Mh172 sensuale vicinanza

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Maureen Child

SENSUALE VICINANZA


Titoli originali delle edizioni in lingua inglese: Last Virgin in California Prince Charming in Dress Blues Have Baby, Need Billionaire Silhouette Desire © 2001 Maureen Child © 2001 Maureen Child © 2011 Maureen Child Traduzioni di Lucilla Negro, Olimpia Medici e Rita Pierangeli Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved. © 2004 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Destiny aprile 2004 Prima edizione Harmony Destiny settembre 2004 Prima edizione Harmony Destiny settembre 2011 Seconda edizione Il Meglio di Harmony marzo 2014 Questo volume è stato stampato nel febbraio 2014 da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd) IL MEGLIO DI HARMONY ISSN 1126 - 263X Periodico mensile n. 172 del 15/03/2014 Direttore responsabile: Stefano Blaco Registrazione Tribunale di Milano n. 777 dello 06/02/1997 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Trentacoste, 7 - 20134 Milano Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano


Sommario Pagina 7

Gli opposti si amano Pagina 155

Baita a due piazze Pagina 307

Eccitante vendetta


Gli opposti si amano


1 «Con chi hai detto che ti sposi?» Lilah Forrest ebbe un sussulto e allontanò la cornetta dall'orecchio per impedire che la voce di suo padre l'assordasse. Dopo una vita trascorsa a comandare il corpo dei marine, Jack Forrest sarebbe riuscito probabilmente a svegliare i morti, se lo avesse ordinato. «Con Ray, papà» rispose, quando riaccostò la cornetta all'orecchio. «Te lo ricordi, no? Vi siete conosciuti l'ultima volta che sei tornato a casa.» «Certo che me lo ricordo» borbottò il padre. «Quel tipo che mi disse che la mia uniforme sarebbe riuscita a incutere meno timore se avessi portato un orecchino.» Lilah soffocò una risata che sapeva suo padre non avrebbe gradito. Ma il solo pensiero del suo genitore, inappuntabile colonnello dei marine, con un cerchietto d'oro appeso al lobo, bastava a generare impeti di risa difficili da reprimere. «Stava scherzando» disse, quando riuscì a parlare senza tracce di ilarità nella voce. «Ovvio» ribatté suo padre senza troppa convinzione. «Pensavo che Ray ti piacesse.» 9


«Non ho detto che non mi piace» replicò lui, con voce tesa. «A ogni modo, che diavolo ci trovi in quegli sciamannati, proprio non lo capisco.» Nell'ottica di suo padre, pensò Lilah, sciamannato stava per qualunque uomo che non fosse un marine. «Tu hai bisogno di una persona tenace come te. Di un uomo forte e sicuro come...» «Un marine» concluse Lilah al posto suo. Per la miseria, aveva sentito quel discorso talmente tante volte che lo conosceva a memoria, ormai, parola per parola. «Che cosa c'è che non va in un marine?» le domandò il padre, ponendosi chiaramente sulle difensive. «Nulla» rispose lei, stanca di sentire sempre la stessa tiritera. Lilah sospirò e sprofondò sui soffici cuscini del divano. Raggomitolandosi in un angolo, bloccò il ricevitore tra orecchio e spalla e si tirò giù l'orlo del vestito fino a coprire le gambe raccolte. «Papà, Ray è un ragazzo a posto.» «Ti credo, tesoro» ammise il padre, a malincuore. «Ma sei proprio convinta che sia l'uomo giusto per te?» No, non lo era. L'immagine di Ray le attraversò la mente e Lilah sorrise. Non molto alto, con capelli neri lunghi fin quasi alla vita, raccolti in una treccia, Ray era un artista. Portava brillantini alle orecchie, se ne andava in giro con delle tuniche lunghe e dei sandali di cuoio, ed era fedelissimo al suo compagno, Victor. Ma era anche uno degli amici più cari di Lilah. Ed era stato in virtù della loro amicizia che Ray aveva accettato che lei raccontasse a suo padre che loro due erano fidanzati. Victor non aveva fatto salti di gioia, 10


