STEPHANIE LAURENS
Audace fantasia
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Mastered by Love Avon Books © 2009 Savdek Management Proprietory Ltd. Traduzione di Rossana Lanfredi Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Storici Seduction dicembre 2013 Questo volume è stato stampato nel novembre 2013 presso la Rotolito Lombarda - Milano I GRANDI STORICI SEDUCTION ISSN 2240 - 1644 Periodico mensile n. 23 dell'11/12/2013 Direttore responsabile: Stefano Blaco Registrazione Tribunale di Milano n. 556 del 18/11/2011 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Trentacoste, 7 - 20134 Milano Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano
1 Coquetdale, Northumberland, settembre 1816 Non sarebbe dovuta andare in quel modo. Avvolto nel pesante pastrano, solo alla guida del suo calesse, Royce Henry Varisey, decimo Duca di Wolverstone, lasciò la strada maestra che proveniva da Londra e imboccò quella più stretta che conduceva a Sharperton e Harbottle. I dolci pendii delle Cheviot Hills si strinsero intorno a lui come le braccia di una madre. Il castello di Wolverstone, la casa della sua infanzia e anche la proprietà principale tra quelle appena ereditate, si trovava presso il villaggio di Alwinton, oltre Harbottle. Londra era ormai lontana e dopo sedici, lunghi anni Royce tornava in territori a lui familiari. Territori aviti. Rothbury e le ombrose radure delle sue foreste si stendevano alle sue spalle; più avanti i margini ondulati e privi di alberi delle Cheviot, punteggiati qua e là dalle pecore che brucavano sui loro fianchi ancora più nudi, e la Scozia subito oltre. Quelle colline avevano avuto un ruolo vitale nell'evoluzione del ducato. Creato dopo la Conquista da parte dei Normanni come una marca per proteggere l'Inghilterra dalle razzie degli scozzesi, da secoli sui suoi confini regnavano i signori di Wolverstone, popolarmente conosciuti come Lupi del Nord. I Wolverstone erano ancora una famiglia molto potente, 5
che aveva aumentato la sua ricchezza grazie alle capacità sul campo di battaglia, e in seguito l'aveva difesa riuscendo a convincere i diversi sovrani che era meglio non pestare i piedi a una genia tanto potente e influente dal punto di vista politico. Royce osservò il territorio e ripensò ai suoi antenati. Si chiese ancora una volta se a generare le basi della frattura tra lui e suo padre non fosse stata proprio la loro tradizione di abitanti di una terra di confine, in origine conquistata dopo molte battaglie, quindi sancita da un atto reale, e alla fine legalmente annullata, ma mai davvero tolta e ancor meno ceduta. Suo padre, come la maggior parte dei suoi pari, era appartenuto alla vecchia scuola secondo il cui credo la lealtà al paese e al sovrano era merce da commerciare, da vendere, qualcosa che la Corona e lo stato dovevano pagare, e non prendere per garantita. Ancora di più, per i duchi e i conti come lui, che prima di tutto erano signori nei loro domini, il regno rappresentava una entità nebulosa e distante, verso la quale sentivano un senso dell'onore piuttosto blando. Ora, se Royce poteva anche concedere che giurare fedeltà alla monarchia attuale – cioè a Re Giorgio, ormai completamente pazzo, e al suo dissoluto figlio, il Principe Reggente – non fosse una prospettiva invogliante, non aveva mai, nemmeno per un istante, messo in dubbio il giuramento di lealtà e servizio all'Inghilterra. In quanto unico erede di un potente ducato, era esentato per lunga tradizione dal servizio sul campo di battaglia, ma quando, all'età di ventidue anni, gli era stato proposto di creare una rete di spie inglesi in territorio straniero, aveva colto al volo quella opportunità, che si era poi rivelata perfetta per lui. Gli aveva infatti consentito di sfruttare le sue conoscenze e la sua innata capacità di comando, permettendogli di contribuire alla sconfitta di Napoleone. Suo padre, però, aveva considerato quell'incarico come una disgrazia per il nome della famiglia. Le sue vedute anti6
