Ella Matthews
LA TENTAZIONE DI SIR THEODORE
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: The Knight’s Tempting Ally Harlequin Historical © 2022 Ella Matthews
Traduzione di Rossana Lanfredi
Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises ULC.
Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.
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© 2023 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici aprile 2023
Questo volume è stato stampato nel marzo 2023 da CPI Black Print, Spagna, utilizzando elettricità rinnovabile al 100%
I GRANDI ROMANZI STORICI
ISSN 1122 - 5410
Periodico settimanale n. 1348 del 4/04/2023
Direttore responsabile: Sabrina Annoni
Registrazione Tribunale di Milano n. 75 dello 01/02/1992
Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA
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Castello di Windsor, Inghilterra
1336
Medea lasciò scorrere le dita lungo il muro del grande castello, la pietra era ruvida sotto i polpastrelli. Si trovava nella fortezza del re ormai da una giornata, eppure ancora non riusciva ad abituarsi all'imponenza dell'edificio. Il giorno precedente, mentre il carro della sua famiglia sussultava sui ciottoli della via, la vista di Windsor l'aveva lasciata senza fiato. Come gli altri familiari, era rimasta in un silenzio stupefatto davanti agli alti parapetti merlati, che proiettavano lunghe ombre su di loro. Medea aveva sempre pensato che la dimora del padre avesse un aspetto impenetrabile, ma sembrava il giocattolo di un bimbo se paragonata a quel castello.
Avevano varcato i minacciosi cancelli e il padre si era presentato al capo delle guardie. A quel punto Medea aveva trattenuto il respiro, aspettandosi che venissero cacciati dalla fortezza, lei e la sua famiglia, invece, erano stati condotti in una camera da letto privata, e il padre si era pavoneggiato per quel tratta-
mento privilegiato, credendo fosse la dimostrazione di un'evidente preferenza del sovrano nei confronti del suo rango. Poiché, tuttavia, il genitore era un barone, e nemmeno dei più importanti, Medea ritenne che quella camera da letto alquanto isolata avesse invece lo scopo di tenere gli altri ospiti lontano dalla lingua affilata della madre.
A nemmeno un giorno dal loro arrivo, Medea aveva provato il desiderio di uscire dai ristretti confini della stanza, anche se solo per poco. Ma, persino lì all'esterno riusciva a sentire la voce della madre, proveniente da una finestra aperta e portata dalla brezza serale.
«Se non altro dobbiamo trovare marito solo per due delle ragazze. Comincio a disperare all'idea di individuarne uno per Medea.»
A quel ritornello familiare, Medea levò gli occhi al cielo, e inciampò. Il terreno era irregolare là fuori, tra la fortezza e le mura, ma se non altro era un luogo appartato e protetto dall'ombra imponente della costruzione. Se fosse riuscita a ignorare la voce della madre per qualche attimo, si sarebbe persino sentita contenta.
Aveva ascoltato mille varianti di quella conversazione nel corso del tempo. Durante gli ultimi anni, il padre e la madre avevano parlato soltanto della necessità di trovare mariti idonei per le loro tre figlie, e quindi di quali uomini possedevano più terre e di chi avrebbe potuto offrire al padre i migliori contatti a corte.
Alla fine, avevano concordato sull'assoluta improbabilità che Medea trovasse un marito, ma le sue due sorelle non erano state fortunate quanto lei.
Con la crescente tensione tra Francia e Inghilterra, il padre aveva deciso di interrompere ogni rapporto con il Paese che molti consideravano l'acerrimo nemico dell'Inghilterra e di diventare così un inglese a tutti gli effetti. Perciò, più profonde fossero state le radici che i possibili pretendenti delle sorelle avessero avuto in Inghilterra, meglio sarebbe stato.
Numerosi contratti erano stati firmati e poi annullati per ragioni mai spiegate a Medea. Le sue sorelle non avevano mai incontrato i potenziali mariti e, di recente, ciò era stato ritenuto parte del problema. Dopotutto, le sorelle di Medea erano bellissime. Quindi per il padre recarsi a Windsor, mentre il re era lì presente, era come per un allevatore portare i suoi maiali al mercato allo scopo di strappare il prezzo più alto per il miglior esemplare.
«Non avremmo mai trovato un marito per Medea, non con...»
