SS60 CAVALIERI D'ONORE

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Terri Brisbin

Cavalieri d’onore


Titoli originali delle edizioni in lingua inglese: The Dumont Bride The Norman's Bride The Countess Bride Harlequin Historical © 2002 Theresa S. Brisbin © 2004 Theresa S. Brisbin © 2004 Theresa S. Brisbin Traduzione: Pier Paolo Rinaldi e Federica Isola Pellegrini Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved. © 2003 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici ottobre 2003 maggio 2005 giugno 2005 Questa edizione Harmony Special Saga giugno 2010 HARMONY SPECIAL SAGA ISSN 1825 - 5248 Periodico bimestrale n. 60 del 19/6/2010 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 332 del 2/5/2005 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano


PARTE PRIMA

Per volere della regina


1 Maniero di Greystone Lincolnshire, Inghilterra, maggio 1194 Eleonora, Regina Madre d'Inghilterra per disgrazia di Dio, osservò la sua protetta irrigidirsi per l'orgoglio e la collera. Lei stessa avrebbe voluto gridare la sua rabbia e piangere calde lacrime di dolore per il modo in cui sospettava che quella povera piccola fosse stata offesa, ma non poteva permetterselo. Solo l'azione avrebbe salvato il regno e, forse, anche la vita della ragazza. Dato che erano state le azioni di suo figlio a causare il danno, e che quello stesso suo figlio non avrebbe rinunciato a inseguire l'oggetto dei propri desideri finché la sua lussuria non fosse stata soddisfatta, lei era l'unica che potesse farsi avanti e ostacolare i suoi progetti. «Ebbene, Emalie» disse, «ve lo domanderò per l'ultima volta. Ditemi il nome dell'uomo che vi ha disonorato.» «Non so di cosa stiate parlando, Vostra Grazia.» La ragazza non voleva incontrare il suo sguardo. «Non sono una sciocca e non intendo essere trattata come tale da voi!» ribatté Eleonora, cercando di incrinare la calma di Emalie e di arrivare alla verità. A parte un lieve tremore delle mani giunte, tuttavia, non notò alcun cambiamento nell'espressione della ragazza. Quando le si avvicinò per porle un'altra domanda, Eleonora udì un improvviso clamore fuori della sua stanza. Un attimo dopo la porta si spalancò nonostante le sue guardie private facessero del loro meglio per impedire l'ingresso di suo figlio. A un segnale della regina cessarono i loro sforzi e presero posto ai lati della porta. «Mia signora...» la salutò Giovanni con un arrogante cenno del 7


capo, raggiungendola. «Avete un ottimo aspetto, oggi» aggiunse, posandole un freddo bacio sulla guancia. Eleonora si sforzò di non lasciar trapelare il brivido di disgusto che le era corso lungo la schiena nel sentire quella voce pericolosa e viscida. Era in momenti come quello che si chiedeva come avesse potuto mettere al mondo una simile vipera. «Avevo dato ordine di non essere disturbata. Questo colloquio doveva svolgersi in privato.» Si erse in tutta la sua statura e decise di dire la verità. «Quegli ordini dovevano tenervi fuori di qui finché non vi avrei chiesto di entrare.» «Ah» si limitò a rispondere lui, afferrando poi la mano di Emalie. «La sempre bella Lady Emalie Montgomerie...» aggiunse, chinandosi a posarle un bacio sulla mano e indugiando un istante ad accarezzarla con la lingua. La fanciulla, che non era pratica quanto Eleonora delle turpi abitudini di Giovanni, si ritrasse di scatto e impallidì ancora di più quando lui le regalò il suo untuoso sorriso tutto denti, un sorriso che non nascondeva le sue intenzioni. «Con una donna così attraente che mi attendeva qui, neppure un'intera compagnia di guardie mi avrebbe tenuto fuori da questa stanza, madre.» Eleonora si chiese se la ragazza si rendesse conto che si stava avvicinando lentamente a lei, come in cerca di protezione. Giovanni di certo l'aveva notato, perché si affrettò a bloccarle il passo. «Giovanni, basta! Smettete di prendervi gioco della ragazza e ditemi per quale motivo avete interrotto il nostro colloquio.» Eleonora andò a sedersi su una delle due sedie dall'alto schienale presso la finestra, indicò l'altra alla ragazza e con comprensione la guardò afflosciarsi su di essa. Emalie non era certo abile nella difficile arte della dissimulazione. «Sono qui per conto del mio amico William de Severin» cominciò Giovanni, avvicinandosi anche lui alla finestra. Prese a guardar fuori, affettando la sua abituale espressione distaccata. Da quella situazione non poteva venire nulla di buono. Nulla. «E cos'ha a che fare quell'uomo con Lady Emalie?» «Rimpiange di essersi comportato in modo troppo sollecito con voi, cara Emalie» rispose lui, guardando rapidamente la madre, prima di voltarsi verso la ragazza. «E desidera farsi avanti per salvarvi dalla rovina.» 8