quate lo avevano indotto a considerare disonorevole l'attività di spionaggio, anche se fatta a danno di un nemico contro cui si era in guerra, opinione condivisa a quel tempo da molti dei suoi pari. A peggiorare le cose, quando Royce si era rifiutato di declinare l'incarico, suo padre gli aveva organizzato una vera e propria imboscata, da White's, a un'ora della sera in cui il club era sempre affollato. Con i suoi amici alle spalle, aveva usato nei confronti del figlio pesanti parole di giudizio, affermando alla fine che, se non si fosse piegato al suo volere, per lui sarebbe stato come se non fosse più esistito. Pur accecato dalla rabbia, Royce non aveva mancato di notare quel come se. Essendo lui l'unico erede del ducato, non sarebbe mai stato formalmente diseredato. Tuttavia sarebbe stato bandito da tutte le terre di famiglia. Immobile sul tappeto scarlatto dell'esclusivo club, circondato da un esercito di aristocratici che seguivano, affascinati, la scena, aveva aspettato la fine delle invettive del genitore. Poi, nel silenzio che era seguito, aveva pronunciato due sole parole: «Come volete». Quindi aveva girato sui tacchi ed era uscito, cessando di essere da quel giorno il figlio di suo padre e iniziando una nuova esistenza come Dalziel, un nome che aveva preso da un ramo poco noto della famiglia di sua madre e che gli era sembrato appropriato: infatti, proprio il nonno materno, ormai defunto, gli aveva insegnato il credo secondo il quale aveva scelto di vivere. Se i Varisey erano signori di un territorio di confine, le terre dei Debraigh si trovavano nel cuore dell'Inghilterra. Era una famiglia altrettanto potente, che però aveva servito i sovrani, e soprattutto il paese, senza pretendere nulla in cambio per secoli, guidata da un profondo senso del dovere. Pur deplorando la frattura con suo padre, i Debraigh avevano approvato la scelta di Royce. Lui, tuttavia, già allora sensibile alle dinamiche del potere, aveva preferito rifiutare il loro attivo sostegno, non volendo coinvolgere altri nella disputa. 7
Da allora, e per i sedici, lunghi anni necessari a sconfiggere Napoleone, Royce era stato fedele alla sua scelta. In quel periodo aveva reclutato gli uomini migliori della sua generazione, li aveva organizzati in una rete di agenti segreti e li aveva piazzati in tutti i territori napoleonici. I loro successi erano diventati leggenda, la loro attività aveva salvato migliaia di inglesi e contribuito in modo determinante alla vittoria finale. Erano stati anni eccitanti, ma con Napoleone ormai sulla via di Sant'Elena Royce aveva sciolto il gruppo, i cui componenti erano così tornati alla vita civile. E, da due giorni, anche lui era tornato alla sua esistenza di un tempo. Non si era tuttavia aspettato di assumere nessun titolo oltre a quello di Marchese di Winchelsea; non aveva previsto di dover assumere tanto presto le redini del ducato. L'editto di suo padre lo aveva allontanato da tutte le case di proprietà del duca, dalle terre e dalla gente, e soprattutto da Wolverstone, il luogo a lui più caro. Il castello era più di una casa per lui, le sue mura, i suoi bastioni contenevano una magia che gli scorreva nel sangue, che si portava nel cuore e nell'anima. Il genitore lo aveva capito bene, poiché per lui era stato lo stesso. Nonostante fossero passati sedici anni, mentre i cavalli attraversavano Sharperton, Royce sentiva ancora una volta quel legame viscerale, e si sorprendeva che fosse ancora così forte. Due giorni prima, mentre liberava la scrivania di Dalziel, si era immaginato il suo ritorno al castello. Avrebbe viaggiato senza fretta, arrivando a Wolverstone fresco e riposato, in condizioni adatte a essere ricevuto da suo padre... e vedere poi che cosa sarebbe accaduto. Si era persino immaginato che il genitore gli presentasse delle scuse; aveva aspettato con curiosità quel momento, e invece l'incontro che tanto attendeva non sarebbe mai avvenuto, poiché il duca era morto. Era morto lasciando intatta quella profonda ferita fra loro. 8
Royce così era rimasto solo a cercare di cauterizzarla, e non sapeva se imprecare contro suo padre oppure contro il destino. In ogni caso, affrontare il passato non era la cosa più urgente. Riprendere le redini del ducato dopo un'assenza di sedici anni avrebbe richiesto tutta la sua attenzione e le sue energie. Oh, ci sarebbe riuscito, non aveva dubbi al riguardo, ma in quanto tempo e a quale prezzo proprio non lo sapeva. Non sarebbe dovuta andare in quel modo. Considerata l'età, suo padre era stato un uomo in buona salute; se fosse stato malato, Royce aveva confidato che qualcuno avrebbe violato gli ordini, e lo avrebbe avvertito. Invece era stato tenuto all'oscuro di tutto, e così si ritrovava all'improvviso a dover assumere il comando di truppe sconosciute su un terreno imprevedibile, poiché a lui estraneo da sedici anni. Oh, avrebbe ricoperto il ruolo in maniera più che adeguata, di quello, con la tipica sicurezza dei Varisey, era assolutamente certo. Il suo temperamento, come quello di tutti i Varisey, soprattutto i maschi, era formidabile e Royce aveva imparato a controllarlo meglio di suo padre, trasformandolo in un'arma di conquista e vittoria. Nemmeno chi lo conosceva bene era in grado di distinguere nel suo atteggiamento, se lui non lo voleva, la differenza tra una blanda irritazione e una rabbia cieca, e da quando aveva saputo della morte di suo padre quella furia continuava a montargli nel petto, a gonfiarsi, alla disperata ricerca di un modo per sfogarsi, ben sapendo che l'unico sfogo gli era stato negato per sempre. Non avendo più un nemico contro cui scagliarsi e di cui vendicarsi, si sentiva come un uomo costretto a camminare su una fune sottile, con gli impulsi imbrigliati. Il volto una maschera di pietra, attraversò a gran velocità Harbottle. Ora la strada curvava verso nord, un ponte di pietra 9
