Linda Howard
ORGOGLIO E DESIDERIO
Titoli originali delle edizioni in lingua inglese: A Game Of Chance © 2000 Linda Howington Silhouette Intimate Moments Traduzione di Anna De Figueiredo ON HIS TERMS © 2003 Harlequin Books S.A. Loving Evangeline © 1994 Linda Howington Traduzione di Alessandra De Angelis Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved. © 2002 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Jolly Tour ottobre 2002 Prima edizione Harmony Special dicembre 2004 Seconda edizione Il Meglio di Harmony marzo 2011 Questo volume è stato impresso nel febbraio 2011 da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd) IL MEGLIO DI HARMONY ISSN 1126 - 263X Periodico mensile n. 139 del 26/03/2011 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 777 dello 06/02/1997 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano
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Romanzo
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Giochi di ruolo Pagina 183
Vento sul lago
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Romanzo
Giochi di ruolo
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Prologo Tornare a casa, nel Wyoming, provocava sempre in Chance Mackenzie piacere e disagio. Per natura e per educazione, non che ci fosse stata qualche forma di educazione prima dei quattordici anni, lui era un uomo solitario. Se era da solo, poteva agire senza preoccuparsi di altri che di se stesso. Il genere di professione che aveva scelto non aveva fatto che rafforzare quell'inclinazione. Missioni segrete e attività antiterroristiche esigevano accortezza, massima attenzione, segretezza, diffidenza totale nel prossimo e la necessità di non permettere a nessuno di avvicinarsi troppo. Tuttavia... Eh, sì, tuttavia c'era la sua famiglia. Vasta, rumorosa, invadente, iperattiva, che non le permetteva mai di ritirarsi in se stesso. Doveva ammettere che ogni volta era sempre emozionante immergersi in quell'abbraccio avvolgente. Sentirsi subissare di domande, essere preso in giro, lui che terrorizzava i criminali più spietati sulla Terra. E poi essere abbracciato, baciato, coccolato, sgridato. Amato, in altre parole. Come se fosse uguale agli altri esseri umani. Chance sapeva che non lo era. La consapevolezza era lì, sepolta in fondo alla sua mente. Eppure, ogni volta veniva attratto da tutte quelle co9
se che lo spaventavano. Perché l'amore lo metteva in allarme. Fin da piccolo, aveva imparato a sue spese come potesse contare esclusivamente su se stesso. Il fatto che fosse sopravvissuto dipendeva solamente dalla sua durezza e dalla sua intelligenza. Non aveva idea di quanti anni avesse, né dove fosse nato, né di come si chiamasse, se mai aveva avuto un nome. Niente. Non aveva ricordi. Né di una madre. Né di un padre. Di nessuno che si fosse preso cura di lui. Lui non aveva avuto un'infanzia. Intesa nel senso più dolce del termine. Fame, freddo, violenza, malvagità. La sua memoria ne era piena. Ricordava di aver rubato cibo non appena aveva raggiunto un'altezza tale da permettergli di saccheggiare gli scaffali di un supermercato. Di aver rubato vestiti. Di aver dormito all'addiaccio, nei canali, sotto i ponti quando faceva caldo. Nelle stalle e in qualsiasi posto accessibile, quando faceva freddo o pioveva. Era sempre stato forte fisicamente. Qualità indispensabile per lui. Essere forte significava sopravvivere. Una notte, un cane randagio si era accucciato accanto a lui per stare al caldo e Chance aveva provato un senso di gratitudine sconosciuto. Solo che il cane lo aveva morso a tradimento per rubargli un pezzo di carne che aveva trovato tra i rifiuti di un ristorante. Portava ancora le cicatrici sulla mano destra. Il bastardino se l'era svignata e lui era rimasto a stomaco vuoto. Ma l'esperienza gli era servita di lezione. Quando si trattava di sopravvivenza, ognuno per sé, Dio per tutti. Anche se allora non sapeva nemmeno che esistesse un Dio. A quel tempo, non doveva aver avuto più di sei 10
