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Regina fermò la macchina della polizia fuori dalla vecchia cascina cadente e notificò via radio la propria posizione. La casa era avvolta nell’oscurità, nonostante qualcuno avesse segnalato delle luci in quel posto abbandonato. Perlustrò l’area con lo sguardo, ma non individuò alcun movimento. Aprì la portiera e uscì nella notte. Una sensazione sgradevole le mordeva lo stomaco, e senza mettere in discussione il proprio istinto, chiese rinforzi. Rimase accanto alla portiera aperta, una mano appoggiata al tettuccio della macchina, l’altra sul calcio della pistola. Jeremy era a cinque minuti di strada e la stava raggiungendo. Un urlo acuto spezzò l’immobilità della 1
notte. Regina afferrò l’arma e si mise a correre. Si fermò alla porta d’ingresso, la pistola ben salda, e premette l’orecchio contro il legno, sforzandosi di sentire per quanto poteva. Solo il frinire dei grilli e la cacofonia di tre rane riecheggiavano nella notte. Digrignò i denti e facendo un passo indietro, strinse la pistola in una mano e, con l’altra, di scatto aprì la porta. Esplorò la stanza con la pistola spianata, ma non vide alcun segno della donna che aveva urlato. Col cuore che le martellava nel petto, scivolò lungo la parete, le orecchie tese e gli occhi aperti per carpire rumori o movimenti. Per poco non inciampò nel corpo. Tenendo lo sguardo sollevato, lentamente, si chinò, e con la sinistra cercò di sentire il polso. Il corpo era ancora caldo, ma non c’era battito. Quando tolse la mano, era bagnata di sangue. Porca puttana. Aveva la mano sulla radio, per chiamare aiuto, quando percepì un’altra presenza. Prima che potesse reagire, la testa sembrò scop2
piarle dal dolore. La sua arma volò in una direzione, e lei in un’altra. Atterrò su un fianco, a qualche metro, cercando di immettere aria nei polmoni indolenziti, come un pesce fuor d’acqua. Cos’era stato a colpirla? Si tirò in ginocchio e cercò la pistola. Un grosso stivale la colpì alla mascella, e lei volò letteralmente in aria, atterrando sull’altro fianco. Lottò per non perdere coscienza, si scrollò di dosso il torpore e strisciò via. Sentì un debole grugnito e seppe di aver sbattuto contro la rotula del suo aggressore. Avvertì un forte dolore, quando una grossa mano l’afferrò per i capelli e la strattonò. Delle dita si chiusero intorno al suo polso sinistro e lo piegarono senza pietà. Lei gridò, e ancora una volta volò attraverso la stanza. Colpì il muro e scivolò giù come un pallone sgonfio. Dove diavolo sei, Jeremy? Un altro colpo alla testa fece appannare il mondo intorno a lei. Aprì gli occhi e vide 3
il volto sfuocato di un uomo avvicinarsi. La mano di quello si chiuse intorno al suo collo, stringendo piano, per godersi il momento della sua morte. «Ti stavo aspettando, Reggie, amore. È giunto il momento che lui paghi.» La voce era una specie di sibilo contro il suo orecchio. Un sibilo sinistro. Pieno di oscure promesse. «Farla pagare a chi?» gracchiò. L’uomo rise piano, e la visione di Reggie si riempì di macchie. In lontananza, sentì un’auto. Le dita si strinsero intorno al suo collo. Era troppo tardi. Jeremy non era arrivato in tempo. Dannazione, non voleva morire. Aggrappandosi all’ultima goccia di adrenalina, colpì il suo aggressore infilandogli due dita negli occhi e sollevando di colpo un ginocchio contro il suo inguine. Lui grugnì, e allentò la presa, proprio quando Reggie sentì Jeremy gridare. All’improvviso, si ritrovò libera, ma lottava per rimanere cosciente. Cadde sul pa4
vimento. E un momento più tardi, Jeremy era sopra di lei, che gridava nella sua radio e, contemporaneamente, le esaminava il corpo con le mani. «Regina, dannazione, non osare morirmi qui.» «Prendilo» gracchiò lei. «Sul retro. È scappato sul retro.» «Io non ti lascio» le disse cupo. «Non farlo scappare, quel bastardo. Io sto bene. Ha ucciso lei. Va’ a prenderlo.» Jeremy si rialzò imprecando. Reggie sentì il rumore dei suoi passi mentre correva verso la porta sul retro, e rimase lì sdraiata, mentre sollievo e dolore le scorrevano nelle vene. Presto il dolore prese il sopravvento, e la stanza diventò ancora più buia, facendola sprofondare nel panico. Lottò, ma non riuscì a impedire al velo di oscurità di cadere su di lei. Quel genere di cose non doveva succedere nella sua maledetta città, accidenti.