attraversava il fiume. Il calesse lo percorse rumorosamente, e Royce trasse un respiro contratto: era entrato nel territorio di Wolverstone. Quell'indefinibile senso di appartenenza, di connessione, lo afferrò ancora una volta. Raddrizzandosi sul sedile, rallentò l'andatura e si guardò intorno, osservando il familiare panorama. Quasi tutto era come lo ricordava. Guidò i cavalli verso un guado e, dopo che le ruote furono uscite dall'acqua del fiume Alwin, il calesse lungo la lieve altura. Ora la strada curvava ancora, ma questa volta verso ovest. Quando raggiunse la cima, mise i cavalli al passo. Davanti a lui si stendevano i tetti di ardesia di Alwinton, a sinistra, tra la strada e il fiume Coquet, ecco la chiesa di pietra grigia con la canonica e tre cottage. Non guardò quasi la chiesa, ma fissò lo sguardo oltre il fiume, sull'imponente costruzione grigia che si ergeva in tutto il suo reale splendore. Wolverstone Castle. Della massiccia fortezza normanna, che nel corso delle generazioni era stata ampliata e ricostruita, restava il corpo centrale, con i suoi bastioni merlati che sovrastavano i tetti in stile Tudor delle quattro ali allungate verso i quattro punti cardinali. La fortezza aveva la facciata verso nord e guardava una stretta valle attraversata da Clennel Street, uno dei passaggi di frontiera che scendeva dalle colline. Nessuno avrebbe potuto varcare il confine senza passare sotto gli sguardi attenti di Wolverstone Castle. Da quella distanza Royce non riusciva a vedere molto, oltre gli edifici principali. Il castello sorgeva su un terreno in dolce pendenza, sopra la gola che il Coquet aveva scavato a ovest del villaggio di Alwinton. Il suo parco si stendeva verso est, ovest e sud, poi la terra continuava a salire e alla fine si ergevano le colline che proteggevano la fortezza a sud e ovest. Le Cheviot la difendevano dai venti del nord, perciò soltanto a 10
est, la direzione dalla quale Royce era arrivato, l'edificio era in qualche modo vulnerabile, anche dagli elementi. Comparvero campi, steccati, coltivazioni, cottage. Royce attraversò il villaggio al trotto e gli abitanti lo riconobbero. Alcuni gli fecero cenni di saluto, ma lui non era pronto a ricevere le condoglianze. Non ancora. Un altro ponte di pietra attraversava la stretta, profonda gola nel quale scorreva il fiume e grazie alla quale il castello non era mai stato attaccato. L'unico modo per raggiungerlo era, infatti, il ponte, facilmente difendibile. Royce lo attraversò e il rumore degli zoccoli dei cavalli venne inghiottito dal ruggito del fiume che correva turbolento e selvaggio più in basso. Proprio come il suo umore. Più si avvicinava a ciò che là lo aspettava, più violente e rabbiose si facevano le sue emozioni. Ecco, più avanti, gli enormi cancelli di ferro, sempre aperti, come d'uso. La testa di lupo ringhiante, raffigurata al centro di ciascuno dei due battenti, richiamava le statue di bronzo sulla cima delle due colonne di pietra alle quali i cancelli s'incardinavano. Li varcò a gran velocità. Accanto a lui sfrecciavano gli alberi, imponenti querce che bordavano i prati su ciascun lato del viale. Li notò appena, perché tutta la sua attenzione era concentrata sull'edificio che aveva davanti. Era massiccio e ancorato al suolo proprio come le querce, lo era da talmente tanto che ormai pareva essere diventato parte del paesaggio. Avvicinandosi al piazzale, rallentò i cavalli e osservò la pietra grigia, le finestre con i vetri a losanghe piombati, incassate nelle mura. Il portone d'ingresso si apriva sotto un imponente arco di pietra. La facciata, alta tre piani, era costituita dal muro di cinta interno, perché quello esterno era stato demolito molto tempo prima, mentre la fortezza in se stessa si trovava nella parte più interna della casa. Lasciando che i cavalli andassero al passo, Royce si abbandonò per qualche istante alle emozioni. La gioia di essere tor11