anni. Un'infanzia tragica, non c'era dubbio, ma che lo aveva reso perfetto per il suo lavoro. Ciononostante, non l'avrebbe augurata a nessuno, nemmeno a un cane bastardo. La sua vera vita era incominciata quando Mary Mackenzie lo aveva trovato accasciato ai lati di una strada, febbricitante per una polmonite. Non ricordava molto di quei giorni. Solo la vaga consapevolezza di trovarsi in ospedale e il terrore di essere caduto nella rete del sistema. Era un minorenne senza alcuna identità, e solo l'assistenza sociale si sarebbe potuta occupare di lui. Aveva passato tutta la sua breve vita nello sforzo di evitare una simile eventualità. Aveva persino cercato di organizzare piani di fuga. Ma era troppo debole, la mente troppo confusa. Ricordava, tuttavia, di essere assistito da un angelo con dolcissimi occhi grigi, capelli castani striati d'argento, mani fresche e una voce affettuosa. C'era anche un uomo grande e grosso, bruno, dai lineamenti marcati, che continuava a ripetergli in tono rassicurante: «Non lasceremo che ti prendano». Lui, però, non si fidava. Anche se lo sconosciuto sembrava mezzo indiano. Come Chance. Il che non implicava che dovesse concedergli fiducia. Tuttavia, era troppo malato, troppo debole per fuggire, persino per ribellarsi. E mentre si trovava in quello stato di totale impotenza, Mary Mackenzie era riuscita in qualche modo a legarlo a sé. Un legame fatto di devozione, riconoscenza, amore. Un legame da cui non si era più liberato. Non sopportava di essere toccato. Se qualcuno si avvicinava abbastanza da toccarlo, sarebbe stato capace di attaccarlo. Non poteva cacciare via i medici e le infermiere che lo maneggiavano come un pezzo 11
di carne senza intelletto. E aveva resistito. Aveva stretto i denti, imponendosi di non reagire. Sapeva che, se lo avesse fatto, lo avrebbero legato. E lui doveva restare libero. Libero di fuggire appena avesse riacquistato le forze. Ma lei era sempre rimasta lì. A bagnargli la fronte, a mettergli in bocca scaglie di ghiaccio. A pettinarlo, accarezzarlo. A lavarlo quando vedeva come si agitava se lo facevano le infermiere. Lo toccava di continuo, anticipando i suoi bisogni, avvolgendolo in un bozzolo di premure, di calore che lo terrificava e nel contempo lo sopraffaceva, annullando ogni resistenza. E, a poco a poco, in quei giorni confusi e febbricitanti, aveva incominciato a gradire la sensazione della sua mano fresca sulla fronte, la voce dolce che lo cullava. Una volta si era svegliato di soprassalto da un incubo e si era trovato stretto tra le sue braccia amorevoli, le dita leggere tra i capelli mentre lo rassicurava. Si era sempre meravigliato di come fosse piccola e magra. Una persona con una tale volontà di ferro sarebbe dovuta essere alta due metri e pesare come minimo settanta chili, visto come ossessionava tutto il personale medico, anche i dottori, perché facessero quello che lei voleva. Avevano valutato che lui dovesse avere circa quattordici anni, anche se era molto più alto dello scricciolo di donna che gli aveva salvato la vita, appropriandosene. Ma in quel caso non importava. Anche lui era impotente nei suoi confronti. Non c'era stato nulla che potesse fare per lottare contro la crescente dipendenza verso le cure materne di Mary Mackenzie. Anche se ciò significava svi12