ovviamente, ma Ray sapeva sempre come prenderlo. A ogni modo, se non fosse stato per il fatto che Lilah doveva trascorrere alcune settimane con suo padre, non ci sarebbe stato motivo di inscenare quella farsa. Ma lei proprio non sopportava l'idea di sorbirsi l'ennesima sfilata di giovani ufficiali pronti a gettarsi ai suoi piedi per conquistare il suo cuore. Detestava l'idea di dover mentire al padre, ma non aveva scelta. Se lui avesse smesso di cercare di farla sposare a tutti i costi con qualche adeguato marine, lei non si sarebbe spinta fino a tanto. «Ray è una persona meravigliosa, papà» disse, estremamente convinta di ciò. «Vedrai, ti piacerà. Dagli solo un'altra possibilità.» Jack farfugliò qualcosa d'incomprensibile, e Lilah si sentì opprimere dal senso di colpa. Suo padre non era una persona cattiva. Solo che non era mai riuscito a capire sua figlia. Per fortuna cambiò discorso, passando a raccontarle ciò che era successo alla base ed evitandole, così, il disagio di dovergli dire altre fesserie, almeno per il momento. A ogni modo, a conclusione del suo periodo di permanenza dal padre, Lilah gli avrebbe detto che lei e Ray avevano rotto. E tutto si sarebbe riaggiustato. Fino all'incontro successivo. «Mando qualcuno a prenderti in aeroporto» lo sentì dire. «No, ti ringrazio» si affrettò a rispondere, figurandosi qualche povero civile o militare incaricato di scarrozzare di qua e di là la figlia del colonnello. «Mi sono già organizzata. Ho preso un'auto a noleggio. Ci vediamo domani pomeriggio.» 11


«Non... be'... non ti porterai dietro Ray, vero?» Lei quasi rise del disagio che percepì nella sua voce. Ray alla base. Chissà che scompiglio avrebbe suscitato. «No, papà» pronunciò in tono solenne. «Verrò da sola.» Ci fu una lunga pausa prima che lui dicesse: «Bene, allora. Sta' attenta». «Non ti preoccupare.» «Non vedo l'ora di riabbracciarti, tesoro.» «Anch'io» disse lei, elettrizzata, poi aggiunse: «A presto, paparino» e riagganciò. Con la mano ancora stretta attorno alla cornetta, fissò l'apparecchio per un lungo istante, desiderando che le cose andassero diversamente. Sperando, per la millesima volta, che suo padre potesse accettarla, e amarla, per quello che lei era. Ma ciò non sarebbe probabilmente mai accaduto. Poiché lei era la figlia di un uomo che aveva sempre desiderato un maschio. «Lo considererei un favore personale, sergente» dichiarò il colonnello Forrest, puntellando i gomiti sulla scrivania e congiungendo i polpastrelli. Scortare la figlia del colonnello per la base, un favore personale? Be', come poteva sottrarsi a un incarico del genere? Dicendogli di no, naturalmente. Non poteva ordinargli una cosa del genere, Kevin ne era certo. Ma ponendogliela sotto forma di favore, il colonnello Forrest si garantiva praticamente il suo assenso. Dopotutto, come poteva opporsi a una richiesta di un suo superiore? 12