nato a casa era indescrivibile, tuttavia era imbrigliata in una rete di sentimenti più oscuri. Essere così vicino a suo padre, o meglio, a dove suo padre sarebbe dovuto essere, ma non era più, non faceva che rendere più acuta la sua rabbia. Era una rabbia irrazionale, senza nessun oggetto, e tuttavia era difficile riuscire a liberarsene. Traendo un profondo respiro, inalando l'aria frizzante, serrò la mascella e condusse i cavalli dietro la casa. Mentre le scuderie comparivano davanti a lui, cercò di imprimersi bene nella mente che non avrebbe potuto sfogare la rabbia contro nessuno in quel luogo. Si rassegnò a un'altra notte insonne e con la testa in procinto di scoppiare. Suo padre non c'era più. Non sarebbe dovuta andare in quel modo. Dieci minuti dopo Royce entrò in casa da una porta laterale, quella che aveva sempre usato. Il poco tempo trascorso nelle scuderie non lo aveva calmato. Aveva accolto le gentili parole di condoglianze e benvenuto di Milbourne con un brusco cenno del capo, dopodiché gli aveva affidato i cavalli e l'aveva avvertito che Henry, nipote dello stesso Milbourne nonché valletto di Royce, sarebbe arrivato presto. Avrebbe voluto chiedere all'uomo chi, della servitù di un tempo, fosse ancora a servizio, ma l'atteggiamento tanto comprensivo del capo stalliere lo aveva fatto sentire... vulnerabile, esposto. Una sensazione che non gli era piaciuta per nulla. Così, con il pastrano che gli svolazzava intorno alle caviglie, si era diretto verso la scala ovest, e aveva salito i gradini tre alla volta. Aveva passato da solo le ultime quarantotto ore e, appena arrivato, aveva bisogno di essere di nuovo solo per assorbire e in qualche modo soffocare le emozioni che quel suo ritorno aveva risvegliato. Doveva placare l'inquietudine. Appena mise piede nella galleria del primo piano, svoltò a 12
sinistra, verso la torre ovest... e si scontrò con una donna. Che sussultò. Royce la sentì inciampare e d'istinto la prese per le spalle, per sostenerla. Ancora prima di vedere il suo viso, decise che non voleva lasciarla andare. Incontrò i suoi occhi, grandi, luminosi, marroni ma punteggiati di pagliuzze dorate, e incorniciati da lunghe ciglia. I suoi lunghi capelli, del colore del grano maturo, erano intrecciati e fissati sulla sommità della testa. La candida carnagione era perfetta, il naso dritto, patrizio, il volto ovale, il mento rotondo. Dopo avere assorbito quei lineamenti con una sola occhiata, lo sguardo di Royce si fissò sulle labbra che, rosee, dischiuse per la sorpresa, carnose e incredibilmente seducenti, suscitarono in lui l'assurdo impulso di baciarle. Lei lo aveva colto di sorpresa. Dal canto suo, anche lui l'aveva turbata, era evidente dagli occhi spalancati, dalle labbra dischiuse. Un soffio separava quel corpo morbido da quello di Royce. Che quel corpo fosse morbido lui lo sapeva, lo aveva sentito quando l'aveva urtata, e in quel fugace contatto la sua figura gli si era impressa nei sensi. A un livello più razionale, si domandò come mai una signora così potesse vagare per quei corridoi, a uno più primitivo e istintivo si ritrovò a combattere contro l'impulso di sollevarla, portarla nella sua camera e alleviare l'improvviso, intenso indolenzimento che sentiva all'inguine, placando così, nel solo modo che gli era possibile, la rabbia che lo consumava. A quel lato di sé tanto primitivo sembrava soltanto giusto che quella donna, chiunque fosse, si fosse trovata sulla sua strada, e che fosse proprio perfetta per rendergli quel servigio. La collera, persino la furia potevano trasformarsi in passione. A lui era capitato spesso, ma mai con quella velocità e in13
tensità, né mai prima lui era andato tanto vicino a perdere il controllo. Il violento desiderio che lo colse per quella donna lo sconvolse. Dovette imporsi di lasciarla. «Vi chiedo scusa» disse con voce che sembrava un ruggito e, con un veloce cenno del capo, senza incontrare il suo sguardo, riprese a camminare, allontanandosi. Alle sue spalle udì un frusciar di sottane. «Royce! Dalziel... comunque vi facciate chiamare ora... fermatevi!» Lui proseguì, la testa china. «Maledizione, mi rifiuto di corrervi dietro!» Allora Royce si fermò. Sollevando il capo, scorse mentalmente la lista di persone che avrebbero osato rivolgersi a lui in quei termini e con quel tono. Non era un elenco lungo. Poi si voltò e tornò a guardare la signora, la quale, era evidente, non si rendeva conto del pericolo che stava correndo. Corrergli dietro? Ebbene, avrebbe fatto meglio a scappare nella direzione opposta. Ma... Poi un ricordo lontano si collegò alla realtà presente. Lo risvegliarono quegli occhi del colore dell'autunno. «Minerva?» chiese, la