luppare una debolezza, una vulnerabilità che lo spaventavano. Nessuno si era mai preso cura di lui. Anzi. E così, quando fu in grado di lasciare l'ospedale, si rese conto di amare la donna che aveva deciso di fargli da madre. L'amava con la totale intensità, la cieca devozione di un bambino piccolo. Lo avevano portato alla Mackenzie's Mountain. Nella loro casa, tra le loro braccia. Nei loro cuori. Un ragazzino senza nome era morto quel giorno sulla strada ed era nato Chance Mackenzie. Quando Chance aveva deciso il giorno del suo compleanno, dietro le insistenze di sua sorella Maris, aveva scelto proprio il giorno in cui Mary lo aveva trovato. Fino ad allora non aveva avuto niente. Da quel giorno era stato subissato di tutto. Era stato sempre affamato. Da quel giorno c'era stato cibo in quantità. Aveva sempre avuto smania di imparare. Da quel momento era stato circondato di libri. Mary era un'insegnante nata, e lo aveva nutrito di conoscenza. E poi gli aveva preparato una stanza da sogno. Con un letto vero. Caldo. Un armadio pieno di vestiti. Scarpe. Tutto nuovo. Tutto suo. Non aveva avuto più bisogno di rubare. Ma, la cosa più importante, lui, che era sempre stato solo, all'improvviso si era trovato immerso in una famiglia. Un padre, una madre, quattro fratelli, una sorella, una cognata, un nipotino in fasce. E tutti lo avevano accolto come se fosse stato con loro fin dall'inizio. E poi lo toccavano di continuo. Baci, carezze, coccole. Da quando si svegliava al momento in cui si addormentava. Chance si era sempre sentito a disagio in quelle occasioni e sempre aveva lanciato un'occhiata a Wolf, l'uomo grande e grosso nonché il capofami13
glia. Che cosa pensava mentre la figlia abbracciava uno come Chance? Wolf Mackenzie non era innocente. Aveva intuito le esperienze terribili che lo avevano formato. Capiva quale linfa malefica scorreva nel sangue di quel ragazzino selvaggio. Lui si era sempre chiesto se gli avesse letto nella mente, avesse scoperto il ricordo dell'uomo che aveva ucciso quando aveva appena dieci anni. Eppure, quell'uomo dai lineamenti marcati e dal sangue misto lo aveva preso in casa, chiamandolo figlio e, come Mary, lo aveva amato. I primi anni di vita avevano insegnato a Chance che l'amore era sinonimo di pericolo. Tuttavia non era stato capace di non amare i Mackenzie. Non aveva mai smesso di spaventarlo quella crepa nella sua corazza. Ciononostante, solo quando era in famiglia riusciva veramente a rilassarsi, perchĂŠ sapeva che in mezzo a loro era al sicuro. Non poteva stare lontano a lungo da quella casa. Presto o tardi sentiva il bisogno di tornare, di immergersi nel loro calore disinteressato e sincero. Ormai si erano impadroniti totalmente del suo cuore e lui aveva dedicato tutto il suo talento e la sua intelligenza per proteggere il loro mondo. Certo, non gli facilitavano le cose. Lo assalivano sempre con espressioni di affetto. I fratelli si erano sposati, dandogli delle cognate da amare, dei bambini da adorare. Quando era arrivato, c'era solo John, il figlio di Joe e di Caroline. Da allora era stato un crescendo continuo, e Chance, come tutti gli altri membri della famiglia, si era trovato a combattere con pannolini, biberon, manine paffute e tenerissime che si attaccavano ovunque. I nipotini erano arrivati a quota dodici, piĂš una nipotina contro la quale lui era totalmen14
te impotente, con gran divertimento di tutti. Tornare a casa era sempre un po' snervante, ma ne aveva bisogno come dell'aria che respirava. Ogni volta si ripeteva che doveva cercare di staccarsi, di isolarsi, tuttavia il cuore lo riportava sempre da loro.