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Cam Douglas studiò il progetto dell’edificio con l’assillante sensazione che qualcosa gli sfuggisse. Corrugò la fronte irritato quando il volume della televisione aumentò, e Sawyer e Hutch esultarono perché gli Houston avevano segnato. Lasciò cadere la matita e guardò i suoi due amici. «Non avete delle TV nei vostri uffici? C’è una ragione particolare per cui state guardando la partita nel mio, mentre sto cercando di lavorare?» Nessuno dei due gli prestò molta attenzione. Erano incollati al gioco. Cam si schiarì la gola. Hutch sollevò una mano per calmarlo. «Tu hai lo schermo piatto. Si vede molto meglio anche con l’alta definizione.» Cam scosse la testa. «La parola scadenza non ha nessun significato? Se non completo questi progetti per domani, perderemo l’affare.» Sawyer si voltò corrugando la fronte. «Ti stanno dando dei problemi, Cam?» Si avvi6
cinò alla scrivania, poi si chinò sulla spalla di Cam. «A me sembrano a posto.» Cam scosse la testa. «C’è qualcosa che mi sfugge. Qualcosa che non quadra.» Hutch si mise di traverso, con la coca cola in mano, e Cam lo fissò torvo. Ricordava fin troppo bene quello che era successo l’ultima volta che Hutch si era avvicinato alla sua scrivania con una bibita. Hutch lo ignorò e si concentrò sulle piantine della casa. «Sono le finestre davanti» disse Hutch. Fece una pausa e prese una lunga sorsata dalla lattina. Poi indicò la fila di finestre sulla sinistra della porta d’ingresso. Cam seguì il dito di Hutch con lo sguardo e, ancora prima che Hutch parlasse, capì quello che intendeva. «Non c’è simmetria. Hai lasciato il lato sinistro senza nulla per bilanciare il destro. Sembra zoppa.» «Accidenti» borbottò Sawyer. «Accidenti davvero» gli concesse Cam con un sospiro. «Dio santo, Hutch. Come fai a farlo ogni volta? Io me ne sto qui a fissare 7
questa roba per ore e poi arrivi tu e punti un dito dopo due secondi.» Hutch si strinse nelle spalle. «Non sono ossessionato come te?» Sawyer sollevò gli occhi al soffitto. «Non provocare Mr. Perfettino, Hutch. Non la smetterà più.» Cam aveva aperto la bocca per ribattere quando il telefono squillò. Mostrò il dito medio a Sawyer e poi prese il ricevitore. «Douglas» disse in fretta. «Cam, sei tu?» La voce di Birdie gli arrivava sbiadita dall’altro capo della linea. Sembrava scossa. Del tutto diversa dalla sua usuale vivacità. «Sì, Birdie, sono io. Cos’è successo?» le domandò mentre faceva in fretta cenno agli altri di abbassare il volume del televisore per poter sentire. Sawyer e Hutch gli rivolsero tutta la loro attenzione, quando sentirono la voce di Birdie. Hutch prese il telecomando della TV per spegnerla, e Cam premette il pul8
sante del viva voce, così che potessero sentirla tutti. «Si tratta di Regina» disse Birdie. «È stata ferita.» «Reggie? Cos’è successo a Reggie?» intervenne Sawyer. Ci fu una pausa. «Sawyer? C’è lì anche Hutch?» «Sì, Birdie. Siamo tutti qui. Cam ti ha messa in viva voce» spiegò Hutch. «Dicci di Reggie. Cos’è successo?» «È in ospedale» disse Birdie con voce stanca. «È qui che mi trovo adesso.» Cam si sentì invadere dalla paura. Guardò Sawyer e Hutch e vide in loro la stessa reazione. «Saremo lì in un’ora» tagliò corto. «Tieni duro. Stiamo arrivando.» «State attenti, ragazzi» disse Birdie, la voce che sembrava più forte ora che li ammoniva. «Ci vuole più di un’ora per arrivare qui da Houston, e non voglio che corriate. L’ultima cosa di cui ho bisogno è che voi tre finiate in ospedale insieme a Regina.» «Staremo attenti» disse Hutch. «Birdie? 9