fronte aggrottata. Ora quegli incantevoli occhi non erano più spalancati, ma socchiusi. Le labbra piene compresse in una linea sottile, irritata. «Certo.» Lei esitò, poi sollevò il mento. «Suppongo non lo sappiate, ma adesso sono io a dirigere la casa.» Contrariamente a quanto Minerva si era aspettata, quell'informazione non ammorbidì affatto il volto di pietra che la fissava. Nulla nella piega rigida di quelle labbra o in quegli occhi scuri suggerì che lui si fosse reso conto dell'aiuto che lei avrebbe potuto dargli, anche se pareva aver capito chi era. Minerva Miranda Chesterton era la figlia orfana di un'amica d'infanzia di sua madre, in seguito di sua madre era stata dama di 14
compagnia, confidente e amanuense, in tempi più recenti aveva svolto lo stesso ruolo per suo padre, anche se quella era una cosa di cui Royce forse non era al corrente. Tra loro due, era Minerva a sapere esattamente chi era, che cosa era e che cosa doveva fare. Lui invece, era incerto sulla prima, ancora più incerto sulla seconda e per quel che riguardava la terza non doveva averne nessuna idea. Minerva, tuttavia, era preparata. Quello che non aveva previsto era l'enorme problema che si trovava davanti. Alto sei piedi, più imponente e più possente nella realtà di quanto la sua pur fervida immaginazione se lo fosse raffigurato. L'elegante pastrano copriva spalle più larghe di quel che lei rammentasse, ma del resto l'ultima volta che lo aveva visto Royce aveva ventidue anni, ora ne aveva trentotto. C'era anche in lui una durezza nuova, che gli tendeva i lineamenti austeri e gli irrigidiva il corpo roccioso, quel corpo che, urtandola, l'aveva quasi fatta volare via. Sì, Royce l'aveva fatta volare, e non solo fisicamente. Il suo volto era come lo ricordava, eppure non lo era; da esso era scomparsa ogni maschera civilizzata. Una fronte ampia su sopracciglia scure che si sollevavano alle estremità dandogli una espressione quasi diabolica, il naso affilato, le labbra sottili ma espressive che avrebbero affascinato qualunque donna, i profondi occhi marroni di solito impenetrabili, velati da lunghe ciglia che lei gli aveva sempre invidiato. I suoi capelli erano ancora scuri, e le folte ciocche ondulate incorniciavano il volto dalla forma regolare. I suoi abiti erano alla moda, eleganti e costosi, gli stivali Hessian, sotto la polvere, rilucevano. Tuttavia, nessuna eleganza avrebbe mai potuto attenuare la sua innata virilità, nulla avrebbe potuto oscurare quell'aura di pericolo che qualunque donna riconosceva in lui. Gli anni passati avevano svelato, piuttosto che nasconderlo, il possente, agile maschio predatore che Royce era. Lui continuava a starle lontano, la studiava aggrottando la fronte e non sembrava avere nessuna intenzione di avvicinarsi, 15
e i sensi inebriati di Minerva erano sempre più soggiogati da quella presenza. Aveva creduto di avere superato l'infatuazione che si era presa per lui, ma a quanto pareva non era così. La sua missione diventava perciò più complicata. Se Royce avesse infatti saputo di quella sua ridicola debolezza, forse accettabile in una fanciulletta di tredici anni, ma imbarazzante in una donna di ventinove, l'avrebbe usata senza pietà, impedendole di indurlo a fare qualcosa che non desiderasse. In quel momento, l'unico aspetto positivo della situazione era essere riuscita a nascondergli la propria reazione. Ebbene, nel futuro avrebbe dovuto continuare a tenergliela celata. Non sarebbe stato facile. I Varisey erano una stirpe difficile, ma Minerva viveva in loro compagnia dall'età di sei anni e aveva imparato come trattarli. Tutti... eccetto quel Varisey, un fatto problematico visto che non una, ma due promesse fatte sul letto di morte la inchiodavano sulla strada di Royce. Si schiarì la voce, cercando anche di schiarirsi la mente da quella tempesta dei sensi. «Non vi aspettavo così presto, ma sono lieta che siate qui.» A testa alta, gli occhi fissi in quelli di lui, avanzò. «Ci sono moltissime decisioni da prendere.» Royce distolse lo sguardo, poi tornò a fissarla. «Lo credo, ma al momento vorrei soltanto lavarmi di dosso la polvere del viaggio.» I suoi occhi scuri e insondabili la scrutarono. «Dunque siete voi a dirigere la casa.» «Sì, e...» Le voltò di nuovo le spalle, allontanandosi. «Verrò a cercarvi tra un'ora.» «Molto bene, tuttavia la vostra stanza non è da quella parte.» Royce si fermò. Lentamente si voltò, inchiodandola con lo sguardo. Le si avvicinò, le arrivò a circa un piede di distanza. L'intimidazione fisica era un'arte che i maschi Varisey imparavano dalla culla. A Minerva sarebbe tanto piaciuto dire 16