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1 Chance amava le moto. Quelle grosse e potenti come la Harley-Davidson che stava guidando sulla stretta strada di montagna. Il rombo del motore vibrava aggressivo, dandogli un senso di potere e di pericolo. Una sensazione viscerale che non finiva mai di stupirlo. Piacere. Anche il pericolo, come il sesso, poteva avere un che di erotico. Ogni guerriero, ogni combattente lo sapeva. Suo fratello Josh ammetteva candidamente che atterrare con un caccia sul ponte di una portaerei lo eccitava da morire. E Joe, che poteva guidare qualsiasi jet, si limitava a sorridere, sornione. Quanto a Zane e a se stesso, Chance sapeva che quando emergevano da una missione difficile, che di solito includeva pallottole e pericolo, non desideravano altro che una donna sulla quale scaricare tutta la tensione. Sfortunatamente, soddisfare quel desiderio non sempre era possibile. Il luogo doveva essere sicuro, doveva esserci una donna disponibile e soprattutto bisognava tornare a essere persone civili. Ma, per il momento, c'erano soltanto la motocicletta e lui, la carezza sferzante dell'aria di montagna e il solito miscuglio di gioia e timore. 16
Arrivò in cima alla salita e la casa di Zane comparve nell'ampia valle sottostante. Una grande costruzione con cinque camere, quattro bagni e nessuna ostentazione. Zane aveva fatto in modo che non attirasse l'attenzione. In apparenza non sembrava così grande, perché alcune stanze erano sotto il livello del suolo. Tra l'altro, a causa del suo lavoro, l'aveva fornita di tutti i sistemi di sicurezza più sofisticati. Vetri antisfondamento, porte in acciaio, serrature a prova di bomba, pareti con anima in ferro, telecamere, sensori ovunque. Vie di fuga segrete. Quando Chance imboccò il viale di accesso, capì che il suo arrivo era già stato segnalato. Il loro lavoro era pericoloso, e la prudenza non era mai troppa. Zane, poi, aveva sempre un piano d'emergenza. Chance spense il motore, rimase per qualche istante seduto per riprendersi, poi smontò, bloccando la Harley. Infine tirò fuori dal vano oggetti un dischetto e si avviò verso il portico. Era una calda giornata estiva e il cielo era di un azzurro intenso, non si vedevano nubi all'orizzonte. Alcuni cavalli pascolavano poco lontano. Le api ronzavano attive e laboriose intorno ai fiori, mentre gli uccellini cantavano tra gli alberi. Wyoming. Casa. Mackenzie's Mountain non era molto lontana, con la grande residenza che si allungava in cima alla radura e tutto ciò che contava per lui. «La porta è aperta.» La voce di Zane risuonò attraverso l'interfono. «Sono nello studio.» Chance entrò, dirigendosi verso il corridoio. Alle sue spalle, le porte si chiudevano automaticamente. La casa era silenziosa. Segno che Barrie e i bambini erano fuori. Altrimenti Nick gli sarebbe corsa incon17
tro con gridolini di gioia, saltandogli in braccio come una scimmietta, parlando a ruota libera in quel suo inglese martoriato, le manine intorno al viso perché le prestasse tutta l'attenzione possibile. Come se si potesse fare diversamente. Nick era come un piccolo candelotto di esplosivo. Era meglio tenerla sempre sott'occhio. Stranamente, la porta dello studio di Zane era chiusa. Lui esitò un istante, prima di entrare. Il fratello era dietro la scrivania, al computer, le finestre spalancate. Gli rivolse uno dei suoi rari e caldi sorrisi. «Attento a dove metti i piedi. I due pargoli sono in azione.» Automaticamente Chance guardò in basso, ma non vide traccia dei gemellini. «Dove?» «Sotto la scrivania. Quando hanno sentito