Sta bene?» Cam sentì la preoccupazione nella sua voce, come se temesse a fare la domanda. «Sta benone.» La voce di Birdie si ammorbidì. «O, per lo meno, presto sarà così. Era un po’ conciata quando l’hanno portata qui, ma si riprenderà entro pochi giorni.» «Conciata?» C’era una sfumatura d’acciaio nella voce di Sawyer. «Chi diavolo è stato a picchiarla?» «Devo andare» si affrettò a dire Birdie. «Si sta svegliando.» Ci fu una lunga pausa. «Non sa che vi ho chiamati.» La linea si interruppe. Cam strinse la mano in un pugno e tornò a sedersi sulla sua sedia. «Andiamo» disse subito dopo Hutch. Il volto di Sawyer era duro come la pietra. «Non voleva che Birdie ci chiamasse.» Lo sguardo di Hutch diceva chiaramente non me ne frega niente. Sawyer si voltò verso Cam, mentre questi si alzava. «Per quanto aspetteremo ancora? Per quanto la lasceremo fare di testa sua e 10
tenerci lontani con tutte le sue forze?» Hutch incrociò le braccia sul petto, e Cam guardò sia lui che Sawyer. «Non lo faremo. Non più.» Hutch sorrise, e Sawyer annuì soddisfatto. «Andiamo a prendere la nostra ragazza, allora» disse Hutch.
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.2.
Quando Regina aprì gli occhi, emise un gemito e li serrò di nuovo. Non c’era un solo centimetro del suo corpo che non stesse urlando come una mammoletta. Udì il mormorio delle voci e sollevò una palpebra per vedere di chi si trattasse. Birdie. Regina sorrise e fece una smorfia. Dannazione, pure sorridere le provocava dolore. Il suo sguardo scivolò dove c’era Jeremy, in piedi accanto a sua moglie, Michelle. «Dov’è il bambino?» gracchiò. Il sollievo si distese sull’espressione di Jeremy. «Lo stanno tenendo Jake e Ellie. Come ti senti, Regina?» Lui e Michelle si avvicinarono al letto, e la donna le rivolse un sorriso pieno di com12
prensione. «Ho un aspetto così terribile?» chiese Regina. Prima che Michelle potesse rispondere, una mano fresca accarezzò leggera la fronte di Regina. «Birdie» sussurrò Regina. «Mi dispiace di averti fatta preoccupare, ma sono così contenta che tu sia qui.» La donna più anziana sorrise e si chinò per baciare la guancia di Regina. «Come se avessi potuto essere da qualche altra parte.» «Sei stata qui tutta la notte, vero?» Regina corrugò la fronte. «Per quel che conta, da quanto tempo mi trovo qui?» Guardò Jeremy, mentre ricordava qualcos’altro di ciò che le era accaduto. «Lo hai preso? E, dannazione, perché mi sembra di avere un’orda di rane nella gola?» Jeremy fece una smorfia. «Una cosa alla volta, okay, ragazza mia? No, non l’ho preso. Ma non ci sfuggirà ancora a lungo. E hai una voce di merda perché ha cercato 13
di strangolarti dopo averti picchiata a sangue.» I suoi occhi brillarono di rabbia. Sua moglie gli appoggiò una mano sul braccio, stringendoglielo rassicurante. Un altro pensiero la colpì, e il panico le strinse la gola. «La mia pistola, Jeremy. Me l’ha fatta saltare via dalla mano.» «Va tutto bene. L’abbiamo ritrovata sulla scena del crimine. È stata messa agli atti, perciò dovrai farne a meno per qualche giorno. Comunque, non è che verrai al lavoro domani mattina.» Regina fece una smorfia. No, non sarebbe tornata l’indomani, ma se avesse avuto una qualche voce in capitolo, non se ne sarebbe rimasta lì sdraiata tanto a lungo. Guardò Jeremy e sua moglie. Lui aveva il volto tirato, e probabilmente aveva di meglio da fare che starsene seduto lì a farle da babysitter. «Sto benone adesso, perciò voi due dovreste andare a casa. Apprezzo molto che siate venuti, però» disse Regina. «Sei sicura che non vuoi che rimaniamo?» 14