«Vostra Grazia, non ho bisogno di essere salvata da alcun disonore» rispose Emalie a bassa voce. «Stupidaggini. Tutti, al castello e al villaggio, sanno di cosa sto parlando.» Eleonora non poteva lasciar correre. Doveva riprendere il controllo della situazione prima che tutto fosse perduto. «Anch'io non vedo ragioni per cui Sir William dovrebbe salvare Emalie.» «Madre, come vi ho detto nel messaggio che vi ha convocato qui, William ha confessato la conoscenza carnale della contessa e ora è disposto a sposarla per evitarle il disonore.» «E io ripeto di non vedere ragioni perché si proceda con questo matrimonio.» «La sua servitù è a conoscenza di...» «I domestici della contessa hanno giurato sulla sua innocenza.» «Allora mentono, perché io...» «Voi, Giovanni? Voi avete qualcosa a che fare con questo tentativo di disonorare la Contessa di Harbridge? Una mossa molto sfrontata, persino per voi. E ardita, se consideriamo l'affetto e la stima che vostro fratello nutriva per il di lei padre prima della sua prematura dipartita.» Eleonora guardò il figlio negli occhi e vi lesse la verità: Emalie era stata il suo obiettivo, William il burattino, e il disonore della ragazza il mezzo per ridurla in suo potere. Si voltò a guardarla. Il suo respiro affannato e il suo pallore le dicevano che Emalie era prossima a uno svenimento. Al pensiero delle intenzioni di Giovanni avvertì una penosa stretta allo stomaco. «Ho parlato con ogni persona presente sulla lista che mi avete mandato, ma nessuno ha avuto parole che non fossero di elogio per la contessa. Non la sua servitù, e neppure le prostitute del villaggio. Hanno tutti negato le vostre accuse, non lasciandomi altra scelta che negare a William il permesso di chiedere la mano di Emalie.» «Signora, pensateci bene» replicò Giovanni a bassa voce, e quelle parole ebbero un suono più minaccioso che se avesse perso il controllo e si fosse messo a gridare di rabbia. «Riccardo è di nuovo re e non permetterà un atto di prepotenza tanto sfacciato. Ora credo proprio che voi e i vostri amici dovrete dirigere altrove i vostri sguardi lascivi, perché questa faccenda è conclusa.» 9


Con un gesto nervoso Eleonora chiamò le sue guardie. «Scortate la mia ospite nella sua stanza e non permettete a nessuno di ostacolarvi.» Con un cenno del capo fece segno alla ragazza di seguirle. Emalie fece un'incerta riverenza e uscì dalla stanza come la Contessa di Harbridge, non più come la giovane spaventata di qualche momento prima. Giovanni la seguì con uno sguardo lascivo. Per quel che lo riguardava, la faccenda non era affatto conclusa. «La vostra interferenza mi irrita, signora» disse, dando voce alle paure di Eleonora. «Mi irrita molto.» «Sono qui perché avete richiesto la mia presenza» ribatté lei. «E resterò finché non sarò certa della sicurezza di Emalie.» «O finché qualcosa d'altro non richiederà la vostra attenzione.» Giovanni le si avvicinò e si chinò un'altra volta a baciarle la guancia. «Rivolgete le vostre preoccupazioni a Riccardo, madre mia, e lasciate l'Inghilterra a me» le sussurrò all'orecchio. Eleonora rimase immobile finché quella serpe del figlio non lasciò la stanza e le guardie non gli ebbero richiuso la porta alle spalle. Poi, per la prima volta, Eleonora, Regina Madre d'Inghilterra, lasciò per un momento che ognuno dei suoi settantadue anni le pesasse sulle spalle. E che quel peso le togliesse il fiato, mentre cercava una soluzione al dilemma.