che arrivavi, si sono nascosti.» Dieci mesi, e i due bimbi erano di una vivacità incredibile. Lui guardò con maggior attenzione e scorse quattro manine paffute spuntare da sotto il tavolo. «Devono ancora imparare.» «Da' loro il tempo. Hanno appena iniziato. Giocano all'attacco.» «Che dovrei fare?» «Sta' fermo. Tra poco ti salteranno addosso, aggrappandosi alle tue gambe. Preparati.» «Sono previsti anche morsi?» «Non ancora. Si limitano a tirarsi su e a ridere come pazzi.» L'attacco si verificò, come preannunciato. E, nonostante l'avvertimento di Zane, lo colse un po' di sorpresa. I due piccoli erano stati incredibilmente silenziosi. Si lanciarono all'unisono, camminando carponi, attaccandosi ai suoi jeans con determinazione. 18
Gridolini di trionfo, gorgheggi di gioia pura, cui si unirono le risate divertite dei due uomini. «Caspita!» mormorò Chance, lanciando al fratello il dischetto per chinarsi a prendere in braccio i due assalitori. Cameron e Zack gli sorrisero felici. Sei dentini da latte in totale, su due faccine identiche. E subito incominciarono a tormentagli il viso con le manine, tirandogli il naso, le orecchie, curiosando nelle tasche della camicia. «Per la miseria, pesano una tonnellata!» Non si aspettava fossero cresciuti tanto in un paio di mesi. «Sono grandi quasi come Nick. Lei è più alta, ma giurerei che pesano di più.» I gemelli avevano un'ossatura forte, come tutti i maschi Mackenzie, mentre Nick era esile come la nonna. «Dove sono Barrie e Nick, a proposito?» «Abbiamo avuto una crisi di scarpe. Ma non insistere, ti prego.» Fu impossibile. «Una crisi di scarpe?» Chance si sedette sulla poltrona di fronte alla scrivania, sistemando i gemelli sulle ginocchia. I due piccoli persero interesse in lui e si concentrarono su se stessi, intrecciando le gambe, toccandosi a vicenda, scambiandosi a loro modo informazioni. Zane si appoggiò contro la spalliera. «Dunque, all'inizio avevo una figlia di tre anni che adorava le sue scarpe di vernice nera. Poi ho commesso l'errore di farle vedere Il Mago di Oz.» La bocca severa si addolcì in una smorfia divertita. «E la piccola peste ha deciso di avere un paio di scarpe rosse. Che cosa ha usato per tingerle?» «Un rossetto, che altro?» Ogni Mackenzie aveva avuto incidenti con un rossetto. Era una specie di tradizione familiare. Il primo a iniziarla era stato John, 19
quando aveva colorato le decorazioni sull'uniforme del padre. E Caroline, la madre, si era angustiata più per la perdita del suo prezioso rossetto che per la divisa del marito. «Non potevi lavarle?» Zack e Cameron avevano scoperto la fibbia della cintura e la cerniera dei jeans. Lui allontanò le manine, prima che lo spogliassero, e i due nipotini incominciarono ad agitarsi. Così, si chinò per metterli a terra. «Chiudi la porta o scappano.» Fece appena in tempo, prima che i due malandrini riuscissero nell'impresa. Al che, delusi, si lasciarono cadere sui sederini imbottiti, guardandosi intorno. Poi, carponi, si lanciarono in perlustrazione. «Certo che potevo lavarle! Prima che lei decidesse di farlo da sola. Le ha messe in lavatrice.» Chance tirò indietro la testa e scoppiò in un'allegra risata. «Barrie, allora, è andata a comprarne un altro paio. La copia esatta di quelle che Nick adorava. Ma la perfida le ha degnate appena di uno sguardo, rifiutandosi persino di provarle.» «Le avrà definite butte, immagino.» «Più o meno. Devo dire che ha fatto qualche progresso con la L, cantilenando fino all'esaurimento, nostro s'intende, lallalà... lallalà...» «Sa dire Chance, invece di Dance?» «Non c'è speranza. Ripete che siamo noi a sbagliare il tuo nome.» «Che elemento! Immagino che Barrie l'abbia portata a comprare un altro paio di scarpe.» «Esatto.» Zane lanciò un'occhiata ai bambini. E, come se fossero in attesa dell'attenzione del padre, i gemelli lanciarono entrambi due gridolini di protesta. 20