Medea trattenne il respiro, domandandosi quale difetto le sarebbe stato attribuito questa volta. Ogni tanto si trattava della sua eccessiva schiettezza, ma più spesso del suo aspetto, e su questo lei non poteva far niente.
La madre continuò. «Anche se pensavo che Malcolm avrebbe potuto... ma non se n'è fatto niente... In ogni caso, è un bene che lei abbia deciso di andare in convento. Il St. Helena sarà perfetto. Io non l'avrei mai costretta a questo, ma...»
Medea si accasciò contro il muro, e il suo umore per un momento si oscurò nel sentir menzionare Malcolm, l'uomo a cui tentava a ogni costo di non pensare. Non era stata soltanto la madre a credere che le avrebbe chiesto di sposarlo; anche lei ci aveva spera-
to con tutto il cuore, altrimenti non gli avrebbe permesso di prendersi certe libertà. Raddrizzò le spalle. Ebbene, non aveva senso pensare a lui ora, Malcolm apparteneva al passato, mentre il suo futuro era il convento.
«Non ha importanza» borbottò, riprendendo a camminare. «Non è certo la prima volta che sento queste lamentele.»
Non capiva se la ferisse di più il modo sbrigativo con cui la madre aveva liquidato il pensiero di trovarle un marito o i suoi commenti sarcastici sul suo aspetto o sul fatto che parlava troppo. I suoi genitori si lamentavano sempre perché l'intelligenza di Medea era superiore a quella di quasi tutti coloro che incontrava e a molti ciò faceva passare la voglia di conversare con lei.
In ogni caso, o l'una o l'altra di quelle sfortunate caratteristiche sembrava fonte di costanti lagnanze da parte della donna che l'aveva messa al mondo. Se Medea fosse nata splendida come le sorelle, o persino scialba ma senza quel costante desiderio di conoscenza, la madre sarebbe stata felice e la vita di Medea sarebbe stata... be', noiosa, se doveva essere sincera con se stessa. Sì, forse avrebbe avuto l'approvazione dei genitori, ma avrebbe saputo la metà di quanto sapeva. Dunque, se le parole della madre la ferivano...
«Sì, concordo. Questi dovrebbero essere i migliori, per cominciare...»
Medea si fermò di colpo, il piede sospeso a mezz'aria. Dunque la madre aveva potenziali vittime in mente. No, la parola vittima era ingiusta nei confronti delle sorelle. Sebbene loro due fossero più legate l'una all'altra che non a lei, poiché la loro bellezza era un
tratto che le univa, non erano mai state ingiuste nei confronti della loro sorella di mezzo. Avevano cercato di coinvolgerla in ciò che a loro interessava e non era certo colpa loro se Medea non era brava a cucire e non le importava niente dei vestiti. In ogni caso, ci avevano provato, e questo era importante. Essere sposati alle sue sorelle non sarebbe certo stato difficile per gli uomini prescelti. Avere rapporti con la loro madre, invece... ecco, quella sarebbe stata tutta un'altra storia.
«Soltanto i fratelli Monceaux, però...»
Medea sorrise. La madre mirava in alto se aveva quei fratelli in mente. I Monceaux appartenevano ai Cavalieri del re, ossia il gruppo di uomini più fidato di Re Edoardo III, e facevano parte della cerchia più vicina al sovrano, in un modo che nessuno poteva anche solo sperare di eguagliare. I fratelli appartenevano anche a un'antica e rispettata famiglia. Non sarebbe stato facile intrappolarli. Avrebbero potuto offrire tutto a una possibile sposa, mentre le sorelle Suval avevano soltanto doti di media entità da dare in cambio. Forse la madre sperava che i Monceaux avrebbero perso la testa davanti alla bellezza delle sue due figlie e non avrebbero dato importanza a ciò che a loro mancava dal punto di vista pecuniario.
«Be', uno dei Cavalieri del re è già sposato. È accaduto ormai tre anni fa e pare che la moglie goda di ottima salute, dunque da quella parte non c'è nulla da sperare. Sì, so che ce n'è un quarto, ma...»
