamo di te, nonna. Dimmi come stai.» Rose esitò, come se non avesse alcuna voglia di cambiare argomento, ma poi gli rispose: «Ogni giorno 17
è un po' peggio del precedente, ma sono contentissima che tu sia qui e riesca a rendere questa vecchia casa più confortevole, perché non voglio essere costretta a lasciarla». Nel pronunciare le ultime parole le si erano inumiditi gli occhi e Ben si sentì stringere il cuore. Era naturale che non volesse lasciare quella casa: era lì che aveva vissuto per cinquant'anni con suo nonno. Che non era stato solo suo marito, ma anche il suo migliore amico. Fra loro, c'era lo stesso tipo di relazione che c'era fra Jason e Callie. Una relazione a cui lui aveva posto fine. Il dolore gli fece martellare le tempie. Chiuse gli occhi e lo ricacciò da dov'era venuto, nel posto più lontano dalla coscienza. Peccato che da qualche tempo fosse un posto piuttosto affollato. «Non dovrai andartene di qui, nonna» la rassicurò. «Ma devi dirmi tutto quello che vorresti che facessi oltre a costruire la rampa. Per esempio, anche al buio mi sono accorto che il vialetto d'ingresso ha conosciuto tempi migliori.» «Ci sono molte cose in questa vecchia casa che hanno conosciuto tempi migliori, Ben» convenne lei con un sorriso triste. «Le aggiusteremo tutte, nonna. Non dovrai andartene, te lo prometto.» «Lo so e ti sono davvero tanto grata.» Rose manovrò la sua sedia a rotelle in direzione del soggiorno e soggiunse: «Vieni, ti mostro la tua stanza». Ben aprì bocca per dirle che non ce n'era bisogno, perché sapeva dov'era, ma la richiuse di scatto pensando che senz'altro, quando la sua artrite all'anca era peggiorata, sua nonna si era trasferita nella camera da 18
letto del pianterreno, dove di solito dormiva lui. Perciò la seguì in silenzio fino alla base delle scale, dove Rose si fermò. «Dormirai nella camera sul retro» gli spiegò guardando verso il primo piano con il viso colmo di dolore e desiderio. «È la stanza più grande e ha la vista migliore. Te l'ha preparata Lainey. Ha spolverato, messo le lenzuola pulite e sistemato anche il bagno.» La camera sul retro era la camera matrimoniale dei suoi nonni, rammentò lui con una stretta al cuore. «Va bene» mormorò. «Ringraziala da parte mia.» «Puoi ringraziarla tu» gli fece notare sua nonna voltandosi a guardarlo con un sorrisetto malizioso. «Te l'ho detto che viene spesso a trovarmi.» Ben la fissò per un attimo accigliato, poi mangiò la foglia e alzò gli occhi al cielo. «Nonna!» sbottò. «Non sono interessato.» «Nessuno ha detto che tu lo fossi» protestò lei in tono soave. Il sorriso adesso le andava da un orecchio all'altro e Ben si diede dell'idiota: sua nonna gli aveva teso una trappola e lui c'era cascato come un pollo! Il fumo riempiva la stanza, avvolgendolo e penetrandogli nei polmoni, negli occhi e nella pelle. Non riusciva a vedere nulla attraverso la nebbia grigia. Violenti colpi di tosse lo scuotevano, torturandogli la gola in fiamme. Avrebbe voluto chiamare Jason, ma non ci riusciva. Doveva assolutamente trovarlo e portarlo fuori di lì prima che la casa crollasse addosso a entrambi. Poi, all'improvviso, ecco un rombo, un sinistro scricchiolio, una fiammata e il soffitto che cade a pezzi. Si gira di scatto, ma la porta è bloccata da un cumulo di detriti infuocati. Sotto di esso, uno stivale. 19
Jason! Che era entrato in quell'inferno per salvargli la vita. Ben si svegliò di soprassalto, col cuore che gli martellava in petto e il fiatone. Per un attimo si guardò intorno smarrito, chiedendosi dove diamine si trovasse. La stanza era illuminata dalla luna e una brezza leggera faceva ondeggiare le tende. Conosceva quelle tende e... ma certo! Era a casa di nonna Rose. Con sgomento, si domandò se avesse gridato nel sonno e se il suo grido l'avesse svegliata. Sentendosi terribilmente in colpa, si alzò dal letto, uscì in punta di piedi nel corridoio e tese le orecchie. Grazie al cielo, la casa era immersa nel silenzio. Tirando un sospiro di sollievo andò nel bagno. Ciò che più temeva al mondo era accaduto: l'incubo era tornato. Un incubo su cui non aveva alcun potere, alcun controllo. Aprì il rubinetto del lavandino con mani tremanti e si sciacquò il viso con l'acqua fredda ben sapendo che non avrebbe più dormito, quella notte.
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2550 - Cercasi principessa
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2552 - Non dirmi di no!
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2553 - Poi sei arrivato tu
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dal 6 maggio 2554 - Un milionario tutto da scoprire
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