Ducato d'Anjou, Francia, giugno 1194 Christian Dumont digrignò i denti cercando di escludere dalla mente il rumore dei topi che scorrazzavano sul pavimento della sua cella. In quei mesi di prigionia aveva imparato a ignorare lo squittio dei ratti, le grida degli uomini e i brontolii del suo stomaco... ma non gli accessi di tosse di suo fratello Geoffrey, sempre più deboli. Raggiunse il ragazzo e lo aiutò a mettersi seduto, mentre i colpi di tosse gli squassavano il corpo, un corpo che si faceva sempre più debole col passare dei giorni. Qualche manata sulla schiena parve aiutarlo a superare la crisi. Christian vide Geoff tremare e riprendere a respirare senza sforzo. «È passata, Chris. Ora sto bene» lo sentì mormorare. 10


Christian andò a prendere il piccolo secchio in cui conservavano la poca acqua rimasta e riempì un boccale. Non sarebbe durata a lungo. La porse al fratello, riconoscendo l'umiliazione nelle sue spalle curve. «Ce n'è ancora?» chiese Geoff, senza guardarlo negli occhi. «Sì. Abbiamo acqua da bere ancora per un giorno o due» mentì Christian, sapendo che il ragazzo non aveva la forza di andare da solo fino al secchio. Turbare Geoff sarebbe servito solo a indebolirlo ancora di più. Così lo aiutò a stendersi e gli rincalzò le coperte. Il poco denaro che avevano era finito quasi una settimana prima e sapeva che senza non avrebbero più avuto alcun aiuto dalle guardie. Nel periodo che avevano passato in quel maledetto posto, Christian aveva venduto tutto ciò che possedevano, tranne l'anello di suo padre, quello col sigillo, per avere cibo e acqua per suo fratello. Si voltò dall'altra parte e tastò l'anello, che portava sotto le vesti appeso a uno spago. Era tutto ciò che restava del loro padre, della loro ricchezza. Christian rise al pensiero di quanto fosse caduta in basso la ricca e potente famiglia Dumont. E tutto per gli sconsiderati sforzi con cui suo padre aveva sostenuto l'uomo sbagliato. Al momento dell'incoronazione, Riccardo Cuor di Leone aveva ignorato i nobili che avevano appoggiato il padre Enrico nella sua lotta contro la moglie Eleonora e i suoi figli. Ma in seguito, dopo che era stato per due anni prigioniero di Enrico VI, imperatore del Sacro Romano Impero, e che era stato liberato dietro pagamento di un esoso riscatto, Riccardo era venuto a conoscenza delle macchinazioni del fratello e aveva cambiato atteggiamento. Gli anni di stretto controllo dei possedimenti inglesi dei Plantageneti da parte di Giovanni Senza Terra, così come la perdita di gran parte di quelli sul continente, avevano cambiato il volto del suo regno e il re si era infine deciso a fare pulizia. Il casato dei Dumont, che aveva appoggiato Giovanni, era stato il suo primo bersaglio. Christian si passò una mano sul viso e sospirò, badando tuttavia che il fratello non notasse quei segni di sconforto. Non avevano più idee, i soldi erano finiti e presto, se le cose non fossero cambiate, non avrebbero più avuto tempo. Il mattino seguente lo svegliò il grido di una sentinella. Chinandosi sul fratello, rimase a guardare il lento alzarsi e abbassarsi del petto 11