Medea girò l'angolo. Ecco, quello di certo doveva essere un posto quieto e silenzioso, che le avrebbe offerto la possibilità di allontanarsi dall'incessante monologo della madre e trovare la solitudine che tanto
bramava. E invece no, nemmeno in quel luogo appartato era sola. Un uomo, alto e slanciato, si appoggiava alle pietre, una gamba piegata all'altezza del ginocchio, in una posa rilassata. Medea lo riconobbe immediatamente.
Il giorno precedente, durante il pasto serale, si era ritrovata seduta accanto a un uomo anziano e, mentre la sua famiglia la ignorava, intenta a stringere importanti legami, il gentiluomo le aveva parlato degli importanti personaggi alla corte di Edoardo III. Con il dito adunco, le aveva indicato coloro di cui il sovrano più si fidava. Non v'era dunque possibilità alcuna di non riconoscere il gigante Theodore Grenville, uno dei Cavalieri del re, il quarto. Non era uno dei Monceaux e non era sposato. Era quello di cui la madre stava per parlare. Medea chiuse gli occhi, rimpiangendo di non poter chiudere anche le orecchie.
«Non riesco a ricordare il suo nome... quello alto, orrendo...»
Il vento continuava a portarle la voce della madre.
Medea arrossì di vergogna e, per esperienza, sapeva che quel colore non le donava. Non la faceva sembrare una vergine pura, semmai una mela rossa e matura.
«Quello che sembra un bruto... Ho sentito dire che la madre ha tradito il marito, e infatti lui è alquanto diverso dagli altri figli della coppia. No, quel Cavaliere del re non va bene per le nostre figlie.»
Medea fece qualche passo avanti, le mani sollevate, anche se non sapeva bene che cosa farci. Da un lato avrebbe voluto correre da quell'uomo e tappargli le orecchie, dall'altra le sarebbe tanto piaciuto precipitarsi dalla madre e ordinarle di tacere. Il danno, tutta-
via, era già stato fatto. Sir Theodore aveva appena udito la madre di Medea dargli del bastardo e del bruto in una volta sola.
I loro sguardi si incontrarono e lei si fermò di colpo. Tutte le banalità che aveva pensato di dire le morirono sulle labbra. Gli angoli della bocca di Sir Theodore erano curvati all'insù, in un sorrisetto divertito, come se tutto ciò non fosse altro che uno scherzo. Quel sorriso, però, non illuminava i suoi limpidi occhi azzurri.
Medea si sentì cogliere da un profondo senso di vergogna. Doveva porre rimedio alla situazione, ma non sapeva come fare. «Io...» cominciò, e subito si fermò. «Mia...» Scosse la testa. Perché non le venivano le parole? Di solito aveva un commento per tutto. «Non turbatevi, madama.» La voce dell'uomo era profonda e chiara, persino rilassante. «Non è nulla che non abbia già udito.» I suoi occhi erano gentili, addirittura comprensivi, il che era ingiusto. Avrebbe dovuto essere lei a mostrargli comprensione, non il contrario.
Il cavaliere si staccò dal muro, i suoi movimenti erano rilassati, come se cercasse di non spaventarla. Probabilmente era qualcosa che gli veniva naturale: Medea non aveva mai conosciuto nessuno tanto alto e possente, che di certo doveva spaventare le persone anche senza volerlo. Era un vero gigante, con lunghi capelli scuri, che gli arrivavano alle spalle, e una profonda cicatrice al bordo dell'occhio sinistro; una ferita che probabilmente gli aveva causato parecchio dolore prima di guarire. La tunica che indossava gli stava un po' stretta e il tessuto teso mostrava il profilo delle sue braccia muscolose. Si fermò a pochi passi da lei.
Il cervello di Medea non doveva avere ancora ripreso a funzionare bene poiché nessuna parola le salì alle labbra.
«Vi siete perduta, madama?» le domandò con gentilezza.
Medea scosse il capo.
Questa volta, quando le sorrise, gli brillarono gli occhi e il suo volto, da minaccioso, diventò amichevole. I muscoli della schiena di Medea, della cui tensione non si era nemmeno resa conto, si rilassarono un poco.
«Non mi sono perduta.» Non era una frase particolarmente intelligente, ma se non altro aveva un senso compiuto e dimostrava che le sue capacità intellettive non erano andate perdute.