Si ricacciò dentro le parole che avrebbe voluto dirgli e affermò, invece: «A sua disposizione, signore. Sono onorato di poterle essere d'aiuto». Il colonnello Forrest gli indirizzò un'occhiata che diceva chiaramente che non c'era bisogno di fingere così. Sapeva benissimo che Kevin avrebbe fatto volentieri a meno di portare a spasso sua figlia, ma non si sarebbe sottratto all'incarico. Ed era questo ciò che contava. «Perfetto» rimarcò il colonnello, alzandosi dalla scrivania e facendone il giro. Raggiunse la finestra e gettò lo sguardo sull'ampia distesa a due piani sotto il suo ufficio. Kevin non aveva bisogno di guardare fuori per sapere quello che l'uomo stava vedendo. Il quotidiano andirivieni di una base di reclutamento. Le truppe in marcia. I marine. I plotoni. Le urla degli istruttori, la cadenza degli ordini, che cercavano di trasformare un branco di ragazzetti in qualcosa che rassomigliasse a degli austeri marine. Il sole di maggio sferzava contro il vetro della finestra, frantumandosi come un prisma multicolore, mentre si riversava nella stanza. Un refolo d'aria salmastra si insinuò attraverso la finestra socchiusa, portando con sé deboli suoni di uomini e donne in marcia. Il rombo distante di un aereo che decollava dall'aeroporto di San Diego echeggiava come il rimbombo di un tuono in lontananza. «Non voglio che tu mi fraintenda, Rogan» precisò il colonnello. «Mia figlia è una ragazza molto... simpatica.» «Certamente, signore» replicò Kevin con la massima diplomazia, benché si chiedesse come mai una ra13


gazza così simpatica avesse bisogno che il padre le procurasse un accompagnatore per il mese che lei avrebbe trascorso lì in città. Indirizzò un'occhiata alla scrivania del colonnello, ma non scorse nessuna foto della bellezza in questione. A ogni modo, si chiese in che diamine di situazione si fosse ficcato. Era una tipa odiosa? Una rompiscatole? Una nana con un occhio solo? Ma anche mentre quei dubbi atroci gli si insinuavano nella mente, teneva ben presente chi fosse esattamente quella ragazza. La figlia del colonnello. E in virtù di questo, Kevin avrebbe fatto tutto il possibile per rendere gradevole il soggiorno alla fanciulla. Anche se gli seccava da morire. Che diamine! Un sergente d'artiglieria del corpo dei marine ridotto al glorioso ruolo di babysitter. Lilah sedeva nell'auto presa a noleggio, appena fuori la cancellata, e si dava della stupida. Succedeva sempre così. Le bastava rivolgere un'occhiata alla fortezza di suo padre e lo stomaco cominciava quel fastidioso, lento tramestio che le era fin troppo familiare. Serrò le mani attorno al volante. Era sempre agitata ogni volta che rivedeva suo padre dopo tanto tempo. Eppure, doveva averci fatto l'abitudine, ormai. «No» mormorò, e lasciò ricadere le mani lungo i fianchi. Istintivamente, si lisciò le pieghe della camicetta di mussola verde smeraldo, poi prese a giocherellare con il ciondolo di ametista appeso alla collana. Mentre toccava le fredde spigolosità della pietra sfaccettata, si disse che era una sciocca a reagire così. 14


«Stavolta sarà diverso. Papà crede che io sia fidanzata. Niente più sfilate di marine. Niente più paternali sulla necessità di sistemarsi.» Giusto. Doveva arrendersi, prima o poi, no? Lei, invece, era tutta la vita che lottava. Tutta la vita che cercava di compiacere suo padre. Ed era tutta la vita che falliva, miseramente. Ma non si arrendeva. No. Lilah Forrest era troppo testarda per mollare solo perché non stava vincendo. E aveva ereditato quel piglio ostinato proprio dall'uomo che l'aspettava al di là di quel cancello. Con la coda dell'occhio, colse un movimento repentino e vide un marine avanzare e rivolgerle un'occhiata severa. «Probabilmente, pensa che sia una terrorista, o qualcosa del genere» mormorò ingranando, lesta, la marcia e accostandosi al cancello. «Signorina» l'abbordò il giovane, «in che cosa posso aiutarla?» «Sono Lilah Forrest» si presentò lei, e sollevò gli occhiali da sole per sorridergli in quei suoi occhi severi e sospettosi. «Sono venuta a trovare mio padre.» Il giovane sbatté le palpebre. Troppo ben addestrato per palesare lo stupore, il marine si limitò a fissarla per qualche istante prima di dirle: «Sì, signorina, la stavamo aspettando». Diede un'occhiata alla targa della sua auto, la annotò su un pass per visitatori e lo appiccicò sul vetro della vettura. Poi, sollevò una mano e le fece cenno di procedere. «Vada diritto da quella parte e moderi...» «La velocità» terminò lei al posto suo. «Lo so.» Conosceva le regole alla perfezione. Era cresciuta in diverse basi militari sparse per il mondo. E la cosa che 15