che su di lei certi artifici non avevano effetto, e invero non sortivano l'effetto che lui aveva inteso. Ne avevano però un altro, più intenso e potente di qualunque cosa lei avesse mai provato. Tuttavia, se dentro si sentiva tremare, all'esterno sostenne il suo sguardo e con calma aspettò. Primo round. Royce la fissò dritto negli occhi. «Il castello non ha ruotato mai in tutti i secoli della sua esistenza» dichiarò. La sua voce era bassa, ma non aveva perso l'intonazione letale. «Il che significa che l'ala ovest si trova ancora intorno a questa galleria.» Minerva continuò a sostenere i suoi occhi e si guardò bene dall'annuire. Non si doveva mai concedere nulla ai Varisey, capaci, se si cedeva loro un pollice, di prendersi tutta la contea. «L'ala ovest è ancora là, la vostra stanza no.» La tensione percorse il corpo di Royce; un muscolo cominciò a contrarsi nella sua mascella. «Dove sono le mie cose?» «Negli appartamenti ducali.» Il che significava nella parte centrale della fortezza, quella che guardava a sud. Minerva fece un passo indietro e con un cenno lo invitò a seguirla, dopodiché con un gesto di grande audacia gli voltò le spalle e s'incamminò. «Ora siete voi il duca, e quelle sono le vostre stanze. E prima che lo chiediate» aggiunse sentendolo camminare quasi con riluttanza alle sue spalle, «tutto ciò che era nella vostra precedente stanza è stato trasferito. Comprese le vostre sfere armillari, che ho portato io stessa.» Royce possedeva una preziosa collezione di sfere armillari e lei gliele aveva menzionate nella speranza di incoraggiarlo ad accettare il necessario trasferimento. Dopo un momento di silenzio lui domandò: «Le mie sorelle?». «Vostro padre ci ha lasciati domenica, poco prima di mezzogiorno. Ho fatto subito avvertire voi, ma – non sapendo quali fossero le vostre intenzioni al riguardo – ho aspettato ventiquattro ore prima di informare le vostre sorelle.» Lo guardò e 17
aggiunse: «Volevamo che arrivaste per primo. Credo le vedrete domani pomeriggio». «Vi ringrazio per avermi dato il tempo di riprendermi prima di affrontarle.» Proprio il motivo per cui lei lo aveva fatto. «Come avrete visto, a quella per voi ho unito anche una lettera per Collier, Collier e Whitticombe.» «Sì, io l'ho inoltrata agli avvocati con una missiva da parte mia, chiedendo loro di incontrarci qui, con il testamento, al più presto.» «Il che significa che arriveranno anche loro domani pomeriggio al massimo.» Svoltarono un angolo e sbucarono in un breve passaggio, proprio mentre un valletto chiudeva l'imponente porta di quercia alla sua estremità. «Jeffers vi ha portato i bagagli. Se vi occorre qualche altra cosa...» «Suonerò. Chi è il maggiordomo adesso?» «Retford il giovane, nipote del vecchio Retford.» «Lo ricordo.» Minerva si fermò accanto alla porta degli appartamenti ducali e disse: «Vi raggiungerò tra un'ora nello studio». Poi fece per voltarsi, ma notò che, sebbene Royce avesse la mano sul pomolo, non lo aveva girato e fissava il pesante pannello di legno. «Se può fare qualche differenza, erano più di dieci anni che vostro padre non usava queste stanze.» Lui aggrottò la fronte. «E in quali si era trasferito?» «Nella stanza dell'ala est, che è rimasta intatta dal giorno della sua morte.» «Quando si spostò là?» Non stava a Minerva nascondere la verità. «Sedici anni fa» rispose, e precisò: «Quando tornò da Londra dopo avervi bandito da queste terre». Royce aggrottò di nuovo la fronte, come se quelle parole non avessero senso, e lei restò perplessa, ma non disse nulla. 18
Dopo un momento le rivolse un brusco cenno di congedo con il capo e aprì la porta. «Vi vedrò nello studio tra un'ora.» Piegando la testa, Minerva si girò e si allontanò. Sentì lo sguardo scuro di Royce percorrerle lentamente tutto il corpo, tuttavia riuscì a trattenere un brivido fino a quando non fu fuori dalla portata del suo sguardo. Poi si diresse spedita verso il suo regno, la sala da giorno della duchessa. Aveva un'ora per costruirsi uno scudo che la proteggesse dall'inaspettato impatto con il decimo Duca di Wolverstone. Royce si fermò appena oltre la soglia dell'appartamento ducale e si guardò intorno. Era passato molto tempo dall'ultima volta che aveva visto quelle stanze, tuttavia ben poco era cambiato. Girando per il salotto lasciò scorrere le dita sulla lucida superficie di sedie e mobili, poi passò alla camera da letto, larga e spaziosa e con una splendida vista sul giardino, il lago e, in lontananza, le colline. Guardava fuori quando sentì bussare alla porta e si voltò. «Avanti.» Jeffers, il valletto, comparve sulla porta con un enorme vaso di porcellana. «L'acqua calda, Vostra Grazia.» A un cenno si recò nello spogliatoio. Quando tornò domandò: «Volete che mi occupi dei vostri bagagli, Vostra Grazia?». «No. Ho portato soltanto poche cose... Jeffers, vero?» «Sì, Vostra Grazia. Ero il valletto personale del defunto duca.» Royce non era sicuro di avere bisogno di un valletto personale, ma annuì. «Il mio cameriere, Trevor, arriverà domani. È di Londra e, sebbene sia già stato qui, i primi tempi avrà bisogno di aiuto per orientarsi.» «Sarò felice di assisterlo, Vostra Grazia.» «Bene.» Royce tornò a voltarsi verso la finestra. «Potete andare.» 19