«È ora della pappa.» Zane girò la poltrona verso un piccolo frigorifero e ne tirò fuori due biberon pieni di latte. Ne porse uno a Chance. «A te, fratello.» «Pronto come sempre» fu il suo commento divertito, mentre si chinava a prendere in braccio Zack. Osservò con attenzione il faccino imbronciato e fu certo della scelta. Non sapeva come, ma in famiglia tutti riuscivano a riconoscerli. Avevano ciascuno una personalità ben definita, che si rifletteva nell'espressione. «Devo essere preparato. Barrie li ha svezzati un mese fa e non apprezzano molto dover aspettare.» I grandi occhi azzurri di Zack si focalizzarono sul biberon che Chance aveva in mano. «Come mai li ha già svezzati?» «Aspetta e vedrai» rispose Zane, sistemandosi Cam sulle ginocchia. Non appena Zack riuscì a mettere le mani sulla bottiglia, l'afferrò con forza, portandosela verso la bocca e attaccandosi con tale voracità da rischiare di rompere la tettarella. «Ehi, ragazzo, vacci piano! Ora capisco perché tua madre si è rifiutata di allattarti ancora.» Il piccolo non smise di succhiare, limitandosi a dare un'occhiata arrogante allo zio. Cameron non si comportava certo in maniera molto diversa, però, invece di sguardi feroci, lanciava al padre sguardi ammiccanti. Fin da quando era entrato a far parte della famiglia Mackenzie, Chance si era subito dovuto abituare a tenere in braccio neonati. A trastullarli, cambiarli, nutrirli. Era una sensazione dolcissima. La loro pelle era liscia e morbida, i capelli leggeri come seta, il loro profumo incredibile. Unico. Non avrebbe mai cre21
duto che si fidassero talmente di lui. Un trovatello selvaggio e ombroso. Eppure era stato così. «Comunque, Maris aspetta un bambino.» L'affermazione lo strappò dai suoi pensieri, facendogli alzare la testa di scatto. «Fantastico!» Sua sorella si era sposata da nove mesi e non la smetteva di angustiarsi perché non rimaneva incinta. «A quando il grande evento?» «Marzo. Sostiene che impazzirà prima, perché Mac non fa che subissarla di attenzioni. Chance ridacchiò divertito. Mac era l'unico uomo che riuscisse a intimidire Maris. Per questo, forse, se ne era innamorata perdutamente. «Ti decidi o no a mettermi al corrente?» Sapeva che Zane si riferiva al contenuto del dischetto. Di solito, comunicavano via computer. Questa volta, invece, Chance era tornato dalla Francia senza avvertire nessuno. «Come mai tanta segretezza?» «Non volevo rischiare che trapelasse qualcosa.» «Abbiamo problemi nella sicurezza?» «Non saprei. E la cosa mi preoccupa. A ogni modo, questa faccenda deve restare tra noi due.» «Mi incuriosisci.» Gli occhi di ghiaccio di Zane si accesero di interesse. «Crispin Hauer ha una figlia.» Crispin Hauer era un terrorista pericoloso. Il primo nella lista dei ricercati. Il più intelligente, purtroppo, e sfuggente. Avevano scoperto che si era sposato a Londra circa trentacinque anni prima, ma la moglie, Pamela Vickery, era scomparsa nel nulla senza lasciare traccia. Avevano immaginato fosse stata uccisa per mano del marito o di qualche suo nemico. «Chi è, e dove si trova?» 22