«Se non vi siete perduta, posso raccomandarvi di tornare al sicuro, nella fortezza? È pericoloso qua fuori.»
Medea si guardò intorno. Non c'era nessuno nelle vicinanze, tranne loro due. Persino gli uccelli sembravano essere scomparsi poiché non si sentiva più il loro allegro ciarlare. «Non vedo nessun pericolo qui.»
«Ah, ma non si sa mai chi potrebbe arrivare da dietro l'angolo.» Sir Theodore indicò con la testa la direzione dalla quale lei era comparsa, un sorriso che gli indugiava ancora sulle labbra.
Lei lo studiò. Non indossava l'armatura e, a parte un pugnale che gli pendeva dalla cintura, non sembrava avere nessun'arma. Pareva troppo rilassato per un uomo che si preparava a un attacco a sorpresa. «E voi che cosa fate qui?» gli domandò.
Il cavaliere sollevò un sopracciglio e Medea si sentì avvampare di nuovo. La madre l'aveva sempre
ammonita a essere più cortese e remissiva, soprattutto quando conversava con gli uomini. Quei consigli, tuttavia, le erano immancabilmente sembrati ridicoli. Se voleva sapere qualcosa, perché non poteva chiedere?
E poi, ora, non aveva più importanza: lei era destinata al convento, non al matrimonio. Di certo non era là per accalappiare qualcuno, men che meno quell'uomo.
«Mi godo l'aria fresca.» Sir Theodore piegò la testa da un lato e inspirò a fondo.
Medea fece in tempo a cogliere l'accenno di una smorfia sulla sua faccia, prima che lui la nascondesse. Lei annusò l'aria. La polverosa brezza estiva era pregna del fetore delle latrine del castello. «Non vi credo.»
Sir Theodore spalancò gli occhi e scoppiò in una risata sincera. Medea non ricordava di avere mai fatto ridere qualcuno così, e quella consapevolezza le fece battere più forte il cuore.
«Forse mi permetterete di accompagnarvi dentro» suggerì lui, appena smise di ridere. «Sarebbe più sicuro se restaste sempre con la vostra famiglia. Riconosco che ora qua fuori tutto sembra tranquillo, ma non si sa mai quando il pericolo potrebbe presentarsi. Qui, nella fortezza del re, dobbiamo essere sempre pronti a difenderci da un attacco.»
Medea rabbrividì, a dispetto del calore della giornata. «Tutto questo a causa dei problemi con la Francia?»
Una strana espressione, che lei non riuscì a interpretare, guizzò nello sguardo del cavaliere. Le si avvicinò di più e Medea piegò il capo all'indietro per continuare a guardarlo negli occhi. Sir Theodore era
così alto che il suo corpo gettava lunghe ombre su di lei.
«Che cosa sapete dei nostri rapporti con la Francia?» le chiese.
Ogni traccia di divertimento era scomparsa dal suo volto, lo sguardo era deciso e attento. Per la prima volta, durante quell'incontro, Medea vide il brutale guerriero di cui tutti parlavano. La reputazione di cui quell'uomo godeva era così nota che lei la conosceva da prima di incontrarlo in carne e ossa. Stranamente, tuttavia, a dispetto della sua famigerata ferocia, era convinta che lui non le avrebbe mai fatto del male, anche se non sapeva da dove provenisse una simile certezza.
«Io so solo quello che tutti dicono» rispose alla fine.
«E che cosa dicono tutti?»
Medea si sentì arrossire ancora una volta. Per un momento aveva dimenticato che quell'uomo era molto vicino al re e che quindi non le avrebbe certo giovato insultare Edoardo. Persino lei capiva che dire la verità sulle voci che circolavano tra le famiglie nobiliari sarebbe stato del tutto inopportuno in quel momento. «Solo che la guerra fra noi e i francesi sembra sempre più probabile.»
Sir Theodore si avvicinò ancora di più e Medea sentì accelerare il ritmo delle sue pulsazioni. Si costrinse, però, a restare immobile e a tenere lo sguardo fisso in quello del cavaliere. Gli occhi di Sir Theodore sembravano volerle strappare i pensieri dalla mente, e lei rammentò a se stessa che doveva trattenersi dal dire tutto quello che le passava per la testa.