di Geoff, ancora addormentato sulla panca. Poi Christian si alzò e si stiracchiò, cercando di sciogliere i muscoli irrigiditi dalla lunga inattività. Sentendo gridare il suo nome, si voltò a guardare il soldato che avanzava nel lungo corridoio su cui si affacciavano le celle. «Sì, voi, Dumont. Dovete venire con noi.» Altri due soldati lo seguivano, mentre un quarto era fermo accanto alla porta. Quattro contro uno... Quel pensiero lo fece sorridere. Ai bei tempi tanti ne sarebbero serviti per metterlo fuori combattimento, in effetti, ma non era più l'uomo di una volta. Scarso cibo, poco riposo e la mancanza di esercizio fisico lo avevano terribilmente indebolito. Si voltò a guardare Geoff, chiedendosi se fossero stati convocati entrambi. «No, non il ragazzino» rispose la guardia, prima che potesse chiederglielo. «Per ora è stato convocato solo il figlio maggiore del traditore.» Nel sentirsi ricordare la sua posizione, Christian fece una smorfia. Un traditore. Suo padre aveva disonorato tutti quelli che portavano il nome dei Dumont, prima e dopo di lui, con la sua condotta disonorevole. Un soldato lo afferrò per il braccio, ma lui lo scrollò via. Altre due mani, più forti, lo afferrarono e in un batter d'occhio Christian fu fuori della cella. Il gruppo si mosse in silenzio attraverso gli umidi sotterranei del castello, per poi imboccare la scala che portava al piano superiore. Altri prigionieri gli gridarono parole di incoraggiamento e insulti, quando passò loro davanti. Christian si sforzò di tenere il passo. Non voleva essere trascinato verso il suo destino. Avrebbe affrontato tutto ciò che lo attendeva come un uomo, come il guerriero che aveva imparato a essere. La viva luce del sole che entrava dalle alte finestre gli ferì gli occhi: l'oscurità della cella non lo aveva preparato allo splendore del giorno. Fece per coprirsi gli occhi, ma le guardie non gli lasciarono le braccia. Avanzarono nella stanza cavernosa, mentre il suono dei passi rimbombava intorno a loro. Si fermarono davanti alla pedana in fondo alla stanza e le guardie lo gettarono a terra. Incapace di ritrovare l'equilibrio, Christian rimase lungo disteso per un momento, confuso e senza fiato. Echeggiò qualche risolino soffocato. Provò a guardarsi intorno, anche se la sua 12


vista era ancora confusa, cercando di capire chi fosse stato. Sfregandosi gli occhi, Christian si alzò, incerto, sulle gambe. Una mano pesante gli si posò sulla spalla, costringendolo a inginocchiarsi. Christian guardò verso la pedana e ne scoprì la ragione: era in presenza del re. Abbassando gli occhi, deglutì a fatica e si preparò ad affrontare il giudizio. Come erede al titolo che era stato di suo padre poteva accettare la morte, ma non avrebbe perso il controllo. La sua unica preoccupazione era riuscire a evitare a Geoff un destino simile. «Ah, questo dovrebbe essere il Conte di Langier, anche se negli ultimi tempi non sembra più lui...» Il re cominciò a ridere alla propria battuta, subito imitato dagli altri. Christian osservò gli uomini che circondavano Riccardo, ma non riconobbe nessuno. Nessuno che potesse spendere una parola in favore della sua causa. «Alzatevi, Dumont. Voglio vedervi in faccia mentre vi parlo.» Christian tornò faticosamente ad alzarsi e si rassettò la manica della misera camicia. In presenza del sovrano, vestito in grande pompa, per la prima volta in vita sua Christian si vergognò del proprio aspetto. I bei vestiti non erano mai stati importanti, per lui, ma i mesi di prigionia gli avevano fatto riscoprire aspetti della vita a cui in passato non aveva dato peso. Sognava persino cose semplici come abiti puliti, buon cibo, acqua pura e aria fresca. Guardò il re e si rese conto che Riccardo e gli altri stavano pranzando al tavolo d'onore. Il profumo della carne ben cotta, del pane caldo e del formaggio gli solleticò le narici e gli fece venire l'acquolina in bocca. Inconsapevolmente si passò la lingua sulle labbra riarse e aspirò a fondo. «Venite, Dumont. Sedetevi a tavola con noi. Sono certo che il cibo servito al piano di sotto non è all'altezza del Conte di Langier.» Christian sapeva che il re si stava prendendo gioco di lui, ma non riuscì a resistere al pensiero di un pasto caldo. Avanzò fino al posto che il re gli indicava e si lasciò cadere sulla panca. Era a un capo della tavolata, ma quelli più vicino a lui arricciarono il naso e si scostarono. Solo l'invito esplicito del re impedì loro di alzarsi e andarsene. Un servo gli riempì una coppa di vino, gli posò del cibo davanti e si affrettò ad allontanarsi, un altro effetto delle condizioni in cui si 13