«Si chiama Sonia Miller, e vive in America.» «Ho sentito quel nome.» Chance annuì. «Per l'esattezza, è il corriere che supponiamo sia stato derubato la scorsa settimana a Chicago.» «Intendi dire che poteva essere stato tutto organizzato?» «Esiste una buona possibilità. Ho trovato il legame quando ho controllato le sue generalità.» «Hauer, però, avrebbe dovuto immaginare che avremmo indagato, visto che il plico conteneva documenti aerospaziali. Perché rischiare?» «Forse pensava che non avremmo scoperto nulla. È stata adottata. Hal ed Eleanor Miller sono i suoi genitori naturali e risultano puliti come acqua di sorgente. Non lo avrei nemmeno scoperto se non fossi andato a cercare il certificato di nascita. Che non ha.» Zane corrugò la fronte. «Hai lasciato qualche traccia?» «Nessuna che possa ricondurre a noi. Sono entrato nel file attraverso il Ministero delle Finanze.» Il fratello fece una smorfia compiaciuta. Nessuno aveva voglia di entrare in contatto con i funzionari delle tasse. Zack aveva finito il biberon. La sua presa si allentò e la testolina si appoggiò contro il braccio di Chance, che lo sollevò contro la spalla per il ruttino di routine. «La signorina Miller lavora come corriere da cinque anni. Ha un appartamento a Chicago, ma i vicini sostengono che vi si trattiene di rado. Deve essere una copertura.» Zane era pienamente d'accordo. Dovevano sempre pensare al peggio. Faceva parte del loro lavoro. Anti23
cipare il peggio per poterlo affrontare in modo adeguato. «Che cosa hai in mente?» gli chiese, mettendosi Cam contro la spalla. «Avvicinarmi a lei. Guadagnarmi la sua fiducia.» «Non sarà facile.» «Ho un piano.» «Lo immaginavo. Ma, intanto, preparati. Barrie e Nick sono tornate.» Qualche secondo più tardi, una vocina inconfondibile risuonava per la casa. «Zio Dance! Zio Dance, zio Dance, zio Dance!» Lui fece appena in tempo ad alzarsi, Zack saldamente in braccio, e ad aprire la porta, che la nipotina gli si lanciò addosso come un razzo, subissandolo di baci e di schiaffetti. «Tai qui tavolta?» Chance le strofinò la guancia con il naso, facendola ridere. «Solo pochi giorni.» La bimba divenne scura in volto. Poi cambiò espressione, gli occhi luminosi come stelle. «Potto guidae la tua moto?» Un campanello d'allarme lo mise in guardia. «No» rispose con fermezza. «Non puoi guidarla, salirci, sedertici sopra, chinarti su di lei, metterci i tuoi giocattoli a meno che io non sia con te.» Con Nick era meglio giocare d'anticipo perché era un genio nel trovare falle in cui intrufolarsi. «E non puoi metterci nemmeno Cam o Zack o tutti e due insieme.» «Grazie» mormorò Barrie, entrando nello studio. Si alzò in punta di piedi per dargli un bacio su una guancia e prese il piccolo, così Chance poté dedicarsi completamente alla nipotina. «Missione compiuta?» si informò Zane, sorriden24
do alla moglie con espressione compiaciuta. «Non senza drammi» rispose lei, togliendosi un ricciolo ramato dagli occhi verdi. Come sempre era vestita con semplicità e gran classe. Magra, flessuosa, aveva una grazia innata che incantava. Intanto Nick si era impadronita del viso di Chance e lo fissava con un'intensità incredibile. «Io ti ho fatto guidae il mio ticiclo.» Padre e madre risero piano. «Mi hai dato il permesso di guidare il tuo triciclo» la corresse lui. «Ma sono troppo grande per un triciclo e tu troppo piccola per una moto.» «Alloa quando potto guidalla?» «Quando prenderai la patente.» La risposta la confuse. Così si mise un dito in bocca, pensierosa, e Chance ne approfittò per distrarla. «Ehi, sono nuove queste scarpe?» Come per magia, il visetto si illuminò di nuovo. «Sono caine, veo?» «Bellissime.» Prese in mano un piedino, fingendo di specchiarsi sulla vernice nera. E la piccola scoppiò a ridere felice. «Fratello, noi