chiese Michelle. «Andate voi due» intervenne Birdie. «Starò io con lei, anche se farà il diavolo a quattro per cacciarmi.» Jeremy annuì, poi fissò severo Regina. «Lo prenderemo.» Lei annuì, e subito si pentì di aver mosso la testa, quando tutta la stanza ondeggiò davanti ai suoi occhi. Qualche attimo dopo, sentì la porta che si chiudeva, e lentamente voltò la testa finché Birdie non entrò nella visuale. «Quanto è grave?» le chiese. Birdie lasciò andare un sospiro. «Non stai bene, ma sopravvivrai. Mezzo dipartimento è passato di qui a trovarti. L’altra metà ha telefonato. Alla fine ho dovuto togliere la suoneria perché non ti disturbasse.» «Cos’è successo? Non ricordo molto.» Birdie sospirò. «Penso che il tuo dipartimento speri che sia tu a riempire i puntini rispetto a quello che è successo. Jeremy ha detto di aver risposto alla tua richiesta di soccorso e di averti trovata dentro la casa 15
con le mani di un uomo intorno alla gola.» Regina sollevò la mano al collo e se lo strofinò piano, ricordando l’aggressore che glielo aveva stretto. «Ti fa male?» chiese Birdie. Il suo volto si raddolcì. «Posso chiamare l’infermiera e farti portare qualcosa per il dolore. Il dottore dice che sei tutta rotta.» Regina si guardò per la prima volta, e si accorse di avere una fasciatura al polso sinistro. Fece una smorfia mentre lo sollevava per controllare il danno. «È rotto?» domandò, sperando con tutta se stessa che non lo fosse. Birdie scosse la testa. «I legamenti del polso sono stirati, e il dottore vuole controllare come si deve mentre guariscono. Avevano paura che ti fossi rotta qualche costola, perciò ti hanno sottoposta ai raggi X.» «Allora, quando potrò uscire?» «Devi stare tranquilla, signorina. Non farti venire strane idee riguardo all’uscire troppo velocemente di qui.» Regina sprofondò nel cuscino. Un altro 16
giorno o due a letto non le sembrava una cattiva idea, non che lo avrebbe mai ammesso con Birdie. Un pensiero improvviso l’attraversò e voltò la testa per guardare Birdie. «Non hai chiamato i miei genitori, vero?» Birdie sospirò. «No, certo che no. So che non l’avresti voluto.» Però si rifiutò di sostenere il suo sguardo, e questo fece preoccupare Regina. Guardò Birdie con sospetto e poi il suo viso si irrigidì, allarmato. «Birdie, dimmi che non l’hai fatto.» Birdie corrugò la fronte. «Che non ho fatto cosa?» «Che non hai chiamato loro. Non l’hai fatto, vero?» Birdie sospirò esasperata. «Di cosa stai parlando?» Regina sbuffò. «Lo hai fatto, non è così? Li hai chiamati.» Birdie spinse in fuori le labbra e si chinò in avanti, sulla sedia. «Quando la smetterai di scappare da loro, Regina? Da te stessa?» 17
«Questa è davvero una bella domanda, Birdie.» La voce, calda e virile, le provocò un fremito nello stomaco. Regina arrischiò un’occhiata verso la porta e vide Cam, Hutch e Sawyer lì in piedi. Cam aveva le braccia incrociate sul petto, Hutch le mani infilate nelle tasche dei jeans e Sawyer era appoggiato allo stipite della porta, con l’aria indolente. Tutti e tre la osservavano.
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