trovava, ma a Christian non importava. Non aveva davanti cibo come quello ormai da mesi e non si sarebbe lasciato condizionare dal loro sdegno. Sorpreso dall'apparizione di un ragazzo al suo fianco, rimase a fissarlo sconcertato finché non lo vide porgergli un lavamani. Le buone maniere non erano richieste nella prigione, e Christian le aveva dimenticate in fretta. Dopo un istante d'esitazione sciacquò le mani nel bacile, le asciugò con la salvietta che il ragazzino gli tendeva e tornò a rivolgere tutta la sua attenzione al cibo che aveva davanti. Prima di assaggiarlo cercò di pensare a un modo per portarne un po' a Geoff. Un boccone di pane e formaggio gli avrebbe fatto del bene, nella situazione in cui si trovava. In preda alla disperazione, prese con mani tremanti un pezzo di pane e se lo portò alla bocca. A occhi chiusi ne assaporò la crosta croccante e la morbida mollica. Era passato troppo, davvero troppo tempo da quando aveva messo i denti su un pane di quella qualità. «Ho visto una simile reverenza per un pezzo di pane solo quando è stato consacrato per la comunione. Voi che ne pensate, Ely?» Dalla sua posizione al centro della tavolata, il re continuava a prendersi gioco di lui. Il vescovo di Ely, il bellicoso cancelliere di Riccardo, mormorò parole che Christian non avrebbe mai voluto sentire. Gli altri risero. Rifiutandosi di guardare quelle espressioni di scherno, Christian inghiottì il pane e prese la coppa. Il pane gli si era strozzato in gola e solo una sorsata di vino lo avrebbe aiutato a passare. Il dolore che provava non era dovuto solo alla fame, ma anche all'idea che solo qualche mese prima avrebbe partecipato al divertimento generale. E non avrebbe provato la benché minima vergogna nel prendersi gioco di qualcuno che avesse perduto il favore del sovrano. Aveva imparato molte lezioni, in quei mesi di prigionia, e nessuna di queste era stata indolore. Prese un altro pezzo di pane e lo masticò lentamente, per godersi il sapore e per impedire che lo stomaco gli si chiudesse. Combatté contro se stesso per non ingozzarsi di cibo come invece avrebbe voluto fare. Sapendo che se si fosse comportato in modo sconveniente avrebbe dato a chi lo circondava motivo di deriderlo, fece appello alla sua forza di volontà e si costrinse a prendere solo un pezzo di cibo per volta. Avrebbe mostrato loro la dignità dei Dumont di Langier. Pochi minuti più tardi Riccardo segnò la fine del pranzo e con un 14


cenno congedò da tavola la compagnia. In preda al panico perché non aveva avuto modo di prendere qualcosa per Geoff, Christian cercò freneticamente una tasca in cui nascondere un po' di pane e formaggio. «Guillaume? Il conte è stato convocato in ritardo, assicuratevi che il pranzo gli sia consegnato in cella.» Il servitore annuì e prese a sparecchiare. «E... Guillaume?» aggiunse il sovrano, «assicuratevi anche che gli arrivi subito, così com'è.» Riccardo era beffardo anche nella generosità. Christian si sarebbe inginocchiato davanti a lui e gli avrebbe baciato la mano, se questo fosse servito a far avere quel cibo a Geoff. Il domestico coprì il vassoio con un panno e lo portò fuori della stanza. Un attimo più tardi Christian rimase solo con il re. Avrebbe scoperto il motivo per cui era stato convocato, e sapeva che non avrebbe avuto niente a che vedere con la generosità. Riccardo si alzò e gli si avvicinò. Christian fece per alzarsi, ma il sovrano gli fece cenno di restare dov'era. Con un crescente senso di paura rimase seduto in silenzio e bevve un altro sorso di vino. Il re gli riempì ancora la coppa e prese posto accanto a lui. «Vostro padre è morto, le terre e le vostre ricchezze sono sotto il mio controllo» esordì. «Restate solo voi e vostro fratello. Se non facessi nulla, nel giro di poco tempo la famiglia Dumont si estinguerebbe per sempre.» Christian non poté fare altro che annuire. Sapeva quanto fosse precaria la sua situazione. Riccardo non faceva altro che ricordargli chi deteneva il potere. «Tuttavia ho scoperto di aver bisogno di un servigio per il quale siete qualificato.» «Un servigio, sire?» A quelle parole Christian cercò di soffocare anche la più piccola speranza. «Sì, mia madre mi ha chiesto di mandarvi da lei in Inghilterra, in modo che possiate dimostrare di essere libero dalla macchia dei peccati di vostro padre.» «In Inghilterra? Non c'è modo per me di provare la mia fedeltà alla corona qui o allo Chateau d'Azure?» Christian non vedeva l'ora di tornare nelle terre della sua famiglia, nel luogo in cui era nato. «Non preoccupatevi, in questi mesi qualcuno ha badato ai vostri possedimenti, cosa che non si può dire di altri.» Il riferimento ai sac15