andiamo a mettere a dormire i bambini» disse Zane, alzandosi in piedi. «Mi raccomando, tienila occupata.» Non era difficile, l'impresa. Nick aveva sempre qualcosa da dire o da fare. Infatti, chinò di lato la testolina, i soffici capelli neri morbidi come fiocchi di ovatta, e cominciò a chiacchierare, raccontandogli delle scarpe nuove, dei cavalli del nonno, di come il papà si fosse dato una martellata su un dito, ripetendo esattamente la sua imprecazione. «Io, peò, non devo dilla. Quella paola è butta.» Chance cercò di non ridere. «Vero.» 25
«Non devo die maledizzone, adiavolo opue...» «Non dovresti dirle neppure ora» la interruppe in tono fermo. La bambina sembrò perplessa. «Alloa come faccio a ditti quali sono?» «Papà le conosce?» «Papà le sa tutte.» «Allora chiederò a lui.» «Va bene.» Nick si tirò su, mettendogli i piedi sulle cosce. «Zia Mavis avà un bambino.» Lui la circondò con le braccia. La piccola era un'acrobata, ma la sicurezza non era mai troppa. «Lo so. Me lo ha detto il tuo papà.» Lei fece il broncio, delusa di non essere stata la prima a dargli la notizia. «Pattoià in pimavea.» A quel punto, non ce la fece più a trattenersi. Si strinse la bimba al petto, ridendo di gusto. Poi si alzò in piedi e la fece vorticare forte forte. Nick scoppiò a ridere, le braccine strette intorno al collo dello zio. «Quando è pimavea?» «Tra sette mesi.» Non che avesse molto senso, a tre anni. Infatti... «Saò vecchia?» «Avrai quattro anni.» La nipotina sembrò rassegnata. «Che diddetta!» Questa volta, quando smise di ridere, si asciugò gli occhi e le chiese: «Chi ti ha insegnato a dirlo?». «John.» «Ti ha insegnato anche altre cose?» Nick annuì. «Me le dici?» La bambina alzò gli occhi verso il soffitto, poi lo fissò seria. «E tu mi fai guidae la moto?» Accidenti, se era ostinata! Figurarsi che cosa a26
vrebbe combinato a sedici anni, pensò con un senso di panico. «No. Se ti fai male, la mamma piange, il papà piange, la nonna piange, il nonno piange, io piango, la zia Maris piange...» Nick parve impressionata da quella litania e gli mise una mano sulla bocca per farlo tacere. «Potto guidae un cavallo, zio Dance. Perché non potto guidae la tua moto?» Non mollava, la piccola peste. Ma dove diavolo era finito Zane? Ormai i gemellini dovevano dormire della grossa! Passarono altri dieci minuti, e finalmente il fratello fece la sua comparsa, gli occhi un po' lucidi, i lineamenti duri rilassati. Doveva aver approfittato per scambiare qualche affettuosità con Barrie, decise Chance, esausto dal tira e molla con Nick. «Era ora!» «Ma se ho fatto più in fretta che ho potuto.» «Come no!» «Be', nei limiti del possibile» commentò Zane, sorridendo. «Piccola, hai tenuto occupato lo zio?» «Sì, gli ho detto la paola butta butta che hai detto tu quando ti sei fatto male.» Zane prima fece la faccia triste, poi seria. «Avevi promesso di non dirla più.» Lei si mise un dito in bocca, gli occhioni azzurri rivolti al soffitto. «Nick, hai ripetuto quella parola?» La figlia annuì. «Allora, stasera non avrai la favola della buonanotte.» «Mi dispiace, papino.» Gli buttò le braccia al collo, appoggiando la testolina contro la sua spalla. «Lo so, tesoro, ma devi imparare a mantenere le 27
promesse. Su, adesso scendi e va' dalla mamma.» Quando rimasero soli, Chance scosse la testa, sorridendo. «È adorabile. Quando sarà grande, farà impazzire gli uomini.» «Al momento, fa impazzire noi. Forza, mettiamoci al lavoro.»
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G. SHOWALTER - C. HARRIS - B. HAMBLY
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