Tutti affermavano che Edoardo III non avrebbe dovuto rendere omaggio a Filippo VI, il Re di Francia,
soprattutto non alle condizioni di Filippo. Il pensiero comune era che quello fosse stato un atto di debolezza da parte di Edoardo, e fuori luogo dopo che, all'inizio del suo regno, il sovrano era parso tanto forte. Ci si chiedeva perché mai Filippo sembrasse avere un tale potere su Edoardo e se questo fatto potesse rappresentare una minaccia alla sovranità britannica.
Medea era impaziente di scoprire come i cortigiani di Edoardo avrebbero reagito a una simile situazione, ma i suoi genitori avevano raccomandato a tutte le loro figlie di non esprimere le proprie opinioni. Una parola sbagliata detta alla persona sbagliata avrebbe potuto avere conseguenze disastrose per tutti loro. Lei, così, si morse la lingua e non cedette al consueto impulso di spiattellare ciò che le passava per la testa.
Theo continuava intanto a fissarla e lei a sostenere il suo sguardo senza esitazione. Alla fine lui si rilassò un poco e annuì.
«Speriamo che le voci che circolano siano sbagliate, madama. Io preferirei non andare di nuovo in battaglia. E ora...» Si raddrizzò in tutta la sua imponenza. «... vi accompagno dentro.»
«Vi sarei grata se non lo faceste.»
«Se non altro le altre due non hanno capelli come quelli di Medea. A volte penso che i suoi abbiano una loro volontà indipendente...»
La voce della madre risuonò ancora nella brezza, e Medea ansimò inorridita.
«Ah, capisco.» Il sorriso tornò sulle labbra di Sir Theodore, e fu come se gli ultimi minuti di tensione non fossero mai esistiti. «Forse desiderate un poco di tregua dalla vostra famiglia?»
Sarebbe stato inutile mentire. Era evidente che lui
aveva sentito le parole della madre. «Diciamo che mi farebbe molto piacere non tornare subito nella stanza che condividiamo.»
«Venite, vi porto in un posto sicuro.»
Il cavaliere si voltò senza nemmeno controllare se Medea lo seguisse. Lei lo osservò allontanarsi, sicuro del fatto suo, e restò esattamente dov'era. La gente pensava sempre di poterle organizzare la vita, di dirle cosa fare e quando. Non appena aveva deciso di chiudersi in convento, aveva stabilito che nessuno le avrebbe più dato ordini, anche se continuava a essere in soggezione davanti alla madre e non era ancora riuscita a sfidarla apertamente. In ogni caso, si stava impegnando a diventare più sicura di sé, e quello era un ottimo momento per esercitarsi.
Sir Theodore poteva anche essere uno degli uomini più potenti del regno, ma uscendo dalla fortezza lei non aveva infranto nessuna legge, non aveva fatto male a nessuno. Quindi non v'era ragione di non restare dov'era. Be', non proprio dov'era; avrebbe voluto allontanarsi ancora di più dalla finestra della loro camera, in modo da non udire più la voce della madre. Là fuori, comunque, era libera e in quel momento intendeva godersi quel privilegio.
Alla fine Sir Theodore parve rendersi conto che lei non si era mossa e si girò, tornando verso di lei con quella sua camminata disinvolta ed elegante. Quando le fu di fronte, Medea si stupì di vedere che i suoi occhi ridevano. «Mi dispiace, sono stato troppo rude? I miei amici mi dicono sempre che non devo trattare tutti come se fossero scudieri indisciplinati, ma a volte temo di dimenticarlo.»
Medea non poté fare a meno di sorridere a quelle
inaspettate scuse. Si era preparata ad affrontare irritazione, persino collera. I modi del cavaliere, invece, erano gradevoli, molto più di quelli di altri personaggi del suo rango che lei aveva conosciuto nel corso della vita. I cavalieri che arrivavano al castello di suo padre erano spesso rozzi e volgari, a parte Malcolm, che l'aveva ammaliata a tal punto da indurla a dimenticare ogni buonsenso.
«Quel sorriso significa che sono perdonato e verrete con me?»
«Voi non siete stato rude, Sir Theodore, però io tendo a non andare da nessuna parte se prima non conosco la destinazione. Come faccio a sapere che non intendete portarmi in un posto molto peggiore di questo? Qui posso essere in pericolo, anche se non vedo come, ma se non altro sono sola.»