cheggi compiuti da Giovanni durante la prigionia di Riccardo non gli sfuggì. «Che cosa dovrei fare in Inghilterra?» Christian voleva sapere, scoprire perché Riccardo intendeva salvargli la vita, capire che cosa lo aspettava. «Mia madre ha chiesto solo di mandarvi da lei e, con il suo stile inimitabile, ha evitato di darmi spiegazioni.» Riccardo ridacchiò. «Ho imparato da tempo che mia madre non dà spiegazioni, se così ha deciso. Mio padre se ne lamentava spesso.» Si alzò, attraversò la stanza e si fermò davanti a una porta. Fece cenno a qualcuno di entrare nella sala e un monaco lo seguì al tavolo portando con sé un fascio di pergamene. Christian lo guardò sistemare i documenti in piccole pile e quindi giungere le mani, in attesa. «Qui ci sono i documenti che riguardano le vostre proprietà nel Poitou e un elenco dei vostri beni. E questo» aggiunse Riccardo prendendo un rotolo, «è il decreto con cui istituisco nuovamente il titolo di Conte di Langier per voi e i vostri eredi. È tutto qui, pronto per essere firmato da me, se accetterete il compito che mia madre vi affiderà una volta arrivato in Inghilterra.» Christian non riusciva a parlare. Tutto pareva a portata di mano. Il nome del suo casato macchiato dall'onta del disonore sarebbe stato riabilitato, le ricchezze della sua famiglia gli sarebbero state restituite, e lui moriva dalla voglia di accettare. Ma qualcosa lo tratteneva. «E quale sarebbe il mio compito?» Riccardo picchiò il pugno sul tavolo, mandando all'aria le pergamene. «Vi offro tutto ciò che avete di più caro e voi avete l'ardire di discutere i miei ordini? Potrei gettarvi in quella prigione e nessuno più udirebbe il nome dei Dumont. È questo che volete? Morire bollato come il figlio di un traditore? Anzi, come i figli di un traditore?» Christian inghiottì a fatica, cercando di scacciare il terrore che si era impossessato di lui a quel pensiero. Così si alzò e chinò il capo. «No, sire.» «Allora accettate, e io metterò in moto tutto questo. Le tenute torneranno sotto il vostro controllo, il vostro nome sarà redento da ogni macchia di tradimento e vostro fratello verrà liberato dalla prigionia.» Christian esitò solo per un momento, prima di dare al re la rispo16


sta che si aspettava. Aveva sognato che accadesse. Aveva pregato senza sosta per trovare una via d'uscita dalla situazione disperata in cui Geoff e lui erano finiti, e questo era proprio ciò che il re gli aveva offerto. Non poteva permettersi di perdere quell'opportunità di riscattare il proprio nome. «Sono vostro, sire.» Christian si inginocchiò davanti a Riccardo e gli tese le mani in segno di omaggio. Il re le prese tra le sue, poi gli posò una mano sul capo. «Siete di nuovo il Conte di Langier e mio vassallo. I beni e i possedimenti della famiglia Dumont vi sono ora restituiti, ma saranno tenuti in custodia dal cancelliere della corona finché non avrete portato a termine il vostro compito.» Christian sollevò il capo e fissò il re. Tutto era di nuovo suo, eppure non lo era? Ma Riccardo non aveva ancora finito. «Avete una settimana, prima di partire per l'Inghilterra. Usatela bene. Potete portare vostro fratello allo Chateau d'Azure e tornare qui, per essere a mia disposizione il prossimo martedì.» Christian si rialzò e arretrò di un passo. Era salvo! Suo fratello sarebbe sopravvissuto! Il suo onore sarebbe stato di nuovo ristabilito. E tutto in cambio di un qualche incarico da compiere per la Regina Eleonora. Un incarico per la regina... Uno strano presentimento si impossessò di nuovo di lui. E se il prezzo da pagare fosse stato troppo alto? Se non fosse stato in grado di portare a termine quel compito misterioso? No, non poteva fallire... Non poteva permetterselo. I Dumont, quelli del passato come quelli del futuro, contavano su di lui. Riccardo appose la sua firma sui documenti. Christian aggiunse la sua, seguendo le indicazioni del monaco. Dopo aver dato altre istruzioni all'uomo e aver salutato Christian con un cenno del capo, il re si allontanò. «Langier» aggiunse, fermandosi sulla soglia e voltandosi. «Fatemi rapporto, quando scoprirete come mio fratello è coinvolto in questa faccenda. Sento il suo puzzo persino da questo lato della Manica, nonostante tutti i suoi proclami d'innocenza.» Christian annuì. «Direttamente a me e a nessun altro.» E il sovrano uscì senza attendere risposta, lasciandolo attonito e confuso. 17