accomunava tutti in quei posti era la bassa soglia di tolleranza nei confronti degli automobilisti con il piede pesante. Bastava che si superasse il limite dei quaranta chilometri orari e ti beccavi una multa. Il giovane annuì. «L'abitazione del colonnello è...» «So dov'è, grazie» lo interruppe lei, e pigiò sull'acceleratore. Salutando il giovane marine con la mano inanellata, diresse l'auto verso il luogo della battaglia. Non era come se l'aspettava. E non era affatto una nana con un occhio solo. Kevin si mosse sulla sedia e osservò discretamente la donna che gli sedeva di fronte. Se avesse dovuto scegliere la figlia del colonnello fra un ventaglio di donne, non avrebbe mai scelto lei. Tanto per incominciare, non era molto alta. Aveva, però, tutte le curve al posto giusto, oltre a una cascata di riccioli biondi e il paio di occhi più grandi e azzurri che gli fosse mai capitato di vedere in vita sua. Portava orecchini d'argento a forma di stella e fili di perline colorate attorno al collo. Indossava un vestito vaporoso che pareva fluttuarle come una nuvola attorno alle gambe, quando camminava, e degli anelli d'argento alle dita dei piedi. Nudi. Chi andava a immaginare che il colonnello avesse una figlia hippie? Si aspettava che, prima o poi, incrociasse le gambe nella posizione del loto e cominciasse a cantare. Ora capiva perché il colonnello le aveva procurato una scorta. Non si fidava a mandarla in giro da sola. «Mio padre mi ha detto che è un sergente istruttore» commentò lei, e l'attenzione di Kevin si stac16


cò immediatamente dalla pietra color porpora che le pendeva proprio in mezzo ai seni. «Sì, signorina» rispose lui, dicendo a se stesso di non prestare attenzione alla piccola manifestazione di interesse del suo corpo, perché era solo la normale reazione di un maschio sano a una donna graziosa. E lei era graziosa. Lilah mosse una mano e Kevin giurò di aver sentito un impercettibile scampanellio. Poi notò le campanelline d'argento appese al braccialetto attorno al polso. «Non eravamo d'accordo che mi chiamasse per nome?» «Sì, signorina... Lilah» si corresse lui. «Allora, non è carina?» chiese il colonnello, spostando lo sguardo dall'uno all'altro come un papà orgoglioso. «Sapevo che voi due sareste andati d'accordo.» Squillò il telefono e il colonnello spostò la sedia all'indietro e si alzò. «Vogliate scusarmi» annunciò. «Il dovere mi chiama.» Uscì dalla stanza e un pesante silenzio calò come una pietra in un pozzo. Kevin si appoggiò allo schienale, lasciò lo sguardo vagare per l'elegante sala da pranzo, desiderando essere in qualsiasi altro posto, tranne che lì. «Ti ha ordinato lui di venire qua?» Kevin si sentì gravare dal senso di colpa. Scoccò un'occhiata fugace alla porta, poi tornò a guardare lei. «Certo che no» disse, poi chiese: «Che cosa te lo fa pensare?». Lilah sollevò la forchetta e scostò un filamento di cavolo di Bruxelles dal piatto. Appoggiando un gomito sulla tovaglia, posò il mento sulla mano e lo fissò dritto negli occhi. «Non sarebbe la prima volta che 17