Rimasto solo, si spogliò e si lavò, cercando di pensare. Doveva stilare un elenco di tutte le cose da fare... ma il suo cervello sembrava ossessionato da faccende che non avevano immediata importanza, per esempio scoprire per quale motivo suo padre aveva lasciato l'appartamento ducale subito dopo la loro lite. Quel gesto sapeva di abdicazione, e tuttavia non corrispondeva all'idea che lui aveva del defunto duca. Dopo avere indossato un abito pulito, però, si sentì meglio e pronto ad affrontare le sfide che lo aspettavano oltre la porta. Prima di tornare nel salottino, si guardò intorno nello spogliatoio. Minerva aveva avuto ragione. Quelle stanze gli si addicevano di più, ora che era il duca, e poi gli piaceva lo spazio che aveva e apprezzava la vista che si godeva dalle finestre. Attraversando la camera, lo sguardo gli cadde sul letto. Di certo avrebbe apprezzato anche quello. Le imponenti quattro colonne di quercia, che sostenevano un alto materasso con coperte di seta e numerosi, soffici cuscini, dominavano la stanza. Da lì si poteva vedere il panorama fuori; sarebbe stata una visuale riposante, eppure mai monotona. Al momento, tuttavia, nulla di riposante, eppur mai monotono, avrebbe potuto soddisfare la brama che gli montava dentro. Mentre il suo sguardo tornava al copriletto di broccato porpora e oro, nella sua mente si affacciò l'immagine della sua castellana sdraiata tra quelle lenzuola. Nuda. Eh, già. La piccola Minerva non era più così piccola, tuttavia... Poiché era stata la protégée di sua madre, e in seguito aveva goduto della protezione di suo padre, in teoria avrebbe dovuto essergli proibita. Già, solo che entrambi i suoi genitori ora erano morti e lei era ancora là, nella sua casa, comprovata zitella di più o meno ventinove anni. Agli occhi di chiunque, nel loro ambiente, Minerva era una 20
preda facile. Peccato che, se lui era stato fulminato da una immediata, violenta attrazione, lei non aveva mostrato di ricambiare l'interesse, restando calma e distaccata. Se avesse reagito in modo diverso, ebbene in quel momento sarebbe stata là, in quella stanza, sdraiata nuda su quel letto, con un sorriso appagato sulle labbra piene. E lui, Royce, si sarebbe sentito molto meglio di quanto si sentisse in quel momento, poiché l'attività sessuale era la sola distrazione capace di soffocare la rabbia sorda che gli rodeva le viscere. Sì, per quel motivo aveva provato un immediato desiderio per Minerva, la prima donna che aveva attraversato il suo sentiero. Ciò che lo sorprendeva, tuttavia, era l'intensità di quel desiderio, l'assoluta chiarezza con cui ogni suo senso si era concentrato su di lei. Senza contare che non gli era mai accaduto che una donna non ricambiasse il suo interesse. Purtroppo però, la freddezza di Minerva non aveva affatto placato la sua bramosia. Ebbene, si disse, avrebbe dovuto fare buon viso a cattivo gioco, continuando a controllare il suo temperamento, a negargli lo sfogo che cercava, e tenendosi il più lontano possibile da quella donna. Minerva era la sua castellana, ma una volta che lui avesse incontrato il suo amministratore, il suo agente e tutti gli altri personaggi che si occupavano dei suoi interessi sarebbe stato in grado di non avere più nessun contatto con lei. Guardò l'orologio sulla mensola del camino. Erano passati quaranta minuti, dunque era tempo di scendere nello studio e sedere alla sedia dietro la scrivania che era stata di suo padre. Passò nel salotto e posò lo sguardo sulla collezione di sfere armillari posate lungo la mensola del camino. Avvicinandosi, sfiorò distrattamente con le dita quelle amiche da tempo dimenticate, soffermandosi su una in particolare. Nella sua mente si affacciò il ricordo di quando suo padre gliel'aveva donata, il giorno del suo diciottesimo compleanno. 21
Dopo un momento si riscosse e passò oltre, osservando le altre. Ogni sfera non era stata soltanto spolverata, ma amorevolmente lucidata. Da Minerva. Dopo un'ultima occhiata, si diresse verso la porta.