Intrighi a Penny House di Miranda Jarrett Alla morte del padre, le sorelle Penny scoprono di aver ereditato una casa da gioco a Londra. Così decidono di trasferirsi nella capitale e di guadagnarsi da vivere mandando avanti il locale. In breve tempo Penny House diventa uno dei più raffinati ritrovi dell’aristocrazia. Cassia, la più giovane, ha un gusto impeccabile in fatto di arredamento, Bethany, schiva e riservata, preferisce non comparire in pubblico e occuparsi della cucina, mentre l’integerrima Amariah si occupa della gestione economica di Penny House. Saranno proprio queste loro doti ad attirare l’attenzione del ricchissimo Richard Blackley, del Maggiore William Callaway e del chiacchierato Duca di Guilford, che per conquistare il cuore delle tre affascinanti sorelle si lasceranno coinvolgere nella più azzardata delle scommesse.

Cavalieri d’onore di Terri Brisbin Coinvolti nell’aspra lotta per il potere tra Re Riccardo e suo fratello Giovanni, tre giovani cavalieri sono chiamati ad affrontare un destino dai risvolti imprevedibili. Christian Dumont, condannato a morte per una colpa che non ha commesso, accetta di sposare una sconosciuta per aver salva la vita; Royce, che per espiare le terribili colpe di cui si è macchiato ha rinunciato al mondo, abbandona il suo sereno isolamento per aiutare una dama in difficoltà; Geoffrey Dumont, destinato a diventare Conte di Langier, rinuncia al titolo e sceglie la donna che ama. Decisioni difficili, che coinvolgono il loro onore di cavalieri e i loro sentimenti più puri e profondi, e che li porteranno a scoprire terribili verità, ma anche a conoscere il vero amore.


L’eredità dei Wentworth di Meg Alexander L’incontro tra Perry Wentworth ed Elizabeth Grantham è a dir poco burrascoso, e l’istintiva antipatia che la giovane manifesta nei confronti del bel tenente è calorosamente ricambiata. Eppure, durante il viaggio di ritorno in Inghilterra che sono costretti ad affrontare insieme, i due giovani scoprono di avere parecchie cose in comune, non ultima una spiccata propensione all’avventura. Le loro figlie, l’esuberante Priscilla e l’indipendente Amy, ereditano dai genitori il medesimo carattere, e sarà proprio la loro brillante, indomita personalità a catturare l’interesse di due affascinanti gentiluomini e a convincerli ad affrontare la più spericolata di tutte le avventure: l’amore.

Fiori di Scozia di Debra Lee Brown Lo stesso fosco destino sembra incombere su Alena, Rachel e Mairi: per la salvezza del proprio clan sono state promesse a uomini che non amano. E per sottrarsi alla sorte che le attende sono disposte a tutto. Alena fugge inseguita dagli uomini del suo molesto pretendente; Rachel, cresciuta in Inghilterra con i parenti della madre, sceglie di tornare in Scozia e chiedere protezione al nonno paterno; Mairi accetta di stringere un accordo commerciale con il potente clan Mackintosh. Scelte difficili e impulsive, che tuttavia vengono premiate, perché sulla loro strada le tre coraggiose e bellissime fanciulle trovano tre fratelli, audaci e generosi, e l’amore che credevano fosse loro negato.

Dal 6 ottobre


Questo volume è stato stampato nel maggio 2010 presso la Mondadori Printing S.p.A. stabilimento Nuova Stampa Mondadori - Cles (Tn)


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