«Qualcuno vi ha mai mostrato i Giardini della Regina?»
«I Giardini della Regina? No, non ho mai sentito parlare di un luogo simile.»
«Allora vi prego, madama, consentitemi di condurvi là, così potrete ammirarli. Sono certo che non vi troverete nessuno a quest'ora. Sono all'interno dei terreni del castello e soltanto le femmine sono ammesse entro le loro mura, perciò sono del tutto sicuri.»
«Sembra gradevole» concordò Medea, e cominciò a camminare al fianco del cavaliere.
«Che cosa è gradevole, la sicurezza delle mura o l'assenza di uomini?»
Avanzavano fianco a fianco, perciò lei non poteva vedere il suo volto, ma dal tono della voce capì che la stava stuzzicando. «Oh, decisamente il fatto che vi siano ammesse solo le donne.»
Qualcosa si riscaldò in Medea al suono della sua risata. Era da tanto tempo che non parlava con un uomo, a parte il padre. Dai tempi di Malcolm. Ed era proprio a causa di Malcolm che preferiva evitare gli uomini. Lui le aveva rubato l'amicizia, l'amore, la fiducia e li aveva distrutti.
Medea azzardò uno sguardo all'uomo che le camminava accanto. Non c'era niente in quell'enorme cavaliere che le ricordasse il suo primo e unico amore. Se Malcolm aveva l'aspetto di un angelo, tutto capelli biondi e pelle perfetta, Sir Theodore era più una creatura delle tenebre, con il volto sfigurato e le spalle massicce. Forse per questo era così facile parlare con lui: non le ricordava il suo più grande errore.
Varcarono insieme i cancelli principali, le guardie che scattarono sull'attenti appena videro Sir Theodore.
«Dovete essere molto importante» osservò distrattamente lei.
«Lo sono.» Medea lo guardò ancora una volta: Sir Theodore sogghignava. Era la terza volta che le sue parole lo divertivano, ed era un'esperienza del tutto nuova per lei. «Ma che cosa vi fa affermare una cosa simile?» aggiunse il cavaliere.
«Il modo in cui le guardie vi guardano. È diverso da come reagiscono nei confronti di altre persone.»
«In che senso?»
Medea agitò una mano davanti a sé. «Si raddrizzano al vostro passaggio, ma i loro occhi sono colmi di rispetto, non di paura.»
Fecero ancora qualche passo in silenzio. Lui pareva riflettere sul suo commento e il cuore di Medea si riscaldò. Nessuno aveva mai prestato troppa attenzio-
ne a ciò che diceva e ora quella considerazione da parte di un cavaliere era quasi inebriante.
«Siete un'acuta osservatrice, madama» commentò lui alla fine.
Il cuore di Medea si gonfiò a tal punto da farle male. Riceveva molto di rado un complimento e, quando accadeva, non lo considerava mai sincero. Se qualcuno esprimeva un commento positivo sul suo aspetto, lei sapeva che mentiva, che voleva qualcosa. I suoi genitori, che coprivano di apprezzamenti le loro altre due figlie, non facevano mai niente di simile con lei, nemmeno quando otteneva un successo o quando cercava di agghindarsi in modo da somigliare più alle sorelle. «Grazie» rispose, dopo un lungo silenzio che risultò alquanto imbarazzante.
Lui le lanciò un'occhiata strana, senza fare commenti. Percorsero il resto del cammino senza parlare. Intorno a loro, il castello era in piena, rumorosa attività. Il battere del martello del fabbro risuonava nell'aria e il vento portava i nitriti provenienti dalle scuderie. Erano suoni molto più rilassanti della voce acuta di sua madre.
«Eccoci ai Giardini della Regina. In quanto ospite dei sovrani, potete entrarvi quando volete.»
«Grazie» rispose ancora una volta Medea, osservando le alte mura che circondavano quello spazio. Che fortunata era la regina ad avere un luogo simile dove rifugiarsi! Medea si augurò di trovare qualcosa del genere quando si fosse ritirata in convento, un posto dove sedere in silenzio. Sapeva che non avrebbe goduto di molta solitudine, ma se non altro sarebbe stata lontana dalle critiche costanti della madre, e questo le bastava.
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