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Audace fantasia STEPHANIE LAURENS INGHILTERRA, 1816 - Royce, Duca di Wolverstone, segue una regola precisa: mai passare più di cinque notti con la stessa amante. Dopo aver posato gli occhi su Minerva Chesterton, inizia a pensare che cinque incontri non basteranno a soddisfare il desiderio che quella donna accende in lui. Anzi, lei potrebbe essere la moglie che sta cercando. Da parte sua, Minerva sembra decisa a non lasciarsi coinvolgere troppo. Finché non propone a Royce di soddisfare una sua audace fantasia. Lo benda, lo spoglia... e da quel momento nulla sembra più come prima.
Piccante innocenza CAROLE MORTIMER INGHITERRA, 1817 - Lord Rupert Stirling si è guadagnato la reputazione più discutibile di tutta Londra, mentre la fama di nobile più chiacchierata spetta a Lady Pandora, Duchessa di Wyndwood. Quando si incontrano, Rupert è stupito dall'innocenza della gentildonna, e Pandora rimane affascinata della gentilezza dello scandaloso libertino. Ma qual è la verità dietro i pettegolezzi del ton? Cercando una risposta, i due giovani arrivano a scoprire segreti piccanti e a sperimentare bollenti avventure, a desiderare carezze e a sussurrarsi tenerezze. Finché la situazione non diventa troppo compromettente...
Le fiamme del desiderio MARGARET MALLORY SCOZIA, 1516 - Gli anni trascorsi a combattere non sono bastati a far dimenticare a Duncan MacDonald Moira, l'unica donna che abbia amato. E nonostante la freddezza con cui lei lo accoglie quando si incontrano di nuovo, continua a ripensare all'ultima volta che hanno fatto l'amore... a come le loro labbra si sono unite in un bacio profondo, le loro mani hanno sfiorato la pelle con languide carezze, i loro corpi si sono fusi con ardente passione. Allora, tormentato da quelle immagini, decide che non può ripartire senza provare a risvegliare in lei la fiamma del desiderio... e a riconquistare il suo cuore.
Stuzzicante tentazione CAROLE MORTIMER INGHILTERRA, 1817 - Quando incontra il famigerato Lucifero, la Duchessa di Woollerton dimostra di non essere impressionata dalla reputazione che lo accompagna: non lesina battute mordaci e adotta un atteggiamento disinibito. Senza sapere che per lui l'audacia è più stuzzicante dell'innocenza, e che le provocazioni non fanno che stimolare le sue fantasie. E infatti, nonostante le buone intenzioni, Genevieve finisce per arrendersi al fascino del seducente libertino. Pone a se stessa un'unica condizione: aprirà i sensi alla passione, ma chiuderà il cuore alle lusinghe dell'amore. Ci riuscirà? Dal 12 febbraio
Notti d'Irlanda MICHELLE WILLINGHAM
IRLANDA, 1192 - In una magica Irlanda innevata, si intrecciano le vicende del clan MacEgan. Il passato tormenta Brianna, Liam e Rhiannon, ma l'amore è in agguato!
La spia francese JULIA JUSTISS
AUSTRIA - INGHILTERRA, 1816 - Quando Will Ransleigh rintraccia la famigerata Elodie Lefevre, cade vittima del suo fascino. E inizia a chiedersi se lei sia davvero una spia...
Le tentazioni di una lady BRONWYN SCOTT
INGHILTERRA, 1817 - Phaedra Montague è la figlia minore del Duca di Rothermere. Bram è il nuovo, affascinante stalliere. E per una vera lady come lei è una sfida irresistibile!
Il gioco degli inganni MARGARET MCPHEE
LONDRA, 1810 - Da un abisso di segreti e un sottile gioco di inganni può nascere un'ardente passione? Sì, se si tratta dell'attrice più acclamata di Londra e di un enigmatico lord.
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