mio padre incarica un povero marine di occuparsi di sua figlia.» Kevin si mosse di nuovo sulla sedia, ma tenne lo sguardo fisso su di lei. Che diamine, non voleva metterla in imbarazzo, ma se lei era abituata a questo tipo di trattamento da parte del padre, perché proprio lui doveva negarlo? «Be', lo ammetto, mi ha chiesto di scortarti per la base durante il periodo della tua permanenza qui.» «Come volevasi dimostrare.» Lilah lasciò ricadere la forchetta con un acuto tintinnio e si appoggiò allo schienale. Incrociando le braccia sui seni prosperosi, emise un sospiro e scosse il capo, scuotendo i riccioli biondi. «Speravo che questa volta sarebbe stato diverso.» «Diverso da cosa?» «Dal solito.» A quanti marine era stato richiesto di occuparsi di lei, nel corso degli anni? Mosso dalla curiosità, Kevin domandò: «E quale sarebbe, esattamente, il solito?». Lei indirizzò una rapida occhiata alla porta dietro la quale suo padre era scomparso, poi guardò Kevin. «Oh, non fa che propormi giovani come voi sin dalla pubertà.» «Giovani come noi?» «Sì. Marine» precisò, guardandolo in un modo che lasciava intendere che non credeva che a lui avrebbe fatto alcun effetto. «Papà sta cercando di farmi sposare un marine.» «Sposare?» echeggiò Kevin, poi abbassò la voce mentre si chinava sul piatto ormai vuoto. «Chi ha parlato di matrimonio?» Non aveva firmato per un accordo del genere. Un 18


conto era portarla in giro, un conto era... sposarla. Oddio, era meglio tirarsi fuori da quella situazione finché era in tempo. Arrivederci e grazie. Passava volentieri lo scettro a qualcun altro. «Accidenti, sergente Rogan, rilassati» lo rassicurò Lilah, sgranando gli occhi più di lui. «Nessuno ti vuole incastrare.» «Io non...» «La tua virtù è al sicuro con me.» «Non è della mia virtù che mi preoccupo.» «Ti ho già confermato che non ti devi preoccupare.» «Non mi preoccupo, infatti...» Kevin si fermò, inspirò ed emise un sospiro, avvilito. «Per quanto ancora dobbiamo continuare a punzecchiarci?» «Direi basta così.» «Tregua?» «Per me va bene» concordò lei, alzandosi di scatto e cominciando a camminare su e giù per la stanza. I suoi piedi scalzi non facevano praticamente alcun rumore mentre calpestavano il lucido parquet, ma il suo braccialetto tintinnava, tenendo il tempo ad ogni passo. «Devi tuttavia renderti conto, ora, che mio padre non mollerà facilmente. È evidente che ha scelto te.» «Come cosa?» le domandò lui, benché avesse una terribile idea di quel che sarebbe stata la sua risposta. «Come genero» replicò Lilah, piroettando su se stessa e iniziando a camminare nella direzione opposta. «Niente da fare» obiettò Kevin, alzandosi in piedi anche lui, indeciso se continuare a discutere o tagliare la corda. «Invece, è proprio così. E, a quanto pare, il fatto 19


che io abbia già un fidanzato non ha mutato i piani di papà.» «Sei fidanzata?» «A papà, lui non piace.» «Ha importanza?» «Per lui, sì» puntualizzò Lilah, come se fosse la cosa più scontata del mondo. «A mio padre piaci tu, invece. E, secondo le regole incontrovertibili del colonnello Forrest, l'importante è piacere a lui. Tutto il resto non conta.» «Che fortuna» farfugliò Kevin, e si chiese se fosse ormai troppo tardi per proporsi volontario per il servizio oltreoceano.

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